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14 ottobre 2017

Buone notizie. Il Vescovo di Reggio Emilia ha celebrato il Rito Romano Classico

di Francesco Filipazzi
Ogni tanto arriva qualche buona notizia, in questo plumbeo periodo ecclesiastico. Il vescovo di Reggio Emilia, monsignor Camisasca, invitato da un gruppo di fedeli della diocesi, ha celebrato una messa prelatizia in occasione del 13 ottobre, anniversario del Miracolo del Sole di Fatima. Questo gesto è molto importante, perché può essere un invito ai confratelli nell'episcopato ad abbandonare la chiusura verso il Rito Romano Classico e a non combattere più la loro insulsa battaglia contro il Messale di San Pio V e il latino.

Mons. Camisasca ha infatti dimostrato che si può celebrare una messa prelatizia, che è la messa letta celebrata da un vescovo e regolata da un cerimoniale ben preciso, senza conseguenze nefaste. Ci risulta che il Camisasca non abbia risentito della celebrazione e anzi sia in splendida forma. Non si sono aperte voragini nel terreno e non sono caduti meteoriti. La chiesa era inoltre piena di gente, probabilmente molto felice di potersi rivolgere "ad altare Dei" assieme al proprio Vescovo. Va dato atto al gruppo che ha mandato l'invito di aver compiuto un gesto importante, dimostrando di non volersi rinchiudere in un ghetto ma di volersi inserire pienamente nella vita della diocesi.

La messa prelatizia del Rito Romano Classico è molto piacevole e può, anzi deve, essere proposta ai vescovi con maggiore frequenza, cercando persone illuminate dall'amore della liturgia, come mons. Camisasca, che accettino l'invito e tentino di riportare un po' di riconciliazione nel mondo cattolico. Per avere i successori degli Apostoli fra noi, nei gruppi stabili e nelle comunità amanti della liturgia eterna non serve per forza un pontificale, ma c'è questa bella opzione. L'invito che facciamo in questo caso è, udite udite, quello di costruire ponti e non muri, andando incontro ai nostri vescovi.
Non si sa mai che ne esca qualcosa di buono.


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29 gennaio 2015

Le Forme del sacro (II parte)


di don Maur

Il rito romano nella forma straordinaria

Il terzo capitolo presenta “Il rito romano nella forma straordinaria”. Le suggestioni teatrali e le coordinate liturgico-performative delle due sezioni precedenti sono ora applicate alla FE. Dapprima vengono spiegate le tappe storiche cha anno portato con San Pio V al consolidamento del messale tridentino, particolarmente la necessità di restaurare la ritualità tradizionale offuscata dalle ampollosità medievali occorse, e quella di ribadire e rinforzare il carattere della Messa quale Sacrificio in opposizione ai riduzionismi luterani. Segue l’analisi drammaturgica dell’ordo Missae che coincide con l’illustrazione ragionata delle principali parti del rito. Non voglio seguirla nei suoi particolari, la cui finezza potrete gustare da voi stessi nelle agili pagine dedicate al tema. Noto solo essere una scelta felice, da un punto di vista euristico, lo sguardo di simpatia e benevolenza con cui l’autore considera gli usi tradizionali fin nei loro dettagli, il che permette di ricostruire senza irrisione il senso e l’apprezzabilità delle diverse componenti affrontate: il valore della lingua latina, la modulazione di tonalità nel recitativo del sacerdote, la costitutività rituale del silenzio (oggi perduta, come diremo), la studiata normatività del canto, l’accortezza spirituale e rituale riflessa fin nella tipografia dei messali, l’orientamento spaziale dell’altare e lo slancio sacrale del presbiterio (balaustre, gradinate, solennità); la valorizzazione della corporeità nella preghiera fisica, l’importanza della fissità gestuale contro ogni indebito spontaneismo.
Su tutto viene messo in luce, a mo’ di ricetta vincente, il ben difeso tripode “intenzione, attenzione e azione”, la FE infatti «conserva la più importante proprietà del ritus che è quella di operare una trasformazione sulla realtà», possibile proprio perché «la liturgia antica è dominata dalla azione, dal gesto, dal corpo, dal movimento...». A questa riflessione sulle componenti drammaturgicamente connotanti del rito segue una presentazione sintetica e schematica dell’ordo liturgico, propriamente didattica ed utile a chi non ne conoscesse la scansione precisa. Martinelli da ultimo indica i limiti della liturgia tradizionale insorti da Trento in qua, e li individua nell’accumularsi di influssi dell’umanesimo (latore di un entusiasmo ingenuo per l'antico), del protestantesimo (che accentua l’intimismo amorfo), dell’illuminismo (fautore di un razionalismo logocentrico deleterio per le dimensioni dell’emotivo e del corporale); ad essi vanno assommate una eccessiva rigidità e fissità, caratteri spuri per la liturgia, dipesi da un controllo rigido da parte delle gerarchie attuato senza sufficiente formazione e aggiornamento, sì da ridurre nei secoli la stessa scienza liturgica a mera compilazione e studio di rubriche; infine si denuncia la decadenza di una liturgia ormai incrostata dai principali difetti del ritualismo moderno (molti dei quali curiosamente corrispondenti alle brutture di tante celebrazioni contemporanee): razionalismo, confusione, logocentrismo, cattivo gusto, trascuratezza. Sul terminare del capitolo l’autore non manca poi di tratteggiare la difesa della participatio liturgica rettamente intesa, per la quale il fedele “più che capire, vuole anzitutto vivere un’esperienza spirituale”; indicazione significativa e felice punto di raccordo su cui FE e FO dovrebbero convergere sempre. 

