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28 dicembre 2018

Uscire nel mondo. Monaco e cavaliere

di Aurelio Porfiri
Negli ultimi decenni, c’è stata una riscoperta del medioevo. In questo caso, per essere onesti, si deve la riscoperta all’industria culturale, che ha promosso questo periodo grazie a testi o programmi che ne hanno favorito una certa riabilitazione. Pensiamo a Il Signore degli Anelli, come esempio e ai films di enorme successo che ne sono conseguiti. Ma anche Games of Thrones, serie TV di straordinaria diffusione. Insomma, le atmosfere medioevali sono tornate ad essere accettabili anche per un pubblico di non specialisti. Questo è un bene, quando si considera che per secoli il medioevo è stato considerato molto negativamente, proprio perché visto come il periodo del trionfo della Cristianità che aveva Dio al centro da contrapporre ad un neopaganesimo che metteva l’uomo al centro: dal culto di Dio al culto dell’uomo. E naturalmente l’epoca moderna e contemporanea si designa proprio per questa battaglia tremenda.

Ma oggi assistiamo ad una riscoperta. Eppure l’etichetta negativa è dura da cancellare, come osserva Antonio Giuliano su Avvenire: Basta oggi sbirciare la cronaca per riscontrare come 'medievale' sia tra gli aggettivi più gettonati per denigrare qualcuno ”. Proprio così, medievale (o medioevale) vengono spesso usati, specie nella stampa mainstream, come sinonimo di “arretrato, rozzo, barabarico”. Fu in realtà epoca di grandi invenzioni e scoperte, come ci dice Rino Cammilleri su Il Giornale: “ Non c'è bisogno (per chi si informa) di richiamare qui quel che è ormai assodato: l'Europa medievale inventò le università, il mercato, la democrazia rappresentativa e prese sul serio giocattoli cinesi come la bussola e la polvere da sparo. Ma l'elenco sarebbe lungo. Basti solo pensare al cambiamento epocale apportato dall'orologio meccanico e quanto debba la civiltà moderna alla conseguente razionalizzazione del tempo. L'editore D'Ettoris ha pubblicato un libro che supera tutti gli altri sull'argomento, un testo eccezionale che, con linguaggio divulgativo e un tocco di humour, spiega come la «rivoluzione scientifica» del XVII secolo sia una balla, perché Copernico, Keplero, Galileo e Newton nulla avrebbero potuto escogitare se non avessero avuto alle spalle secoli di scoperte e acquisizioni. I secoli, appunto, medievali. James Hannam (fisico e filosofo della scienza di Cambridge) in La genesi della scienza. Come il Medioevo cristiano ha posto le basi della scienza moderna (pagg. 496, euro 26,90) ci informa innanzitutto che il termine «scienziato» nacque nel 1833 alla British Association for the Advancement of Science: «Quel vocabolo fu coniato solo nel 1833 perché prima di allora nessuno ne aveva avvertito la necessità. Solo nel secolo XIX la scienza era diventata una disciplina autonoma, separata totalmente dalla filosofia e dalla teologia. È vero: la scienza era arrivata così lontano grazie a una particolare concezione di Dio e della creazione; ma, ora, si era così affermata da non averne più bisogno» “. Insomma, proprio quella scienza sempre portata come alternativa alla “barbarie medioevale”, in realtà non sarebbe esistita come la conosciamo senza il medioevo.

Penso che l’osservazione di Elémire Zolla ne Gli arcani del potere possa essere utile al nostro discorso: “ Fino alle soglie del mondo moderno, tutto acquistava senso, dai commerci alle arti nella misura in cui agevolasse l’attenzione a ciò che nella realtà è immutevole “. Questa tensione fra realtà mutevole e realtà perenne connotava il grande medioevo, ed era anche una tensione che si risolveva nel rapporto fra monaco e cavaliere. Anzi potremmo dire che monaco e cavaliere erano in fondo la stessa faccia della stessa persona. Il monaco aveva in definitiva lo spirito guerriero e pronto all’azione del cavaliere, che a sua volta sapeva che per avere successo doveva adottare l’atteggiamento del monaco che dall’azione sapeva passare alla contemplazione. Tutto ciò verrà in parte abbandonato nel Rinascimento. Domenico Bonvegna ( destra.it) così descrive questa dinamica: “L’uomo ideale del medioevo, il cavaliere, il monaco, il santo, nel cosiddetto Rinascimento è sostituito dalla figura dell’homo divus. Quest’uomo è quello che si afferma in un campo, da quello artistico a quello pericoloso del mestiere delle armi, come il condottiero di ventura, esempio illustre il Gattamelata (1370-1443), ma anche Francesco Sforza, Giovanni dalle Bande Nere. Con il Rinascimento, soprattutto la cultura intellettuale diventa sempre più laica e profana, anche se quella popolare rimane ancorata alla religiosità medievale. In pratica l’uomo rinascimentale si libera dall’abbraccio misericordioso di Dio, così ben descritto da Ildegarda di Bingen, per collocarsi al centro dello spazio e della realtà come l’uomo vitruviano. “L’uomo rinascimentale è tornato solo, vive per se stesso, ha perso la dimensione comunitaria”. Pertanto se Dante, nella sua libertà, si affidava a Qualcuno, nell’Orlando furioso, -scrive Fighera – vi sono tanti uomini soli che hanno perso di vista l’ideale e che sono sballottati dalla sorte e dalle passioni ‘di qua di là di su di giù’, come i lussuriosi dell’inferno dantesco”“.

Dicevamo della capacità dell’uomo medioevale, monaco e cavaliere, di saper orientare tutto al soprannaturale, compresa la musica, come rivela Giacomo Baroffio in Re-tractationes (Chorabooks 2018): “ Il canto nella liturgia non è esibizione di particolari doti compositive né palestra di virtuosismi vocali: è semplicemente rivelazione di un incontro tra D-i-o e l’uomo, tra la Parola e il cuore in ascolto. Paradossalmente la musica nella liturgia è tanto più vera, quanto maggiore è la sua abilità a scomparire totalmente dalla scena, quanto più essa lascia trasparire la Parola di D-i-o rivelandone significati reconditi altrimenti inaccessibili. La stessa Parola di D-i-o -ad esempio, il Padre nostro -ha risonanze differenti condizionate, e parimenti liberate, dalle diverse situazioni in cui tale Parola risuona: a Natale dice cose proprie del Natale che non si percepiscono a Pasqua. L’anno liturgico crea una condizione d’ascolto in continua modificazione che esige, di conseguenza, una disponibilità del cuore in ascolto conforme alla lunghezza d’onda del tempo che si vive, con determinate sottolineature spirituali, emotive e razionali quali la liturgia e la vita sociale suggeriscono di volta in volta “.
Questa abilità di dare in senso sacro a tutto la troviamo anche analizzata in Plinio Corrêa de Oliveira, quando ci parla della differenza fra sacro e sacrale. Lo stesso autore ha anche delle belle meditazioni su cosa sia un cavaliere cristiano. Sarà necessario tornare a contemplare questa visione.


 

11 novembre 2017

L'alba del medioevo: le origini monastiche dell'Occidente


di Alfredo Incollingo

Negli ultimi anni la storiografia si è posto soventemente una domanda fondamentale: com'è nata la civiltà occidentale? Forse l'evidente decadenza della nostra società ci ha gettati nel panico e dobbiamo fare i conti con questo stato di totale confusione. Si sono succedute tante ipotesi e molte interpretazioni per spiegare chi siamo, richiamando quello o quell'altra “radice” della nostra cultura. Si fa molta fatica ad ammettere che il cristianesimo ha avuto una parte rilevante nella nostra storia occidentale.

E' difficile riconoscere che è tutto merito di San Benedetto di Norcia e dei tanti ordini monastici che hanno edificato un nuovo mondo sulle macerie del vecchio. Il medievalista Vito Fumagalli racconta la luce di speranza che furono i tanti monasteri sparsi in Europa nel suo classico “L'alba del medioevo” (Il Mulino, 2014). Il segno più evidente del crollo della civiltà romana e del suo vasto impero fu un progressivo arretramento della città e della natura umanizzata: le bestie selvatiche e gli sterpi, come afferma il Fumagalli, presero il posto dei campi arati e delle terre fertili. Gli acquitrini e le paludi divennero un elemento comune del paesaggio medievale. Nei boschi e nelle campagne disabitate solo gli eremiti e i santi avevano il coraggio e la fede necessarie per affrontare i pericoli sempre incombenti e le bestie feroci.

Anche gli uomini, resi più duri dalle condizioni ambientali, rappresentavano una minaccia ben più pericolosa, come i briganti e i barbari che saccheggiavano città e villaggi. Chiunque, re o contadino, avrebbe gettato la spugna e si sarebbe ritirato, come fecero tanti uomini di Chiesa. Altri invece, come san Gregorio Magno o san Colombano, non temettero la natura aspra o i barbari e, sfidando il sentimento di decadenza e l'acceso pessimismo, ressero ciò che rimaneva della civiltà, preparandolo al Giudizio Finale, che sembrava sempre più vicino. I monaci non si lasciarono andare, ma continuarono a arginare il male che li circondava. Costruire un monastero e mettere a coltura le terre circostanti era un modo per fermare la corruzione e quindi il Maligno che agiva per distruggere il creatore. Questa spinta salvifica, morale e materiale, è all'origine dell'Occidente.


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12 ottobre 2017

La storia dimenticata dei monaci del Volturno massacrati dai saraceni


di Alfredo Incollingo

Il 10 ottobre 881 una banda di mercenari saraceni si riversò nella Valle del Volturno, in Molise, seminando morte e distruzione. La badia di San Vincenzo al Volturno, uno dei più grandi monasteri benedettini dell’Europa medievale, venne assaltato e i monaci massacrati. Le cronache locali, tramandate di generazione in generazione, hanno conservato la memoria dei martiri volturnensi. Il terrore spinse i coloni ad abbandonare le terre fertili e i villaggi per nascondersi nei boschi montani o per rifuggiarsi nei castelli maggiormente difesi. Con la scomparsa dei benedettini la storia sembrò fermarsi: erano i monaci infatti a redigere il Chronicon Volturnense, mettendo per iscritto i fatti più salienti avvenuti nella valle. Nel 914 i frati ritornarono a ripopolare le rovine dell’abbazia, ma i tempi erano cambiati e la Terra di San Vincenzo aveva cambiato fisionomia. L’antico splendore era ormai perduto.

