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25 ottobre 2017

Rivoluzione d’Ottobre, rivoluzione delle banche


di Giuliano Guzzo

E’ un fiorire continuo, ultimamente, di commemorazioni, mostre ed eventi sui 100 anni della Rivoluzione d’ottobre, evento sui cui protagonisti moltissimo, in effetti, si potrebbe dire anche se poi molto, c’è da scommettere, verrà taciuto. C’è per esempio da dubitare che su Vladimir Lenin, il grande capo bolscevico, si racconteranno particolari curiosi come la sua passione per la bella vita. Ma sì, proprio così: il grande rivoluzionario amava le cose da ricchi o, se preferite, da grandi borghesi del suo tempo. Come stazionare a Capri, ove soggiornò per ben due volte, nel 1908 e nel 1910. L’Isola, ammirata già allora come «perla del Mediterraneo», ai tempi in cui la frequentava Lenin era ovviamente meta di proletari di un certo livello.

A cavallo tra Ottocento e Novecento ci potevi difatti trovare il magnate dell’acciaio Alfred Krupp, il ricchissimo Jacques d’Adelsward Fersen, intellettuali e scrittori. Fu in quel paradiso terrestre, durante partite a scacchi a Villa Blaesus su comode poltrone di vimini, che, dunque, albeggiò la Rivoluzione. Ah, per la cronaca l’amore di Lenin per la bella vita continuò pure dopo quando, al Cremlino, diverrà collezionista di orologi di lusso e automobili, altri vezzi tipicamente proletari. Come se non bastasse, grazie alle ricerche del francese Jacques Bordiot, sappiamo che Lenin – il quale, peraltro, fu un grande ammiratore di Mussolini – poco avrebbe potuto senza i quattrini elargitogli dal grande banchiere Jacob Schiff, padrone della banca newyorkese Kuhn & Loeb and Co.

L’ombra del potentissimo banchiere dietro la Rivoluzione d’Ottobre – che secondo alcuni merita, per questo, il titolo di prima «rivoluzione colorata» – trova conferma nelle dichiarazioni rese dallo stesso oltre dieci anni prima, con cui, riferendosi alla libertà allora negata di creare una banca centrale, lanciava minacciosi avvertimenti: «Se lo Zar non vuole dare al nostro popolo la desiderata libertà, allora una rivoluzione instaurerà una repubblica tramite la quale si otterranno quei diritti». Come poi finirono le cose, per lo Zar, è noto. Meno nota è, invece, la riconoscenza che il già citato Lenin manifestò verso la Kuhn & Loeb alla quale, tra il 1918 e il 1922, pare abbia destinato la stellare somma di 600 milioni di rubli oro, l’equivalente di 450 milioni di dollari.

Lo stesso Lev Bronstein, più noto come Trotzkij – il quale, anche se non tutti lo sanno, ebbe passaporto americano – beneficiò, per lui e per i rivoltosi, della generosità di una banca, la Warburg, controllata da parenti dello stesso Schiff. Del resto, che le cose siano andate davvero così e non si tratti di mere fantasie complottiste, sembra provato da un articolo che il nipote del citato Schiff, nel febbraio 1949, firmò sul New York American Journal asserendo che il nonno mediante Elihu Root, avvocato della Kuhn-Loeb, già Segretario di Stato e premiato nel 1912 col Nobel di obamiana memoria, sostenne i due rivoluzionari pure con pagamenti successivi a quelli inizialmente pattuiti. Rivoluzionari la cui storia, si converrà, andrebbe leggermente riscritta benché i miti, soprattutto alcuni, siano assai duri a morire.

https://giulianoguzzo.com/2017/10/24/rivoluzione-dottobre-rivoluzione-delle-banche/


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12 ottobre 2017

«Era comune»: in Inghilterra vogliono cancellare Cristo dal calendario


di Giorgio Enrico Cavallo

Ci aveva già provato la Bbc, introducendo nei propri servizi il termine “era comune”, per non offendere nessuna religione. Ci hanno riprovato nelle scuole inglesi dove, in alcune contee, i vecchi termini a.C. e d.C. sono andati in pensione, introducendo la neutrale “era comune”. Nel mentre, dall’Olanda alla Svezia e via via fino all’Italia, è un fiorire di festività religiose (cristiane, ovviamente) che vengono edulcorate, che cambiano nome, che scompaiono addirittura. Basti l’esempio del Natale, al quale viene preferita la più politicamente corretta “festa della luce” o “festa d’inverno”.

Ecco, il problema è qui: Cristo dà fastidio. E il calendario, con le sue feste basate sulla cristianità, con i suoi santi e con le sue pericolose domeniche, è per molti un nemico da combattere. Ci hanno già provato almeno due volte, nella storia; senza esito.

I francesi, come noto, si erano inventati un nuovo calendario veramente rivoluzionario, che aveva come data-cardine il 21 settembre 1792 (pardon, capodanno dell’anno I), giorno della proclamazione della Repubblica. Giorno memorabile, mentre i sanculotti sgozzavano i preti e gli aristocratici rinchiusi nelle prigioni cittadine (i cosiddetti massacri di settembre). I nomi dei mesi furono purgati dai retaggi del passato tirannico: via gennaio, febbraio, marzo. Via tutti. I mesi avrebbero avuto i più neutrali nomi del ciclo naturale. Per dire, l’anno iniziava con il mese vendemmiaio e proseguiva fino a fruttidoro. A fare piazza pulita di questa bizzarria anticlericale, difficile da utilizzare per lo sfasamento dei mesi e mai veramente entrata nell’uso comune, fu Napoleone Bonaparte che, diciamolo, per una volta tanto ne fece una giusta. Curiosamente, questo psicopatico calendario venne tirato fuori dalla naftalina nel 1871 ed utilizzato per la breve esperienza della Comune socialista di Parigi.

Anche i sovietici, nel loro tentativo di creare una perfetta società anti-cristiana, riformarono il calendario. Va detto che già in Russia avevano problemi con il calendario giuliano, allora in uso nell’impero zarista; inizialmente, Lenin adottò il calendario gregoriano ma, dal 1° ottobre 1929, il governo sovietico decise di purgare il calendario dai pericolosi retaggi cristiani. Venne fuori una creatura ad immagine e somiglianza del partito, con mesi di 30 giorni esatti e feste di Stato inserite talvolta tra un mese e l’altro. Per poi eliminare del tutto il concetto di domenica cristiana, la settimana fu accorciata a cinque giorni; la fissazione con i piani quinquennali si tradusse anche nel calendario, poiché i lavoratori avevano un giorno su cinque di ferie, a seconda del loro gruppo di appartenenza. Le settimane variarono di lunghezza da cinque a sei giorni, fino ad assestarsi nuovamente a sette giorni. Infine, nel 1940, Stalin ripristinò il vecchio calendario.

In entrambi i casi, i tentativi di sostituire il calendario tradizionale con qualcosa di alternativo sono finiti nell’alveo degli esperimenti, ed hanno avuto il solo risultato di far impazzire gli apparati statali e la burocrazia, alle prese con lo stravolgimento delle date. Eppure, perché ancora oggi si sente la necessità di cancellare tutte le tracce della cristianità dal nostro calendario? La domanda è retorica: sappiamo bene che per una larga fetta dell’élite culturale dell’Occidente, Cristo è il nemico vero. Quello da abbattere con ogni costo. Con la Chiesa, che è fatta da uomini, ci stanno provando – peraltro, con buoni risultati – senza sapere tuttavia che per quanto i loro tentativi possano essere brillanti, alla fine non saranno risolutivi. Cristo stesso ha fondato la Chiesa e la Chiesa non perirà. La battaglia ideologica contro Cristo, in ogni caso, deve essere portata avanti ad ogni costo dai novelli illuministi: vuoi perché è soddisfacente, vuoi perché hanno esaurito (e fallito) ogni altra battaglia socio-culturale, vuoi perché in definitiva non hanno niente di meglio da fare. Alle nostre spalle, l’Islam osserva sbigottito la facilità con la quale gli stessi occidentali stanno sotterrando la loro cultura e la loro storia. Ridono, forse, perché a questo punto nulla impedisce di calcolare il tempo – chissà – dall’Egira. Sarebbe bello che i soloni alle prese con la vivisezione delle festività e del calendario cristiano, esprimano il loro parere su questa possibilità. Ma, probabilmente, questo è il loro scopo: distruggere Cristo con ogni mezzo, anche con quello islamico. Gli effetti collaterali? Perché, ci potranno mai essere effetti collaterali, secondo voi?