Il rito romano nella forma ordinaria

Il capitolo quarto riprende, pressoché in parallelo col precedente, le tematiche e le analisi fin qui svolte, applicandole questa volta al “Rito romano nella forma ordinaria”. Echeggiano in apertura le importanti considerazioni dell’ancora card. Montini: «tutto sembra cospirare a rendere difficile l’intelligenza della liturgia, specialmente all’uomo moderno abituato a ridurre ogni sua cosa ad un’estrema intelligenza e credere di capire una verità quando ha potuto figurarla in un’immagine sensibile, in una figura geometrica, in uno schema intuitivo». Le ragioni del rinnovamento sono così riportate da un lato all’influsso del nuovo ordine mondiale «che ha plasmato una nuova coscienza umana consacrando definitivamente la centralità dell’uomo con le sue libertà ed i suoi diritti», dall’altro alla volontà della Chiesa di fornire col nuovo ordo Missae «maggior spazio alle spiegazioni teologiche e spirituali come fossero una sorta di iniziazione teologica, biblica e pastorale, limitando il più possibile le regole cerimoniali». La ricognizione storica però, a fronte di nobili intenti, deve ammettere che la riforma non si è «mai conclusa definitivamente» ed è pure rimasta in scacco di una articolata ed ambigua dialettica tra intenti conciliari e comitati post-conciliari. L’osservazione forse più acuta e pungente in merito alla genesi storica della FO è dello studioso Ratzinger, il quale nota come «al posto di una liturgia frutto di uno sviluppo continuo è stata messa una liturgia fabbricata», sì da avere un cerimoniale creato, non generato. L’accentuazione della dimensione sociologica, simposiale ed orizzontale è ricostruita dalle stesse dichiarazioni di Paolo VI. In sintesi la FO insiste sulla Messa come luogo di istruzione, memoria dell’ultima cena, realizzazione di una comunione fraterna, il che spiega il consequenziale ridimensionamento di «tutte quelle preghiere che esprimono l’indegnità dinanzi al mistero che si celebra» o anche il prevalere del «carattere di lode e ringraziamento mentre viene ridimensionato l’aspetto propiziatorio e impetratorio». Si innesta qui l’analisi drammaturgica – invero poco generosa - cui non sfugge anzitutto l’eliminazione del punto fermo che separa la parte narrativa dalla parte sacramentale, e annota la nuova gestualità sacerdotale fatta di «gesti minimi e sobri adatti al memoriale», ove le stesse «rubriche non richiamano più i movimenti di Gesù e non indicano una mutazione gestuale e tonale fra narrazione ed azione». La volontà di coinvolgere i fedeli sul piano razionale, mentale, intellettivo è ulteriormente confermata dalle parole del beato pontefice bresciano: «vale di più l’intelligenza della preghiera, che non le vesti seriche e vetuste di cui essa s’è regalmente rivestita; vale di più la partecipazione del popolo, di questo popolo moderno saturo di parola chiara, intelligibile, traducibile nella sua conversazione profana». In questo modo la FO compie quasi programmaticamente «il passaggio da una chiarezza dei testi delle orazioni ad un loro sostanziale impoverimento» e più in generale «porta tutto allo scoperto, aggirando il senso del mistero e riducendo il senso del sacro» con l’esito paradossale di una «nuova forma di clericalismo» imposta dall’ingombrante «giovialità e la familiarità del celebrante con la congregazione» (Von Balthasar).
Andando ad esaminare le singole componenti dell’azione rituale registriamo una «sovraesposizione fonetica, nella loquacità impropria dei sacerdoti e dei commentatori» (difetto già emerso nelle fasi decadenti della FE), nella marginalizzazione del silenzio che non è più «parte integrante dell’accadere della celebrazione, ma piuttosto una pausa» al punto che «l’unico momento in cui il silenzio riveste un ruolo fondamentale è al momento dell’elevazione delle specie transustanziate, tuttavia l’acclamazione dei fedeli dopo il Mistero della fede si presenta come un elemento di forte discontinuità». Caoticità, allegria superficiale, disturbo, superficialità, auto-compiacimento, ambiguità sono gli ulteriori caratteri spesso suggeriti e favoriti dalle novità della musica (invadente, profana), dello spazio (circolare, appianato, spettacolarizzato), dei gesti (tra censure di antiche prassi e insignificanza delle nuove), dalla penuria di attenzioni riservate alle specie eucaristiche. A fronte di ciò Martinelli riporta la dura provocazione di Artaud, maestro del “Teatro delle crudeltà”, «un teatro che subordini la regia e lo spettacolo al testo è un teatro di idioti, di pazzi, di inveriti, di occidentali», e