Portatori di civiltà

Quando la società occidentale decadde sotto i colpi delle invasioni barbariche, furono la Chiesa Cattolica e l’ordine monastico di San Benedetto da Norcia a salvaguardare i resti della civiltà romana. I monasteri benedettini furono isole di progresso e di cultura nel mare barbarico che aveva sommerso l’Europa. Dove si insediarono i confratelli di San Benedetto, le terre furono dissodate e le città risorsero dalle loro rovine. Interi territori, una volta deserti e abbandonati, furono colonizzati e conobbero un progressivo sviluppo. Nei monasteri si tramandava la cultura e la si faceva e così si salvò il meglio del pensiero antico.

La Terra di San Vincenzo

E’ quanto avvenne nella Valle del Volturno. Non ci fu mai un totale spopolamento dopo la caduta dell’Impero Romano, anche se il rapido declino economico ridusse drasticamente il benessere della popolazione. Gli abitanti della valle, i discendenti degli antichi Sanniti e dei nuovi arrivati longobardi, si ritirarono sulle alture per meglio difendersi dalle scorribande degli eserciti invasori. Paldo, Taso e Tato, i tre monaci benedettini che fondarono la badia nel 731, diedero inizio ad un grande progetto di rinascita culturale, politica e spirituale. La Terra di San Vincenzo conobbe una seconda vita, dopo la colonizzazione romana. Il monastero si impose nella Penisola e in Europa per prestigio e per ricchezza e le sue terre fertili facevano gola ai vicini signori feudali. Carlo Magno scelse San Vincenzo per trattare con i duchi longobardi e i cadetti delle nobili famiglie napoletane e del Centro Italia vi soggiornano per studiare nella scuola monastica.

I martiri del Volturno

Il 10 ottobre 881 fu un giorno devastante per la valle. Una banda di mercenari saraceni, pagati dai duchi napoletani, saccheggiarono e trucidarono novecento monaci. Solo 30 frati riuscirono a fuggire a Capua. Il Volturno si tinse di rosso per il gran numero di cadaveri che vi furono buttati. La distruzione di San Vincenzo, motivata da interessi puramente temporali, lasciò indifesi i tanti castelli fondati dai benedettini. La popolazione spaesata fu costretta a subire le angherie dei signori che si accinsero a predare un territorio ormai sguarnito.

Un pellegrinaggio per ricordare

I comuni della Valle del Volturno organizzano ogni 10 ottobre un pellegrinaggio devozionale per commemorare i martiri di San Vincenzo. Si parte da Montaquila, dove sono conservate le loro reliquie nella chiesa di Santa Maria Assunta, e si procede alla volta della località volturnense, seguendo l’antica via che attraversava la valle. Si raggiungono così Colli a Volturno, Scapoli, Castelnuovo e infine si arriva a San Vincenzo, dove i pellegrini sono raggiunti dai fedeli degli altri comuni volturnensi: Cerro a Volturno, Rocchetta a Volturno, Pizzone e Castel San Vincenzo. Per secoli gli abitanti della valle non hanno mai smesso di ricordare nelle loro devozioni tradizionali i novecento martiri trucidati dai saraceni. Nonostante le spinte centrifughe, dovute ad una massiccia migrazione nel Novecento, e quelle isolazioniste, tipiche dei piccoli comuni montani, il 10 ottobre è l’occasione per ricordare le comuni origini e preservare una memoria che è sempre più minoritaria.

http://www.barbadillo.it/70041-cultura-la-storia-dimenticata-dei-monaci-del-volturno-massacrati-dai-saraceni/


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02 agosto 2017

“Uomini contro la storia” di Vito Fumagalli


di Alfredo Incollingo

Ci sono stati uomini che hanno sfidato la società, con i suoi cliché, e la storia per affermare se stessi e le proprie vocazioni. Si tratta alle volte di sconfitti, che inutilmente hanno tentato di realizzarsi, costretti poi a subire le vendette del loro tempo. Altri invece hanno vinto e la loro personalità ha lasciato un’impronta indelebile. “Uomini contro la storia” del celeberrimo Vito Fumagalli (Il Mulino 2015, pp 136, 12 euro) ci racconta queste vite disperate e “romantiche”. E’ un testo che fu pubblicato per la prima volta nel 1995 ed è il testamento spirituale del suo autore: la storia, sembra dirci il Fumagalli, va vissuta come un’eterna aspirazione dell’uomo a vivere in piena libertà e senza menzogne.

Uno storico “bonderline”

“Uomini contro la storia” è una galleria di personaggi di estrazione sociale differente, vissuti in luoghi e in secoli diversi e con vocazioni particolari e originali, ma tutti accomunati dalla voglia di rivalersi sul loro tempo, sulle regole sociali e sul destino. Fumagalli non ha mai nascosto il suo interesse per le personalità più libertarie del medioevo italiani. Massimo Montanari traccia nella “Prefazione” un ritratto breve e efficace del medievalista: “[…] Fumagalli evidenzia i tratti di comportamento che faticano a inserirsi negli schemi sociali e ideologici; predilige personaggi […] di confine, riottosi alla tipizzazione e alla classificazione: contadini che non si limitano a lavorare i campi ma fanno anche i pastori e i boscaioli; servi che si ribellano al dominio signorile; guerrieri che sentono il richiamo della vita religiosa e si travestono da monaci (magari solo di notte, nascosti al mondo che li esige con le armi in pugno); monaci e preti che si mescolano ai contadini imbracciando vanghe, zappe, scuri; vescovi e abati di nobile famiglia che, balzati a cavallo, si lanciano in ardite battute di caccia rituffandosi nel clima della loro giovinezza.”

I ribelli: santi, cavalieri e contadini

Chi sono questi uomini e queste donne, come Matilde di Canossa, così impavidi? E’ il caso di Geraldo di Aurillac, il “santo conte”, un nobile francese che volle vivere come un monaco, dividendosi tra gli impegni aristocratici e la contemplazione religiosa. Lupo Suplaimpunio era invece un contadino coraggioso, che osava denunciare ai tribunali i soprusi del suo signore. Ci sono anche religiosi, come San Colombano e i suoi monaci: vivevano in austerità sui sentieri dell’Appennino dell’Italia centrale, alternando il lavoro alla preghiera e rifiutando di adempiere al “secolo”. Il Medioevo è stato mistico e ribelle: cavalieri, dame, contadini e santi hanno rifiutato la mondanità e i loro ruoli per esprime al massimo se stessi.

Le rivolte dei Ciompi

La ribellione medievale non è stato solo un fenomeno individuale, ma ha coinvolto le masse. Le violenze poi non sono mancate e i massacri hanno per mesi insanguinato città e regni. La storiografia marxista ha esagerato notevolmente l’origine “proletaria” di questi eventi, parlando già all’epoca di “lotta di classe” e di “dittatura del proletariato”. Fumagalli invece racconta la storia senza costrutti ideologici e lo fa narrandoci la rivolta del “Ciompi”, che coinvolse Firenze tra il giugno e l’agosto del 1378. Le arti minori e i salariati (detti “Ciompi” in toni dispregiativi) per pochi mesi ressero le sorti del comune fiorentino, rivendicando una maggiore partecipazione politica. Si è visto in questo celebre episodio della storia toscana una prima rivoluzione socialista, un primo barlume di “coscienza di classe” e l’aspirazione a costituire uno Stato più egalitario e fraterno. Al contrario Fumagalli smaschera questi errori ideologici e racconta una storia diversa, fatta non di un proletariato rivoluzionario, ma di povera gente che non vuole più essere esclusa dalla gestione dello Stato e rivendica un degno posto nella società. Non c’era il desiderio di abbattere il vecchio ordine, ma di prendervi parte. Le varie fazioni dei “Ciompi” si alleavano e si scontravano inseguendo il demagogo più influente: mancava un partito e qualsiasi unità d’intenti. Il tumulto del 1378 fu piuttosto l’esplosione di rabbia di povera gente massacrata dal lavoro ed esclusa dalla vita pubblica cittadina.

Queste e altre storie di libertà e di rivalsa sono narrate magistralmente da Fumagalli e lo fa con empatia, cercando di farci immergere nel turbolento e ribelle Medioevo.

http://www.barbadillo.it/67564-libri-uomini-contro-la-storia-di-vito-fumagalli/

 

31 luglio 2017

I bestiari medievali. La simbologia animale secondo Pastoureau

di Francesco Mastromatteo

Gli unicorni non esistono, i serpenti non amoreggiano clandestinamente con le murene e i gatti non sono agenti di Satana.

Oggi queste sono asserzioni scontate, lapalissiane e un certo razionalismo miope ci porterebbe a ridere di tali credenze, ritrovabili in un bestiario medievale, sorta di enciclopedia dell’epoca ben studiata dallo storico francese Michel Pastoureau, nato a Parigi nel 1947 e docente di storia della simbologia all’'École des hautes études en sciences sociales, autore di numerosi e pregevoli saggi sulla storia dei simboli, con particolare riferimento agli animali, e più di recente, ai colori.

“Nel Medioevo – scrive Pastoureau – l’animale è onnipresente: in qualunque ambito documentario lo storico si avventuri, non può non incontrarlo. Sembra proprio che nel mondo occidentale nessun’altra epoca l’abbia tanto e così intensamente pensato, raccontato, rappresentato. Gli animali proliferano fin nelle chiese, occupando buona parte degli apparati decorativi e delle scene figurate che i sacerdoti, i fedeli e i monaci hanno quotidianamente sotto gli occhi. Con grande scandalo di certi prelati che, come San Bernardo nel XII secolo, se la prendono con «i leoni feroci, le scimmie immonde, le tigri dal pelo macchiettato, i mostri ibridi, gli spaventosi centauri, i pesci con i corpi di quadrupedi, gli animali che vanno a cavallo di uomini e altri animali».

L’animale è dunque termine privilegiato di tutte le metafore, l’oggetto per eccellenza “pensato simbolicamente”, secondo la formula di Claude Lévi-Strauss. La zoologia medievale tuttavia non segue i parametri di quella moderna e come quella greca e latina, distingue nella maggior parte dei casi cinque grandi famiglie, dai contorni ampi, elastici, aperti: i quadrupedi, gli uccelli, i pesci, i serpenti e i vermi. Ignora la nozione di mammifero, considera “pesci” anche i cetacei, include tra i “vermi” tutti gli animali di piccole dimensioni che non rientrano nelle categorie precedenti: larve, parassiti, ma anche roditori, insetti, batraci, gasteropodi, a volte addirittura conchiglie; molluschi e crostacei si dividono tra pesci e vermi.