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11 maggio 2017

La Rivoluzione ignorante

(OVVERO SULLA NUOVA DOTTRINA DISORIENTANTE)

«Né mai ho letto una sillaba de' libri; ma bene mi fatico a leggere il passionato Christo».
(Beato Tommaso da Olera)


Una capra
di Matteo Donadoni

Quando ho letto su queste pagine il pezzo che citava una pubblicazione dell’Osservatorio Giovani e dell’Istituto di Studi Superiori “Giuseppe Toniolo”,  dal titolo “Dio a modo loro – Giovani italiani e religioni”, non ho potuto fare a meno di notarne le modalità grafiche:

«La religione che vorrei: LIBERA da un opprimente senso del proprio peccato, con un RAPPORTO Più DIRETTO CON DIO, con una minore presenza di mediatori, una religione SERENA E “COLORATA”, come l’induismo.”; ancora: “La religione che i giovani desiderano è INCLUSIVA, PACIFICA, TOLLERANTE DELLE DIFFERENZE, e anche SEMPLICE, senza troppe rigidità e orpelli».

Infatti, la tecnica dell’abuso delle capitali come nemmeno il generale Sherman è identica a quella utilizzata dal nostro “don Ariano” – curioso, deve essere una pratica di costrizione psicologica comune ai neomodernisti e, dato il sintomo da disturbo mentale, sarebbe interessante rintracciare il “paziente 0”.

Ma, a proposito di religioni colorate, “Dio a modo loro” e liturgofobi, in parrocchia, a quanto sento, procede quello che è ormai noto come “Metodo KKK”, che io chiamo “Fascicolo Openshaw”, ovvero la moltiplicazione e distribuzione di semi avvelenati che miete sempre nuove vittime. E si riassume così:

I nuovi pippoli

- Gli angeli non esistono, se mai sono mamma e papà (?).                      
- Non c’è nessun altare, ma - giuro parole testuali - è “una tavola (o tavolo) dove si fa festa e si mangia gnam gnam” (!!).                       
- Non è peccato mortale non andare a Messa la domenica, se mai è peccato andare a certe Messe noiose…
- Esposizione generica secondo cui l'anima individuale non esiste, ma de facto si annulla nell'amore di Dio – una sorta di Nirvana cattolico.
- Il Paradiso non è nell’aldilà, ma nell'aldiqua (sic!). Gesù non ha mai detto che l’inferno esiste, se mai parla di inferi, lo “sheol”(e la “geenna”? Boh).

Ora, il mio psicodramma sta più che altro nel fatto che quei gonzi dei miei paesani si bevono la qualunque, compresi e soprattutto i catechisti (horribile dictu), i quali, avendo insegnato per una vita una cosa, ora ripetono, con assoluta nonchalance, il suo contrario. Una rivisitazione disorientante, anzi, una sovversione del Vangelo, una rivoluzione silenziosa, ma pur sempre una rivoluzione. Anzi, una rivoluzione ignorante. Tipo che neanche i giacobini.
I giacobini a partire dal 1793, tentarono di intraprendere un’opera di scristianizzazione del popolo francese al fine costruire una nuova era libera da quelle che chiamavano superstizioni, dal fanatismo e dall'oscurantismo religioso. Perciò, ad esempio, sostituirono al culto dei santi quello dei martiri rivoluzionari, all'ingresso dei cimiteri posero la scritta "La morte è un sonno eterno" (buonanotte) e profanarono chiese e cattedrali come Notre Dame, il cui altare venne sostituito con una statua della dea  Ragione attorno alla quale avvenivano culti e cerimonie pagane.

Il metodo dei moderni rivoluzionari è di una violenza intellettuale più sottile: l’ignoranza insegnata come dottrina. Ignoranza smerciata subdolamente tramite pirronismo scientifico e pratica dell’epoché in campo teologico ed etico (“chi sono io per giudicare?”), essa non è più solamente un punto di vista, ma il rovescio della medaglia del vecchio culto della ragione in sostituzione della fede cattolica. Non si tratta qui della sapiente ignoranza di Socrate o dell’umile e santa ignoranza di san Francesco d’Assisi o del beato Tommaso da Olera (Olera, 1563 – Innsbruck, 1631), questa diavoleria è un altro modo rivoluzionario di rendere tutti uguali, l’ignoranza tipica dell’indifferentismo della volizione, la sciatteria del relativismo etico. O del relativismo teologico di chi, credendo di essere un sapientone, è passato in carriera dal “vangelo sine glossa”, che lo eccitava tanto, ad una miserabile “glossa sine vangelo”.

Quando dunque don Ariano imbastisce una catechesi per spiegare che la religione è un’invenzione dell’avidità sacerdotale e che, ad esempio, Dio non permette il male in funzione catartica, per trarne un bene maggiore, e che sostanzialmente il male fisico e spirituale in questa povera vita umana, in definitiva, non ha senso, non fa altro che elevare la dea Ignoranza sull’altare della religione, in sostituzione di Cristo. Dire, infatti, che il male non ha un significato, nemmeno metafisico, vuol dire gettare la gente nella disperazione.

La stessa cosa fa Bergoglio, quando dimostra di tenere in scarsa considerazione la dottrina che dovrebbe custodire, per improvvisare poi continue quanto barbose reprimende su presunti pettegolezzi in cui sarebbe giorno e notte affaccendato l’intero popolo cattolico. Come se il problema della Chiesa fosse il pettegolezzo. Le parole, già, i concetti sono palle, moschetti le parole, e «quando si perde la battaglia delle parole si perde anche quella delle idee» (Georges Bernanos).

Visto che siamo nell’anniversario delle apparizioni di Maria a Fatima possiamo, invece, ricordarne il messaggio, che è, fra le altre cose, la sana vecchia penitenza e che nulla ha a che vedere con problematiche puerili come il pavoneggiarsi o far del pettegolezzo maligno o altro cicaleccio sconsiderato, come l’accoglienza degli immigrati, che, nella battaglia persa (dai cattolici!) delle parole, son diventati migratori come le rondini.
A proposito di situazioni disorientanti: suor Lucia in una lettera a un amico ha scritto: «Lasciate che la gente dica il Rosario ogni giorno, Nostra Signora lo ha ripetuto in ogni Sua apparizione, per fortificarci in questi tempi di diabolico disorientamento, per non farci trarre in inganno da false dottrine», non ha parlato di orpelli dunque.
«Sfortunatamente la gente è per la maggior parte ignorante in fatto di religione e si lasciano condurre ovunque. Da questo, la grande responsabilità di coloro che hanno il dovere di guidarli», non si richiede una minore mediazione del clero, ma si denuncia una deficienza del clero.
«Un disorientamento diabolico sta invadendo il mondo, ingannando le anime! E' necessario affrontare “il demonio”», ecco qui chi è il vero capo delle gravi negligenze pastorali - quando non di ignoranza militante - da parte delle gerarchie. Iniziano ad essere in molti a pensarlo, così come appare ormai evidente che il terzo segreto di Fatima riguardasse in realtà l’apostasia generale della Chiesa, a partire dai suoi vertici: devo qui limitarmi a citare Padre Alonso, archivista ufficiale di Fatima: «E' quindi assolutamente probabile che il testo del Terzo Segreto faccia allusioni concrete alla crisi della fede nella Chiesa e alla negligenza degli stessi pastori».