chiosa con una osservazione piana: «le performance rituali proprie della tradizione cristiana possono apparire minimal, tuttavia ogni gesto, ogni azione, ogni movimento necessitano di essere recuperati ed eseguiti con la massima cura, perché se messi in atto tutti insieme con serietà e precisione risultano altamente efficaci». Conclusa la disamina drammaturgica, segue anche in questo caso l’elencazione schematica delle singole parti del rito. A conclusione di capitolo vengono quindi presentati i limiti della FO, si tratta di giudizi tanto onesti e rispettosi, quanto severi, in cui viene sottolineata la dialettica teatro-massmedia, dromenon-legomenon, azione-narrazione, comprensione-intelligibilità, emozione-mente, esoterico-essoterico quale importante cifra ermeneutica della riforma avvenuta, tale da portarci a dichiarare che «il rituale cristiano ha subito una cattiva sorte» divenendo «un fatto cognitivistico che avrebbe dovuto essere immediatamente funzionale alla pastorale». E’ il trionfo dell’illuminismo de facto, come sottolineato da un lucido card. Martini: «tutto si era razionalizzato, codificato… regolato dalle leggi della psicologia, della comunicazione sociale… ci sono delle esplosioni interne della fede che non si possono ridurre a formule e che nella liturgia precedente, attraverso il mistero, in fondo erano tutte meglio presenti». Si badi bene: che non si tratti di una critica ottusa alla FO, bensì di una disamina accorata, lo si deduce dal fatto che Martinelli ha individuato il problema non nel Concilio o nella Riforma successiva in quanto tale, bensì negli eventi storici specifici che l’hanno attualizzata ed interpretata, particolarmente nella «tendenza a sviluppare i principi del Concilio in una sola direzione» e cioè «assumendo le forme indefinite e confuse del post-moderno», che hanno generato «un eclettismo di rappresentazioni senza fine» tali da rendere noi tutti «testimoni di una catena di performance che nascono e muoiono» e da suscitare quale fenomeno socio-culturale il «ritorno minaccioso del chaos contro il kosmos». E ancora, l’autore distingue tra i precetti liturgici e la prassi ribelle di «molti preti che hanno elevato deliberatamente la desacralizzazione a livello di un programma», riducendo «la liturgia alla lingua e ai gesti di una vita ordinaria» in cui il rito «viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il valore di un incontro conviviale fraterno». In ultima istanza, dopo le osservazioni relative alla storia e alla drammaturgia rituale, dopo le considerazioni inerenti le applicazioni caoticizzanti della FO, giungiamo ad un terzo e sottile problema, quello della corsa ai rimedi. Purtroppo, quand’anche nella diagnosi si riesca a trovare consonanza di vedute (il che non è molto frequente), si alimentano subito nuove divergenze quanto alla cura da applicarsi, ed ecco dunque che i moderni «liturgisti o animatori liturgici, per togliere la messa dal pantano raziocinante e renderla più coinvolgente, sbizzarriscono la loro fantasia», facendo subentrare danze, canti pop, applausi, banalità e pastiche tutti connotati a loro volta di chiari accenti «post-moderni: l’interdisciplinarietà, la disorganizzazione dei segni, l’ambiguità ed arbitrarietà delle interpretazioni», il cui risultato «è frutto dell’inventiva di un pugno di persone abili e capaci»
 
Conclusione

La conclusione riprende le suggestioni del teatro contemporaneo e le eleva a possibile paradigma di risanamento liturgico, ribadisce il coraggio del teatro novecentesco «di emanciparsi dall’intellettualismo, dalla letteratura e dalla psicologia, per recuperare il rapporto con la performance fisica e le sue origini attuali» mentre «la liturgia ha continuato la strada verso la modernità», allude nuovamente all’opportunità che il rito sacrificale impari qualcosa dal Teatro delle Crudeltà (paradossale ironia dei semina verbi di conciliare memoria), nello specifico apprezza il fatto che «la liturgia antica sembra possedere una struttura performativa in linea con le caratteristiche formali del rito identificate da Rappaport, cioè la formalità, la ripetitività, la convenzionalità, la canonicità, l’immodificabilità, il potere trasformativo sulla realtà», mettendo invece fuori circuito ogni aspetto «mutevole, sperimentale e instabile» (proprietà della FO). Per Martinelli, in ciò fedele alla linea di Bux, «la speranza è che la forma straordinaria influisca positivamente sulla liturgia ordinaria affinché si recuperi il valore della performance e la liturgia ritorni ad essere una viva ed attiva esperienza di fede».