L’autore di “Bestiari del Medioevo” però ci avverte: per la mentalità dell’Età di Mezzo, dominata da una visione teocentrica, in cui ogni aspetto del mondo, un cosmo unitario e racchiuso da un ordine mirabile voluto da Dio, non ha un significato in sé concluso, ma ne rimanda sempre, allegoricamente, a un altro, i concetti di esatto e vero non coincidono.

Il primo è superficiale, limitato, personale; il secondo, una qualità da conquistare, nascosta com’è sotto un velame di codici e, per dirla con Umberto Eco, “un leone non era solo un leone, un ippogrifo era reale come un leone perché come quello era un segno, esistenzialmente trascurabile di una verità superiore”, mentre Jacques Le Goff ci ricorda che “l’irruzione del meraviglioso nel quotidiano si compie senza frizioni, senza suture”, senza legami con esso pur essendo totalmente inserito al suo interno.

Parlandoci perciò di come i dotti del Medioevo descrivessero seriamente creature fantastiche come draghi, unicorni, manticore, grifoni, fenici, sirene, e attribuissero ad animali reali caratteristiche che oggi sappiamo essere fantastiche (la pantera sprigiona un odore soave che attira tutti gli animali, il pellicano che nutre i piccoli della sua carne, i leoni e gli orsi che resuscitano i cuccioli morti, tutti simboli divini), Pastoureau mette in guardia dal pericolo dell’anacronismo: “A differenza di quanto generalmente si creda, gli uomini del Medioevo sapevano osservare bene la fauna e la flora, ma non pensavano affatto che ciò avesse un rapporto con il sapere e la verità. Quest’ultima non rientra nel campo della fisica, ma della metafisica. Il reale è una cosa, il vero un’altra, diversa. […] Per la cultura medievale, preciso non significa vero”. Di qui le rappresentazioni grafiche degli animali nelle splendide miniature dei codici, che divennero realistiche solo verso gli ultimi secoli del Medioevo, quando gli illustratori smisero di considerare quelle convenzionali più importanti e veritiere, pur essendo in grado di produrle anche in precedenza.

Quando perciò apprendiamo dai bestiari che “il cervo vive mille anni, la donnola concepisce i piccoli attraverso la bocca e li partorisce dall’orecchio, il toro perde le forze se viene legato a un fico, il caprone ha sempre la febbre e il suo sangue è così caldo che perfora il diamante, lo struzzo è una specie di cammello in grado di ingoiare qualsiasi cosa, la lince è un gigantesco verme bianco il cui sguardo trapassa i muri, la iena cambia sesso a suo piacimento, la rodina mangia, beve e dorme volando”, non dobbiamo giudicare tali asserzioni come se stessimo leggendo un trattato di storia naturale, biologia o etologia, ma opere che parlano degli animali, della loro natura, delle loro caratteristiche e delle loro ‘senefiances’, per usare un termine antico-francese, per meglio parlare di Dio, di Cristo, della Vergine, a volte dei santi, e soprattutto del diavolo, dei demoni e dei peccatori […] per celebrare la Creazione ed il Creatore, per trasmettere le verità delle fede, per invitare i fedeli a emendarsi”.

Questa visione attraversa tutta la storia del genere, che prende spunto dal trattato allegorico antico del Physiologus e dalle opere di Plinio, Eliano, Solino, attinge copiosamente dalla Bibbia, in cui gli animali sono onnipresenti dal serpente della Genesi al drago dell’Apocalisse, cita i testi dei Padri della Chiesa, in particolare Ambrogio ed Agostino, le Etimologiae di Isidoro di Siviglia e già prima dell’anno Mille produce opere autonome chiamate “Bestiarii”, destinate ad avere un peso importante all’interno delle enciclopedie più generali come il Liber de natura rerum del domenicano Tommaso di Cantimpré. Successivamente il bestiario, che si arricchisce progressivamente di miniature, e spesso si riscontra nei cataloghi delle biblioteche come opera monotematica, a seconda dell’oggetto trattato (“aviari”, libri di pesci, libri di serpenti, libri di mostri) viene scritto in volgare, dapprima in versi e poi in prosa, come quello di Pierre de Beauvais. Il monaco erudito e bibliofilo Richart de Fornival, alla metà del XIII secolo, redige un Bestiarie d’Amour, dove più che insegnamenti morali o religiosi, l’autore ricava dalle caratteristiche degli animali considerazioni sull’amore e sulle strategie amorose: come conquistare la dama, come conservarne l’amore, come resistere al suo fascino. Segni dell’evoluzione e della “laicizzazione” del genere.

In molti casi, i bestiari aiutano a comprendere i caratteri più significativi dell’approccio medievale verso l’ambiente: è il caso del mare, fino al ‘500 considerato per lo più “un mondo terribile, di caos e morte, dove agiscono mostri e potenze demoniache” e “gli esseri che vivono sott’acqua sono misteriosi, inquietanti, spaventosi”. Non solo le balene, regolarmente scambiate per isole da marinari ignari che vi approdano, e vi accendono un fuoco, equivoco drammatico che si trasforma in catastrofe, ma anche creature “mostruose corrispondenti a quelle terrestri”, come il monaco di mare, “essere ibrido con la testa di uomo tonsurato e una sorta di cappuccio monastico sulle spalle, ma con due pinne al posto delle braccia”. Mostri a metà tra il mondo animale e quello umano popolano in abbondanza le opere dedicate alle “meraviglie dell’Oriente” e in generale delle terre lontane e misteriose, come l’Etiopia, dove si incontrano bestie mirabili e animali spaventosi, ma anche uomini dotati di un unico piede o con la faccia in mezzo al petto: una rappresentazione dell’alterità sulla base del bizzarro e dell’irriducibile in funzione di consolidamento del proprio sistema di valori e credenze ben studiata dall’antropologia contemporanea.

Scorrendo le gradevoli pagine del libro di Pastoureau, arricchito da preziose illustrazioni, scopriamo curiosi e insospettabili lati della mentalità medievale, che arrivava in taluni casi a considerare uomini e animali parte della stessa comunità, una visione “ecologica” beninteso che poco o nulla aveva in comune con quella odierna ed era, ancora una volta, frutto della profonda religiosità del tempo: “Alla fine del XV secolo, il vescovo di Losanna invitò a più riprese le anguille del lago Lemano a riprodursi meno abbondantemente. Erano infatti così numerose che davano fastidio agli altri pesci e ostacolavano la cattura dei pesci bianchi, mandando in miseria i pescatori. Ma le anguille non ascoltarono il vescovo: continuarono a proliferare, diventando sempre più numerose e brulicanti con il passare degli anni. Il presule, alla fine, le scomunicò”. Una concezione degli animali come “figli di Dio” che pur essendo secondaria rispetto al dominante antropocentrismo, esiste e si riscontra diffusamente in queste opere.

Cresciuto alla scuola storica francese, figlia delle Annales dei Bloch e dei Le Goff, Pastoureau mette in guardia da un approccio positivistico scientista, supponente e falsamente razionalista ai bestiari medievali: “Qualsiasi giudizio sul passato basato sul metro delle conoscenze attuali non può essere che anacronistico. Non è questo il modo di fare storia. Non si può comprendere – e tanto meno giudicare – il passato, specialmente il passato remoto, sulla base delle sensibilità, dei valori e delle certezze del tempo presente. Nel campo della storia intellettuale e culturale, lo “scientificamente corretto” non è solo detestabile, ma anche fonte di un gran numero di confusioni, sviste e assurdità”. Dietro le “favole” sugli animali, reali o fantastici, dei cosiddetti “secoli bui”, c’era l’opera intellettuale di uomini colti, profondi e innamorati conoscitori non solo dei testi sacri ma anche dei classici pagani, che attraverso l’allegoria e la simbologia animale istruivano e catechizzavano i fedeli, influenzavano i costumi e costruivano programmi politici. Nulla di ingenuo, ma, semmai, la sapiente costruzione di quella che oggi chiameremmo una “narrativa” culturale e ideologica.

Gli uomini del Medioevo, sembra dire Pastoureau, erano un po’ come i bambini di Chesterton: non avevano bisogno di sapere che i draghi esistono, perché di quello erano già certi; ma di sapere che i draghi possono essere sconfitti.
 

11 luglio 2017

Verso un Nuovo Medioevo


di Alfredo Incollingo

Nel 1923 l'esule russo Nikolaj Berdjaev pubblicava a Berlino il suo capolavoro, “Nuovo Medioevo”. La rivoluzione russa del 1917 aveva sconvolto l'intero Occidente con le sue promesse di riscatto sociale (e esistenziale). Il socialismo prometteva un mondo nuovo, dove la giustizia e la libertà avrebbero finalmente trionfato. Questo comportava non solo un profondo cambiamento materiale, ma anche e soprattutto spirituale. Nell'Europa occidentale il liberalismo e l'opulenza assicuravano un progresso illimitato e benefico. Eppure la prima guerra mondiale aveva svelato il lato cruento e “satanico” della Belle Epoque di inizio novecento. Dietro le illusioni socialiste e l'opulenza capitalista si muovevano forze sotterranee che prefiguravano l'eclissi della modernità e l'avvento di un nuovo Medioevo.

Un saggio per comprendere la modernità

La casa editrice “Fazi Editori” ha riproposto nel 2017 “Nuovo Medioevo” di Nikolaj Berdjaev, un testo che conserva ancora la sua lucidità nell'analisi storica. Nonostante sia stato scritto nel 1923, la modernità emerge con tutte le sue contraddizioni, permettendoci al meglio di comprendere la storia moderna.

Il notturno della civiltà

La civiltà moderna, e diremmo oggi “post-moderna”, ha esaurito tutta la sua vitalità creativa. L'occidente è entrato nella fase della “Zivilisation”, che per Oswald Splenger è l'età calante nel ciclo vitale della civiltà,  quando i miti e la spiritualità decadono per la materialità e lo scetticismo imperanti. I romantici tedeschi la definivano l'epoca “notturna” e questi concetti sono ripresi puntualmente da Berdjaev per descrivere la crisi della modernità. Quando inizia la storia moderna? La modernità emerge nel Rinascimento cinquecentesco, quando le energie creative umane si sprigionarono. L'arte raggiunse risultati sorprendenti e la scienza compì i primi importanti progressi. Eppure il Rinascimento aveva in sé le cause del suo declino: l'antropocentrismo e il pensiero critico avevano allontanato l'uomo dal centro spirituale, da Dio e dalla Chiesa Cattolica, che aveva guidato e messo a frutto le energie umane. Il sovrumano ha reso sterile progressivamente l'umanità: il nichilismo, il razionalismo e il materialismo sono tutti i suoi frutti.

