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24 aprile 2017

Gli abortisti hanno un vizio: la menzogna


di Giuliano Guzzo
 
Pochi giorni fa si è avuta la conferma che la storia della povera donna veneta costretta a 23 tentativi a vuoto prima di trovare un ospedale che la facesse abortire, era – per dirla con una espressione di moda – tutta una bufala. Certo, per trovare il giusto spazio alla notizia occorreva andarsi a spulciare la stampa locale o le edizioni regionali dei grandi quotidiani, ma c’era da aspettarselo. Semmai il fatto vero, su cui a questo punto vale la pena interrogarsi, è il seguente: perché gli abortisti mentono sempre? Cosa spinge così sistematicamente i favorevoli alla cosiddetta interruzione volontaria di gravidanza alla menzogna? La domanda, si badi, è tutto fuorché provocatoria dal momento che è chiara, in Italia ma non solo, una consolidata tradizione menzognera abortista.
Una tradizione che ha preceduto la legalizzazione dell’aborto dato che risale a quando si diceva che ogni anno, a causa dell’aborto clandestino, in Italia morivano circa 20.000 donne. Peccato che l’Annuario Statistico del 1974 quantificasse le donne in età feconda (dai 15 ai 45 anni) decedute nell’anno 1972, prima cioè della Legge 194, in 15.116 e spiegasse come le morti riconducibili a dinamiche legate alla gravidanza o parto fossero 409: sempre troppe, intendiamoci. Tuttavia, inutile negarlo, un numero svariate decine di volte più contenuto di quello propagandato dagli abortisti per terrorizzare gli Italiani sull’emergenza degli aborti clandestini, pure quelli stimati – tanto per cambiare – abbondando alla grande con gli zeri. Un’altra bufala clamorosa sull’argomento era quella sul numero degli aborti clandestini. Per plagiare l’opinione pubblica, negli anni Settanta del secolo scorso, sugli aborti clandestini si davano infatti i numeri. Il Corriere della Sera del 10 Settembre 1976 li stimava essere da 1,5 a 3 milioni; in un numero de L’Espresso del 9 Aprile 1967, si parlava addirittura di 4 milioni! Mentre i quotidiani pubblicavano queste cifre assurde, uno studioso serio come il professor Bernardo Colombo, demografo dell’Università di Padova, in una ricerca elaborata con gli statistici Franco Bonarini e Fiorenzo Rossi, stimò che gli aborti clandestini, in Italia, fossero al massimo 100.000. Questo significa che le stime degli aborti clandestini che campeggiavano sulle prime pagine dei giornali dell’epoca, erano ingigantite in modo esponenziale, talvolta persino del 4000%. Chiamarle fake news, a ben vedere, sarebbe quasi un complimento!
Un’altra tesi di dubbio fondamento, per usare un eufemismo, è quella secondo cui opporsi all’aborto sarebbe da cristiani retrogradi e legalizzarlo da amanti del progresso. Peccato che tra le file antiabortiste si contino, da sempre, molti non cattolici – da Bobbio a Pasolini, con quest’ultimo che un giorno ebbe a dire: «Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio» -, e che i primi Stati, in epoca contemporanea, a rendere legale l’aborto furono l’URSS di Lenin, nel 1920, e la Germania di Hitler, coi nazisti ascesi al potere da neanche sei mesi quando, nel 1933, stabilirono per legge l’impegno a prevenire «le nascite congenitamente difettose». Due precedenti, converrete, non semplici da portare a modello. Ora, l’elenco delle balle abortiste potrebbe continuare, ingrandendo il dilemma da cui siamo partiti: perché gli abortisti più incalliti sentono – da decenni – il bisogno di mentire, sparare numeri a casaccio e inventare notizie di sana pianta? Le ipotesi sul tappeto potrebbero essere tante. Nel mio piccolo, ne avanzo una: quella che l’aborto volontario stesso, come diritto o facoltà contemplata da un ordinamento giuridico, sia già – di suo – una menzogna. Una finzione che si basa sull’ipotesi che si possa tollerare la soppressione di un essere umano già formato (con le sue gambe, le sue manine, il suo cuoricino, il suo Dna unico e irripetibile) ed essere contemporaneamente contrari all’omicidio. Ipotesi che, chiaramente, non sta in piedi. Una menzogna, appunto. Che impone a quanti la sposano, e non se la sentono di ammettere l’orrendo inganno, di proseguire sulla stessa cattiva strada.

https://giulianoguzzo.com/2017/04/23/perche-gli-abortisti-mentono-sempre/
 

25 febbraio 2017

10 cose da sapere prima di (s)parlare di aborto e obiezione di coscienza


di Giuliano Guzzo

Non intendo tornare sul mio pensiero in fatto di aborto procurato e obiezione di coscienza, credo oramai ben noto ai miei lettori e amici, ma solo mettere a fuoco dieci punti fermi, dieci aspetti che sarebbe bene tenere a mente prima di qualsivoglia considerazione su questo delicatissimo argomento. Dieci cose, in definitiva, che sarebbe opportuno sapere altrimenti, invece di dire la propria opinione, si finisce solo per dimostrare la propria ignoranza.

1. L’obiezione di coscienza è espressamente prevista dalla Legge 194, dunque non è una gentile concessione di qualche ASL o Regione a governo oscurantista bensì un diritto di rango almeno pari a quello di chi intende abortire.
2. La contrarietà all’aborto non esige alcuna adesione confessionale. Si potrebbero, a questo proposito, ricordare le parole di Bobbio o di Pasolini, con quest’ultimo che un giorno ebbe a dire: «Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio».
3. E’ da vedere che l’opposizione all’aborto derivi dal Medioevo, ma è certo che i primi Stati a rendere legale l’aborto siano stati l’URSS di Lenin, nel 1920, e la Germania di Hitler, coi nazisti ascesi al potere da neanche sei mesi quando, nel 1933, stabilirono per legge l’impegno a prevenire «le nascite congenitamente difettose»: due “prime volte” che non hanno esattamente il sapore del progresso.
4. L’obiezione di coscienza non è un valore cristiano, essendo connaturata alla professione medica sin dai remotissimi tempi di Ippocrate di Kos (460- 377 a.C.).
5. I medici obiettori, in Italia, non possono rappresentare un problema poiché non solo non crescono, ma risultano in calo: erano il 71,5% nel 2008, mentre nel 2014 il 70.7 % (cfr. Relazione del Ministero della Salute 2016, p.44).
6. L’Europa non ha mai condannato l’Italia sull’obiezione di coscienza, anzi: il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa si è espresso definitivamente lo scorso luglio dopo due reclami, uno della IPPF-EN, l’altro della CGIL, con un giudizio positivo.
7. Il problema vero, per un medico, non tanto è il numero di aborti eseguiti quanto il fatto stesso di praticarne, cosa che comporta – secondo uno studio – «stanchezza cronica, irritabilità, paura di andare a lavorare, disturbi fisici e mancanza di gioia di vivere» (cfr. Nursing Ethics, 2013).
8. In media, in Italia, ogni ginecologo non obiettore esegue ogni settimana, a livello nazionale, 1.6 aborti (considerando 44 settimane lavorative in un anno), con una procedura abortiva che, secondo l’OMS, ha una durata media che non supera i 10 minuti.
9. Guardando i dati regionali, in Italia solo 3 ASL su 140 (con fino a 15 aborti settimanali) si discostano dalla media nazionale, mentre nelle restanti 137 invece i numeri sono molto più bassi (7 in un caso, e poi sempre meno di 5), corrispondenti a un lavoro di non più di mezza giornata.
10. Non c’è nulla di scandaloso nel fatto che in alcune strutture non si riesca ad abortire: neppure in ogni ospedale, se è per quello, vi sono i punti nascita. Avete mai sentito chi oggi lamenta l’impossibilità di abortire denunciare quella di partorire?

Una volta che questi punti risultano ben chiari, ha senso discutere.  Altrimenti, tanto vale farsi una passeggiata: sarebbe fiato sprecato.

https://giulianoguzzo.com/2017/02/25/10-cose-da-sapere-prima-di-sparlare-di-aborto-e-obiezione-di-coscienza/

 

02 febbraio 2017

Per ridurre gli aborti occorrono restrizioni. Parola di abortisti


di Giuliano Guzzo

Per limitare il numero degli aborti occorre complicarne l’accesso. Sai che scoperta, si dirà. In effetti la cosa è abbastanza intuitiva. Meno scontato è però che a riconoscere quest’evidenza sia nientemeno che il Guttmacher Institute, istituto di ricerca che fa capo a Planned Parenthood, l’ente abortista più grande del mondo. Eppure l’ammissione traspare chiaramente nell’articolo firmato da Rachel K. Jones e Jenna Jerman e appena pubblicato su Perspectives on Sexual and Reproductive Health laddove, dinnanzi ai 926.220 conteggiati negli Stati Uniti nel 2014 – il minimo storico -, si sottolinea come le nuove restrizioni anti aborto entrate in vigore in alcuni Stati, in questo calo, un ruolo l’abbiano avuto. Non quello principale, si sono subito affrettate a precisare le studiose, ma senza dubbio con la riduzione degli aborti c’entrano. Il che, detto da fonti pro choice, è senza dubbio una notizia.