Per noi l’auspicio è che il saggio di Martinelli possa divenire spunto per un confronto serio, che possa almeno sottrarre la discussione all’arbitrio e al sequestro cui è stata sottoposta fino ad oggi da teologi e liturgisti. Importante sarebbe approfondire il senso della liturgia nell’alveo della storia del teatro e in contrasto con la decadenza del mondo dello spettacolo, magari inserendola in una prospettiva teologico-filosofica attenta ai problemi della post-modernità e della cultura del chaos di ritorno (si pensi alla dittatura iper-razionalistica ed anti-naturalista della gender theory). Allora si potranno ripristinare le ragioni del rito nei suoi inalienabili snodi antropologici ed operare di conseguenza: non per un complotto anti-conciliare o per un vezzo intellettualista, al contrario per rendere il miglior servizio possibile al popolo di Dio nelle sfide che la storia gli presenta, e per dare attuazione nel modo più utile, fruttuoso e significativo al gesto liturgico, cercando non ciò che divide, non la Rivoluzione, ma ciò che unisce, la riforma nella continuità, per un fraterno supporto che la FE e la FO possono e debbono darsi ad maiorem Dei gloriam et salutem animarum! 

 

28 gennaio 2015

Le Forme del sacro (I parte)



di  don Mauro

“Le Forme del Sacro”[1], primo e intrigante lavoro del giovane Luigi Martinelli, fa parte di quei rari scritti che, pur non essendo sostenuti da grandi penne, minuziosi apparati critici o approcci sensazionalistici, merita procurarsi e tenere sullo scaffale: costa poco, è agile e può tornare comodo.

L’argomento del testo è semplice e chiaro: confrontare la vecchia Messa latina con quella di oggi,  più propriamente la forma Extra-ordinaria (FE) e la forma Ordinaria (FO) del Rito latino della Santa Messa cattolica. Ciò che stupisce piacevolmente e, oserei dire, seduce, è il punto di fuga: mettiamo da parte cavilli giuridici, dubbi teologici, sofismi filosofici, nostalgismi un po’ retro e sfizi estetici. Luigi depone questi vecchi e scomodi puntelli e assume lo sguardo del regista: sì, figuratevi un regista – la metafora è mia – un regista di mezza età, non molto avvezzo al domandare religioso e anzi diciamo praticamente ateo, il quale nel corso di una tranquilla mattinata domenicale capiti occasionalmente in un paio di chiese cattoliche, e si trovi ad assistere prima ad un rito antico e poi ad uno moderno (mi si scusi l’ostinata imprecisione nella dicitura). Cosa vede quest’uomo? Cosa prova quest’uomo? Quali gli elementi esterni, oggettivi, culturali, universali che gli parlano?

Propongo il libro a un mio confratello, ma incontro disagio: il Concilio, l’obbedienza, lo Spirito, tutti impedimenta a una riflessione critica sul tema. Ecco, c’è una buona notizia per tutti: c’è uno sguardo nuovo e sempre antico, lo sguardo del drammaturgo, lo sguardo dell’uomo di cultura, del gentile – va tanto di moda! – che ha eletto a suo cortile il palcoscenico, questo sguardo ha qualcosa da insegnarci, ha una dignità di pensiero da restituirci come uomini, una libertà di dibattito che sta al di qua di qualsiasi caposaldo religioso, un’apertura di vedute che ci permette il confronto sereno e spregiudicato persino sulla liturgia (che è pur sempre una realtà di questo mondo), e il tutto senza minimamente pensare, né tantomeno aver da ridire, circa i precetti che la Chiesa, madre amorosa, dispensa ai fedeli.



Spendo un’ultima parola su questo tema e poi inizierei con voi a scorrere, passo passo, gli snodi più brillanti del saggio.