Dunque i semi gettati dalla nuova parabola apocrifa del seminatore ignorante sono ormai caduti ovunque nella gran parte delle nostre parrocchie, hanno attecchito fra i cattolici disorientati e presto daranno i propri frutti disgraziati. Ora, dato che le idee sono anche come semi, se in filosofia chi semina ignoranza raccoglie protesta - lo abbiamo visto nel ’68 -, in teologia, chi semina questa sapienza perversa in senso lato, raccoglie condanna. E anche io come San Paolo «mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo. In realtà, però, non ce n'è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo» (Galati 1,6-7). Perciò «non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato.  Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna» (Galati 5,7-8).

Inutile fuggire, a che pro, infatti, imbarcarsi su una Lone Star che non raggiungerà mai a Savannah?
 

04 aprile 2017

Don Minutella: il "tradizionalista" rivoluzionario


di Amicizia san Benedetto Brixia

“La controrivoluzione non è una rivoluzione al contrario, ma il contrario della rivoluzione” così sigla J. de Maistre e non per nulla la Redazione ha scelto questa frase per la quarta di copertina del nostro primo libro, “Pensieri controrivoluzionari”. Non c’è dunque futuro per chi ritenga di combattere il declino rivoluzionario, ricorrendo agli stessi mezzi dei rivoltosi. Quali sarebbero tali strumenti? Tra tutti, se vogliamo attingere alla summa della controrivoluzione (Rivoluzione e contro-rivoluzione, P. Correa de Oliveira), dobbiamo individuare il nodo rivoluzionario in due fattori: orgoglio e sensualità. Non è detto debbano darsi immediatamente entrambi, lo stesso Plinio sottolinea il caso di “alcune sètte protestanti” in cui si constata “un’austerità che tocca i limiti dell’esagerazione”, la loro situazione mostra che sebbene in certi casi la rivoluzione “abbia mietuto ogni successo in materia di orgoglio, non ha ottenuto in materia di sensualità successi simili” (Rivoluzione e contro-rivoluzione, §1,VI,6.5.c.). Ciò che più importa è che qualsiasi apertura di fatto alla logica rivoluzionaria, per quanto intenzionalmente non voluta o anzi dichiaratamente sconfessata, è un concorso all’avanzare del degrado culturale. Questo permette inoltre di individuare, in precise condizioni, ciò che lo stesso Plinio definisce “falso tradizionalismo”, tipico di quel “tradizionalismo falso e gretto che conserva certi, riti, stili o costumi soltanto per amore alle forme antiche e senza alcun apprezzamento per la dottrina che li ha generati” (cit., §2,III,1.c.). Non vale nemmeno appellarsi a rivelazioni private o simili, in quanto, fintanto che non siano riconosciute valide dall’autorità competente, esse sono prive di valore reale, e la resistenza all’autorità in nome di visioni personali nuovamente esprime un’indole piuttosto rivoluzionaria che cattolica, operando la sostituzione del principio soggettivo a quello oggettivo, secondo un uso tipicamente protestante: “il principio cattolico della fede è l’obbedienza” (Amerio, Stat veritas, chiosa XVI).
Tutto questo l’ho ricordato in riferimento al caso di don Minutella, le cui intuizioni possono anche essere parzialmente condivisibili, ma il cui tono deborda oltre il buon senso e il dovuto rispetto alle autorità. I modi ultra-diretti, i gesti accesi, le liste di proscrizione anti-moderniste, tutto concorre a svilire le ragioni dei suoi comizi, col rischio che l’esempio esagitato di questo sacerdote getti fango e crei disagi a tanti altri ottimi presbiteri e fedeli, autentici apostoli e quindi autentici contro-rivoluzionari, che con la pazienza, la cortesia, la carità cristiana e il giusto dialogo stanno custodendo in questi anni significativi spazi di tutela della Tradizione e di risposta alla Rivoluzione. Faccia attenzione, don Minutella, il Diavolo sa molto bene come trarre dalla sua anche i più insospettabili tra i ‘conservatori’, specialmente quando si perdano di vista non gli slogan, ma i contenuti essenziali del loro apostolato, che noi abbiamo  cercato di ricordare or ora facendo leva - e non a caso - sui cardini culturali e di scuola della questione. Qualora non bastassero, don Minutella si rilegga con pazienza e umiltà la vita di tanti grandi santi, cominciando dai mistici reclusi, padre Pio e suor Lucia, e risalendo fino a san Giovanni, che non osò precedere san Pietro nel sepolcro.

 

28 luglio 2016

La ghigliottina è tornata, ma il boia è islamico



di Giorgio Enrico Cavallo

Padre Jacques Hamel è il primo sacerdote francese martirizzato in una chiesa dai tempi della Rivoluzione. Quelli – per rispolverare un po’ di storia – erano anni allegri, quando la Ragione trionfava e la ghigliottina metteva a tacere le voci dei dissidenti. Le chiese venivano date alle fiamme, quelli che si opponevano al bagno di sangue venivano massacrati nei modi più orrendi, come da insegnamento del generale Turreau, il macellaio della Vandea. Non c’è che dire, era l’apoteosi dei Lumi. Sarà per questo bel risultato che oggi ricordiamo la Rivoluzione francese come un positivo passaggio della storia, dimenticando i suoi mille aspetti oscuri ed inquietanti. Come la repressione religiosa.

Il massacro dei preti nella Rivoluzione Francese (rivoluzione squisitamente atea) è uno degli aspetti più taciuti dalla storiografia ufficiale. La stessa Chiesa, temendo di irritare i governi dei due Bonaparte al potere nell’Ottocento, non denunciò apertamente lo sterminio dei sacerdoti avvenuto nella Rivoluzione. Ad esempio, solo nel 1916 venne aperta la causa per la beatificazione delle 32 religiose martirizzate ad Orange, sterminate dal Comitato di Salute Pubblica nel luglio 1794 (sono iscritte nel novero dei beati dal 1925, con ricorrenza il 9 luglio). Nello stesso luglio 1794 vennero ghigliottinate anche le martiri di Compiègne, sedici religiose decapitate dai barbari giacobini dopo aver fatto voto di martirio ed essersi offerte a Dio per ottenere la fine degli orrori rivoluzionari.

La persecuzione religiosa nella Francia rivoluzionaria era iniziata prestissimo, già nelle stragi di settembre: Pio XI, a tal proposito, riconoscerà nel 1926 un gran numero di martiri di questi massacri, tutti beatificati. Novantacinque di essi erano sacerdoti. Ma gli orrori proseguirono, e ad essere colpiti erano soprattutto i preti che rifiutavano di prestare giuramento costituzionale. Padre Pierre Lauga de Lartigue, che si era rifiutato di giurare, venne ammazzato selvaggiamente a bastonate ai piedi dell’albero della libertà ad Agen, nel luglio 1792. È stato proclamato Servo di Dio.

Non hanno nemmeno il titolo di Servi di Dio i 4.800 preti refrattari fatti annegare nelle acque della Loira nel corso del genocidio vandeano. Gioverà ricordare che si è trattato del primo genocidio messo in atto in Europa contro una popolazione civile, rea di essersi sollevata contro i giacobini e sistematicamente sterminata dai generali Carrier e Turreau, di cui sopra. La cancellazione della memoria degli avvenimenti in Vandea è stata così sistematica che anche i documenti sono andati spesso perduti, e solo recentemente, anche grazie a storici coraggiosi come Reynald Secher, queste vittime hanno avuto giustizia. Talvolta, si conoscono i morti solo risalendo alle cronache stilate in fratta e furia dai pochi superstiti. Si sa così – ed è solo un tragico esempio – che il 17 febbraio 1794 a Grand-Luc vennero fucilate mentre recitavano il rosario in chiesa 563 persone. 110 erano bambini, tutti annoverati tra i Servi di Dio.