Da decenni, infatti, il tormentone progressista vuole come sola via per il decremento delle pratiche abortive la maggiore diffusione della contraccezione. Una tesi ripetuta fino alla noia e non solo mai provata, ma addirittura contraddetta dall’esperienza di diverse nazioni. Si pensi alla Spagna dove, secondo uno studio pubblicato nel 2011, nell’arco di una decade all’aumento del 63 per cento dell’uso dei contraccettivi è corrisposta una crescita addirittura al 108 per cento del tasso di aborto. In modo del tutto simile in Svezia, tra il 1995 ed il 2001, durante un periodo di facilitazione della diffusione dei contraccettivi, il tasso di aborto delle adolescenti è lievitato del 32 per cento. Il mito della contraccezione come panacea di tutti i mali è sconfessato pure da Cuba, dove si registrano 41,9 aborti ogni 100 gravidanze e 72,8 aborti ogni 100 parti nonostante una copertura contraccettiva molto elevata.

Avrebbe dovuto far riflettere anche la situazione italiana dato che nella nostra penisola gli interventi abortivi risultano da anni in calo a dispetto di un modesto ricorso alla contraccezione, rispetto ad altri paesi europei. Ciò nonostante, fino alla recentissima pubblicazione del Guttmacher Institute, nella quale comunque il ruolo positivo nella riduzione degli aborti da parte delle restrizioni viene riconosciuto a denti stretti, la contraccezione veniva indicata come l’unica strada percorribile. E non è da escludere che così continui ad essere sia perché alle posizioni ideologiche dopo un po’ ci si affeziona, sia perché la limitazione o il divieto di aborto, ancorché riconosciuti efficaci, verranno comunque sempre presentati come misure oscurantiste e pericolose per la salute della donna. Questo, ancora una volta, a scapito di evidenze che invece suggeriscono l’opposto.

Un articolo uscito sulla rivista scientifica PLoS ONE nel 2012 chiariva infatti come vietare l’aborto non comporti, di per sé, alcun aumento della mortalità materna, cosa del resto già testimoniata dal caso dell’Irlanda dove, con detta proibizione, nel 2005 si registrò la più bassa mortalità materna a del mondo. Viceversa, un esame delle cartelle cliniche di 463.473 donne, effettuato in Danimarca considerando un arco temporale fino a dieci anni dalla prima gravidanza, a fronte di un aborto indotto ha riscontrato tassi di mortalità materna significativamente più elevati. Per non parlare dei legami, anch’essi accertati, tra soppressione prenatale e infezioni all’utero, placenta previa e cancro al seno. Sono dunque coloro che vorrebbero facilitare l’accesso all’aborto, non certo quanti invece vorrebbero vietarlo, i veri nemici della salute della donna.

Ad ogni modo, chi ritenesse troppo drastico e impopolare rendere nuovamente illegale la pratica abortiva, potrebbe comunque riflettere su quanto deciso nel 2009 da Janice Brewer, governatore dell’Arizona che nel settembre 2011 riuscì ad ottenere uno sbalorditivo calo degli aborti, pari a quasi il 31 per cento, rispetto a quelli conteggiati lo stesso mese dell’anno precedente. Come? Imponendo, per ogni accesso all’aborto, oltre ad un adeguato periodo di attesa, il consenso parentale, l’ecografia, l’obbligo di fornire informazioni adeguate sui rischi dell’intervento, sullo sviluppo fetale e sulle possibili alternative. Tutte cose che sarebbe molto utile fossero introdotte anche in Italia, dove il calo delle interruzioni volontarie di gravidanza, come vengono eufemisticamente chiamate, è già in corso ma non certo grazie, bensì nonostante la legge.

Il fatto è che per arrivare a limitare l’accesso all’aborto occorre anzitutto iniziare a ritenerlo un problema, mentre invece si tende sempre più a considerarlo – come sostiene sulla sua pagina Facebook Roberto Saviano, scrittore incautamente prestato alla bioetica – «un diritto acquisito da difendere a tutti i costi». Al punto che si segnalano, come quanti seguono la cronaca sanno bene, ripetuti tentativi di bandire l’obiezione di coscienza e d’intimorire a colpi di querele tutti quei medici e farmacisti ancora fedeli al giuramento d’Ippocrate. Ma finché si continuerà a ragionare così, coi paladini dell’autodeterminazione estrema liberi di spararla grossa e con un mondo cattolico spesso titubante, quando non perfino arrendevole dinnanzi alla cultura dominante, c’è ben poco da stare allegri. Per fortuna che sull’utilità di limitare l’accesso all’aborto, in questi giorni, alcuni si sono esposti. E sono, manco a dirlo, degli abortisti.

https://giulianoguzzo.com/2017/02/02/per-ridurre-gli-aborti-occorrono-restrizioni-parola-di-abortisti/

 

04 novembre 2016

Intervista al primo Sindaco obiettore d’Italia


di Giuliano Guzzo

Al via libera definitivo del Parlamento alle unioni civili, lo scorso febbraio, mancavano ancora due mesi eppure Mario Agnelli, primo cittadino quarantaseienne di Castiglion Fiorentino, comune di oltre 13.000 anime in provincia di Arezzo, aveva già avvertito tutti della sua contrarietà: «Non intendo celebrare unioni civili tra omosessuali». Una presa di posizione molto netta valsa al sindaco, sostenuto da una lista civica ed eletto con una schiacciante maggioranza di oltre il 63% dei voti in occasione delle elezioni amministrative del maggio 2014, una certa visibilità ma pure critiche. Terry e Marcello, sposati all’estero nonché gestori, proprio a Castiglion Fiorentino, del B&B considerato il numero uno al mondo, hanno per esempio definito la posizione di Agnelli un «insulto all’intelligenza». E come se non bastasse Vladimir Luxuria in persona, nel giro d’Italia che ha annunciato allo scopo di “convertire” gli amministratori obiettori, pare abbia fissato la sua prima tappa proprio lì, a Castiglion Fiorentino. Per questo, anche se del caso dei sempre più numerosi sindaci contrari alle nozze gay, quali sostanzialmente le unioni civili sono, mi sono già occupato, ho deciso di avvicinare il primo cittadino toscano per rivolgergli qualche domanda.

Sindaco Agnelli, perché ha scelto di dichiarare che non avrebbe celebrato unioni civili ancora prima che queste divenissero legge? Qualcuno potrebbe pensare ad una facile ricerca di visibilità.  «Nel mese di febbraio trattammo questo argomento in una seduta del Consiglio comunale ed ognuno ebbe la possibilità di esprimere la propria opinione. Giudico questo argomento trasversale, soprattutto etico e dai contenuti valoriali, pertanto sulle mie posizioni ricordo si espressero anche membri della minoranza, come alcuni colleghi di maggioranza dimostrarono una sensibilità diversa dalla mia. Non pensavo che esprimere la propria opinione, benché in una seduta di un Consiglio comunale, potesse far scaturire tutta questa attenzione. Io ritengo di aver detto una cosa normale e sono quasi divenuto un “eroe” per qualcuno ed un “extraterrestre” per qualcun altro. Non deve essere così».

Nelle 27 pagine di programma con cui si è fatto eleggere, però, non c’è traccia di un simile impegno. «Perché non mi pare certo un impegno che si può inserire in un programma elettorale da presentare alle elezioni amministrative. Caso mai, questa domanda la dovrebbe rivolgere a Matteo Renzi. Mi pare che la legge sulle unioni civili così come approvata non fosse compresa in alcun programma elettorale scelto e legittimato dal consenso popolare. Per lo meno, io sono stato eletto Sindaco perché il 63% dei miei cittadini ha dato fiducia a me e al programma riportato nelle citate 27 pagine. Chi ha voluto invece Renzi, il quale se non sbaglio prima faceva il Sindaco come me?».

In paese come hanno preso questa sua decisione di rifiuto di celebrare unioni civili? «Molte persone hanno perfettamente compreso il mio pensiero, altre meno essendo un argomento che riguarda, a mio avviso, i valori e che tocca la sensibilità di ognuno. Avevo chiarito subito che non volevo discriminare nessuno, ma nessuno deve però discriminare me per il mio pensiero e credo che questo concetto, tranne rare eccezioni, almeno nel mio paese sia passato. E’ un fatto di democrazia. Infatti io non mi sono messo contro la legge e nel mio Comune le unioni civili si possono celebrare, ma non con il sottoscritto. Tutto qui».

E’ vero che Vladimir Luxuria verrà a trovarla per farle cambiare idea? Si sta preparando? «Vladimir Luxuria può venire a trovarmi quando vuole. A lui riconosco il merito di aver espresso la sua opinione senza tanta arroganza o prepotenza, come ha fatto qualcun altro. Tuttavia per lui sarebbe un viaggio a vuoto, come del resto per chiunque altro, Cirinnà compresa. Le mie idee e i miei valori non sono in vendita».