Il momento è delicato. In una transizione non facilissima tra Benedetto XVI e Francesco si assiste ad un significativo travaglio di alcuni settori ecclesiali, non ultimi quelli affezionati alla Tradizione e alle Sue forme liturgiche. Se da un lato c’è chi ha scritto “Questo Papa piace troppo” o va addirittura asserendo che “Non è Francesco” il Papa, dall’altro ordini serafici come i Francescani dell’Immacolata sono stati severamente duramente commissariati per cause opinabili e non pochi sacerdoti hanno iniziato a subire pressioni ingenerose per il loro stile liturgico “benedettiano”. Rispetto a ciò tornano in mente le dichiarazioni perentorie di san Basilio Magno: «solo un peccato è ora gravemente punito: l’attenta osservanza delle tradizioni dei nostri Padri. Per tale ragione i buoni sono allontanati dai loro Paesi e portati nel deserto». E’ in questo clima greve e decisamente poco sereno, non privo di eccessi da entrambe le sponde, che scende attesa come rugiada sul vello l’indagine di Martinelli. Per noi comuni mortali, affatto digiuni di battage teologico-dottrinali, felici della situazione ordinaria della santa Chiesa, ma anche desiderosi di riscoprirne con serenità i perpetui tesori liturgici, serviva giustappunto un corridoio neutrale attraverso cui divincolarsi dai lacci delle polemiche facili e garantirsi i doni universalmente e legittimamente dischiusi col Motu Proprio Summorum Pontificum. Ripartiamo da una prospettiva antropologica, ripassiamo con i maestri del teatro la grammatica del più verace linguaggio simbolico, sforziamoci di ricostruire il sensus liturgico con mitezza e pazienza, con umiltà e perseveranza, incominciando da ciò che ci unisce e cioè la cultura, l’humanitas, l’arte, la bellezza. Ci prende per mano Martinelli in questo nuovo itinerario, il cui obiettivo finale, ricorda mons. Nicola Bux dalle pagine della Prefazione, «vuole essere quello di comparare la liturgia cristiana e il mondo del teatro, non soltanto sotto il profilo di presunte analogie, ma per suggerire una rivalutazione della performance rituale in ambito liturgico». Della prefazione di Bux dovremo trattenere anche una seconda importante considerazione, laddove con Terrin si ricorda che «la ritualità è il sostrato comune di ogni liturgia... sia che i liturgisti acconsentano a questo fatto sia che lo neghino per motivazioni allotrie o pregiudiziose», principio fondamentale di razionalità e trasparenza epistemologica, vero baluardo di libertà della ratio contro ogni nuova forma di fideismo liturgico.



Le forme del sacro



Veniamo al testo vero e proprio, che si apre con una ricognizione di gusto squisitamente teatrale, in cui si fissano alcuni fondamentali teoretici e storici della disciplina. Si parte ricordando che «l'azione rituale è il primo momento di organizzazione dell'esperienza che facciamo», e puntualizzando che «la rappresentazione del reale come puro pensiero vale soltanto per noi occidentali post-industriali che non conosciamo più l'importanza del corpo», dal che si capisce l’urgenza di uno studio in cui, «oltre il riduzionismo contemporaneo del cristianesimo, diviso tra dimensione conoscitiva e dimensione etica, lo studio della performance permetta di recuperare il valore della azione», che va ricompresa quale «intreccio indissolubile di forma e contenuto» attraverso cui «le credenze cosmologiche vengono trasmesse». Forti di questa lezione veniamo quindi invitati a individuare le dimensioni fondamentali della ritualità, luogo in cui si «innesca una contrazione della creatività»; si afferma una formalità che propriamente «consente l'efficacia del sacramento»; vengono portati «in primo piano i significanti non i significati, il comportamento convenzionale non quello intenzionale»; si garantisce una impressione di stabilità (anche solo presunta), per la quale risulta «meno importante che il rito per secoli e secoli sia rimasto del tutto invariato, piuttosto che esso sia percepito e vissuto dai partecipanti come appunto invariato»; ed infine, nella ricchezza di relazioni intrattenute tra rito e teatro, si comprende quanto sia «importante la dinamica della formalità ripetitiva come un meccanismo fondamentale ed efficace».

Donde nasce allora la distanza attuale tra ritualità performativa e liturgia cristiana? Essa si instaura nella visione dei «protestanti, sostenitori della religiosità spirituale e del rapporto interiore tra l'uomo e Dio», cui cronologicamente segue «l'atteggiamento moderno… quello di svalutare il rituale, spostando l'attenzione dal suo potere emotivo al suo significato», per poi slittare sulla risposta della controriforma cattolica con cui si «separa nettamente il sacro e il profano, che nel medioevo erano mescolati». E’ in tal modo che entriamo nella pienezza della modernità con la conseguente «dittatura del logocentrismo». Servirà quindi qualche secolo per riuscire a divincolarsi da tanto angusto reticolo, cosa che avverrà provvidenzialmente col teatro novecentesco, ma solo con esso. Non altrettanto infatti possiamo dire circa gli esiti della liturgia contemporanea, che evidentemente «non ha recepito l'istanza simbolica del teatro novecentesco, propendendo per l'assunzione mitigata delle proteste luterane, fino ad entrare in una rischiosa competizione con tutti quei mezzi di comunicazione, rappresentazione... da cui il teatro, per non essere sopraffatto, si è tenuto lontano». Giudizio tagliente e per molti scomodo, però argomentato, profondo e perciò meritevole di studio e riflessione.