Vennero perseguitati anche i vescovi. Charles-François de Saint-Simon de Rouvroy de San-Dricourt, che aveva anche l’aggravante di provenire da una nobile famiglia, ed era diventato vescovo di Adge (diocesi antica, della quale fu l’ultimo pastore). Venne ghigliottinato insieme ad altri 36 compagni, tutti riconosciuti Servi di Dio nel 1927, ma sui quali grava ancora un certo silenzio e la causa di beatificazione risulta ancora ferma. Per inciso, l’assassinio dei 37 sacerdoti avvenne il giorno prima della caduta del folle regime di Robespierre.

Val bene ricordare, ancora, Maria Maddalena Fontaine, Maria Francesca Lanel, Teresa Maddalena Fantou e Giovanna Gerard, ghigliottinate nel settembre 1794 per non aver prestato giuramento. Suor Maddalena ebbe a dire: “Ascoltate cristiani! Saremo le ultime vittime, la persecuzione sta per finire, i patiboli saranno distrutti e gli altari di Gesù saranno ricostruiti in tutta la loro gloria”.

Ed ebbe ragione. La Restaurazione, pur con tutte le sue contraddizioni, ripristinò l’antico ordine, ancora per un poco. Ma nell’Ottocento e soprattutto nel Novecento l’odio verso i sacerdoti continuò a manifestarsi in Europa, e tanti altri religiosi vennero martirizzati nel corso delle persecuzioni comuniste e naziste.

Le parole di suor Maddalena devono riecheggiare ancora oggi. Perché la storia che credevamo scritta nei sussidiari scolastici sta tornando, tambur battente. Lo vediamo ogni giorno, e padre Jacques Hamel testimonia, con la sua morte, che gli anni del Terrore sono tornati. Solo che ad azionare la ghigliottina non sono più i fanatici seguaci dell’illuminismo ateo: sono i barbuti boia islamici. Ciò detto, non c’è differenza tra i tagliagole giacobini ed i tagliagole maomettani: entrambi erano e sono mossi da un odio feroce contro il cristianesimo. La differenza, semmai, è negli stessi cristiani: allora, seppero resistere alla persecuzione aggrappandosi alla croce. Erano anni nei quali la fede si respirava in ogni istante della giornata, ed era sincera ed autentica. Oggi possiamo dire la stessa cosa dei popoli europei? Dunque, i pochi che ancora credono si mobilitino anche per gli altri. Preghino. Preghino per padre Hamel. Preghino per l’Europa e per i suoi sordi abitanti, sicuri di superare anche questa persecuzione. Infatti noi cristiani, a differenza dei tagliagole militanti, sappiamo già il finale della Storia: ce lo ha rivelato Cristo; ce lo ha ricordato Maria, quando a Fatima, preannunciando le sciagure del Novecento, affermò: “Ma alla fine il mio cuore immacolato trionferà”. 

 

03 giugno 2016

Il Sacro Cuore di Gesù e il cuore profano del mondo


di François de Charette

Oggi la Chiesa celebra la Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. Dal 1689 in avanti si è detto e scritto moltissimo su questa sublime devozione cattolica. Essa affonda le radici nell'Antico Testamento, laddove il profeta Isaia invita ad attingere con gaudio le acque dalle fonti del Salvatore: “Hauretis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris (Is 12,3)”. Si parla di fonti, al plurale, giacché furono molteplici le sorgenti da cui il Salvatore stillò il proprio sangue, in remissione dei nostri peccati: le innumerevoli ferite sanguinanti causate dalla flagellazione e dalla corona di spine postagli sul capo in segno di deridente umiliazione, le cinque piaghe che i chiodi produssero nella sua carne viva ed infine la ferita ultima, quella che gli squarciò il costato trafiggendogli il cuore. Poche ore prima l'Apostolo Giovanni aveva posato su quel cuore divino il proprio capo reclinandolo sul petto di Gesù (Gv 13, 25).

Moltissimo si potrebbe dire sul sacro cuore di Gesù senza comunque riuscire ad esaurire il mistero di grazia che questo scrigno preziosissimo riserva a chi lo contempli devotamente, ma una cosa balza subito agli occhi: esso fu un cuore vero, pulsante, trafitto realmente e sgorgante sangue ed acqua e così ancora oggi la Chiesa lo celebra nella sua vera immagine di cuore umano. Non è ozioso notarlo in quanto siamo quotidianamente tutti subissati di cuori stilizzati, che del cuore umano non hanno alcunché. Essi non pulsano e non vivono poiché privi di ventricoli e di arterie, in essi non circola sangue e non amano poiché in ultimo non sono cuori. Qualcuno si è preso la briga di studiare la storia della stilizzazione moderna del cuore, poiché questa porzione di carne umana non ha affatto la forma che noi siamo soliti attribuirgli con emoticon e disegnini vari. Ebbene si è visto come la diffusione popolare sia cominciata negli anni '70 con le t-shirt I love NY, dove al posto della parola love campeggiava un cuore stilizzato. Da allora è stato un crescendo fino all'abuso riscontrabile ai nostri giorni. Ancora più interessante però è scoprirne l'origine: essa risale alle carte da gioco e nello specifico a quelle francesi che, come è noto, derivano dai Tarocchi, dunque l'origine della simbolizzazione è gnostico-cabalistica. Il simbolo d'altronde lo conferma, avendo caratteristiche subliminali: esso può alludere nei due archi superiori alle forme rotondeggianti di un seno femminile, mentre capovolto è la rappresentazione evidente di due natiche. Ciò a voler intendere, in perfetta coerenza con il pansessualismo pre-freudiano cabalistico, che l'amore è libido, desiderio, mero principio di fertilità riproduttiva. Per gli scettici, rammento come il gioco delle carte abbia subito negli anni della Rivoluzione Francese un brusco cambiamento: l'asso che fino ad allora era la carte con valore minimo è divenuta anche la carta con valore massimo, a simboleggiare il principio rivoluzionario secondo il quale dal basso il re (la cui carte prima della Rivoluzione Francese era quella con il valore più alto) viene sconfitto, in un processo di disfacimento dell'autorità che dal 1789 non si è mai arrestato fino ad oggi. In un gioco di apparente e innocente intrattenimento è stata racchiusa una dottrina simbolica, cabalistica e persino politica tuttora vigente. Erano ancora lontani i tempi i cui l'umanità si sarebbe potuta pervertire con televisione, film e stampa immonda ma fin d'allora si comprese come l'intrattenimento fosse la via più sicura per istruirla di nuovi e perversi principi. Ciò spiega anche perché un uomo di indubbio acume intellettuale come Pascal sull'intrattenimento scrisse pagine di fuoco, a cui volentieri si rimanda il lettore.