Cosa consiglia ai sindaci che vorrebbero seguire il suo esempio? Non è semplice, oggi, per chi ha certe posizioni. «Di non dare troppo peso a chi ti contesta perché non la pensa come te. A noi Sindaci spetta il compito di sopportare anche le critiche. Certo, quelle toccate a me sono facilmente evitabili da chi preferisce starsene rintanato nel proprio guscio. Il punto è che io non mi sono mai nascosto per le mie idee, né lo farò in futuro. Chieda ad esempio in giro cosa penso dei presepi e dei Crocifissi nelle scuole. Anche in quel caso, per rimarcare i nostri valori cristiani e culturali, nacque un polverone in occasione del quale arrivò a scomodarsi anche il Ministro Giannini. Il risultato? Io resto delle mie idee e mi tengo i miei valori».

https://giulianoguzzo.com/2016/11/04/eroe-per-alcuni-extraterrestre-per-altri-intervista-al-primo-sindaco-obiettore-ditalia/

 

25 ottobre 2016

L’obiezione di coscienza non uccide, le menzogne abortiste sì



di Giuliano Guzzo

La conclusione cui è pervenuta la task force ministeriale inviata a Catania per far luce sulla morte di Valentina Milluzzo, la 32enne catanese deceduta il 16 ottobre dopo aver abortito spontaneamente due gemellini al quinto mese di una gravidanza ottenuta con la procreazione assistita, è del tutto inequivocabile: «Dalla documentazione esaminata e dalle numerose testimonianze raccolte dal personale non si evidenziano elementi correlabili all’argomento obiezione di coscienza». Naturalmente tutto ciò non placherà gli animi dei parenti della donna, i quali per primi avevano denunciato presunti ritardi nell’assistenza dovuti al rifiuto di uno dei medici del reparto di intervenire subito, prima della morte del primo figlio, perché obiettore di coscienza; ma questo, se ci si pone nell’ottica di chi perde una persona cara, è umanamente comprensibile.

Quel che invece risulta meno tollerabile è l’indegno processo mediatico che, dal 16 ottobre a ieri pomeriggio, si è celebrato non tanto e non solo nei confronti del medico obiettore in questione – e tanti saluti al garantismo -, ma contro l’obiezione di coscienza stessa. Per giorni e giorni, infatti, ci è toccato ascoltare le peggiori assurdità, dalla presentazione dell’Italia come un Paese in cui non si può abortire – ditelo ai 6 milioni di bambini (!) che grazie alla Legge 194 non sono mai nati – alla caccia all’obiettore, presentato come medico inadempiente, di serie B, mentre invece altri non è che il vero erede del non cristiano Ippocrate, che già millenni or sono avvertiva: «Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo. Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte».

State però tranquilli che neppure adesso che gli esperti ministeriali hanno accertato quanto già altri sostenevano – dal primario del reparto catanese, il professor Paolo Scollo, che è pure presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, a bioeticisti coraggiosi come il prof. Renzo Puccetti -, e cioè che l’obiezione di coscienza non uccide affatto, anzi, coloro che fino a ieri hanno partecipato al processo mediatico chiederanno scusa. Non è nelle loro abitudini. Soprattutto non lo è in quelle del fronte abortista che da sempre, davvero da sempre, basa le proprie argomentazioni su balle clamorose. Gli esempi che si potrebbero in tal senso fare sono moltissimi, per brevità mi limito a tre. Immagino sappiate qual è la principale ragione per cui in Italia e non solo l’aborto procurato è stato reso legale: per combattere la piaga della clandestinità.

Il fatto che molti ignorano, però, è che per plagiare l’opinione pubblica, negli anni Settanta, sugli aborti clandestini si diedero letteralmente i numeri: il Corriere della Sera del 10 Settembre 1976 li stimava essere da 1,5 a 3 milioni; in un numero dell’Espresso del 9 Aprile 1967, si parlava addirittura di 4 milioni! Mentre i quotidiani pubblicavano queste cifre assurde, uno studioso serio come il professor Bernardo Colombo, demografo dell’Università di Padova, in una ricerca elaborata con gli statistici Franco Bonarini e Fiorenzo Rossi, stimò che gli aborti clandestini, in Italia, fossero al massimo 100.000. Questo significa che le stime degli aborti clandestini che campeggiavano sulle prime pagine dei giornali dell’epoca erano ingigantite in modo esponenziale, talvolta persino del 4.000%! Mica male come menzogna no?

Ma questo – come si diceva poc’anzi – è solo un esempio tra molti. Un altro classico tormentone dell’abortismo è quello secondo cui l’opposizione all’aborto legale sarebbe fissa da medievali. Ora, non è ben chiaro su quale oscuro testo si fondi questa curiosissima tesi, ma è la storia contemporanea a metterci al corrente del fatto che le cose stanno diversamente, e cioè che sono in realtà coloro che credono giusto l’aborto legale ad avere predecessori impresentabili. I primi a rendere legale l’aborto sono infatti stati l’URSS di Lenin, nel 1920, e la Germania di Hitler, coi nazisti ascesi al potere da neanche sei mesi quando, nel 1933, stabilirono per legge l’impegno a prevenire «le nascite congenitamente difettose». Due precedenti che, converrete, non hanno esattamente il sapore del progresso.

Non aspettatevi però che i vari intellettualini ed opinionisti che in questi giorni hanno fatto sbraitato contro l’obiezione di coscienza vi raccontino queste cose. Ai fatti, loro, sono allergici. Ed è per questo – terzo esempio di bugia – che da anni ci tormentano con la manfrina degli obiettori sempre più numerosi che ostacolano il “diritto” di aborto senza spiegarci quello che le relazioni del Ministero sull’applicazione della Legge 194/’78 dicono al riguardo. Tipo che fin dai primi anni di attuazione della Legge 194, dunque non da oggi, il personale sanitario ha esercitato in percentuali elevate il diritto all’esercizio dell’obiezione di coscienza, e che comunque gli obiettori non possono essere un problema per nessuno primo perché la loro percentuale è calante: erano il 71,5% nel 2008, mentre nel 2013 erano il 70% (cfr. Relazione del Ministero della Salute 2015, p.42).
Che cosa implica tutto questo? Anzitutto che in Italia non esiste alcuna difficoltà ad abortire né si può parlare di casi di medici costretti dai colleghi obiettori a praticare solo aborti dato che al personale non obiettore, a conti fatti, tocca in media 1,4 aborti a settimana: non uno sforzo pazzesco e che tale diventa solo in mancanza di adeguata organizzazione interna a strutture e ospedali. In secondo luogo, come si diceva poc’anzi, che l’abortismo non si regga occasionalmente sulla menzogna ma sia esso stesso menzogna per le innumerevoli verità che nasconde con le parole; a partire da quella dell’embrione, del feto o del grumo di cellule che dir si voglia, vale a dire la verità del figlio, di un essere umano unico ed irripetibile, che non la scienza ma solo l’ideologia può portarci a non considerare persona. Anche se già vive, già sogna e forse – come ha scritto una volta Marcello Veneziani – già ci giudica.

https://giulianoguzzo.com/2016/10/25/lobiezione-di-coscienza-non-uccide-le-menzogne-abortiste-si/

 

05 ottobre 2016

Alcune considerazioni sull'unione civile di Isabel e Federica


di Daniele Barale

Il ddl Cirinnà-bis è passato, lasciando come legge le unioni civili. E così Pinerolo ha visto le sue seconde “civilunioni” mercoledì mattina, grazie al sindaco 5 Stelle Luca Salvai. Ma questa volta non ha riguardato semplici cittadini, bensì delle ex suore, che non a caso riceveranno pure la “benedizione” (la diciannovesima del 2016) di Franco Barbero, "don" sospeso a divinis da San Giovanni Paolo II (e non 'Paolo Giovanni', come hanno scritto su La Stampa), per i suoi giudizi erronei sulle unioni tra persone dello stesso sesso.

Si parla di Isabel e Federica, sudamericana la prima, italiana la seconda, due suore francescane, che dopo aver passato molti anni in diverse missioni del mondo, hanno deciso di lasciare i voti e il convento. Come riporta La Stampa, elle “si sono conosciute durante un viaggio pastorale, essendo entrambe due suore francescane. Ma Isabel e Federica si uniranno in 'matrimonio' a Pinerolo. Perché hanno capito di amarsi. «Dio vuole le persone felici, che vivano l’amore alla luce del sole», dice Isabel. «Chiediamo alla nostra chiesa di accogliere tutte le persone che si amano», dice Federica. Sono molto timide, molto forti. E chiedono di non dire altro”.

Dunque, il sindaco di Pinerolo ha unito civilmente e Franco Barbero le benedirà, durante la messa per loro, perché “amo la mia chiesa – dice a chi lo intervista - faccio il prete tutto il giorno a tempo pieno. Scrivo dei libri, curo un blog, sono in contatto con tantissimi sacerdoti che la pensano come me. Ed è proprio attraverso la rete che ho conosciuto anche Isabel e Federica. Sono due persone belle, con due lauree importanti. Persone di fede intensissima. Si sono conosciute tre anni fa. La loro è stata una decisione pregata. Hanno riflettuto a lungo, è stato un cammino tormentato. Hanno preso la loro decisione con coraggio, sapendo che non sarebbe stata molto condivisa». Molto? «Posso assicurare che non tutti sono stati contrari. Sono state criticate, ma anche capite da alcune consorelle. Così come ci sono tantissimi preti buoni che non condannano questo genere di scelte. E devo aggiungere, per la cronaca, che non è neppure la prima volta che mi capita di sposare due suore».