Verso un Nuovo Medioevo

Non tutto è perduto perché il caos moderno, la fase “notturna” della civiltà, è la stessa che produsse la straordinaria civiltà medievale. E' nelle fasi barbare, come quella che seguì la caduta dell'Impero Romano, che le energie umane si rinnovarono. La fiorente civiltà medievale aveva un orizzonte metafisico, il cristianesimo, e traeva da questo centro metafisico il fine e le forme per esprimersi vitalmente. Quando, a partire dal quattrocento, lo scetticismo e l'antropocentrismo allontanarono l'uomo dalla divinità, iniziò un paradossale processo di crescita. Le scoperte tecniche, lo sviluppo artistico e il fiorente Rinascimento erano sì fasi di potenza umana, di riscoperta delle proprie capacità, ma anche un lento e erodente processo di distruzione. La modernità è una nuova fase di barbarie, che si manifesta nelle rivoluzioni, come quella russa, o nel liberalcapitalismo. Questa fase calante della civiltà è per Berdjaev l'inizio di un processo di rinnovamento che porterà ad un Nuovo Medioevo, una nuova epoca di spiritualità.
 

14 giugno 2017

Le radici medievali della scienza moderna

di Alfredo Incollingo

Il divulgatore e giornalista italiano Francesco Agnoli ci aveva magistralmente introdotto alle origini cristiane della scienza moderna. I suoi “Scienziati, dunque credenti: come la Bibbia e la Chiesa hanno creato la scienza sperimentale” e “Scienziati in tonaca: da Copernico, padre dell'Eliocentrismo, a Lemaitre, padre del Big Bang” sono due saggi da far leggere nelle scuole. E' giunta l'ora infatti di ribaltare tutti i pregiudizi laicisti sull'oscurantismo cattolico.

Ad aiutarci ad approfondire questo tema così dibattuto c'è il fisico inglese James Hannam con “La genesi della scienza: come il mondo medievale ha posto le basi della scienza moderna”. Sulla natura “medievale” del pensiero scientifico ce ne aveva già parlato un altro inglese, Edward Grant, nel volume della Einaudi (!!!) “Le origini medievali della scienza moderna”.

Il lavoro di Hannam si caratterizza per una maggiore dose espositiva che indaga minuziosamente gli autori e i contesti fondanti dell'epistemologia moderna. I “secoli bui” non furono poi così tetri e barbari. Si trattò di secoli di rinascite culturali ed intellettuali che seguirono la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e la conseguente decadenza della civiltà. “La genesi della scienza” è uno degli ultimi e più approfonditi studi di storia della scienza. E’ un percorso multidisciplinare che intende condurre il lettore alla scoperta di quei moventi intellettuali e teologici che stimolarono l'indagine scientifica intorno la natura e l'uomo.

Si avrà modo di conoscere i grandi nomi della filosofia naturale medievale, le università più celebri e coloro che per primi misero in dubbio la veridicità del “pensiero dei greci” (Aristotele), fino ad allora considerato un “dogma di fede”. E’ un viaggio affascinante che giustifica le quasi quattrocento pagine, voluminosità compensata da uno stile ironico e accattivante. E’ un saggio “controcorrente” che sfata molti pregiudizi e luoghi comuni intorno al medioevo, mostrandoci quanto di medievale c’è ancora nella scienza moderna.

 

18 settembre 2016

Viaggio sentimentale e devozionale a Roma: Sant'Ivo, la Sapienza e Borromini (Parte X)


di Alfredo Incollingo

E' vero che la Chiesa Cattolica ha sempre combattuto la scienza e la filosofia? Il medioevo è sinonimo di oscurantismo e di tirannia clericale o sono solo falsità? La risposta è scontata, ma per i più è una novità imbarazzante. Non tutti riescono a condividere e ad accettare l'idea che il medioevo sia stato un periodo di rinascita e che la Chiesa fu il volano del progresso culturale di quei secoli. La nascita delle università è la prova di quello che abbiamo scritto, un fervore intellettuale senza precedenti.
Anche nella città dei Papi venne fondato un ateneo che divenne uno dei più importanti e prestigiosi in Italia e in Europa. Oggi la prima università di Roma, La Sapienza, che nel 2008 rifiutò la visita di Benedetto XVI, sembra aver dimenticato la sua origine e ciò che essa doveva rappresentare, ovvero il rapporto complementare tra fede e ragione. Il 20 aprile 1303 con la bolla  In supremae praeminentia dignitatis Bonifacio VIII inaugurò lo Studium Urbis. Nel corso dei secoli divenne sempre più grande, tanto da necessitare l'ampliamento del corpo docente e quindi della sede storica. Nel seicento Alessandro VII trasferì l'ateneo a Palazzo della Sapienza: da allora il nome ufficiale dell'università sarà Sapienza, come ancora oggi si chiama.
Sempre nel XVII secolo Urbano VIII incaricò l'architetto Francesco Borromini di edificare una chiesa riservata agli studenti e ai docenti: nacque così Sant'Ivo alla Sapienza; questa intitolazione oggi è usata per indicare l'intero complesso, anche dopo il trasferimento dell'università nell'attuale sede mussoliniana.
La chiesa è oggi il gioiello più prezioso del complesso della Sapienza, ammirabile su Corso del Rinascimento. Tanti dubbi ha sollevato la strana struttura dell'edificio del Borromini per le sue proporzioni e per le strane fattezze. Perché l'architetto costruì la lanterna spiraliforme e fiammeggiante? Perché la pianta ha quella anomala forma triangolare? A queste domande sono state proposte varie risposte, citando esoterismi, dottrine segrete e riscontri pagani del Borromini. La soluzione a questi enigmi è semplice e cristiana. La forma triangolare richiama il simbolo della trinità: il triangolo è la figura geometrica che spiega la relazione tra le tre Persone divine, un mistero che Borromini ha voluto rendere nella pietra. La lanterna spiraliforme e con rilievi fiammeggianti ha suscitato non pochi dibattiti sul suo significato. A prima vista pare un falò, enorme, la cui luce si irradia in tutte le direzioni. E' un faro, come quello di Alessandria, che deve attirare i fedeli al culto religioso che si celebra a Sant'Ivo: la torcia che illumina la città con fede e sapienza.
Sant'Ivo è una tappa importante per una visita, anche rapida, di Roma. Oltre all'alto valore artistico, una delle tante pregevoli opere del Borromini, qui si concretizza quel legame salutare tra fede e ragione che l'architetto scolpì sulla porta della chiesa: "l'inizio della Sapienza è il timore di Dio".
Il viaggio continua.

 

10 settembre 2016

Viaggio sentimentale e devozionale a Roma: San Michele Arcangelo, Gregorio Magno e la peste (Parte IX)


di Alfredo Incollingo

All'alba del medioevo un Papa coraggioso affrontò con fede e speranza le insidie di un mondo in decadenza: peste, cataclismi e guerre continue non fiaccarono il suo animo, ma lo stimolarono a combattere il male che lo circondava.
Il suo rifiuto del mondo, della tragicità della vita, non si concretizzò nella fuga, come era abitudine all'epoca. San Gregorio Magno, pur avendo vissuto per anni in solitudine, venne eletto pontefice a furor di popolo, senza mai accettare del tutto la carica che gli veniva riconosciuta. Eppure il suo malumore non intaccò la sua volontà che anzi si palesò in tutta sua forza. Il suo impegno nel soccorrere gli afflitti salvò Roma dalla miseria e da una catastrofe umana peggiore. Dovunque ci fosse bisogno del suo intervento caritativo e amministrativo, era presente con i collaboratori più fidati, per lo più monaci benedettini, dando ristoro a città depresse.
Roma rivisse e resistette al Tevere predatore, alle malattie flagellanti e ai barbari saccheggiatori. San Gregorio Magno non cedette e continuò a governare una città ormai in balia degli eventi. Bisanzio era lontana, i germani erano vicini e nessuno sembrava in procinto di venire in aiuto. Fu necessario che il Papa prendesse nelle sue mani le redini dell'Urbe e delle zone circostanti. La decisione fu sensata e salvò il Patrimonio di San Pietro e Roma da una sorte peggiore.
Nel 590 d.c. Papa Pelagio II era morto di peste e l'epidemia stava imperversando tra la popolazione. Il sentore popolare vedeva il flagello una punizione divina, ma Gregorio, appena eletto Papa, pur avvertendo lui stesso questa sensazione, agì per riportare ordine e alleviare il più possibile le sofferenze dei romani sopravvissuti.
Riuscì nel suo intento, dando non poco aiuto materiale e morale ai fedeli, ma, onde rimanere saldi nella fede e chiedere la misericordia di Dio, indisse per tre giorni diverse processioni che avrebbero attraversato gli ultimi quartieri popolati di Roma.
Da Santa Maria Maggiore le processioni attraversavano le strade deserte e, secondo la leggenda, dove passavano la peste spariva, salvando gli abitanti. San Gregorio era sempre in testa e guidava il suo popolo imperterrito.
In un giorno imprecisato il corteo sacro si diresse verso il Vaticano, attraversando il Ponte Elio (oggi Sant'Angelo). Il Papa sempre in testa apriva la processione e, durante la marcia, giunti di fronte al Mausoleo di Adriano (oggi Castel Sant'Angelo), ebbe una visione miracolosa. Diversi furono i testimoni del fatto: videro sulla cima della tomba imperiale l'Arcangelo Michele che rinfoderava la spada, prima di sparire.
I fedeli pregavano e lodavano Dio e il Papa, fermo e certo di ciò che aveva visto, interpretò l'evento quale segno della fine dell'epidemia. Effettivamente la peste smise di colpire i romani e il clima migliorò. Da allora il mausoleo venne dedicato a San Michele Arcangelo e fu trasformato in fortezza, difendendo il Vaticano e Roma nei momenti di pericolo. L'Arcangelo, simbolo di fortezza, veglia dal VI secolo sulla città, cercando di allontanare le forze del caos che da sempre la minacciano.
Il viaggio continua.