Diremo però ancora qualcosa in merito alla Rivoluzione Francese, vero spartiacque della storia d'Europa. Essa avvenne esattamente cento anni dopo l'inizio della devozione al sacro cuore che Gesù stesso offrì all'umanità per mezzo di Santa Margherita Alacoque, la quale spiegò come al sacro cuore di Gesù dovesse consacrarsi Luigi XIV, meglio noto come “Re Sole” e come il simbolo dovesse essere raffigurato nello stemma nazionale. Ciò era volto a preservare il Regno di Francia difendendolo da future rivoluzioni, epurandolo però da ogni personalistica idolatria verso il suo re e sancendo chiaramente il primato della regalità di Cristo. L'Onnipotente aveva teso una mano a Luigi XIV per mezzo di una sua umilissima santa ma il re aveva glissato. Cento anni dopo, la sua dinastia fu spazzata via, la nobiltà ghigliottinata e migliaia di innocenti consacrati furono martirizzati in un effluvio di sangue d'inusitata barbarie. Da lì principiò l'Europa anticristiana che è sotto i nostri occhi e delle cui utopie il Pontefice regnante inspiegabilmente si compiace. L'umanità, in quei giorni, rifiutò di posare il proprio capo al sicuro sul giaciglio del Sacro Cuore di Gesù ad imitazione del suo apostolo prediletto, preferendo ad esso una corona  inebriata di idolatrica superbia, che cadde miseramente al suolo ghigliottinata e alla quale ne subentrarono molte altre di diversa fattura: l'enciclopedico e puerile sapere umano, l'utopistico e laicista democratismo razionalista, l'ugualitarismo sentimentale, la fratellanza resa orfana di Cristo, senza il quale nulla può essere compiuto (Gv 15, 8). In sintesi l'uomo si sentì pronto per fare da sé e rifiutò al contempo l'aiuto di Dio e dei suoi santi. Scelse la libertà apparente rifiutando quella reale, intessuta della carne e del sangue del Salvatore.
Oggi, dunque, cosa si festeggia? Un cuore divino abbandonato da un'umanità che non sa celebrare che se stessa e ad un cuore di carne trafitto d'amore e sgorgante sangue ne preferisce uno fasullo, purché pulito e colorato: un cuore ideale, simbolo di mostruosità utopiche, di istinti feroci e lascivi che nell'assenza dei suoi battiti, giacché esso è un cuore che non batte, ravvede il rintocco vuoto di un ateismo dei costumi e dei valori, che pur nei suoi disfacimenti quotidiani non brama che se stesso. Dio perdoni la nostra perversione e quella della sua Chiesa militante che ai nostri giorni, anziché porre il capo nella polvere e macerarsi nella penitenza, osa ancora parlare di umanesimo.

In conclusione ricordiamo come la gloriosa artefice del sacro cuore di Gesù, colei che lo ha intessuto della sua carne e irrorato del suo sangue nei nove mesi della portentosa e verginale gravidanza, in questi ultimi tempi sia venuta ad offrire il suo cuore immacolato come ultimo rifugio di salvezza per il genere umano. Ella ha chiesto a Fatima, nel 1917, per mezzo di tre pastorelli la consacrazione - ad opera del papa e di tutti i vescovi - della Russia al suo cuore immacolato. Esattamente come per il Sacro Cuore di Gesù tale richiesta è rimasta inesaudita. Il maggio prossimo sarà il centenario di questa sublime apparizione che sancisce la volontà mariana di trionfare, affinché tutto il mondo conferisca l'onore che spetta a colei che sola e piena di grazia ha meritato all'umanità il Redentore. L'anno venturo si celebreranno al contempo i cinquecento anni della Riforma protestante (1517) e i trecento anni dell'istituzione della prima loggia ufficiale massonica (1717). Sembra, dunque, avvicinarsi l'ennesimo appuntamento della storia dell'umanità al crocevia di un nuova svolta nell'annosa battaglia tra il bene e il male.  In verità, date le premesse, pare apprestarsi un'ulteriore umiliazione per il bene ma ciò non deve scalfire la nostra speranza, che si fonda sull'autorità di Colui che è risorto da morte. Approfittiamo quindi della solennità odierna per innamorarci sempre più di Cristo, umilmente confessando i nostri peccati, digiunando se possibile, battendoci il petto per le nostre mancanze e alzando preghiere all'Altissimo in perenne rendimento di grazia e in riparazione delle offese che l'umanità non cessa di arrecargli. Ciò affinché non siano annoverati i nostri nomi fra coloro che preferirono giocare sotto la croce, anziché pregare e contemplare la magnificenza redentrice dell'unico Salvatore.
 

10 dicembre 2015

Contro la cultura dell'ormai


di Francesco Filipazzi
“Ormai la droga c'è, legalizziamola”, “ormai in tutto il mondo ci sono i matrimoni gay, vanno introdotti anche in Italia”, “ormai l'aborto c'era, era da legalizzare”, “ormai la fede è scomparsa”, “ormai le chiese sono vuote”. Questi sono solo alcuni degli assiomi di quell'ideologia che si può definire Ideologia dell'Ormai, che è stata instillata, spesso anche dalla scuola, nelle nostre menti. L'idea che il processo storico del “progresso” sia “ormai” inarrestabile e che nulla sia possibile per porvi rimedio.
Nel mondo cattolico molti sono inconsapevolmente schiavi di questa cultura, tanto che si sono omologati al pensiero unico, che “ormai” ha vinto.
Tutto nasce dall'idea che la Storia sia un individuo a sé stante, che prosegue la propria marcia inarrestabile. Convinzione tutta marxista, quella del vento della storia che spazza via ogni resistenza e al quale non ci si può opporre.
Chi prova a non arrendersi viene combattuto da coloro che sarebbero i paladini di questa Storia che tutto dispone, sotto forma di una Rivoluzione permanente, che ha lo scopo di sovvertire ogni tipo di ordine. In questa ottica torna in auge, proprio in questo momento storico, in cui sembra che abbia vinto la sovversione, la prospettiva controrivoluzionaria. Combattere la Controrivoluzione oggi vuol dire non accettare il piatto pronto che ci viene propinato da una realtà costruita sui pilastri della falsità fatta sistema. Il Reazionario è portatore di una visione poetica e spirituale dell'esistenza, non è un semplice militante di questa o quella causa, ma ha una visione del mondo antitetica a quella che ha generato il mondo moderno.
Per dirla alla Gomez Davila, “essere reazionario non significa abbracciare determinate cause, né patrocinare determinati fini, ma assoggettare la nostra volontà alla necessità che ci costringe, arrendere la nostra libertà all’esigenza che ci spinge; significa trovare le evidenze che ci guidano addormentate sulla riva di stagni millenari. Il reazionario non è il sognatore nostalgico di passati conclusi, ma il cacciatore di ombre sacre sulle colline eterne.
Oggi dunque più che mai, dobbiamo essere consapevoli di far parte di una realtà che non nasce ieri, ma vede la luce nelle profondità dei millenni, consapevolezza che si perde quando si cede all'“ormai”, quella parola che taglia ogni legame con il passato e apre solo la porta a un futuro a tinte fosche. Lo stesso futuro che evidentemente piace molto a quei preti che a furia di dire “ormai” hanno calato le braghe su tutto, completamente disillusi che il messaggio cristiano possa un giorno ritornare la guida dell'umanità.
 

13 ottobre 2015

Plinio Corrêa de Oliveira a vent'anni dalla morte

di Federico Catani
Vent’anni fa, il 3 ottobre 1995, moriva a San Paolo del Brasile (dove era nato nel 1908) Plinio Corrêa de Oliveira, il più grande pensatore controrivoluzionario del XX secolo, erede della scuola di Joseph de Maistre, Juan Donoso Cortés e di tanti altri che si sono opposti al nuovo corso scaturito dalla Rivoluzione francese. In questa sede ci sia consentito scrivere un brevissimo, incompleto e scarno profilo di questa figura così importante per chi ancora oggi voglia andare contro corrente in questo mondo ormai in putrefazione e così violentemente anticristiano.  