Ora, credo possano essere espresse alcune consideazioni su tutto ciò. Dal sindaco Salvai, membro del Movimento 5 Stelle, che tanto si vanta di lottare contro ogni sopruso, corruzione mi sarei aspettato lo stesso atteggiamento dei sindaci Fabio Dalledonne (Borgo Valsugana, Trentino), Susanna Ceccardi (Cascina, Pisa) e Serafino Ferrino (Favria, Piemonte), che han fatto valere il giusto principio di obiezione di coscienza, per motivi etico-morali. Perché? C'è una questione che accomuna tutti, al di là della bandiera politica sotto la quale si milita: la realtà. Ogni volta che la si manipola, nasconde si commette sopruso. Che il matrimonio la famiglia e di conseguenza i bimbi richiedano solo un uomo e una donna, è un dato di fatto, è realtà: con buona pace dei giornalisti de La Stampa e di Franco Barbero "don". Negarlo è sopruso; e l'attuale legge del PD sulle unioni civili lo fa compiere, attraverso l'equiparazione del matrimonio della famiglia con una unione che nulla ha a che vedere con esse, a chi l'applica.
L'affermare pubblicamente che l'unica unione da riconoscere e celebrare sia fondata dalla complementarietà fra uomo e donna, non è frutto di un'idea religiosa o dei cattolici bigotti, ma della ragione, comune a tutti, credenti e non. Lo sapevano sia Aristotele, che vede la famiglia quale 'associazione istituita dalla natura', sia Cicerone, che definì il matrimonio “la prima forma di società”. E in tempi più recenti, persino Karl Marx, il leader di tutti i comunismi, conferma – così sembra - quanto appena detto: «il rapporto immediato naturale […] è il rapporto dell’uomo con la donna» (Manoscritti economico-filosofici del 1884, pag. 109/110). Allo stesso tempo, far valere l'obiezione di coscienza con queste ragioni, contro una legge iniqua – aggettivo appropriato, dato che nega la libertà di coscienza, oltre ad aprire la strada all'utero in affitto -, è un atto (più che) buono e giusto. Però i leader pentastellati, anziché ricordarsene, preferiscono essere il secondo volto del “pensiero radicale di massa” (per ricordare Augusto Del Noce), dopo il PD.
A riguardo di Federica Isabel e Franco Barbero "don". Lungi dal volere giudicare le loro persone, forma mentis che ho acquisito grazie ai frutti della tradizione bimillenaria della Chiesa, dal Catechismo, dai Papi, vorrei dire qualcosa sulle loro scelte. Da fratello a fratelli. Loro stessi hanno rilasciato a La Stampa di amare la Chiesa, di essere amati da Dio, di amarLo. Sicuramente Egli li ama, altrimenti non ci sarebbero. Però, Dio ha soprattutto rivelato l'unica Via Verità Vita, il Figlio Unigenito, Gesù Cristo, “Egli stesso”, da seguire per amarLo nel modo giusto e ricevere le Sue grazie.

Loro che son state suore francescane, lui che è sacerdote, sebbene sia sospeso a divinis, (il sacerdozio è uno dono prezioso e serio, dura per sempre), dovrebbero almeno percepire che le unioni tra persone dello stesso sesso e la benedizione da parte di un cattolico ad esse contraddicono proprio quanto Cristo ha insegnato. Tali atti portano fuori della Grazia di Dio, anche se sono ammantati delle intenzioni più belle: non a caso si dice che l'inferno sia lastricato di buone intenzioni. Inoltre, si chiedano anche perché buona parte dei media, come La Stampa, sono in prima linea quando si tratta di attaccare quello che di buono e giusto esiste per ogni uomo (credenti e non), quale l'irriducibile dignità della persona, il matrimonio, la famiglia etc. Lo sono perché ormai sono strumenti di circoli culturali radical-laicisti, che non hanno una grande stima per l'uomo: qui l'uomo è solo materia o tutt'al più uno strumento per fare profitto, la sua dignità non supera quella degli animali e dei vegetali; di fatti, l'aborto e l'eutanasia si generano lì.

Senza queste domande si rischia, prima ancora della punizione divina, di vivacchiare, vivere a metà. Il sentimento tra persone dello stesso sesso è amore dimezzato, per quanto bello possa essere – me lo ricorda spesso l'amico e celebre scrittore Philippe Arino - perché viene a mancare il dono della complementarietà fra uomo e donna, che dà pienezza e apre alla vita. Ecco lo scopo del matrimonio e della famiglia: questa certezza di pienezza, come conferma il capitolo 1,27-28 del Genesi: “Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”. Un progetto intelligente che genera, appunto, una felicità piena, non a metà, conseguenza dell'aver accettato il progetto di Dio per ciascuno di noi, più grande delle nostre pretese di felicità. San Francesco e Santa Chiara erano pienamente consapevoli di tale certezza. Non a caso questo testimoniano e trasmettono i frati del SOG di Assisi quando tengono il corso per fidanzati.

 

28 settembre 2016

Il coraggio dei sindaci obiettori

Davide contro Golia

di Giuliano Guzzo

Le unioni civili sono legge. E allora? La battaglia dei sindaci italiani che, per ragioni etiche, morali e religiose, non se la sentono di celebrare le unioni civili parte da qui, ossia dalla convinzione che la verità del matrimonio sia troppo preziosa per essere offuscata dal riconoscimento di altre unioni. E’ successo a Borgo Valsugana, in Trentino, dove il sindaco, Fabio Dalledonne, ha dichiarato secondo le sue «personali credenze religiose» e le sue «valutazioni etico-morali» di non essere pronto a “civilunire” coppie dello stesso sesso; a Cascina, provincia di Pisa, dove la prima cittadina, la leghista Susanna Ceccardi, non ha cambiato idea neppure alla notizia di un esposto contro di lei; ed ora succede anche a Favria, il cui sindaco, Serafino Ferrino, amministratore di lungo corso e cattolico praticante, ha fatto presente che non solo non celebrerà unioni civili, ma non delegherà nessuno al suo posto, chiarendo di non sentirsela «di andare contro precisi dettami etici».

Ora, in attesa di vedere che accadrà e se altri decideranno di unirsi al fronte obiettore sulle unioni civili, sono già possibili alcune considerazioni.

La prima. In tutti questi casi, i sindaci hanno fatto appello ad un’obiezione di coscienza non giuridicamente prevista. Dunque di serie B? No, l’esatto contrario: da Antigone, che per seppellire il fratello arrivò a disobbedire al proprio re, pagando con la vita la sua scelta, fino Rosa Louise Parks, attivista statunitense figura-simbolo del movimento per i diritti civili, divenuta celebre per aver rifiutato, nel 1955, di cedere il posto su un autobus ad un bianco, dando così origine al boicottaggio degli autobus a Montgomery, l’obiezione di coscienza nella sua forma più cristallina si sempre è imposta non grazie ma nonostante la legge, passando come affronto ribelle prima di essere riconosciuta come giusto rifiuto a norme ingiuste. Del resto, la storia umana è costellata di casi di leggi in un primo momento considerate inattaccabili e poi non solo rivelatesi inique ma orribili.

Una seconda, importante considerazione che può essere utile svolgere sui “sindaci ribelli” è che costoro, in realtà, non difendono un’idea religiosa e men che meno cattolica della famiglia. Che la famiglia sia quella fondata dall’unione fra uomo e donna, infatti, era già convinzione del non cristiano Aristotele, che visse secoli prima di Cristo e la definì come «associazione istituita dalla natura», di Cicerone, anch’egli non cristiano, che definì il matrimonio «la prima forma di società» e persino forse da Karl Marx, il grande fustigatore della civiltà borghese, il quale nei suoi Manoscritti economico-filosofici del 1844 si lasciò scappare che «il rapporto immediato naturale […] è il rapporto dell’uomo con la donna». Allo stesso modo, ad avere qualcosa da ridire su rapporti omosessuali sono stati, nei secoli, pensatori del calibro di Platone (Leggi, 836 B), del già citato Aristotele (Etica Nicomachea, 1148b 24-30) e di Kant (Metafisica dei costumi §Dottrina del diritto).
Un po’ difficile, allora, liquidare il rifiuto delle unioni civili come manifestazione oscurantista, data la conformità di una simile condotta agli ideali che l’umanità, con poche eccezioni, ha sempre riconosciuto nella sua storia. Infine, terzo ed ultimo pensiero, va dato atto ai “sindaci ribelli” di avere fegato.

Non solo per la disobbedienza ad una legge dello Stato, ma per agire in opposizione netta al pensiero dominante nonché in un contesto in cui la stessa Chiesa, di fatto, pare più timida di un tempo su questi temi. Quella che unisce i sindaci di Borgo Valsugana, di Cascina e di Favria e altri come loro, è dunque una scelta che sa di ribellione e di coscienza vera, quella che opera senza calcolo né tornaconto ma solo in omaggio, come si è detto, alla verità del matrimonio che è anche la verità dei mariti e delle mogli e, in definitiva, la verità della necessità di ogni bambino a crescere con un padre ed una madre. Senza che nessuna legge, neppure se approvata all’unanimità e mediaticamente celebrata, possa farci nulla.
 