Performance nel rito romano



Facciamo un passo ulteriore, andiamo a guardare in modo sommario agli aspetti drammaturgici che contraddistinguono in linea generale la liturgia cristiano-cattolica. Cosa bisogna tenere da conto in una analisi del rito nell’ottica della performance? Lo puntualizza il secondo capitolo. Si parla anzitutto dell’imprescindibilità della forma, perché il rito «si esprime a livello esteriore», ma anche del suo legame indissolubile con il contenuto. Qui si argomenta la plausibilità di una duplice formalità rituale in seno al cattolicesimo latino – passaggio delicato, ne avvisiamo Martinelli, tale da procurargli i duraturi odi da sponda conservatrice e progressista –, in quanto fondata sulla duplice polarità tematico-contenutistica del culto eucaristico: sacrificio e cena.

Segue la presentazione delle componenti rituali fondamentali, illustrazione né minuziosa né trascurata di alcuni elementi emblematici che verranno successivamente scandagliati nel loro differente modo di presentarsi all’interno della FE e della FO. Si descrivono dunque ruolo e importanza del linguaggio, della vocalità, del canto e del silenzio, dei gesti corporei, degli arredi e del vestire considerati quali parti imprescindibili della ritualità e suoi momenti performativi essenzialiIn queste pagine l’autore opera così una prima fusione tra liturgia e teatro, immergendosi ormai definitivamente nel primo dei due ambiti, getta uno sguardo panoramico sui grandi temi del suo studio, fornisce al lettore un vocabolario introduttivo, il tutto echeggiando fenomenologie del liturgico dal sapore inconfondibilmente e piacevolmente guardiniano.

[1] Luigi Martinelli, Le forme del Sacro. La performance nel rito romano, Cavinato, Brescia 2014. Già disponibile in ebook e dal gennaio 2015 anche in stampa cartacea.

 

15 aprile 2014

Pavia ripara il crimine dell’aborto

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo dell'amico Giorgio Vedovati, che ringraziamo, e ne approfittiamo per invitare tutti alla Quarta Marcia per la Vita, domenica 4 maggio a Roma.


di Giorgio Vedovati
Mentre si diffondono sempre più in tutta Italia le lodevoli iniziative delle Sentinelle in Piedi con annesso – ahinoi – schiamazzo osceno delle solite congreghe sodomitiche, c’è anche chi si affida costantemente alla preghiera. L’esempio viene da Pavia, dove nella prima mattina di mercoledì 9 Aprile centinaia di passanti hanno potuto vedere celebrata una Santa Messa in riparazione al crimine dell’aborto proprio davanti all’ingresso principale del Policlinico cittadino.
Il segno è stato potente. Non siamo generalmente più avvezzi a incontrare il sacro nelle nostre vite quotidiane, avendo la modernità sancito inderogabilmente che tra tutte le libertà solo quella cattolica debba restare relegata nella sfera privata o all’interno delle chiese, tanto che diventa sempre più raro incontrare e riconoscere per strada un prete o una suora. Volendo invece portare all’attenzione pubblica il dramma dell’aborto, che qualsiasi persona razionale di buona volontà può riconoscere come un vero e proprio delitto, si è deciso che una Santa Messa fosse il metodo migliore per attirare l’attenzione e indurre alla riflessione. Ma non basta: per comunicare al meglio il valore di espiazione e di riparazione della celebrazione, è stato utilizzato il rito romano vetus ordo (la volgarmente detta “messa in latino”), sommamente sobrio, composto e grave. È così che, all’interno della Quaresima e in particolare della Settimana di Passione, il sacrificio di Cristo s’è fatto carico anche del sacrificio di tutti quegli innocenti che, a poca distanza, vengono immolati all’altare dell’utilitarismo, dell’egoismo e dell’indifferenza.
Oltre alla ventina di fedeli che sono accorsi di proposito a questa celebrazione antelucana (la Santa Messa è iniziata, dopo un Rosario, alle 7), sono stati diversi i passanti che si sono fermati ad assistere, anche solo per qualche minuto, al rito, colpiti dalla sua autenticità sacrale e – vogliamo sperare – dal pensiero alle vittime innocenti. Si è avuta così la dimostrazione di come bisogni superare paure e scrupoli eccessivi e non esitare nel far sentire pubblicamente, con forza ma con compostezza, la nostra voce di cattolici: la gente, almeno in parte, è ancora pronta a recepire i messaggi, non è ancora inevitabilmente persa.
L’iniziativa di questa Santa Messa contro l’aborto è arrivata dopo ben 29 appuntamenti settimanali durante i quali ogni mercoledì alle 6:50 – in barba a nebbie, gelo, oscurità e pioggia – Marco Crevani e un manipolo di fedelissimi si radunano davanti al Policlinico di Pavia per la recita del Santo Rosario, nel giorno settimanale assegnato allo svolgimento di questa carneficina. È Marco, vero pro-life in parole e opere, il fulcro organizzativo di queste iniziative, che hanno come corollario l’impegno radiofonico sulle frequenze della diocesana “Radio Ticino”: ogni giovedì pomeriggio, infatti, conduce “La Grande Guerra. L’umanità contro se stessa”[1], un programma di attualità e di approfondimento sulle tematiche della difesa della vita, dal Magistero dei Pontefici alla cronaca quotidiana dell’assalto alla famiglia, al matrimonio e, appunto, alla vita dal suo concepimento alla morte naturale. Invito tutti all’ascolto, soprattutto quei “cattolici adulti” che nulla temono o sospettano circa il gramo destino verso cui si sta incamminando la società contemporanea.
Ora che abbiamo il supporto chiaro e netto anche da parte di Papa Francesco, che ha finalmente pronunciato parole incontrovertibili circa l’aborto e i temi scottanti della genitorialità e dell’educazione (ovviamente ignorate dai media), usciamo dai nostri cortili, scuotiamoci di dosso la nostra colpevole indifferenza e leviamo insieme la voce. Facciamolo per pregare e per evangelizzare, o almeno per unirci al coro del neo-duce Adinolfi: «Vi piace un mondo così? A me fa cagare un mondo così!».