 

03 settembre 2016

San Gregorio Magno, un santo all'alba del medioevo


di Alfredo Incollingo

Papa Gregorio I, detto Magno, fu la guida morale e politica dell'Europa post-romana, ormai in procinto di entrare nella rinascenza dell'evo medio. Barbari, epidemie e calamità naturali avevano indebolito e atterrito le popolazioni e non parevano più in grado di resistere alla decadenza. Si riteneva la fine del mondo vicina e i segni erano inequivocabili: dove prima c'era la civiltà adesso regnava una natura selvaggia e i ruderi; il male vinceva sul bene sempre e comunque e continue sofferenze percuotevano i sopravvissuti.
Eppure, nonostante il tono pessimistico dei suoi Dialoghi, papa Gregorio Magno mai cedette al terrore e sempre confidò nella Provvidenza. La sua fede tenace gli dava speranza per un futuro più roseo e in tal senso agiva per curare le ferite che il Signore delle Tenebre affliggeva ai cristiani. Fu così che il Papa divenne la guida morale, politica e religiosa dell'occidente e Gregorio fu la personalità carismatica che traghettò Roma, l'Italia e l'Europa dalla tarda antichità al medioevo.
Romano e di nobile famiglia, sua madre era Santa Silvia, pia donna, devota ai poveri e a Dio. Non è un caso quindi se uno spirito così caritativo sia germogliato in Gregorio, lui che ha certamente ereditato la fede materna e la sua dedizione ai miseri e agli infermi.
Il padre, il senatore Giordano, lo avviò alla carriera politica, ma ben presto lasciò i suoi averi ed entrò nell'ordine benedettino (fu sempre devoto a San Benedetto da Norcia). Si ritirò dal mondo sul colle Celio (nei pressi del Colosseo) in piena contemplazione, senza mai smettere di fare opere di carità e fondare nuovi monasteri a Roma e in Sicilia.
Dopo una riluttante elezione a pontefice nel 590 (il precedente Papa era morto di peste lo stesso anno) per volontà popolare, continuò più incessantemente che mai la sua opera di carità. Roma era stata flagellata dalla peste e da continue alluvioni e con grande profusione di risorse personali ed ecclesiastiche riuscì ad alleviare le sofferenze dei popolani.
Riformò la Curia romana, allontanando i chierici infedeli e corrotti, e stimolò lo spirito apostolico cattolico per portare la parola di Gesù dove era ancora sconosciuta. Numerosi missionari vennero inviati in Germania, Inghilterra, Francia e Spagna, senza dimenticare l'Est, per convertire i germani e  gli slavi alla fede cristiana o per combattere gli ultimi focolari dell'eresia ariana presso i Visigoti di Spagna. I monaci fondarono monasteri e successivamente numerose città sorsero nelle vicinanze: la civiltà progressivamente ritornò dove era stata scacciata o conquistava nuove terre. I missionari gregoriani rimodellarono l'ambiente e lo sottomisero per soddisfare i bisogni della propria comunità e delle popolazioni appena cristianizzate; nuove invenzioni e nuove scoperte scientifiche monastiche contribuirono a sviluppare il sapere ereditato dai romani. Gregorio animò una rinascenza che darà i suoi frutti molti secoli dopo, ma senza il suo energico impegno la storia avrebbe intrapreso un altro, incerto, percorso.
Pacificò i longobardi della regina Teodolinda e li convertì, riportando la pace che i bellicosi germani avevano turbato. Si confrontò alla pari con gli imperatori bizantini, senza temere ripercussioni personali e politiche. Non accettò il declassamento imposto dal bizantino Maurizio né i tentativi del patriarca orientale di proclamarsi superiore al vescovo romano. Cosciente che ormai Roma era la periferia dell'impero e del mondo cristiano, ribadì di essere il successore di San Pietro e quindi il vicario di Gesù e non ritenne valide le imposizioni dell'usurpatore Foca.
Prese quindi le redini del Patrimonio di San Pietro, ovvero le terre amministrate da Roma, e le riorganizzò. Confidando su collaboratori fidati e sui monaci benedettini si occupò della popolazione, con servizi pubblici ripristinati e continuando la sua mai paga opera di soccorso; stimolò la colonizzazione delle terre incolte, eliminando di fatto la servitù della gleba e favorendo l'insediamento di liberi coloni; si preoccupò di difendere militarmente le città sulle quali gravava la minaccia di saccheggi e rapine.
I critici lo definiscono un potere tirannico, nato per denaro e per chissà quale complotto, ma in realtà il Papato  dovette necessariamente ergersi per far fronte al caos e alla mancanza di protezione. Con Gregorio Magno nasce il Papato e rinasce la civiltà, europea questa volta.
Rinvigorì la cultura e la liturgia (introdusse il canto gregoriano in latino) e la Chiesa si assicurò così secoli di prestigio. San Gregorio Magno è Dottore della Chiesa Cattolica.
 

11 luglio 2016

San Benedetto da Norcia, il Santo Padre dell'Europa


di Alfredo Incollingo

Non è sbagliato affermare che San Benedetto da Norcia è il padre spirituale e materiale dell'Europa. Non sono stati Kalergi e Spinelli a fondare l'unione continentale, ma Benedetto e i suoi monaci, la sua Regola e il suo spirito evangelizzatore.
C'era un tempo in cui l'Europa era sconvolta dalla disgregazione della civiltà romana: un crogiolo di nuovi e vecchi popoli, divisi e in perenne contrasto. Goti, franchi, latini e longobardi erano lontani per origini e culture, ma potevano ben dirsi fratelli nella fede. Le differenze non erano nulla di fronte alla fede in Gesù perché, come dice San Paolo, “Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.”
Le guerre e i conflitti continuarono, così come i saccheggi e gli assedi, ma i popoli europei erano pronti a inchinarsi e a riconoscersi solidali e figli di uno stesso Signore. Prima di essere una realtà materiale (politica) l'Europa fu un'entità spirituale e culturale. Le singole identità e tradizioni erano parte integrante della Chiesa e della tradizione cristiana. Si era goti e latini, ma si era concordi nell'essere europei. Questa consapevolezza era probabilmente più forte all'epoca di oggi, dopo i travagli nazionalisti e il laicismo.
San Benedetto da Norcia e i monaci benedettini sono stati i protagonisti di questa nascita e rinascita della civiltà dopo la decadenza che seguì la caduta dell'impero romano. Arrivarono dovunque e lì fondarono monasteri, che non erano solo luoghi di contemplazione, ma officine culturali e materiali. La Regola benedettina seppe equilibrare il bisogno contemplativo con la vita attiva, riconoscendo in essa le virtù che avrebbero sostenuto un'esistenza di preghiera. Dovunque andarono fecero conoscere alle genti Cristo e quindi civiltà e dignità, contribuirono a fondare regni, città, cattedrali e a forgiare uomini di lettere e re.
Oggi l'Europa ha, guarda caso, perso la memoria e fa “fatica” a riconoscere il proprio passato, specie se in contrasto con le aspirazioni laiciste imperanti. Benedetto XVI (il cui spirito europeo è profetico quanto quello del santo patrono) il 24 marzo 2007 così parlava al Parlamento Europeo per i cinquantanni dalla nascita dell'EU: “Si tratta infatti di un’identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica o politica; un’identità costituita da un insieme di valori universali, che il cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Europa.” Furono dichiarazioni controcorrente per gli eurocrati, specie nel denunciare lo stato di lassismo morale, di decadenza etica e di relativismo in cui versava l'intero continente.
“Non piegatevi alla logica del potere fine a se stesso! Vi sia di costante stimolo e sostegno l’ammonimento di Cristo: se il sale perde il suo sapore a null’altro serve che ad essere buttato via e calpestato (cfr Matteo 5,13).” Il cristianesimo è il “sale” che dà sapore, è la sostanza spirituale dell'Europa, che saggiamente vivifica i particolarismi e rivela di essere parte di una realtà universale.
Anche Francesco ha espresso preoccupazioni per lo stato di decadenza europea così come gli osservatori ecclesiastici e laici più lucidi e meno ideologizzati. Questa riscoperta del senso perduto è possibile solo se si riscopre chi nel concreto ha creato questa ecumene spirituale. Celebrare San Benedetto da Norcia l'11 luglio non è solo il momento per ricordare un grande personaggio storico, ma è l'occasione per rivivere la grande esperienza evangelizzatrice e cristiana del Santo Patrono d'Europa. Preghiamo affinché possa intercedere per la nostra salvezza e per il bene del continente di fronte alle sfide del terrorismo e della decadente civiltà occidentale. Camillo Langone, dopo i risultati del Brexit, ha scritto “Dio dei popoli, Dio degli antenati, Dio del sangue anziché dell'oro”: non possiamo non ripetere queste parole ricordando che Dio è il nostro pilastro, come San Benedetto da Norcia ci ha insegnato.
 

09 febbraio 2016

Ma che male vi ha fatto il Medioevo?

di Giuliano Guzzo
Uno dei misteri più grandi, lo dico senza ironia, è stata la fuorviante trasformazione del termine “medievale” in aggettivo – cito il Dizionario Treccani – riferito a «concezioni e principî superati e retrogradi». Pare che dietro tutto questo vi sia lo zampino illuminista, ma vale la pena vederci chiaro. Anche perché, voglio dire: il vituperato Medioevo ci ha regalato arte, cattedrali, monasteri e cultura ancora oggi (anche economicamente, si pensi al turismo) fruttano patrimoni: non so se invece fra alcuni anni – ne dubito – qualcuno vorrà andare a farsi qualche giro, non solo se pagante ma neppure se pagato, in molti aborti firmati dalle nostre archistar; ma quanto scommettiamo che per quanto l’epoca medievale ha lasciato vi sarà ancora interesse? Chi vivrà, vedrà: e sono certo che vedrà.
La stessa terrificante Inquisizione medievale, invocata come la vergogna della storia, tutto fu fuorché tale: lo sanno anche i sassi che l’apice delle caccia alle streghe si registrò durante il Rinascimento e comunque nelle regioni germaniche protestanti più che in quelle cattoliche. Inoltre tutto fu, il Medioevo, fuorché ostile alla donna: i nomi di Matilde di Canossa, Eleonora d’Aquitania, Bianca di Castiglia o Ildegarda di Bingen dicono nulla? Altro che la Merkel o la Boldrini o Hillary Clinton. Senza parlare delle cinture di castità, bufala totale: perfino al Museo d’arte medievale di Cluny a Parigi, per dire, fino a non moltissimi anni fa se ne poteva ammirare una che si credeva appartenuta alla regina di Francia Caterina de’ Medici: peccato che fosse una patacca.
Curiosa pure l’idea che esser medievali sia sinonimo di essere «retrogradi»: storici come Jean Gimpel (1918–1996) hanno parlato, per quell’epoca, d’una vera e propria rivoluzione industriale. Le stesse invenzioni non mancarono; pensiamo all’aratro meccanico, alla ferratura dei cavalli, al verricello, alla carrucola, alle staffe lunghe, all’arco rampante, alla volta a crociera, all’aggiogatura a spalla, al sapone, alla vite elicoidale, al bottone, al martinetto, allo specchio e tanto altro. Quanto alla leggenda della terra creduta piatta, nel Medioevo circolava ampiamente – in latino – il Timeo di Platone, dove si parla di un «mondo in forma di globo, tondo come fatto da un tornio, con i suoi estremi in ogni direzione equidistanti dal centro, la più perfetta e la più simile a se stesso di tutte le figure…».
Strano davvero, insomma, che il vituperato Medioevo fosse un’epoca così barbara e ignorante. Così barbara e ignorante, fra l’altro, da aver donato all’umanità gente come san Francesco d’Assisi – uno dei più significativi santi di tutti i tempi -, come san Tommaso d’Aquino – uno, se non il teologo più grande di tutti i tempi – e come Dante Alighieri, la cui Divina Commedia è un’opera talmente straordinaria che rivela un’intelligenza – dicevano intellettuali quali Federico Zeri (1921–1998) – incredibile, mostruosa, tale da fare quasi escludere che il Divin Poeta fosse un essere umano. L’era delle «concezioni e principî superati e retrogradi» è stata inoltre – alla faccia del suo presunto degrado – quella dei Comuni, delle libertà municipali, della Magna Charta.
Fa sorridere pure il collegamento fra il Medievo e l’odio contro le persone omosessuali: su Wikipedia, tempio della cultura 2.0, da un lato si ammette che nell’Alto Medioevo l’omosessualità era trattata come peccati come l’adulterio ed i rapporti prematrimoniali, dall’altro si dice che nel Basso Medioevo scattarono persecuzioni della quali, guarda caso, mancano però le fonti. In ogni caso, a proposito di omofobia, si fa bene a ricordare che ad incarcerare Oscar Wilde non furono né i medioevali e neppure i cattolici, bensì l’Inghilterra vittoriana. E potremmo continuare se il mistero di “medievale” come insulto non fosse già abbastanza fitto e ingiustificato. La sola vera colpa del Medioevo, in realtà, è una: essere stato cristiano. Profondamente cristiano. E questa proprio non gliela si può perdonare.
giulianoguzzo.com
PS. Per completezza preciso come al Medioevo, grazie in particolare a dei monaci, dobbiamo – mi segnalano diversi lettori – anche gli occhiali, il prosciutto, lo champagne e il parmigiano.