19 settembre 2016

Sindaci obiettori? La via delle dimissioni


di Amicizia San Benedetto Brixia

Premesso che, qualora i vescovi si pronunciassero con forza, io mi piegherei immediatamente alle loro disposizioni, mi permetto di intervenire sul problema delle nozze omosessuali e della crisi di coscienza dei sindaci cattolici. Non si tratta qui del sindaco della nostra città bresciana, il quale, pur potendo delegare la prima cerimonia gay del Comune, ha ritenuto anzi di doverla presiedere egli stesso, sostenendo di fatto la precedenza dello Stato sulla Chiesa. Su tali casi, nemmeno serve pronunciarsi, si giudicano da sé. Penso piuttosto ai sindaci cattolici che non sono disposti a celebrare matrimoni contro-natura (definizione da assumersi secondo il senso della morale classica), ma che si interrogano sullo scandalo religioso e sul degrado politico che deriverebbe anche solo da una loro concessione per via di delega. Si noti che non mancano nelle nostre zone sindaci, cui le opposizioni laiciste stanno già tendendo lacci insidiosi, col pretendere di palesare ufficialmente - a monte di qualsiasi richiesta di matrimonio omosessuale - quale vorrà essere la posizione del primo cittadino cattolico in carica.

Il card. Caffarra, se ho ben inteso, propende per una linea testimoniale dura: piuttosto le dimissioni che la delega. Sul principio non si discute: la celebrazione di situazioni amorali è comunque deleteria. P

erò, allo stato attuale, qualcuno potrebbe proporre una soluzione che tenga conto dell’urgenza politica: converrebbero le dimissioni di massa dei sindaci cattolici? Non converrebbe piuttosto una dichiarazione unificata, in cui i sindaci cattolici - almeno parte di essi, la parte fedele, il piccolo resto - dichiarassero ferma opposizione morale e religiosa alle leggi inique, pur disponendo per ragioni di prudenza politica dei delegati alle celebrazioni, al fine di scongiurare che tutti i seggi del Paese siano detenuti da acattolici e/o anticlericali? In fondo i precedenti non mancherebbero e gli sviluppi storici ad oggi non rincuorano:
“I rivoluzionari, persuasi che la maggior parte delle Religiose ignorassero le nuove disposizioni, che riguardavano la loro sorte, ordinarono alla municipalità di mandare in ciascun monastero degli ufficiali per leggere il decreto dinanzi alle comunità riunite e ricevere insieme le dichiarazioni di ogni singola sorella....
Frattanto un nuovo decreto incaricava gli ufficiali dei municipi di rinnovare nei monasteri l'elezione delle Superiore e delle econome. Lo scopo era evidente: si voleva gettare lo scompiglio nelle comunità religiose. Per somma sventura i membri del Consiglio municipale di Lione, sia per paura, sia per delicatezza di coscienza, avevano dato in gran parte le loro dimissioni, e furono sostituiti da uomini venduti al partito dominante dell'Assemblea nazionale.
A capo di costoro, nel gennaio 1791, si presentò al monastero delle nostre Suore il famoso Rolland, il più ardente fautore delle idee rivoluzionarie in Lione” (qui).

A ciò si aggiunga che sindaci cattolici nudi e puri rischierebbero di trovarsi isolati ed osteggiati, ignorati e dimenticati, non solo dagli avversari, non solo dai cittadini (sia pur religiosi), non solo dai media cattolici (cfr. A titolo di esempio il caso Avvenire), non solo dal clero, ma anche dai Pastori fino ai più alti seggi.

Tuttavia, noi di Campari & De Maistre rispondiamo di no a questa posizione, svelandone il tranello e prediligendo posizioni più solide e più vicine a quelle del Card. Caffarra (e del Catechismo): il male non ha diritto di esistere e noi non vogliamo affatto favorirlo. Nessun calcolo politico può essere più importante del valore della famiglia: non possiamo appoggiare questa posizione, così come non difendiamo quei politici che firmarono la legge criminale sull'aborto per non consegnare l'Italia ai comunisti. Che i sindaci si dimettano: per testimonianza, per riportare la legge in discussione alla Corte Costituzionale, nonché per evitare di lordarsi le mani cooperando al male.

 

22 giugno 2016

San Tommaso Moro: morire per l'obiezione di coscienza


di Alfredo Incollingo

Thomas More era il Lord Cancelliere del re inglese Enrico VIII. Ricopriva un ruolo di degno rispetto nella corte reale ed era probabilmente il notabile più invidiato e “quotato” nel regno e in Europa. La sua fama lo precedeva dovunque e, prima di divenire un alto dignitario, svolse con successo le numerose missioni diplomatiche nel continente che gli valsero la stima e il rispetto del monarca. Thomas era anche un noto e apprezzato umanista, amico di Erasmo da Rotterdam e un autore raffinato. “Utopia”, l'opera più conosciuta del More, divenne un testo letto nei principali circoli umanisti dell'epoca e ancora oggi conserva la sua positività, nonostante si parli di un mondo utopico, inarrivabile.
More aveva le “carte in regola” per assicurarsi una vita di successo e di ricchezza per sé e per i suoi discendenti, ma preferì morire piuttosto che andare contro la sua coscienza e la sua fedeltà alla Chiesa Cattolica.
Thomas More, come i primi martiri della Chiesa, è un obiettore di coscienza. Anche oggi esistono e per fortuna aumentano di numero tra le tante invettive dei media e dell'intellighenzia libertina e progressista. Con tenacia si resiste alle polemiche e alle parole blasfeme, ma, lo possiamo dire, oggi siamo fortunati, non siamo ancora arrivati alla condanna a morte, sebbene vi siano già delle avvisaglie di persecuzione. Il “caso More” è un monito a non cedere, anche di fronte alle ripercussioni più dure: portare avanti la propria battaglia contro l'aborto e l'eutanasia, per esempio, costa in visibilità e nei rapporti personali, ma il premio sarà enorme e non c'è dubbio che il nostro “sacrificio” darà adito ad altri obiettori. La prassi è più forte delle parole e, chi non ha coraggio di mostrare in pubblico le proprie idee, avrà la sicurezza necessaria per farlo con determinazione.
Thomas More ne aveva molto di coraggio, un atteggiamento che nasce da una fede salda e mai cedevole. Questo è il cristiano: un uomo o una donna capaci di testimoniare il Vangelo senza paura.
More aveva tutto, ma decise di lasciare ogni cosa pur di non recare torto alla propria coscienza e vivere di rimorsi.
Nel 1532 Enrico VIII impose ai propri sudditi un giuramento di supremazia del re inglese quale nuovo “capo”  politico e teologico della chiesa anglicana in risposta al rifiuto di Papa Clemente VII di sancire il suo divorzio da Caterina d'Aragona. Il clero fu costretto a sottomettersi alle volontà reali, ma Thomas More, pur essendo laico, protestò e criticò la scelta del re, lasciando il 16 maggio 1532 il suo incarico di Cancelliere. La riforma di Enrico VIII era chiaramente anti-papale e il Lord, fedele cattolico, non poteva prestar giuramento ad un atto “contro coscienza”. La sua fede era più forte delle beghe politiche ma queste finirono per travolgerlo. Thomas fu invitato (non senza minacce) a giurare fedeltà al monarca nell'aprile del 1535. Rifiutò categoricamente e venne imprigionato nella Torre di Londra: nella prigionia More stoicamente continuò il suo lavoro intellettuale, scrivendo senza sosta con il costante conforto dalla figlia Margaret. Non palesò mai il rimpianto di aver perso tutto per restare fedele alla propria “causa” e men che meno dimostrò sofferenza per la sua condizione. Fu allestito un processo che si risolse con una condanna a morte che fu eseguita il 6 luglio 1535. Le testimonianze ricordano la compostezza di Moro nell'accettare da buon funzionario la decisione del re e da buon cristiano la difesa del Vangelo e della Chiesa di Cristo.
Venne canonizzato da Papa Pio XI nel 1935 e riconosciuto “patrono” degli avvocati e degli statisti da San Giovanni Paolo II nel 2000. Fu un atto importante per tutto il mondo cattolico perché si riconobbe la rilevanza della vita e del gesto ultimo del More.  I “principi del foro” cattolici e i politici (veramente cristiani) ogni giorno affrontano la missione di difendere Cristo dai veleni del mondo, come tanti More vessati dalla pubblica società.
 