[1] Il programma possiede un archivio complete di tutte le puntate, riascoltabili in podcast al seguente indirizzo: https://drive.google.com/folderview?id=0B7rMDJDKIRSmUGR6ZF9zMzJINjg&usp=sharing. Segnalo inoltre il blog della trasmissione curato dallo stesso Crevani: http://lagrandeguerraradioticinopavia.blogspot.it/.
 

10 febbraio 2014

Le bugie hanno le gambe corte...

di Federico Catani
“Le bugie hanno le gambe corte” e il tempo continua a dar ragione alla sapienza popolare. Pochi giorni fa, mons. José Rodríguez Carballo, segretario del dicastero romano che si occupa della vita religiosa, ha rilasciato in una conferenza stampa alcune dichiarazioni in merito alla questione dei Francescani dell’Immacolata. Lo scopo? Difendere a tutti i costi una congregazione (CIVCSVA, ovvero Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica) che si è ormai resa complice dinanzi al mondo, se non addirittura mandante, della distruzione di uno dei più fiorenti e sani Istituti di diritto pontificio, eretto per volontà del futuro santo Pontefice Giovanni Paolo II. Naturalmente arrampicarsi sugli specchi non è facile, e prima o poi si scivola, e difatti le sue dichiarazioni fanno acqua da tutte le parti. Il primo ad accorgersene è stato Sandro Magister che ha messo in luce, numeri alla mano, quanto le cifre siano state truccate dall’ex generale dei Frati Minori per giustificare un commissariamento nato all’insegna dell’ingiustizia e della falsità. Difatti, quello che in totale, per essere benevoli, era il numero di circa cinquanta religiosi, si è trasformato miracolosamente nelle mani di Carballo (o di chi per lui) nel 74 % dei frati dell’Istituto (leggere al riguardo l’articolo preciso e documentato di Lorenzo Bertocchi). Altro giornalista che ha svelato l'inganno è Marco Tosatti, uno dei pochi vaticanisti che non si è fatto sedurre dall'andazzo dominante da circa un anno a questa parte.

C’è però un’altra affermazione di Carballo, passata inosservata all’eccellente penna di Magister, che è destinata a smentirsi da sé con i fatti alla mano, ed è la precisazione che il commissariamento non sarebbe avvenuto principalmente a causa dell’adozione del rito antico. Eppure chiunque avesse avuto modo di leggere il questionario inviato dal Visitatore apostolico mons. Vito Angelo Todisco ai religiosi FFI (solo ai professi perpetui, circa 200) non avrebbe tardato a comprendere che il capo di accusa era principalmente l’adozione del Rito Antico (vedi qui). Tanto è vero che il questionario sembra già sottintendere l’introduzione forzata del rito da parte del fondatore p. Stefano Manelli, così come era stato calunniosamente riportato dall’esiguo drappello di frati disobbedienti. Peccato però che il fondatore questo comportamento non l’ha mai avuto, né ha mai richiamato o ripreso o escluso i frati per il fatto di non averlo mai celebrato. Questo però, la Congregazione l’ha capito troppo tardi o se l’aveva capito, subito l’aveva maliziosamente sottaciuto per altri fini. Così quando ci si è accorti che questa imputazione non reggeva più si è cercato disperatamente un altro capo di accusa: ed ecco la storia dei beni mobili e immobili passata ai parenti di p. Manelli. Senonché anche questa accusa vile è andata a fallire, tanto che lo stesso commissario, con sua profonda umiliazione ha dovuto ufficialmente smentire la diffamazione (vedi qui).

