di Fabrizio Cannone

Da questo scenario fosco, ma purtroppo assai realistico, prende le mosse "Fine del mondo o avvento del Regno di Maria?" (Fede & Cultura, 2013, pp. 160, euro 12,50), l’ultimo saggetto dello studioso romano Guido Vignelli, già allievo di Augusto Del Noce e da molti anni apologeta infaticabile, oltre che prolifico curatore di opere fondamentali (come, da ultimo, quella ripubblicata in una sua eccellente traduzione, di Plinio Correa de Oliveira, Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo, Il Giglio, 2013). In questo suo saggio, documentatissimo e fitto di note e di rimandi teologici e storici, l’Autore si propone di riprendere e sviluppare la sana apocalittica cattolica, che si radica nell’Apocalisse di Giovanni e che trova echi nelle stesse epistole paoline, e intende parallelamente confutare le false apocalittiche, o secolaristiche o pseudo-religiose come quelle, tipiche, del fondamentalismo protestante americano.
L’Autore dimostra ad abundantiam la legittimità
dell’escatologia cattolica la quale in fondo è un aspetto, non marginale, della
Provvidenza Divina. Se Dio esiste, e se solo Lui è eterno, è naturale, all’interno
del suo piano di salvezza, che le altre creature ad un dato momento abbiano a
scomparire, lasciando spazio ai soli enti spirituali che Dio vuole trattenere
con sé, come lo sono certamente gli Angeli fedeli e le anime immortali dei
Giusti (senza negare, ovviamente, il dogma della resurrezione della carne e l’esistenza
degli altri accidenti corporei, come i
nuovi cieli e la nuova terra di
paolina memoria). Secondo Vignelli certi “spiriti forti”, in realtà
debolissimi, “accusano sprezzantemente i fedeli in attesa escatologica di
essere seguaci del millenarismo, malati di ‘apocalitticismo’, fanatici in cerca
di eccitanti prospettive, pretendendo di vivere in un’epoca decisiva della
storia e illudendosi che l’attuale crisi verrà automaticamente risolta da una
catastrofe rigeneratrice” (p. 19). Mentre invece già il grande Agostino
scriveva che “ogni cristiano deve vegliare affinché il Ritorno del Signore non
lo trovi impreparato” (cit. a p. 24). Il Catechismo del Concilio di Trento (pubblicato
dalle edizioni Cantagalli di Siena e da procurarsi al più presto) scriveva
perfino che noi “dobbiamo desiderare ardentemente quel secondo giorno del
Signore” (p. 24), ovvero il giorno ultimo della storia del suo ritorno glorioso
dal cielo. Lo stesso Catechismo del
1992 ricorda che la “venuta escatologica
[di Cristo] può compiersi in qualsiasi momento. […] La venuta del Messia
glorioso pende su ogni momento della storia” (p. 27).
Proprio per la nettezza della
dimostrazione fin qui svolta e per l’idem sentire che ci lega all’Autore, ci
permettiamo, da commilitoni della stessa Causa, qualche riserva su punti però
non del tutto secondari, trattati di seguito, specie nel capitolo dell’operetta
dal titolo di “Testimonianza profetica o impegno sociale?” (pp. 29-44). Per
Vignelli le conseguenze della falsa escatologia cattolica sarebbero di due
ordini. Da un lato il ritiro nelle catacombe dell’inattività, data la nocività
del mondo (soluzione che potremmo definire di
destra); dall’altro l’impegno nel mondo laico del sociale, trascurando la
fede e l’apostolato (soluzione che potremmo chiamare di sinistra). E le due soluzioni andrebbero spesso di pari passo:
alcuni infatti iniziano col disprezzare così tanto lo spirito del mondo
attuale, effettivamente materialistico ed edonistico all’estremo, per poi
inserirsi nelle sue strutture, limitando la vita cristiana ai soli sacramenti e
nel resto vivendo come gli altri. L’autore chiama queste due scelte come la
teologia della resa e la teologia della complicità. Se queste deviazioni sono
certamente possibili, non siamo pienamente d’accordo con l’autore nella lettura
in bianco e nero che propone. Troppe volte la logica contro-rivoluzionaria
cattolica lascia intendere che chi non evangelizza, chi non fa apostolato
cattolico esplicito sbaglia, e vive inutilmente la fede. Ma questo non è vero.