25 maggio 2016

Istruzioni per l'obiezione alle spese abortive: O.S.A. anche tu!


di Alfredo Incollingo

L'acronimo è O.S.A. e sta per Obiezione alle Spese Abortive. E' la campagna mediatica che la comunità “Papa Giovanni XXIII” di Don Oreste Benzi promuove da venticinque anni contro l'aborto e i finanziamenti statali ad esso riservati (riproposta anche dall'edizione di maggio della rivista Notizie ProVita).
E' possibile ridurre le risorse economiche versate alle cliniche abortive destinando una parte delle imposte statali ad un'associazione pro – life (come Pro Vita o la stessa comunità di Don Benzi): si tratta di un gesto simbolico per dimostrare il proprio dissenso verso chi nega la sacralità della vita.
La proposta di Don Benzi è una delle tante strade economiche battute per negare l'involontario supporto all'aborto; è anche possibile chiedere un rimborso all'Agenzia delle Entrate entro diciotto mesi dal versamento delle imposte come “risarcimento a favore della vita”.
E' comunque ravvisabile la necessità di una legge che possa garantire il diritto all'obiezione fiscale: solo con una raccolta firme e l'elaborazione di una proposta di legge da presentare al parlamento sarà possibile assicurarsi questo diritto. Lo Stato italiano lo nega categoricamente, ma assicura a chiunque la possibilità del libero aborto, finanziando le cliniche che praticano questo gesto a spregio della vita.
L'aborto è difeso e le cliniche che lo praticano sono sostentante dalle risorse statali. Le riforme a favore della famiglia e della maternità sono praticamente assenti e le situazioni più infelici troppo spesso foriere di scelte sbagliate. “Fare figli” è oggi un lusso per pochi, un fatto privato, come assecondare un desiderio. La comunità e lo Stato ne sono estranei quasi come se la generazione non fosse un aspetto fisiologico della nostra società.
Essendo quindi la maternità una “questione per pochi”, portarla a termine nelle condizioni di disagio è problematico: nella maggior parte dei casi è proprio la povertà che spinge migliaia di donne ad abortire. Sono quindi false le voci che fanno dell'aborto un prodotto esclusivo dell'emancipazione femminile: il più delle volte le contingenze economiche pessime (mai alleviate dallo Stato) portano a decidere di porre termine preventivamente alla gravidanza.
L'aborto è una sconfitta per la nostra società. E' il fallimento di una comunità che non sa assicurare il proprio futuro: nel 2014 sono stati praticati in Italia 97.535 aborti, circa 270 al giorno, una mattanza per un Paese con il più basso tasso di ricambio generazionale. Centinaia di migliaia sono poi le vittime della “pillola del giorno dopo”. Non si contano a quanti bambini è stata negata così la vita.
Il danno non è solo per noi. Le ripercussioni peggiori le hanno le madri che devono sopportare l'aborto: le sindromi che gli aborti determinano sono devastanti psicologicamente e non riguardano solo le madri, ma anche i parenti e gli stessi operatori sanitari.
La comunità “Papa Giovanni XXIII” di Don Benzi dal 1992 affianca i poveri e gli emarginati ma anche e soprattuto le madri, offrendo servizi utili affinché queste possano desistere dalle scelte sbagliate: da venticinque anni a questa parte Don Benzi sostiene la campagna per l'obiezione fiscale all'aborto. Tuttavia la giurisprudenza italiana non riconosce ancora questa forma di disobbedienza civile.
L'articolo 415 c.p. (istigazione alla disobbedienza) definisce questa forma di obiezione come un illecito amministrativo di tipo “tributario”, con conseguenze di natura pecuniaria. La criticità è poi aggravata dagli articoli 53 (Dovere dei cittadini di pagare le tasse) e 81 (Approvazione del Bilancio dello Stato quale funzione del Parlamento) che rendono il disobbediente fiscale responsabile dei suoi atti contro lo stato (ma non contro la Legge Divina). E' necessario quindi elaborare una proposta di legge che faccia da corollario a quella già esistente sull'obiezione di coscienza. In questo modo si potrà incisivamente mostrare la propria opposizione alla legge 194 che legalizza un atto d'omicidio, senza dimenticare che l'obiettivo principale è la cancellazione di questa legge infame.
 

30 settembre 2015

Papa Francesco sta con Kim Davis. E fa imbufalire i progressisti


di Giuliano Guzzo

I giornalisti italioti, insuperati maestri nell’occultamento delle parole scomode di Papa Francesco, si sono limitati, laddove lo hanno fatto, a riportarle; ma nessuno s’è azzardato – pur di non tradire la linea – a conferire il minimo rilievo, per esempio con un titolo, alle dichiarazioni del Pontefice argentino sull’obiezione di coscienza rilasciate in aereo dal ritorno dal viaggio americano: peccato. Sì, perché quando a Jorge Mario Bergoglio è stato chiesto della congregazione delle suore che, facendo leva sull’obiezione di coscienza, si oppongono alle direttive sanitarie obamiane, e dei funzionari che negano la licenza tra matrimoni dello stesso sesso – con chiara allusione a Kim Davis, segretaria di Contea del Kentucky, arrestata perché rifiutatasi di rilasciare certificati di matrimonio a coppie omosessuali –, la sua risposta è stata nettamente alle posizioni di costoro.
Eccola: «Io non posso avere in mente tutti i casi che possono esistere. Ma posso dire che l’obiezione di coscienza è un diritto, entra in ogni diritto umano. E’ un diritto. E una persona non permette di fare obiezione di coscienza, nega un diritto. In ogni struttura giudiziaria deve entrare l’obiezione di coscienza, perché è un diritto umano, altrimenti finiamo nella selezione dei diritti: questo è un diritto di qualità, questo no… E’ un diritto umano […]». E i funzionari?, ha immediatamente incalzato l’intervistatore con palese riferimento al caso di Kim Davis:«E’ un diritto umano. Se un funzionario di governo è una persona umana ne ha diritto. E’ un diritto umano», ha ripetuto il Santo Padre. Insomma Papa Francesco, il pontefice delle mille “aperture” e del «chi sono io per giudicare?» sta dalla parte d’una vituperata funzionaria statale che si rifiuta di cooperare alla realizzazione di matrimoni gay.
E’ una notizia, no? Eppure in quasi nessun sito internet italiano la si trova. Invece all’estero – dove i giornalisti evidentemente non vivono con la quotidiana missione, quasi con l’ossessione di far apparire Papa Francesco un amicone del movimento arcobaleno – non l’hanno presa bene. Anzi, a leggere Huffpost Gay Voices, tempio dell’informazione progressista su questi temi, si direbbe che l’hanno presa malissimo. Lo si evince da molti elementi. Anzitutto, dall’enorme spazio dato, su sito, alla notizia; in secondo luogo, dal titolo dell’articolo nel quale si fa il resoconto dell’intervista rilasciata sull’aereo: «Il Papa ha appena dato a Kim Davis una grande vittoria». Un titolo che, converrete, la dice lunga sul mal di pancia che le parole di Francesco sull’obiezione di coscienza, così accuratamente silenziate da noi, hanno procurato in certi ambienti. Il meglio, però, viene dai commenti che si possono leggere sotto l’articolo.
«Francesco è forse la nostra Corte suprema?», si chiede un commentatore, con tono spazientito. «La religione non dovrebbe mai essere rilevante, quando si riveste una carica pubblica. Può funzionare a casa sua, ma non qui», aggiunge un altro, non meno deluso. «Quindi il Papa sostiene anche l’addetto musulmano che non serve alcolici?», si chiede un altro ancora; via di questo passo, in un crescendo di disappunto alla luce del quale non è azzardato supporre che più di qualcuno – dopo che il Pontefice argentino ha ricordato, ripetendolo, che l’obiezione di coscienza è diritto umano – di Papa Bergoglio non voglia più sentir parlare. Così, mentre l’ordine di scuderia di tante redazioni, qui, rimane quello di evidenziare solo alcune parole del Santo Padre – non si spiegherebbe, altrimenti, la scarsa visibilità riservata a quelle sull’obiezione di coscienza, che altrove, come si è visto, hanno fatto chiasso -, oltreoceano stanno capendo la differenza fra il Papa dei media, pronto a dire sì a tutto, e quello vero, un tantino diverso.


 

