Negli ultimi decenni, c’è stata una riscoperta del medioevo. In questo caso, per essere onesti, si deve la riscoperta all’industria culturale, che ha promosso questo periodo grazie a testi o programmi che ne hanno favorito una certa riabilitazione. Pensiamo a Il Signore degli Anelli, come esempio e ai films di enorme successo che ne sono conseguiti. Ma anche Games of Thrones, serie TV di straordinaria diffusione. Insomma, le atmosfere medioevali sono tornate ad essere accettabili anche per un pubblico di non specialisti. Questo è un bene, quando si considera che per secoli il medioevo è stato considerato molto negativamente, proprio perché visto come il periodo del trionfo della Cristianità che aveva Dio al centro da contrapporre ad un neopaganesimo che metteva l’uomo al centro: dal culto di Dio al culto dell’uomo. E naturalmente l’epoca moderna e contemporanea si designa proprio per questa battaglia tremenda.
Ma oggi assistiamo ad una riscoperta. Eppure l’etichetta negativa è dura da cancellare, come osserva Antonio Giuliano su Avvenire: “ Basta oggi sbirciare la cronaca per riscontrare come 'medievale' sia tra gli aggettivi più gettonati per denigrare qualcuno ”. Proprio così, medievale (o medioevale) vengono spesso usati, specie nella stampa mainstream, come sinonimo di “arretrato, rozzo, barabarico”. Fu in realtà epoca di grandi invenzioni e scoperte, come ci dice Rino Cammilleri su Il Giornale: “ Non c'è bisogno (per chi si informa) di richiamare qui quel che è ormai assodato: l'Europa medievale inventò le università, il mercato, la democrazia rappresentativa e prese sul serio giocattoli cinesi come la bussola e la polvere da sparo. Ma l'elenco sarebbe lungo. Basti solo pensare al cambiamento epocale apportato dall'orologio meccanico e quanto debba la civiltà moderna alla conseguente razionalizzazione del tempo. L'editore D'Ettoris ha pubblicato un libro che supera tutti gli altri sull'argomento, un testo eccezionale che, con linguaggio divulgativo e un tocco di humour, spiega come la «rivoluzione scientifica» del XVII secolo sia una balla, perché Copernico, Keplero, Galileo e Newton nulla avrebbero potuto escogitare se non avessero avuto alle spalle secoli di scoperte e acquisizioni. I secoli, appunto, medievali. James Hannam (fisico e filosofo della scienza di Cambridge) in La genesi della scienza. Come il Medioevo cristiano ha posto le basi della scienza moderna (pagg. 496, euro 26,90) ci informa innanzitutto che il termine «scienziato» nacque nel 1833 alla British Association for the Advancement of Science: «Quel vocabolo fu coniato solo nel 1833 perché prima di allora nessuno ne aveva avvertito la necessità. Solo nel secolo XIX la scienza era diventata una disciplina autonoma, separata totalmente dalla filosofia e dalla teologia. È vero: la scienza era arrivata così lontano grazie a una particolare concezione di Dio e della creazione; ma, ora, si era così affermata da non averne più bisogno» “. Insomma, proprio quella scienza sempre portata come alternativa alla “barbarie medioevale”, in realtà non sarebbe esistita come la conosciamo senza il medioevo.
Penso che l’osservazione di Elémire Zolla ne Gli arcani del potere possa essere utile al nostro discorso: “ Fino alle soglie del mondo moderno, tutto acquistava senso, dai commerci alle arti nella misura in cui agevolasse l’attenzione a ciò che nella realtà è immutevole “. Questa tensione fra realtà mutevole e realtà perenne connotava il grande medioevo, ed era anche una tensione che si risolveva nel rapporto fra monaco e cavaliere. Anzi potremmo dire che monaco e cavaliere erano in fondo la stessa faccia della stessa persona. Il monaco aveva in definitiva lo spirito guerriero e pronto all’azione del cavaliere, che a sua volta sapeva che per avere successo doveva adottare l’atteggiamento del monaco che dall’azione sapeva passare alla contemplazione. Tutto ciò verrà in parte abbandonato nel Rinascimento. Domenico Bonvegna ( destra.it) così descrive questa dinamica: “L’uomo ideale del medioevo, il cavaliere, il monaco, il santo, nel cosiddetto Rinascimento è sostituito dalla figura dell’homo divus. Quest’uomo è quello che si afferma in un campo, da quello artistico a quello pericoloso del mestiere delle armi, come il condottiero di ventura, esempio illustre il Gattamelata (1370-1443), ma anche Francesco Sforza, Giovanni dalle Bande Nere. Con il Rinascimento, soprattutto la cultura intellettuale diventa sempre più laica e profana, anche se quella popolare rimane ancorata alla religiosità medievale. In pratica l’uomo rinascimentale si libera dall’abbraccio misericordioso di Dio, così ben descritto da Ildegarda di Bingen, per collocarsi al centro dello spazio e della realtà come l’uomo vitruviano. “L’uomo rinascimentale è tornato solo, vive per se stesso, ha perso la dimensione comunitaria”. Pertanto se Dante, nella sua libertà, si affidava a Qualcuno, nell’Orlando furioso, -scrive Fighera – vi sono tanti uomini soli che hanno perso di vista l’ideale e che sono sballottati dalla sorte e dalle passioni ‘di qua di là di su di giù’, come i lussuriosi dell’inferno dantesco”“.
Dicevamo della capacità dell’uomo medioevale, monaco e cavaliere, di saper orientare tutto al soprannaturale, compresa la musica, come rivela Giacomo Baroffio in Re-tractationes (Chorabooks 2018): “ Il canto nella liturgia non è esibizione di particolari doti compositive né palestra di virtuosismi vocali: è semplicemente rivelazione di un incontro tra D-i-o e l’uomo, tra la Parola e il cuore in ascolto. Paradossalmente la musica nella liturgia è tanto più vera, quanto maggiore è la sua abilità a scomparire totalmente dalla scena, quanto più essa lascia trasparire la Parola di D-i-o rivelandone significati reconditi altrimenti inaccessibili. La stessa Parola di D-i-o -ad esempio, il Padre nostro -ha risonanze differenti condizionate, e parimenti liberate, dalle diverse situazioni in cui tale Parola risuona: a Natale dice cose proprie del Natale che non si percepiscono a Pasqua. L’anno liturgico crea una condizione d’ascolto in continua modificazione che esige, di conseguenza, una disponibilità del cuore in ascolto conforme alla lunghezza d’onda del tempo che si vive, con determinate sottolineature spirituali, emotive e razionali quali la liturgia e la vita sociale suggeriscono di volta in volta “.
Questa abilità di dare in senso sacro a tutto la troviamo anche analizzata in Plinio Corrêa de Oliveira, quando ci parla della differenza fra sacro e sacrale. Lo stesso autore ha anche delle belle meditazioni su cosa sia un cavaliere cristiano. Sarà necessario tornare a contemplare questa visione.
Pubblicato il 28 dicembre 2018
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