NOTA DI REDAZIONE: nel Medioevo i monaci hanno inventato anche la birra!
 

02 novembre 2015

Il Medioevo, l'età della Chiesa civilizzatrice

di Riccardo Zenobi
Continuiamo la nostra carrellata sulle vicende storiche della Chiesa cattolica parlando di ciò che avvenne nel Medioevo, in specie in Europa occidentale. Questo periodo è tradizionalmente considerato il più felice per la Chiesa, in quanto essa poteva assolvere il suo compito di madre e maestra, ingentilendo i costumi di popolazioni barbare appena convertite, portando così ad uno sviluppo spirituale e anche materiale. Nell’immaginario collettivo però la grande opera di civilizzazione operata dalla Chiesa, spesso a costo della vita di molti missionari, viene del tutto rifiutata, e questo periodo è visto come una dittatura clericale oscurantista durata fino al 1492, poi magicamente interrotta di punto in bianco. Questo periodo però è estremamente lungo, e quindi non può essere considerato un blocco unico e omogeneo; vi sono infatti differenze enormi sia di mentalità sia sociali tra il periodo altomedievale (precedente l’anno mille, per intenderci) e il basso medioevo. Per quanto riguarda il primo periodo, fin troppo facile è l’accusa di “barbarie istituzionalizzata” mossa nei confronti della società. Accusa ingenerosa, perché non considera che all’epoca i tempi erano davvero difficili, in specie per via delle invasioni dei vichinghi a nord, dei magiari ad est e dei saraceni a sud nelle coste del mediterraneo. E’ chiaro che in un periodo del genere la vita era dura, ed anche la Chiesa non ebbe vita facile. Si è soliti pensare che il vero potere risiedesse nella mani del Papa, ma in realtà egli poteva a malapena tenere le redini del suo territorio, mentre nel resto dell’Europa tutto si giocava a livello di potentati locali, all’interno dei quali il Pontefice non aveva modo di intervenire. C’erano dei vescovi-conti, ma il loro potere era unicamente limitato al feudo di appartenenza, ossia una città e dintorni. Ciò che al giorno d’oggi appare come un abuso intollerabile, all’epoca era una garanzia, poiché il vescovo era mediamente più colto rispetto agli altri feudatari, ciò che permetteva una migliore gestione (in generale) della cosa pubblica. Il periodo precedente l’anno mille è in generale caratterizzato da una pacifica convivenza tra mondo civile e mondo ecclesiastico; pur tuttavia vi erano delle ingerenze feudali sulle nomine dei vescovi e dei chierici, e questo non solo nelle città dei vescovi-conti (all’epoca un vescovo era nominato dal capitolo della cattedrale, non dal Papa, e quindi è logico che qualche laico ingerisse nelle nomine), ma anche in altre zone dove il controllo del territorio era in mano salda dei signori laici. Per via di queste ingerenze, si diffuse la simonia nel mondo ecclesiastico (e anche il livello morale del clero scese, poiché molti erano nominati dai feudatari), e la vigorosa replica dei Papi riformatori (da Leone IX a Gregorio VII) portò gradatamente ad una migliore situazione dello stato ecclesiastico. I problemi però si acuirono, dopo il mille, nell’unica monarchia elettiva d’Europa, il Sacro Romano Impero, dove gli imperatori non vedevano di buon occhio che un vescovo fosse tra i loro elettori, e quindi era del tutto logico che ingerissero nella nomina di “persone fidate” ai vari livelli del clero. Ciò portò la Chiesa di quelle zone, almeno in parte, ad essere del tutto succube all’imperatore, con conseguente mondanizzazione del clero. Ciò portò alla lotta per le investiture, il cui ambito – vale la pena rimarcarlo – rimase sempre limitato ai territori dell’impero o nominalmente tali, ossia la Germania e l’Italia del nord. Gli altri stati, retti da monarchie ereditarie, non furono toccati da tale querelle. I Papi, Gregorio VII per primo, dovettero sciogliere questo nodo, e lo fecero avocando alla Chiesa la nomina dei vescovi e dei chierici, mentre la loro investitura feudale rimase prerogativa imperiale. Usando un aforisma di Nicolas Gomez Davila, possiamo quasi dire che “lo stato laico è un’invenzione di Gregorio VII”, poiché viene regolata la differenza tra le varie sfere di influenza, riconoscendo le autonomie del civile e dell’ecclesiastico. In base a ciò che è stato delineato finora, si capisce che il periodo considerato non è descrivibile come una “dittatura oscurantista clericale”, ma le cose sono più complesse di quanto appaiono nelle riduzioni catechetiche dei manuali scolastici. Per quanto riguarda il periodo successivo alla lotta per le investiture, ossia il 1150-1200, oltre alla nascita delle università, alla traduzione di opere filosofiche dall’arabo e dal greco al latino, oltre ad una rinascita culturale, civile e militare di tutta l’Europa, va notato che solo dal 1230 nasce una istituzione che farà discutere: l’inquisizione.
In primo luogo, va detto che la data della sua formazione dice molto: prima di essa non c’era un tribunale speciale per l’eresia, ed è quindi in epoca piuttosto tarda che inizia ad operare. Talmente tarda che il suo intervento era ormai del tutto inutile nelle zone del sud della Francia e dell’Italia dove le varie eresie avevano preso talmente piede (da circa un secolo, peraltro) che la risposta della Chiesa fu estrema e tardiva. Se fosse intervenuta prima, al sorgere di questi movimenti ereticali, la situazione sarebbe stata risolvibile. Ma ormai la questione riguardava non solo il popolo, ma anche i signori feudali i quali, pur non essendo formalmente eretici, usavano la propagazione dell’eresia per aumentare il loro potere.
E’chiaro che la questione era risolvibile unicamente manu militari, con le varie crociate contro catari e albigesi. A noi fa inorridire una cosa del genere, ma solo perché riteniamo che una religione sia “un’opinione privata”, non una certezza pubblica, ma soltanto una cosa che un uomo può tenere dentro di sé o dentro la sua casa, ma che non deve investire la vita pubblica. Questa visione, giova dirlo, non solo è tipicamente contemporanea, ma è tipicamente atea: riduce la religione ad opinione personale, privata, delegittimandola dalla sfera pubblica, e dà al contempo potere illimitato su questa sfera politica alla visione atea del mondo. E’ una bella furbata, perché alla fine l’ateismo è l’unica “opinione” pubblica. Ma al di là di questo, mi permetto una digressione polemica a riguardo: quale civiltà può sopravvivere senza vietare alcuni comportamenti sulla scena pubblica? Ogni civiltà si fonda su qualcosa (istituzioni, forme mentis, ecc). Se ognuno potesse non solo dire, ma anche agire in difformità dai fondamenti della società in cui vive, il risultato è l’anarchia.
Ma anche nell’anarchia più spinta ci sono cose proibite. Un anarchico vede qualsiasi organizzazione politica come fumo negli occhi, come una cosa pericolosa contro cui lotta. Quindi anche nell’incubo anarchico più spinto si lotterà contro certi comportamenti, istituzionalizzazioni e opinioni pubbliche. E questa è, in sostanza, l’essenza di ogni tribunale e legge civile ed ecclesiastica, compresa l’inquisizione.
Ciò detto, l’inquisizione, datata 1230, cadde ben presto nelle mani dei principi, tra cui il Re di Francia, il quale riuscì a dettarne l’agenda per incamerare le ricchezze dei templari e portare alla cattività avignonese della Chiesa. Dopo lo schiaffo di Anagni (1303) e soprattutto dopo la grande peste del 1347, possiamo considerare chiuso il periodo medievale con la sua mentalità.
Cominciavano a spuntare i germi della modernità e dello Stato moderno, di qui parleremo nella prossima parte.
 

13 ottobre 2015

Plinio Corrêa de Oliveira a vent'anni dalla morte

di Federico Catani
Vent’anni fa, il 3 ottobre 1995, moriva a San Paolo del Brasile (dove era nato nel 1908) Plinio Corrêa de Oliveira, il più grande pensatore controrivoluzionario del XX secolo, erede della scuola di Joseph de Maistre, Juan Donoso Cortés e di tanti altri che si sono opposti al nuovo corso scaturito dalla Rivoluzione francese. In questa sede ci sia consentito scrivere un brevissimo, incompleto e scarno profilo di questa figura così importante per chi ancora oggi voglia andare contro corrente in questo mondo ormai in putrefazione e così violentemente anticristiano.  