Siamo chiamati tutti ai nostri doveri di stato, ma non tutti sono tenuti (sempre
e comunque) alla lotta politica e culturale contro il Nemico. Una madre di
famiglia, casalinga con prole numerosa, non è tenuta all’apostolato diretto e
non tutti hanno il tempo, le capacità, i mezzi e la cultura per agire in prima
persona contro le tendenze tossiche della modernità. Colpevolizzare l’uomo
medio cristiano, secondo me, è un grave limite di certe visioni cattoliche che
si dicono “militanti” o “controrivoluzionarie”, per le quali l’azione culturale
cattolica sarebbe di fatto il solo modo per vivere oggi pienamente lo spirito
cristiano autentico. D’altra parte, non condividiamo neppure la condanna della
“fuga mundi”, detta teologia delle catacombe: anzi questa oggigiorno non
dovrebbe neppure riservarsi agli eremiti sui monti, ma sarebbe da praticarsi, almeno
tendenzialmente, anche da parte del cattolico laico che, abitante delle
secolarizzate metropoli d’Occidente, non voglia mettersi nelle occasioni
prossime di peccato. Con la scusa del “dovere della militanza” ogni distacco
dai mezzi tecnologici moderni, per esempio la TV o internet, è visto come una
ingenua fuga dalla realtà e un rifiuto di strumenti provvidenziali per
ribaltare la situazione sociale anticristiana (il sottoscritto, che non
possiede la Tv né internet è stato spesso criticato da certi cattolici
tradizionalisti che vedono in questo non una scelta ascetica coraggiosa e
moralmente impellente, quanto piuttosto il segno di un volersi estraniare dalla
realtà che sconfinerebbe nell’indifferentismo e nel quietismo).
Lo vogliamo dire in modo chiaro e sintetico, anche per intavolare un dialogo politico-teologico coll’Autore: secondo noi, né tutti i cattolici sono tenuti all’apostolato diretto e alla lotta contro la Rivoluzione; né ogni opera meramente sociale e caritativa costituisce uno scivolamento “dal cristocentrismo all’antropocentrismo”, “sostituendo il progetto di una civiltà cristiana con quello di una ‘civiltà più umana’”, cose che di per sé costituirebbero un “compromesso col mondo” e una “collaborazione col nemico” (p. 38). Svolgere una qualsiasi attività umana, non di apostolato cattolico, non è mai stato sinonimo di cedimento e non lo deve essere neppure oggi. Lo spirito militante assolutamente necessario non è quello politico-pubblico ma quello, più radicale e più universale, della lotta contro i vizi e per le virtù: da questo in effetti nessuno può esimersi. In altre parole è falsa l’alternativa dialettica tra “scelta religiosa” vista come “disimpegno spiritualistico” e “scelta temporale” come sinonimo di “impegno mondano”. Un docente di matematica, un contadino o un postino, che non abbiano tempo e capacità di “militare”, se buoni cristiani praticanti e devoti, non vivono né un disimpegno spiritualistico, poiché i veri impegni sono i doveri di stato e non l’apostolato, né un impegno mondano, giacché provvedendo alla loro famiglia fanno del bene, senza alcuna mondanità censurabile.
Lo vogliamo dire in modo chiaro e sintetico, anche per intavolare un dialogo politico-teologico coll’Autore: secondo noi, né tutti i cattolici sono tenuti all’apostolato diretto e alla lotta contro la Rivoluzione; né ogni opera meramente sociale e caritativa costituisce uno scivolamento “dal cristocentrismo all’antropocentrismo”, “sostituendo il progetto di una civiltà cristiana con quello di una ‘civiltà più umana’”, cose che di per sé costituirebbero un “compromesso col mondo” e una “collaborazione col nemico” (p. 38). Svolgere una qualsiasi attività umana, non di apostolato cattolico, non è mai stato sinonimo di cedimento e non lo deve essere neppure oggi. Lo spirito militante assolutamente necessario non è quello politico-pubblico ma quello, più radicale e più universale, della lotta contro i vizi e per le virtù: da questo in effetti nessuno può esimersi. In altre parole è falsa l’alternativa dialettica tra “scelta religiosa” vista come “disimpegno spiritualistico” e “scelta temporale” come sinonimo di “impegno mondano”. Un docente di matematica, un contadino o un postino, che non abbiano tempo e capacità di “militare”, se buoni cristiani praticanti e devoti, non vivono né un disimpegno spiritualistico, poiché i veri impegni sono i doveri di stato e non l’apostolato, né un impegno mondano, giacché provvedendo alla loro famiglia fanno del bene, senza alcuna mondanità censurabile.
Dobbiamo smuovere i giovani e i
meno giovani alla lotta per il Regno sociale di Cristo, e questo nessuno lo
nega. Non però in nome della falsa contrapposizione sopra vista. D’altra parte
è molto meglio un cattolico che assolva santamente i suoi veri doveri familiari
e religiosi, che un “apostolo di Maria” che curi più l’apostolato
controrivoluzionario esterno che la propria vita interiore. Ma questo, se non è
certamente il caso dell’Autore, ottimo cristiano, è il caso di molti altri, più
attratti dal Regno di Cristo che da Cristo stesso.
Pubblicato il 29 novembre 2013
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