Dopo aver militato in gioventù tra le file delle Congregazioni Mariane, nel 1932 il dottor Plinio, (come era chiamato e conosciuto) promosse la formazione della Lega Elettorale Cattolica, nelle cui fila fu eletto deputato all'Assemblea Federale Costituente. In qualità di parlamentare, riuscì ad ottenere importanti vittorie per il mondo cattolico.
Nel 1933 divenne direttore del giornale «O Legionário», organo ufficioso della diocesi paulista, che riuscì a trasformare nel maggiore settimanale cattolico del Paese, dimostrando che la vita interiore, fatta di orazione, è fondamentale, ma va coniugata con la militanza. Sulla terra, infatti, sta la Chiesa militante, pronta a combattere per portare a tutti Cristo, sia ai singoli, sia alla società.
Nel panorama politico internazionale degli anni Trenta, si mantenne sempre in una posizione tanto anti-comunista quanto anti-nazista, denunciando la comune radice hegeliana dei due totalitarismi e rivendicando invece un Cattolicesimo pieno ed integrale, non subalterno ad alcuna ideologia politica dominante in quel periodo: solo l’ordine cattolico e la civiltà cristiana sono l’ideale da inseguire.
Nominato nel 1940 presidente dell'Azione Cattolica di San Paolo, Plinio Corrêa de Oliveira subito notò come in certi settori del movimento stesse prendendo sempre più spazio la corrente cattolico-democratica e neo-modernista, che lavorava per traghettare il mondo cattolico verso il progressismo. Fu così che nel 1943 pubblicò il suo primo libro, «In difesa dell'Azione Cattolica», in cui svelò quel che stava accadendo e ne prese nettamente le distanze. Riuscì ad aprire gli occhi a molti. Purtroppo però, come si vedrà chiaramente durante e dopo il Concilio Vaticano II, nella Chiesa la confusione sarebbe aumentata sempre più negli anni a venire.
Nel 1951 fondò il mensile «Catolicismo», che diresse fino alla fine dei suoi giorni. Come per il «Legionario», anche intorno al nuovo periodico si coagulò una corrente d'opinione che presto divenne un polo importante nel contesto brasiliano.

Ma il suo capolavoro il dottor Plinio lo scrisse nel 1959 (completato poi nel 1977): si tratta di «Rivoluzione e Contro Rivoluzione». Il libro analizza le diverse fasi della crisi secolarizzante che ha colpito l'Occidente cristiano fino ai nostri giorni e tratteggia un programma di restaurazione della Cristianità. Ne riassumiamo con estrema sintesi e semplicità il contenuto. Il processo di distruzione della civiltà cristiana occidentale è avvenuto in quattro “rivoluzioni”, ovvero drastiche rivolte contro l’ordine legittimo costituito: la prima è stata di tipo religioso, e si è avuta con la Rivoluzione protestante, preceduta e preparata dall'Umanesimo e dal Rinascimento; la seconda è stata di tipo politico, ovvero la Rivoluzione francese; la terza ha avuto carattere socio-economico, ed è stata la Rivoluzione bolscevica, che ha diffuso il comunismo nel mondo; la quarta, infine, è stata di tipo culturale e così si è avuto il Sessantotto. In quest’ultima rivoluzione siamo pienamente immersi e, anzi, stiamo andando persino oltre: dalla mera rivoluzione sessuale, infatti, si è giunti ad una vera e propria rivoluzione antropologica, che ha intaccato la stessa natura umana: come spiegare altrimenti i fenomeni della teoria gender e del matrimonio gay?
Corrêa de Oliveira individua le due cause principali che costituiscono la molla del processo rivoluzionario nell’orgoglio e nella sensualità. La "Contro-rivoluzione", invece, è il contrario della rivoluzione e consiste nella restaurazione dei valori e della civiltà cristiani, tra i quali in particolare il principio di autorità e di gerarchia contro l'ugualitarismo, prodotto dell'orgoglio umano, e la morale cristiana contro il liberalismo, considerato prodotto della sensualità.
Il Medioevo è ovviamente considerato il periodo storico più pienamente cristiano, il periodo in cui i princìpi del Vangelo hanno retto gli Stati, secondo le celebri asserzioni di Papa Leone XIII. Ciò che vi è da difendere e imitare del Medioevo non sono, evidentemente, aspetti contingenti e ormai superati, quanto piuttosto il modo di intendere la vita e il fatto che la società fosse permeata di Cristianesimo: si è trattato dell’epoca in cui più concretamente e più pienamente ha avuto realizzazione la regalità sociale di Cristo. E verso un nuovo Medioevo, ancora più splendente e più integralmente cattolico, dobbiamo mirare: con l’aiuto di Dio e il nostro sforzo, un’epoca di trionfo della Chiesa arriverà, come del resto promesso dalla Madonna a Fatima nel 1917.

Il dottor Plinio non ha però solo ripetuto quanto già detto dalla scuola controrivoluzionaria europea, ma ha dato il proprio originale contributo. Ad esempio prestando molta attenzione alla “dimensione tendenziale”. Il suo studio degli ambienti, delle fisionomie, dei tratti umani, del portamento, dell’abbigliamento, del linguaggio, e poi ancora dell’arte, dell’architettura e dell’urbanistica sono fondamentali per capire quali tendenze riflettono, quali idee e quali attitudini psicologiche sottendono. È evidente infatti che lo stile artistico medioevale indica un certo modo di vivere e di pensare; quello di oggi ne indica un altro, radicalmente opposto.  

Nel 1960, Corrêa de Oliveira fondò la Società Brasiliana per la Difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà (TFP), associazione che poi si diffuse in tutto il mondo aprendo varie sedi. Così, il dottor Plinio passò a dedicare la sua vita integralmente alla direzione della TFP brasiliana e all'orientamento delle altre sezioni, svolgendo una continua opposizione alle diverse manifestazioni del progressismo rivoluzionario.
Non è possibile qui esaminare tutta la sua dottrina. Venti libri, più di 2.500 saggi ed articoli, più di ventimila conferenze ed interventi in commissioni di studio, riportate in oltre un milione di pagine, attestano la sorprendente prolificità di questo pensatore ed uomo d'azione brasiliano e non possono essere trattati degnamente in pochissimo spazio.
C’è da dire però che quanto il dottor Plinio ha insegnato è attualissimo. Quando ad esempio parlava di “trasbordo ideologico inavvertito”, delineava un processo che oggi vediamo pienamente all’opera nelle discussioni in tema di famiglia e di diritti civili: attraverso “parole talismano” come “misericordia” o “amore”, si approda a posizioni semplicemente folli ed eretiche.

Tra le “gesta” di  Plinio Corrêa de Oliveira e dei suoi sodali ne menzioniamo solo una. Nel 1990, lanciò la TFP brasiliana nella campagna "Pro Lituania Libera", ricevendo immediatamente l'adesione delle altre TFP. In tre mesi si raccolsero 5.212.580 firme in sostegno all'indipendenza della Lituania: una sottoscrizione che entrò nel «Guiness dei Primati». Di lì a poco, la Lituania ottenne la libertà ed il mostro sovietico crollò.

Molte polemiche sono state fatte e si continuano a fare in merito alla TFP. Spesso se ne parla come si trattasse di una setta. Si può essere più o meno d’accordo sulle idee di cui gli eredi del dottor Plinio sono portabandiera. Si può dissentire o acconsentire su certe posizioni o sfumature. Ma nulla di quello che le TFP fanno è in contrasto col Magistero della Chiesa. Nulla è al di fuori dell’ortodossia cattolica. Quanto alle calunnie, basti citare un caso risalente a qualche mese fa. Nel suo «Rapport 2008», la Miviludes (Mission interministèrielle de vigilance et de lutte contre les dérives sectaires), organismo ufficiale dello Stato francese, aveva inserito un paragrafo nel quale si faceva presente ai Ministri del Governo che la TFP francese era stata oggetto di diverse processi di carattere civile e penale. Faceva pure presente che la TFP francese era stata qualificata, in un altro Rapporto del Governo, come “setta”. Ebbene, la TFP ha trascinato in Tribunale il direttore della Miviludes, Georges Fenech, accusandolo di diffamazione e di calunnia. Tra processi e appelli, il caso è arrivato fino alla Cassazione, e poi alla Court d’Appel, massima autorità giudiziaria in Francia, che ha emesso la sentenza definitiva: la Miviludes ha calunniato e diffamato la TFP francese e dunque è stata condannata al risarcimento.


Da bambino, visitando l’Europa e le vestigia della sua storia gloriosa, il piccolo Plinio Corrêa de Oliveira rimase estasiato e, quasi illuminato, capì quale sarebbe stata la sua missione nella vita. Ricordando quel periodo, scrisse: "Quando ero ancora molto giovane, considerai rapito le rovine della Cristianità; ad esse affidai il mio cuore, voltai le spalle al mio futuro, e di quel passato carico di benedizioni feci il mio avvenire". C’è bisogno di chi continui a fare lo stesso. 