Dopo aver militato in gioventù tra le file delle Congregazioni Mariane, nel 1932 il dottor Plinio, (come era chiamato e conosciuto) promosse la formazione della Lega Elettorale Cattolica, nelle cui fila fu eletto deputato all'Assemblea Federale Costituente. In qualità di parlamentare, riuscì ad ottenere importanti vittorie per il mondo cattolico.
Nel 1933 divenne direttore del giornale «O Legionário», organo ufficioso della diocesi paulista, che riuscì a trasformare nel maggiore settimanale cattolico del Paese, dimostrando che la vita interiore, fatta di orazione, è fondamentale, ma va coniugata con la militanza. Sulla terra, infatti, sta la Chiesa militante, pronta a combattere per portare a tutti Cristo, sia ai singoli, sia alla società.
Nel panorama politico internazionale degli anni Trenta, si mantenne sempre in una posizione tanto anti-comunista quanto anti-nazista, denunciando la comune radice hegeliana dei due totalitarismi e rivendicando invece un Cattolicesimo pieno ed integrale, non subalterno ad alcuna ideologia politica dominante in quel periodo: solo l’ordine cattolico e la civiltà cristiana sono l’ideale da inseguire.
Nominato nel 1940 presidente dell'Azione Cattolica di San Paolo, Plinio Corrêa de Oliveira subito notò come in certi settori del movimento stesse prendendo sempre più spazio la corrente cattolico-democratica e neo-modernista, che lavorava per traghettare il mondo cattolico verso il progressismo. Fu così che nel 1943 pubblicò il suo primo libro, «In difesa dell'Azione Cattolica», in cui svelò quel che stava accadendo e ne prese nettamente le distanze. Riuscì ad aprire gli occhi a molti. Purtroppo però, come si vedrà chiaramente durante e dopo il Concilio Vaticano II, nella Chiesa la confusione sarebbe aumentata sempre più negli anni a venire.
Nel 1951 fondò il mensile «Catolicismo», che diresse fino alla fine dei suoi giorni. Come per il «Legionario», anche intorno al nuovo periodico si coagulò una corrente d'opinione che presto divenne un polo importante nel contesto brasiliano.

Ma il suo capolavoro il dottor Plinio lo scrisse nel 1959 (completato poi nel 1977): si tratta di «Rivoluzione e Contro Rivoluzione». Il libro analizza le diverse fasi della crisi secolarizzante che ha colpito l'Occidente cristiano fino ai nostri giorni e tratteggia un programma di restaurazione della Cristianità. Ne riassumiamo con estrema sintesi e semplicità il contenuto. Il processo di distruzione della civiltà cristiana occidentale è avvenuto in quattro “rivoluzioni”, ovvero drastiche rivolte contro l’ordine legittimo costituito: la prima è stata di tipo religioso, e si è avuta con la Rivoluzione protestante, preceduta e preparata dall'Umanesimo e dal Rinascimento; la seconda è stata di tipo politico, ovvero la Rivoluzione francese; la terza ha avuto carattere socio-economico, ed è stata la Rivoluzione bolscevica, che ha diffuso il comunismo nel mondo; la quarta, infine, è stata di tipo culturale e così si è avuto il Sessantotto. In quest’ultima rivoluzione siamo pienamente immersi e, anzi, stiamo andando persino oltre: dalla mera rivoluzione sessuale, infatti, si è giunti ad una vera e propria rivoluzione antropologica, che ha intaccato la stessa natura umana: come spiegare altrimenti i fenomeni della teoria gender e del matrimonio gay?
Corrêa de Oliveira individua le due cause principali che costituiscono la molla del processo rivoluzionario nell’orgoglio e nella sensualità. La "Contro-rivoluzione", invece, è il contrario della rivoluzione e consiste nella restaurazione dei valori e della civiltà cristiani, tra i quali in particolare il principio di autorità e di gerarchia contro l'ugualitarismo, prodotto dell'orgoglio umano, e la morale cristiana contro il liberalismo, considerato prodotto della sensualità.
Il Medioevo è ovviamente considerato il periodo storico più pienamente cristiano, il periodo in cui i princìpi del Vangelo hanno retto gli Stati, secondo le celebri asserzioni di Papa Leone XIII. Ciò che vi è da difendere e imitare del Medioevo non sono, evidentemente, aspetti contingenti e ormai superati, quanto piuttosto il modo di intendere la vita e il fatto che la società fosse permeata di Cristianesimo: si è trattato dell’epoca in cui più concretamente e più pienamente ha avuto realizzazione la regalità sociale di Cristo. E verso un nuovo Medioevo, ancora più splendente e più integralmente cattolico, dobbiamo mirare: con l’aiuto di Dio e il nostro sforzo, un’epoca di trionfo della Chiesa arriverà, come del resto promesso dalla Madonna a Fatima nel 1917.

Il dottor Plinio non ha però solo ripetuto quanto già detto dalla scuola controrivoluzionaria europea, ma ha dato il proprio originale contributo. Ad esempio prestando molta attenzione alla “dimensione tendenziale”. Il suo studio degli ambienti, delle fisionomie, dei tratti umani, del portamento, dell’abbigliamento, del linguaggio, e poi ancora dell’arte, dell’architettura e dell’urbanistica sono fondamentali per capire quali tendenze riflettono, quali idee e quali attitudini psicologiche sottendono. È evidente infatti che lo stile artistico medioevale indica un certo modo di vivere e di pensare; quello di oggi ne indica un altro, radicalmente opposto.  

Nel 1960, Corrêa de Oliveira fondò la Società Brasiliana per la Difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà (TFP), associazione che poi si diffuse in tutto il mondo aprendo varie sedi. Così, il dottor Plinio passò a dedicare la sua vita integralmente alla direzione della TFP brasiliana e all'orientamento delle altre sezioni, svolgendo una continua opposizione alle diverse manifestazioni del progressismo rivoluzionario.
Non è possibile qui esaminare tutta la sua dottrina. Venti libri, più di 2.500 saggi ed articoli, più di ventimila conferenze ed interventi in commissioni di studio, riportate in oltre un milione di pagine, attestano la sorprendente prolificità di questo pensatore ed uomo d'azione brasiliano e non possono essere trattati degnamente in pochissimo spazio.
C’è da dire però che quanto il dottor Plinio ha insegnato è attualissimo. Quando ad esempio parlava di “trasbordo ideologico inavvertito”, delineava un processo che oggi vediamo pienamente all’opera nelle discussioni in tema di famiglia e di diritti civili: attraverso “parole talismano” come “misericordia” o “amore”, si approda a posizioni semplicemente folli ed eretiche.

Tra le “gesta” di  Plinio Corrêa de Oliveira e dei suoi sodali ne menzioniamo solo una. Nel 1990, lanciò la TFP brasiliana nella campagna "Pro Lituania Libera", ricevendo immediatamente l'adesione delle altre TFP. In tre mesi si raccolsero 5.212.580 firme in sostegno all'indipendenza della Lituania: una sottoscrizione che entrò nel «Guiness dei Primati». Di lì a poco, la Lituania ottenne la libertà ed il mostro sovietico crollò.

Molte polemiche sono state fatte e si continuano a fare in merito alla TFP. Spesso se ne parla come si trattasse di una setta. Si può essere più o meno d’accordo sulle idee di cui gli eredi del dottor Plinio sono portabandiera. Si può dissentire o acconsentire su certe posizioni o sfumature. Ma nulla di quello che le TFP fanno è in contrasto col Magistero della Chiesa. Nulla è al di fuori dell’ortodossia cattolica. Quanto alle calunnie, basti citare un caso risalente a qualche mese fa. Nel suo «Rapport 2008», la Miviludes (Mission interministèrielle de vigilance et de lutte contre les dérives sectaires), organismo ufficiale dello Stato francese, aveva inserito un paragrafo nel quale si faceva presente ai Ministri del Governo che la TFP francese era stata oggetto di diverse processi di carattere civile e penale. Faceva pure presente che la TFP francese era stata qualificata, in un altro Rapporto del Governo, come “setta”. Ebbene, la TFP ha trascinato in Tribunale il direttore della Miviludes, Georges Fenech, accusandolo di diffamazione e di calunnia. Tra processi e appelli, il caso è arrivato fino alla Cassazione, e poi alla Court d’Appel, massima autorità giudiziaria in Francia, che ha emesso la sentenza definitiva: la Miviludes ha calunniato e diffamato la TFP francese e dunque è stata condannata al risarcimento.


Da bambino, visitando l’Europa e le vestigia della sua storia gloriosa, il piccolo Plinio Corrêa de Oliveira rimase estasiato e, quasi illuminato, capì quale sarebbe stata la sua missione nella vita. Ricordando quel periodo, scrisse: "Quando ero ancora molto giovane, considerai rapito le rovine della Cristianità; ad esse affidai il mio cuore, voltai le spalle al mio futuro, e di quel passato carico di benedizioni feci il mio avvenire". C’è bisogno di chi continui a fare lo stesso. 

(La Croce quotidiano, 1 ottobre 2015)
 