29 aprile 2015

Obiezione di coscienza: perché la attaccano, perché va difesa


di Giuliano Guzzo

E’ possibile riflettere sull’obiezione di coscienza – apprezzandone, se possibile, di più valore e significato – alla luce degli attacchi che oggi subisce? Direi che ragionare insieme a partire dalle pesanti critiche cui sono sottoposti oggi gli obiettori di coscienza – accusati con la loro condotta di ostacolare non solo il funzionamento del sistema sanitario, ma anche il libero esercizio di diritti altrui – più che possibile o opportuno, sia decisamente utile perché ci consente di affrontare e di riscoprire un argomento sotto un’angolatura nuova anche se non alternativa bensì, potremmo osservare, complementare a quelle – pur rilevanti – del diritto, della filosofia o della medicina stessa; è l’angolatura della cronaca, dell’attualità [1].
Partiamo allora dal contesto attuale con una domanda: perché tanto, sistematico accanimento contro gli obiettori di coscienza? Perché alcuni sono letteralmente terrorizzati dall’idea che all’ospedale X o all’ospedale Y il nuovo primario di ostetricia possa essere obiettore? Come mai il Presidente Obama ha sistematicamente, e non da oggi, nel proprio mirino le associazioni cattoliche per il solo fatto che non permettono l’aborto e condannano la contraccezione [2] mentre, da noi, delle Regioni son giunte ad approvare, spingendosi oltre il confine della legittimità, specifici decreti anti-obiettori e si segnalano, non da oggi, «ospedali che indicono concorsi riservandoli a medici non obiettori» [3]? La politica non ha forse, tanto più oggi, ben altre priorità? E, soprattutto, cosa compiono mai di così incivile e scandaloso i medici e i farmacisti che fanno appello ad un diritto, peraltro espressamente previsto dalle leggi, per sollevare tanta polemica? Sappiamo dalle relazioni ufficiali che – contrariamente a quanto spesso si sente – non c’è, almeno in Italia, eccessivo carico di lavoro per i ginecologi non obiettori [4]: la media nazionale è 1,4 IVG a settimana [5].
Misurarsi con questo primo interrogativo così attuale è dunque utile perché consente di comprendere come non sia tanto l’obiettore in quanto medico e professionista – né la diffusione di medici obiettori – a generare chissà quali inquietudini: è invece l’obiezione di coscienza, come gesto fortemente fondato su dei valori, ad infastidire.
  • Più precisamente, il rifiuto dell’obiettore è ritenuto inaccettabile perché fa appello alla verità morale, perché dimostra cioè che, anche se non si direbbe, il relativismo etico [6] non ha vinto, che c’è ancora – nell’epoca narcotizzante del parzialmente accettabile o del parzialmente sconveniente, a seconda dei punti di vista – qualcosa di totalmente giusto per il quale c’è chi è pronto non soltanto a spendersi, ma pure a sottrarsi a doveri altrimenti inderogabili e fissati per legge; il Comitato Nazionale di Bioetica, nel luglio 2012, ha in proposito sottolineato che l’obiezione di coscienza è preziosa dal momento che, fra le altre cose, «preserva il carattere problematico delle questioni inerenti alla tutela dei diritti fondamentali» [7]. Orbene, siffatta sopravvivenza «del carattere problematico delle questioni inerenti alla tutela dei diritti fondamentali», che potremmo spingerci a definire “sopravvivenza della verità” – se così possiamo chiamarla – in quanto scritta nel cuore dell’uomo, per la cultura dominante, è già una prima ragione di forte ostilità. Una cultura che non crede alla verità e che fa di tutto per negarne l’esistenza si vede infatti concretamente contraddetta dell’obiezione di coscienza e da coloro che vi fanno ricorso rammentando l’esistenza di valori che l’ordinamento giuridico può appoggiare meno, proteggere o avversare, ma certamente né istituire né abrogare dal momento che «si radicano nella legge morale naturale» [8]. In questo senso ricordiamo che l’obiezione di coscienza presenta, in quanto tale, un carattere immodificabile che dà doppiamente fastidio, tanto più se è illegale divenendo più «genuina» e «dotata di maggior forza testimoniale» [9].
  • Ci nasconderemmo tuttavia dietro ad un dito se omettessimo di evidenziare come non tutte le possibili forme di obiezione di coscienza [10] risultino contrastate, e come ve ne siano anzi diverse – si pensi a quella al servizio militare o a quella legata alla sperimentazione sugli animali – che nessuno, tanto meno oggi, si permetterebbe di criticare; né si segnalo, in effetti, particolari iniziative politiche in questo senso. Questo è molto importante perché “ci dice” che non solo non è l’obiettore in sé a scandalizzare, ma non è neppure, a ben vedere, l’obiezione di coscienza intesa in senso lato a farlo, ma solo quella che osa il proibito: ricordare che sin dal concepimento si è a tutti gli effetti in presenza di un essere umano, unico e irripetibile, e che ucciderlo significherebbe fare il male. La nostra è una società che tollera ogni opinione ed ogni insulto, specie se presentato come satira, ma che non vuol più sentirsi dire quello che già Socrate, millenni fa, con grande chiarezza sosteneva: «Essi potrebbero bene uccidermi, mandarmi in esilio, privarmi dei diritti politici, reputando tali cose, i più grandi mali; ma io non li reputo tali. Per me male è fare quello che fa costui: tentare di uccidere ingiustamente un uomo» [11]. Per questo l’obiezione di coscienza prevista dalla Legge 194 sull’aborto (art.9), e pure – anche se molti, persino nel mondo cattolico, puntualmente lo dimenticano – dalla Legge 40 sulla fecondazione extracorporea (art. 16), è scomoda: perché ricorda a tutti quale davvero sia il più grande dei mali;
  • Siamo a questo punto nella condizione di comprendere, procedendo ulteriormente, la vera ragione per cui quanti non eseguono aborti né accettano di prestarvi alcuna cooperazione formale o cooperazione materiale [12] danno enormemente fastidio e per cui la cultura che controlla i media fa di tutto, con ostinazione potremmo dire quotidiana, per presentare gli obiettori di coscienza come dei professionisti poco seri, degli inadempienti, quasi dei vigliacchi: perché costoro, gli obiettori di coscienza, testimoniano ciascuno non solo un’idea di giustizia, ma un’idea decisamente forte di giustizia – un'idea di giustizia non negoziabile e che, come abbiamo in estrema sintesi ricordato, anticipa la leggi ed arriva ad ergersi perfino oltre l’ordinamento giuridico, qualora l’obiezione di coscienza non fosse consentita – e denunciano l’abisso del suo esatto contrario. Perché finché rimarrà anche un solo obiettore, uno soltanto, la coscienza collettiva non potrà assopirsi né convincersi, decretando così la vittoria del Pensiero Unico, del fatto che la soppressione di un figlio, a certe condizioni, sia il male minore o addirittura il suo bene, come l’abortismo più spudorato tutt’ora afferma. L’obiezione di coscienza è dunque molto più, per così dire, di un’opzione cattolica o di un semplice diritto esercitabile da alcuni cittadini: è garanzia affinché quello dei bimbi non nati o vittime dell’aborto – i «più poveri dei poveri» [13] li chiama Madre Teresa (1910-1997), che di poveri se ne intendeva – non sia dimenticato.
Ma l’obiezione di coscienza – per la sua forza ed il suo peso – è anche, ricollegandoci a quanto detto poc’anzi, un’occasione per riscoprire il valore e l’identità della coscienza.
Oggi si registra infatti, fra le altre cose, una certa difficoltà per quanto riguarda la definizione del concetto di coscienza. Una difficoltà dovuta certamente al generale caos che sembra dominare, fra agli altri, il terreno della cultura e quindi anche della bioetica, ma anche dal fatto – osservato fra gli altri, da Ratzinger [14] – che vi sono differenti concezioni su che cosa sia la coscienza; di queste tre, su tutte, risultano prevalenti:
  • Alcuni dicono che la coscienza sia l’espressione della soggettività; sarebbe l’individuo, cioè, a “fondare” l’obiezione di coscienza. Ma è una concezione limitata: cosa fonda il diritto individuale alla soggettività? Chi lo stabilisce? Il desiderio e il diritto individuale sembrano non bastare, per così dire, a fondare se stesso.
  • Altri dicono che la coscienza sia “la voce di Dio” nell’uomo: a parte il problema della fede, non da tutti condivisa, è una concezione problematica perché le azioni opposte – alcune buone, altre decisamente malvage – compiute dagli uomini dovrebbero portarci a credere che non tutti gli uomini hanno una coscienza o che Dio a volte parla altre tace: ma se tace, se in qualche modo si rende assente e lontano, ininfluente potremmo dire, che Dio sarebbe?
  • Altri ancora pensano che la coscienza sia in definitiva l’interiorizzazione dei valori altrui, una sorta cioè di «introiezione del super io sociale» [15]: ma se le cose stessero realmente in questi termini, allora la coscienza sarebbe qualcosa di cui liberarsi, una sorta di macroscopica ed intima ingerenza e forma di controllo. E questo non è possibile.
Più corretto, allora, appare considerare e pensare, alla stregua di vari pensatori – da Ratzinger [16] a Robert Spaemann [17] -, la coscienza come un organo. Un organo che tutti possiedono ma che può sbagliare, che deve essere quindi educato e fatto crescere, orientato verso la verità morale. In particolare Spaemann fa l’esempio della parola: perché parliamo? Perché abbiamo imparato dai nostri genitori i quali – è vero – ci hanno trasmesso una particolare lingua, la loro, ma non il linguaggio come capacità che, in quanto esseri umani, abbiamo scritta dentro di noi. La coscienza può allora essere paragonata al linguaggio: ad una capacità che abbiamo ma per esercitare la quale dobbiamo imparare. E credo che in questo gli obbiettori di coscienza, che orientano la loro coscienza verso il bene evitando di fare il male, siano degli ottimi insegnanti dell’orizzonte verso il quale la coscienza deve formarsi per parlare la lingua migliore. Per questo dobbiamo essere doppiamente grati agli obbiettori di coscienza perché, essendo testimoni della giustizia, risultano a pieno titolo insegnanti della verità e, soprattutto, educatori della coscienza; e di ciò la nostra società – e noi tutti – siamo profondamente riconoscenti.
«Un uomo – ha scritto Tolkien (1892-1973) – è allo stesso tempo un seme e, per certi versi, un giardiniere, nel bene e nel male» [18]. Grazie agli obiettori di coscienza per gli ottimi giardinieri che sono e continuano ad essere.

(Intervento tenuto a Firenze venerdì 17 aprile 2015, ore 17:00, presso il Dipartimento di Giurisprudenza, Polo di Scienze Sociali) in occasione del seminario “Obiezione di coscienza. Nulla da obiettare?”)