(La Croce quotidiano, 1 ottobre 2015)
 

05 ottobre 2015

Cattolici tradizionalisti: reazionari o conservatori?


di Alessandro Rico
Gòmez Dàvila diceva che non possiamo più essere conservatori perché non c’è più nulla da conservare. Discendeva da ciò l’unica formula politica che riscattasse l’uomo dai mali della modernità: diventare reazionari. Ma che cos’è il conservatorismo? Michael Oakeshott, capofila di una versione “gnoseologica” di questa filosofia, basata su una coerente teoria dei limiti della ragione umana, dava del conservatorismo una definizione disposizionale: «[…] preferire il familiare all’ignoto, il già testato al non ancora sperimentato, i fatti al mistero, il reale al possibile, il limitato all’illimitato, il vicino al distante, il sufficiente al sovrabbondante, l’accettabile al perfetto, il riso di oggi a un’utopica beatitudine». Ancor prima che un sistema di valori, insomma, il conservatorismo è un atteggiamento, che informa il carattere e poi le convinzioni politiche: è, se vogliamo, una forma di sano realismo cristiano. Russell Kirk, nel famoso saggio The Conservative Mind (1953), individuò sei principi conservatori, da intendersi in modo flessibile perché il conservatorismo non è, non può essere un’ideologia: fede in un ordine trascendente, rispetto per la varietà e il mistero delle tradizioni, persuasione che una società sana debba ammettere gerarchie, riconoscimento del legame tra libertà e proprietà, affidamento alle prescrizioni dell’autorità piuttosto che alle astrazioni speculative, distinzione tra cambiamento organico e riforma. Ma cosa accade se l’ossequio nei confronti del passato, delle tradizioni, persino del pregiudizio, il pregiudizio cui Burke dedicò una memorabile apologia nelle sue Reflections On the Revolution in France (1790), si è irrimediabilmente incrinato? Se quella che Chesterton definiva la «democrazia dei morti» è stata soppiantata da un pragmatismo materialistico, presentista o progressista, che fa strage di una civiltà nel nome di «ideologie alla moda», per dirla con Lucio Battisti?

La «reazione» rappresenta il movimento uguale e contrario alle spinte laceranti che hanno sgretolato quell’antico patrimonio che il conservatorismo poteva proporsi di preservare. L’apparentemente irrimediabile sconfitta cui quest’ultimo è fatalmente esposto, ne testimonia forse una costitutiva debolezza, che Friedrich von Hayek, figura di confine tra liberali e conservatori, denunciava nell’emblematica postilla a The Constitution of Liberty (1961), il saggetto con il quale giurava di non essere un conservative: prodigarsi nel disperato tentativo di arrestare la fiumana del progresso, accumulando gli smacchi dei riformatori che si mettono dalla parte della corrente, dove soffia il vento della storia. Il reazionario incarna in tal senso il polo opposto allo storicismo: non resistere invano al motore degli eventi, ma opporvi una potenza contraria. De Maistre, quel geniale pensatore savoiardo dalla penna ardente e caustica, cui è intitolato anche il nostro sito, soleva ripetere che la controrivoluzione sarebbe stata «non una rivoluzione al contrario, ma il contrario della rivoluzione». E questo è un sagace ammonimento a quelli che confondono il pensiero reazionario con un radicalismo invertito di segno, però dotato degli stessi metodi. La reazione è Bonald, è Donoso Cortès, non qualche grottesca forma di “fascio-comunismo”.

Certo, c’è da distinguere, come sopra accennato, tra cambiamento e riforma. È in questo che soprattutto differiscono conservatori e reazionari. I primi, nonostante una visione sostanzialmente pessimistica della natura umana, segnata dal peccato originale ma anche capace, come voleva il dogma tridentino, di compiere naturalmente del bene, ritengono di dover accompagnare la società e le istituzioni nella loro evoluzione spontanea – e qui sta pure il legame con il liberalismo spontaneistico – che è cosa ben diversa dalla sovversione dell’ordine perpetrata dai rivoluzionari. I secondi, invece, individuano in un certo ordine tradizionale la condizione definitiva della società e sono pertanto pronti anche a «restaurare», ignorando qualsiasi accusa di anacronismo.

Dove si dovrebbero collocare i cattolici tradizionalisti, in questa difficile epoca di feroci attacchi al cristianesimo, ma in generale alla religione in se stessa, nella sua ragion d’essere e nei suoi presupposti? Innanzitutto, non si può dribblare la questione dell’atteggiamento da mantenere nei confronti della modernità. Non si può banalmente tornare al pre-moderno, riportare la storia a un’altra era, quasi che i secoli non fossero mai trascorsi. In Little Gidding, il poeta angloamericano Thomas Stearns Eliot declama: «Non possiamo ravvivare vecchie fazioni / non possiamo restaurare vecchie politiche / o seguire un tamburo arcaico. Questi uomini / e quanti a essi si opposero e quelli / a cui loro si opposero accettano / la legge del silenzio / e sono rinchiusi in un solo partito». La sola reazione che ripristina quel patrimonio che vale la pena conservare si nutre di nostalgia, ma è protratta al futuro, attenta a scorgere i segni della Provvidenza negli eventi che sembrano precipitare. Nella famosa «profezia» giovanile, Ratzinger si figurava un’epoca in cui la Chiesa sarebbe stata ridotta a poche comunità di fedeli politicamente ininfluenti; ma quell’apparente disastro la riportava alla sua situazione originaria, la ferma e coerente testimonianza di quei pochi ne rinvigoriva le energie, trasmettendole nuova linfa per una più duratura rifioritura. Sempre Maistre ammoniva che la rivoluzione davvero «cammina sulle sue gambe», poiché persino quando credono di compiere il più decisivo atto di ribellione, gli uomini non si rendono conto che la Provvidenza sta già traendo il bene dalla loro malvagità. Non si tratta di negare la libertà umana, ma di spiegare il sincero ottimismo (la virtù teologale della speranza) che riposa al fondo della filosofia cristiana della storia. Quella visione che spingeva Agostino a redigere il De Civitate Dei, al tempo in cui confutare il pessimismo irredimibile legato al crollo dell’Impero Romano d’Occidente, significava sollevare lo sguardo alla enigmatica trama di Dio nella storia, confusa dal miscuglio permanente tra Babilonia e Gerusalemme. La mistica Giuliana di Norwich, citata dal solito Eliot, acutamente ribadiva: «Tutto sarà bene e ogni genere di cosa sarà bene». Peccato e caduta possono prostrarci o convincerci a rimetterci in cammino – e Dio sa usare persino i nostri limiti per schiuderci inattesi orizzonti. Sono i segni del ritorno a Dio che cerchiamo, lenendo nei sacramenti somministrati dalla Chiesa i dolori temporali e ricordando che è Cristo ad averci salvato una volta per tutte; noi dobbiamo solo temporeggiare.

«Maneggia l’acciaio il chirurgo ferito / che indaga la parte malata; / sotto la mano insanguinata sentiamo / l’arte pietosa e tagliente di chi guarisce / e scioglie l’enigma del diagramma della febbre. / La malattia è la nostra sola salute / se obbediamo all’infermiera morente / la cui cura costante non è di piacere / ma di ricordarci la nostra maledizione e quella di Adamo, / e che la nostra malattia, per guarire, deve peggiorare» (T. S. Eliot, East Cocker, 1940). 
 

24 settembre 2014

Pio IX, profilo di un beato


di Giacomo Catilina
Papa Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai – Ferretti, fu uno di quei Pontefici che regnò più a lungo nella storia della Chiesa (secondo infatti solo a San Pietro), venendo eletto dal Conclave in un travagliato periodo come quello della rivoluzione italiana che, partendo dalle rivolte del 1848 e arrivando fino alla Breccia di Porta Pia del 1870, si intrecciò e si scontrò con le vicende di questo Beato.
 