11 aprile 2015

Caccia alle streghe e Inquisizione, fra bugie ideologiche e realtà


di Francesco Filipazzi

L’immaginario comune è graniticamente soffermato sull’idea che l’Inquisizione abbia compiuto un bagno di sangue senza precedenti durante il fenomeno della caccia alle streghe, durante tutto il Medioevo. In realtà questa è una bufala letteraria e cinematografica, che nasce dalle menzogne diffuse ad arte nel corso dei secoli da una serie di avversari della Chiesa e degli stati cattolici. Gli inglesi inventarono infamie riguardo l’Inquisizione spagnola, mentre illuministi e protestanti si sono impegnati nell’invenzione di altre bugie ai danni della Chiesa, del Vaticano e dell’Italia.
A sfatare tutta questa costruzione artificiosa sono intervenuti negli ultimi anni molti storici di varia estrazione, così come molte pubblicazioni fanno luce sulla grossolanità delle accuse mosse alla Chiesa e agli stati cattolici. Una di queste è “Caccia alle streghe – Verità, Leggende, Falsificazioni”, scritto da Francesco Agnoli per i Quaderni del Timone. Una pubblicazione che contiene un compendio molto importante, con tanto di indicazione di testi di approfondimento di storici di fama, riguardo la storia della magia e la verità dei fatti storici.
In primo luogo va ricordato che il cristianesimo e la Chiesa hanno avuto il ruolo di sradicare le superstizioni e le credenze magiche dall’Europa. Nel mondo pagano, che fosse greco-romano, celtico o germanico, l’idea che magia e stregoneria potessero aiutare a regolare la propria vita era abbastanza comune. Da ciò derivavano azioni abbastanza varie, dalla preparazione di filtri magici totalmente inutili, alla distillazione di veleni e pozioni dannosissime, per giungere alle pratiche abortive e a omicidi rituali di vario genere. Il cristianesimo ha quindi posto un freno a queste pratiche, che nel mondo germanico prevedevano anche il rogo delle streghe per nutrirsi della loro carne. Nel 1080, ricorda Agnoli, “Gregorio VII scriveva al re Harald di Danimarca di non credere che gli fosse permesso di perseguitare le donne accusate di provocare maltempo, tempeste e alcune malattie, processandole in base ad un uso barbarico, e lo avvertiva che se avesse fatto del male a un’innocente avrebbe suscitato il castigo divino”.
La tesi del cristianesimo, di fronte ad accuse di azioni soprannaturali, fu per tutto il Medioevo quella di negare la realtà di tali azioni e quindi l’invito era di non processare persone per stregoneria, visto che la stregoneria non esisteva. Il fenomeno della cosiddetta caccia alle streghe risale al Rinascimento, quando lo studio dei classici e del mondo pagano portarono a riscoprire anche certe pratiche, come l’alchimia, l’astrologia o l’evocazione degli spiriti, che coinvolsero anche gli strati della popolazione considerati più colti. La persecuzione ai danni di streghe e stregoni coinvolse però in buona parte le zone in cui la Chiesa e i governi statali avevano meno controllo, in quanto frutto di rabbia popolare. Inoltre la maggior parte delle condanne ai roghi e le persecuzioni vennero portate avanti in Germania, in terra protestante, dove l’eresia luterana aveva instillato nella pratica religiosa un fanatismo senza precedenti. Va ricordato che il tanto santificato Lutero scriveva che i bambini handicappati erano posseduti dal demonio, così come spiegava che i cattolici erano servi di Satana. Diede quindi inizio ad un’ossessione per la possessione demoniaca da parte sua e dei luterani che portò all’unico vero bagno di sangue della vicenda della caccia alle streghe. La furia dei roghi si scatenò anche in Svizzera, terra dell’eresia calvinista, assieme alle altre zone dove prese piede il calvinismo.
Per quanto riguarda l’Inquisizione, in realtà il ruolo avuto sia da quella Spagnola che dal Sant’Uffizio, fu quella di regolare e limitare i danni fatti dalle giurie popolari e dai tribunali civili. I casi di condanne annullate da parte degli inquisitori sono molteplici, proprio perché la teoria portata avanti dai cattolici era che condannare qualcuno per stregoneria voleva dire credere nella stregoneria e ciò era inaccettabile. Le condanne comminate dalle inquisizioni sono state ben poche e spesso per reati che, pur connessi alla stregoneria, comprendevano infanticidio e avvelenamento ed erano quindi reati comuni, ammantati di un’aura mistica, ma pur sempre porcherie.
Il Quaderno di Agnoli fornisce poi anche numeri molto interessanti per capire il fenomeno. Su 110 mila processi in 3 secoli, 50 mila furono in Germania. In Spagna e Italia i processi furono circa 5.000, per un totale di 10 mila, mentre in Svizzera furono 9 mila. Un dato decisamente sproporzionato, se confrontiamo dimensioni e popolazioni. Inoltre nei due paesi cattolici le condanne furono ben poche ogni anno, se contiamo che su 2.000 processi gestiti dall’Inquisizione spagnola, le condanne furono solo…11!
Se qualcuno ha voglia, vada a confrontare i numeri delle condanne a morte emesse al giorno d’oggi, da paesi anche civili, come gli Stati Uniti. Oppure controlli il numero di morti in pochi mesi di Terrore francese. Oppure controlli il numero annuale di aborti in un qualsiasi paese "civilizzato".

Siamo quindi di fronte, come sempre, come nel caso delle Crociate o di altri fantomatici crimini della Chiesa o dei cattolici, di fronte a mistificazioni ridicole ed ideologiche, che possono essere smontate senza troppa fatica. 
 
 

11 ottobre 2014

Scienziati dunque credenti



di Francesco Filipazzi

Perché a un certo punto della storia l'uomo ha iniziato a padroneggiare la scienza, a studiarla e capirla come mai prima?
La storia della fisica ad esempio va di pari passo con quella della matematica. La prima abbisogna della seconda per risolvere i suoi problemi: spesso devono essere formulati nuovi teoremi per riuscire a progredire. La storia delle equazioni differenziali e del calcolo infinitesimale, ad esempio, è emblematica. Intere classi di problemi matematici vennero definite ex novo per essere solo successivamente applicate alla fisica. Le scoperte matematiche, dunque, non sono invenzioni, in quanto presenti in natura. La maggior parte delle leggi matematiche però non sono state codificate nel corso della lunga storia dell'uomo, ma solo negli ultimi secoli, dal Medioevo in poi, con qualche eccezione nell'antica Grecia.

La risposta alla domanda iniziale, si trova nel magistrale libro di Francesco Agnoli, "Scienziati dunque credenti", che ripercorrendo la storia della scienza, in molte sue diramazioni, giunge a una conclusione che per molti potrebbe essere sconcertante, ma in realtà logica e razionale. In effetti l'unica possibile.
Secondo Agnoli, l'umanità, nel Medioevo, vera età di luce, è riuscita a compenetrare i segreti della scienza grazie alla forma mentis derivante dal monoteismo, dunque dal Cristianesimo, il quale prevede, a differenza del paganesimo, un legislatore universale che pone delle regole. Lo studio della scienza non è altro che lo studio delle regole secondo cui Dio ha creato il cielo e la terra, le stelle e l'universo tutto. Il mondo illuminato dalla religione cristiana è il mondo che supera le superstizioni, che rifiuta la magia, l'animismo e l'immanentismo pagani, che non accetta che i fenomeni naturali derivino dalle bizze di un qualche dio dalle caratteristiche fin troppo umane.

La rivelazione che però potrebbe sconcertare le menti deboli, che il libro mette davanti al lettore è che i padri della scienza, nel Medioevo e nel Rinascimento, sono uomini di fede e sacerdoti, così come in tempi moderni alcune grandissime teorie e scoperte sono state portate conseguite da uomini di fede e sacerdoti.
Gli esempi riportati sono numerosi. La prima branca di cui si parla è l'astronomia. Il mondo cristiano, dopo la messa ai margini dell'astrologia e delle superstizioni, è stato il motore principale dello studio scientifico degli astri. Grossatesta e Copernico erano consacrati a Dio, mentre Keplero condusse studi teologici per diventare pastore protestante. Anche Galileo fu un grande uomo di fede, che venne sì processato per le sue teorie, ma sulla spinta di un mondo accademico che non voleva accettare lo stravolgimento delle teorie aristoteliche, mentre coloro che diedero credito all'inventore del telescopio furono i gesuiti. Il grande merito degli studiosi citati è stato quello di pensionare il sistema aristotelico-tolemaico, di origine pagana, nel quale gli astri si muovevano di vita propria e dunque non erano pienamente compatibili con la concezione di un Dio non immanente. L'universo di Copernico e Galileo invece è mosso da una forza divina ed esterna.
Il grande contributo alle conoscenze astronomiche non si ferma però al Rinascimento. La teoria del Big Bang è stata pubblicata per la prima volta da Georges Lemaitre, sotto il nome di teoria dell'atomo primigenio. Da quella teoria discendono l'idea che l'universo sia finito, limitato nel tempo e nello spazio e dunque non infinito ed eterno, come sostenevano altri, in contrasto con la logica cristiana. Molti studiosi, fra cui Einstein, avversarono il Big Bang, soprattutto per motivi filosofici, in quanto quell'esplosione di luce iniziale era troppo simile a quel “e Dio disse sia la Luce” contenuto nella Bibbia, e dunque troppo sconcertante. Gli studiosi che non accettavano una creazione esterna, come potevano accettare il Big Bang? Cosa c'è stato prima? Il mondo è dunque davvero stato creato dal nulla? E soprattutto, per quanti sforzi si possano fare, l'uomo potrà conoscere solamente ciò che è successo nell'istante 0 dell'universo, ma mai cosa c'era all'istante -1, ad esempio. E ancora, perché da un'esplosione enorme e caotica è nato un universo ordinato? Perché, contraddicendo il calcolo della probabilità, questo universo ospita la vita? Addirittura vita intelligente. Bastava una piccolissima variazione, un paio di atomi che andavano da una parte invece che dall'altra, per cambiare radicalmente il volto dell'universo. Perché è andata così? Questo è ciò che si sono chiesti gli scienziati di fronte a Lemaitre e successivamente, anche gli atei più convinti, hanno sempre glissato, evitando di rispondere a domande che risposta non hanno, se non si accetta l'esistenza di Dio.
Einstein peraltro successivamente dimostrò involontariamente la possibilità che il Big Bang sia avvenuto realmente. A proposito, Lemaitre era un sacerdote.

Dall'astronomia, dunque, il libro passa ad altre discipline. Veniamo a sapere che l'anatomia nasce all'università di Bologna molto vicina alle accademie pontificie e situata nello Stato della Chiesa. Le autorità ecclesiastiche infatti non vietavano la dissezione dei morti, ma ponevano dei paletti a chi rubava cadaveri e sezionava i corpi di persona ancora vive. La Chiesa infatti fu tutt'altro che oscurantista, tanto che Papa Benedetto XIV fece ottenere cattedre di insegnamento a tre donne, all'università di Bologna, scrivendo a una di queste di dimostrare che le donne e gli uomini si equivalgono nello studio. Abbastanza insolito, dunque, per un cattivo oscurantista vissuto fra '600 e '700.

E' facile immaginarsi lo sconcerto dei vari Odifreddi de 'noantri che, impreparati a leggere certe verità, potrebbero aver bisogno di cure mediche e farmaci per la pressione, ma l'astronomia, la matematica, l'anatomia, la geologia, la fisica e la scienza tutta devono molto a uomini di Dio e di Chiesa, ad alcuni pontefici e a ordini religiosi come i gesuiti, che sono stati fucine di sapere per secoli. Negarlo, dipingendo il Medioevo cattolico, è parte dell'imbecillità illuminista, che più che l'età dei lumi è stata l'età dei lumini cimiteriali, che illuminano un piccolo spazio, lasciando in ombra tutto il resto. La luce di Cristo invece, come spiega Agnoli in questo bellissimo volume, non lascia zone oscure e illumina il Creato tutto.
Una lettura arricchente, da proporre a qualche amico in cerca di risposte.