Note: [1] Parte delle considerazioni presenti in questa relazione sono già state pubblicate in. Guzzo G. Chi ha paura dell’obiettore?, «La Croce», 26/2/2015, p.3; [2] Frigerio B. Obama violenta l’obiezione di coscienza dei cattolici su aborto, condom e matrimonio gay, «Tempi.it»: 18/2/2012; [3] Polito P. (intervistato in) Venditti R. Le ragioni dell’obiezione di coscienza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986, p.51; [4] «Il numero di non obiettori è congruo rispetto alle IVG effettuate, e il numero degli obiettori di coscienza non impedisce ai non obiettori di svolgere anche altre attività oltre le IVG»: “Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della Legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (Legge 194/’78): 15 ottobre 2014; 1-50: p.7; [5] Ibidem, p.46; [6] Per relativismo etico s’intende, in estrema sintesi, quella una corrente di pensiero contemporaneo che sostiene l’equivalenza di concezioni etiche differenti fra loro così asserendo, di fatto, l’assenza della verità; ma lo stesso sostenere l’assenza di verità, a ben vedere, presuppone una concezione di che cosa sia vero e cosa non lo sia, autocontraddicendo così il proposito, tipico di una impostazione relativista, di evitare qualsivoglia formulazione definitiva: cfr. Vigna C. Relativismo ontologico e relativismo etico in Di Ceglie R. (a cura di), Pluralismo contro relativismo, Ares, Milano 2004, p. 135; [7] AA.VV. Obiezione di coscienza e bioetica, «Comitato nazionale di bioetica»: 30.7.2012;1-39: p.4; [8] Mele V. – Morgani A.R. L’obiezione di coscienza sanitaria in generale in Sgreccia E. – Spagnolo A.G. – Di Pietro M. L. Bioetica. Manuale per i Diplomi Universitari della Sanità, Vita&Pensiero, Milano 2002, p. 241; [9] Lombardi Vallauri L. Bioetica, potere, diritto in AA.VV. Obiezione di coscienza sanitaria. Un dovere verso l’uomo [Atti del I Convegno nazionale, Torino, 26-27 Novembre 1983 – Fondamenti dell’obiezione ed esperienza] Fratelli Palombi Editori, Roma 1984, p. 39; [10] Possiamo in sintesi ricordare come, solo considerando l’ordinamento italiano, esistano: l’obiezione di coscienza al servizio militare; l’obiezione agli interventi di interruzione della gravidanza; l’obiezione legata alla sperimentazione su animali; l’obiezione del lavoratore «rifiutare per motivi di coscienza l’adempimento della prestazione alla quale è obbligato per contratto» (Invero, in senso contrario, nel senso, cioè, dell’inesistenza di un simile diritto, tra i rari pronunciati, v. Trib. Milano 12.1.1983. Il caso è tratto da Onida F. L’obiezione di coscienza nelle prestazioni lavorative in AA.VV. Rapporti di lavoro e fattore religioso, Jovene, Napoli 1988, p.227 e ss.); l’obiezione dei Testimoni di Geova che rifiutano emotrasfusioni; l’obiezione dell’Avvocato divorzista o del Giudice «della famiglia», che crede nell’indissolubilità del sacro vincolo matrimoniale; l’obiezione del farmacista contrario alle pillole abortive; l’obiezione di coscienza, prevista dalla legge 40, dinnanzi alla fecondazione artificiale; l’obiezione di coscienza con riferimento alle vaccinazioni obbligatorie; l’obiezione di carattere fiscale; la cd. “obiezione fiscale”; [11] Socrate in Platone, Apologia di Socrate, XVIII; [12] La “cooperazione formale” si verifica quando l’intenzione del soggetto cooperante è la medesima dell’agente principale; condividere lo stesso obiettivo non significa necessariamente desiderarlo. Un’infermiera che assiste un medico impegnato a compiere un atto eutanasico su di un paziente sta cooperando formalmente all’eutanasia stessa. La “cooperazione materiale” si verifica invece quando si coopera a un’azione malvagia senza condividere l’obiettivo dell’agente principale. Tuttavia, noi siamo moralmente responsabili non solo per ciò che intendiamo fare direttamente, ma anche per le conseguenze prevedibili delle nostre scelte; [13] Madre Teresa cit. in Liverani P.G. Dateli a me. Madre Teresa e l’impegno per la vita, Città Nuova, Roma 2003 p. 138; [14] Cfr. Ratzinger J. L’Elogio della coscienza. La verità interroga il cuore, Cantagalli 2009, pp. 154-160; [15] Piana G. (2002) La coscienza nell’attuale contesto culturale, «Credere Oggi»; Vol.128(2):5-14: p.8; [16] Cfr. Ratzinger J. L’Elogio della coscienza. La verità interroga il cuore. [17] Cfr. Spaemann R. Moralische Grundbegriffe, Beck, München 1982, p.81; [18] Tolkien J.R.R. La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, Bompiani, Milano 2001, p.289.

http://giulianoguzzo.com/2015/04/20/obiezione-di-coscienza-perche-la-attaccano-perche-va-difesa/
 

05 luglio 2014

Vita e morte a duello

di Giuliano Guzzo

Chi pensava che la bioetica sarebbe rimasta disciplina meramente accademica e per pochi, magari confinata in qualche isolato comitato di esperti, ha continua dimostrazione di come la realtà, con le continue sfide che propone, vada in senso del tutto opposto: dalla battaglia contro l’obiezione di coscienza (si pensi a quanto accade nel Lazio) a quella per la promozione della contraccezione, dalla volontà di rendere più accessibile l’aborto alla previsione della fecondazione extracorporea in tutte le sue varianti (si pensi al divieto dell’eterologa, dichiarato incostituzionale), è continuo moltiplicarsi di fronti uno più urgente dell’altro per chiunque abbia a cuore le sorti di un’umanità sempre più individualista e sedotta da tentazioni prometeiche, incurante di «che cosa sia in effetti il valore della vita» [1].
 

12 marzo 2014

E dopo un colpo, sparagli ancora. Gli abortisti contro l'obiezione di coscienza

di Ilaria Pisa

Dopo più di tre anni dall'episodio, una giovane donna denuncia e racconta di come si sia trovata in condizioni drammatiche e precarie ad abortire il figlio malato, priva dell'assistenza medica necessaria in quanto tutti i sanitari in servizio al momento erano obiettori (qui la sua storia in forma di intervista).
 

23 settembre 2013

In morte di sorella medicina

di Marco Gabrielli

Si sta aprendo un nuovo fronte per quelle persone, cattolici e no, che si battono per valori quali la libertà e per principi quali la vita. Oltre alle battaglie quali quelle su omofobia o eutanasia sta per essere combattuta una nuova. Questa “chiamata alle armi” è circoscritta ai medici; il campo di battaglia è il nuovo Codice di Deontologia Medica: la Commissione deontologica della FNOMCeO (Federezione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri) sta infatti lavorando ad una revisione del Codice in vigore dal 2006. Un lavoro di aggiornamento che sembra essersi reso necessario a causa dei cambiamenti avvenuti a livello sociale.
 

17 settembre 2013

La Relazione sulla 194, fra criticità e omissioni

di Giuliano Guzzo

E’ nuova, ma del tutto simile alle precedenti: tanti numeri e poca riflessione. Le 44 pagine dell’ultima Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della Legge 194  hanno infatti tutta l’aria di un dossier – senza offesa per il Ministro Lorenzin – stilato con una certa superficialità e che, come se non bastasse, ancor più superficialmente viene presentato da stampa e televisione. Ma andiamo con ordine, a partire dal dato centrale di questa come di parecchie Relazioni sull’attuazione della Legge 194 da anni a questa parte: il calo del numero degli aborti, che nel 2012 sono stati 105.968, con una riduzione del 4,9% rispetto al 2011 (111.415).Tutto bene dunque? Non proprio, e per diverse ragioni che meritano, sia pure brevemente, di essere prese in esame.
 

18 gennaio 2013

Obiezione, Vostro Onore! La Corte di Strasburgo, la coscienza e il diritto naturale

di Ilaria Pisa

Il 15 gennaio la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha depositato l’attesa pronuncia su quattro ricorsi contro la Gran Bretagna, aventi a comune oggetto il riferimento normativo agli artt. 9 e 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che disciplinano rispettivamente la libertà di pensiero, coscienza e religione e il divieto di ingiuste discriminazioni. Un altro elemento comune è che tutti i ricorrenti sono Cristiani praticanti.
 

05 novembre 2012

Le nozze gay e i soliti olandesi

di Libero Favella

Quando nel milieu cattolico si accenna all'Olanda, in genere si tende ad arricciare il naso. Ricordo il dialogo con un prete ruwandese, che una volta mi disse: 'eh, beh, ma che vuoi farci, gli olandesi sono tutti eretici: prendi ad esempio il Catechismo olandese'.
 

13 settembre 2012

Benvenuti a Jesi, dove non ci sono medici abortisti


di Federico Catani

Chi mi conosce sa che con la mia città natale ho un rapporto leopardiano di amore e odio. Tuttavia, quando c’è una buona notizia bisogna darla. Ebbene, nella mia Jesi, cittadina di 40mila abitanti situata in provincia di Ancona, è successo un fatto che ha dell’incredibile.