29 novembre 2013

Fine del mondo o avvento del Regno di Maria? I cattolici di fronte ai segni dell'Apocalisse

di Fabrizio Cannone

Tutti ammettono che il mondo d’oggi si trova in una situazione drammatica. La gente è preoccupata per il crescente accumularsi di sconvolgimenti: non tanto per quelli naturali, come caos climatico, alluvioni, terremoti, epidemie, carestie, quanto per quelli sociali, come crisi politiche, crolli economici, disordini pubblici, invasioni migratorie, prepotere criminale, terrorismi, guerre, genocidi; per non parlare del ritorno dello schiavismo, del fanatismo politico-religioso e delle persecuzioni anticristiane” (p. 6).
 

27 novembre 2013

Papa Francesco, l’anti-rivoluzionario

di Giuliano Guzzo
C’è chi si ferma alla Ford Focus, al bagaglio a mano sull’aereo, alle scarpe nere anziché rosse, al «buonasera» o al «buon pranzo», e chi – senza per questo vantare alcuna capacità superiore – cerca di andare più in profondità. Ebbene, anche se ci soffermiamo sulle ultime settimane del regno di Papa Bergoglio scopriamo che tutto è, questo Pontefice, fuorché un rivoluzionario della dottrina o del Catechismo. Ricordate lo scorso 4 ottobre, ad Assisi? I media s’attendevano dal Papa una svolta storica, un gesto eclatante di rottura con il passato, magari una svendita francescana di tutti beni della Chiesa, come fra le righe ipotizzava la Repubblica. Peccato che non solo Bergoglio abbia deluso le aspettative, ma abbia scelto di prendersela senza mezzi termini con la mitologia politicamente corretta di San Francesco quale hippie ante litteram: «Quel san Francesco non esiste, non esiste», ha ammonito.
 

16 settembre 2013

La famiglia nel mirino

di Giuliano Guzzo

Che cosa sia una famiglia, fino a pochi decenni or sono, era chiaro a chiunque: l’unione matrimoniale tra un uomo e una donna aperta alla procreazione e all’educazione della prole. Aristotele – che visse secoli prima di Cristo – la definì come «associazione istituita dalla natura», e non si soffermò sul fatto che questa sia tra uomo e donna solo per un motivo: lo dava per scontato. Tutti lo davano per scontato. Non per nulla Cicerone, anch’egli non cristiano, definì il matrimonio «la prima forma di società» e persino Karl Marx, il grande fustigatore della civiltà borghese, nei suoi Manoscritti economico-filosofici del 1844 si lasciò scappare che «il rapporto immediato naturale […] è il rapporto dell’uomo con la donna». A riprova di come, anche in tempi recenti, fosse trasversalmente radicato l’attaccamento alla famiglia e al matrimonio, possiamo inoltre ricordare che quando, durante i lavori dell’Assemblea Costituente, si discusse la possibilità d’introdurre il divorzio nella Carta, Palmiro Togliatti – politico certo non cattolico – non tardò ad esprimere il proprio dissenso: «Ritengo di dover prendere una netta posizione, in modo che nessuno, basandosi su un voto non chiaro, possa affermare che io abbia votato a favore dell’introduzione dell’istituto del divorzio» (13/11/’46). Parole che non sorpresero, giacché, pochi giorni prima, il Migliore aveva già chiarito di ritenere il divorzio «innaturale e anzi dannoso» (7/11/’46).  Nonostante le numerose proposte di abolizione della famiglia – la prima delle quali fu addirittura di Platone – avanzate nel corso della storia, quindi, essa si è sempre confermata, talora anche agli occhi di osservatori insospettabili, un pilastro sociale fondamentale.
 

07 settembre 2013

Chiesa e politica (I parte)

di Marco Massignan

Il 22 agosto 2013 si è tenuto presso il santuario di Madonna di Strada a Fanna (Pordenone) il quarantunesimo convegno annuale degli “Amici di Instaurare”, dal titolo: Chiesa e politica. La giornata di preghiera e di studio è stata aperta con la celebrazione in rito romano antico della S. Messa e con il canto del Veni Creator. I convegnisti si sono quindi trasferiti nel raccolto salone delle conferenze, dove i lavori si sono aperti con il saluto del direttore di Instaurare, il prof. Danilo Castellano, che ha ricordato la significativa tappa raggiunta: un impegno nato senza risorse e proseguito abbandonandosi totalmente alla Provvidenza.
 

20 agosto 2013

L'Osservatrice Romana (II parte)


(per chi non avesse letto la prima parte)

di Samuel Satiricus Becci
Veniamo ora all’articolo della Scaraffia: “Le novità di Papa Francesco”.


L’autrice riconosce di non volersi omologare al femminismo occidentale, le parole del Papa infatti non sarebbero pronunciate “in nome dell'improrogabile necessità di adeguare la Chiesa alla parità fra i sessi realizzata nelle società occidentali”, ma arriva a dire che “senza un riconoscimento aperto del ruolo delle donne non si può sperare in quella Chiesa vitale e accogliente che Papa Francesco desidera… E se questo rapporto langue, non è vivo ed è rinnegato, come avviene oggi, la Chiesa non cresce”. Io mi chiedo dove e in che senso languisca questo rapporto. E non trovo risposta nell’esperienza di vent’anni di parrocchia. Certo, il Papa ha aggiunto: “Credo che noi non abbiamo fatto ancora una profonda teologia della donna, nella Chiesa. Soltanto può fare questo, può fare quello, adesso fa la chierichetta, adesso legge la Lettura, è la presidentessa della Caritas … Ma, c’è di più! Bisogna fare una profonda teologia della donna”.  Ma allora dove sta il problema? Se la donna può già fare, come può fare, un po’ di tutto, eccetto diventare prete, dove sta il punto nodale? Il Papa sembra guardare alto, invoca i teologi. La Scaraffia qui mi sembra rimestare la moina della discriminazione, più adatta a certe “zitelle” che a certe “madri” di franceschiana memoria.

 

19 agosto 2013

L'Osservatrice Romana (I parte)

di Samuele Satiricus Becci

Benedetto XVI è stato realmente un alter Benedictus, capace di offrire al mondo una regola fatta di pensieri e forme che, se eseguiti docilmente ed umilmente dai fedeli, avrebbero innescato l’auspicata riforma ecclesiale, lenta e irrefrenabile, come fu l’ascesa benedettina a tutto pro dell’Europa cristiana.
Francesco si sta confermando in questi mesi come alter Franciscus, uomo di fede profonda e vissuta, attraversato da un carisma che cattura e spiazza, immediato e ad effetto, che potrebbe rinvigorire la Chiesa dal basso, qualora venisse ben recepito e non strumentalizzato dal popolo. Però, come Franciscus, così Francesco non sembra tanto uno da regole scritte.
 

26 luglio 2013

Il cattolicesimo cubano di fronte alla rivoluzione: una recensione

di Andrea Virga

Quando ho visto in una libreria della Habana Vieja un saggio intitolato “El pensamiento social católico en Cuba en la década de los 60, alla modica cifra di 10 pesos (0,32 €), non ho potuto fare a meno di acquistarlo. Ve ne offro qui una recensione e discussione critica.
 

04 giugno 2013

Cosa succede a Istanbul?

di Andrea Virga
Visti i miei interessi in ambito geopolitico, ho seguito fin dall’inizio le notizie provenienti dalla Turchia. Una breve intervista [link: www.granews.info/content/turkish-revolution-interview-andrea-virga ] chiestami da Natella Speranskaya, del sito Global Revolutionary Alliance, mi ha costretto ad approfondire e analizzare la situazione. Va premesso che è ancora presto per trarne delle indicazioni certe, specie per quanto riguarda il futuro. Tuttavia, ci sono già dati sufficienti per tracciare, almeno a grandi linee, gli scenari possibili. Mi sento quindi di poter ribadire quanto già affermato nella suddetta occasione.