Ci si chiede che cos’altro dovranno inventarsi adesso i distruttori dell'ordine dei FFI. Tra l'altro, oltre a quella di Corrispondenza Romana, è partita un'altra raccolta di firme contro la gestione vaticana della vicenda dei poveri religiosi e altri giornalisti, come Antonio Socci (vedi qui e qui), stanno notando il mare di falsità e ingiustizie che si stanno perpetrando, nella Chiesa della misericordia a buon mercato per tutti, verso un Ordine religioso assolutamente CATTOLICO. Staremo a vedere, ma già sappiamo che la verità prima o poi viene alla luce!
 

18 gennaio 2014

La Missa. Intervista ad un parroco.

di Catto Maior

Chiacchierando con un amico giovane sacerdote, siamo arrivati ben presto a parlare della messa in latino, di cui anche il sottoscritto è grandissimo ammiratore (tanto che, soprattutto in certi periodi dell'anno, assiste più al rito di Pio V che a quello post-conciliare). Per offrire a tutti un saggio delle bellezze sovrannaturali di questo rito troppo spesso bistrattato, propongo una breve intervista a questo venerabile Padre, dalla quale tutti noi possiamo trarre importanti insegnamenti e, magari, accrescere la nostra curiosità verso questa speciale celebrazione.
 

02 novembre 2013

La Missa pro defunctis e il "funereo" Novus Ordo: un parallelo liturgico

di Satiricus 

Oggi mi sento in vena di ecumenismo. E vado in cerca di ciò che ci unisce. Di ciò che unisce la Forma Ordinaria del Rito Latino (FO) alla Forma Extra-ordinaria del medesimo Rito (FE). E trovo il trait d’union nella celebrazione odierna – In commemoratione omnium fidelium defunctorum - o anche, se vogliamo, nelle Missae pro defunctis in generale.
 

27 ottobre 2013

PELLEGRINAGGIO SUMMORUM PONTIFICUM - Cronaca della quarta e ultima giornata

di Campari & de Maistre


Quarta ed ultima giornata del Pellegrinaggio Summorum Pontificum, conclusosi con la Messa celebrata da Mons. Rifan, ordinario della diocesi personale di Campos, presso la Basilica di Santa Maria sopra Minerva. Si è trattato di quattro giorni molto intensi, nei quali tutti i partecipanti hanno potuto assaporare una volta di più le bellezze e le grazie che scaturiscono dalla liturgia tradizionale.
Nel seguito del post trovate un breve resoconto della Messa di stamattina, mentre per le prime impressioni sull'insieme del pellegrinaggio potete leggere gli articoli pubblicati rispettivamente da Cordialiter e da Chiesa e post concilio


- Festa di Cristo Re celebrata da Mons. Rifan, ordinario della diocesi personale di Campos, presso la Basilica di Santa Maria sopra Minerva (servizio liturgico a cura dell'Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote).

Alcune immagini della celebrazione:


Nell'omelia, mons. Rifan ha citato - tra gli altri - Pio XI ("La peste dell'età nostra è il laicismo") e ha spiegato: "Perché abbiamo questo amore per la forma straordinaria del Rito romano? Perché è l'espressione della nostra fede nel mistero Eucaristico, e la liturgia tradizionale bene incarna questa fede. E tale forma del rito può avere un ruolo importante nella nuova Evangelizzazione". 

Il video della Santa Comunione: 

 

26 settembre 2013

Il nuovo corso dei Francescani dell'Immacolata, tra bugie, reticenze e svarioni mediatici

di Marco Mancini

Forse mai si è avuta una prova così evidente di come nella Chiesa si mescolino componente divina e umana, grazia e mondanità, santità e peccato, come nella vicenda riguardante i Frati Francescani dell’Immacolata.
 

03 agosto 2013

Ancora sulla crisi dei Francescani dell’Immacolata

di FC
Conosco e frequento l’Istituto dei Frati Francescani dell’Immacolata sin dal lontano 2003. La metà delle 20 case (conventi, santuari, eremi, parrocchie) che l’Istituto ha aperto in Italia le ho visitate per celebrazioni, messe, ritiri spirituali. Sono stato per esempio varie volte, e ogni volta per più giorni, nel convento che ospitava un tempo il seminario di formazione teologica a Casalucense, presso Cassino. Ho passato 4 giorni in stretto ritiro spirituale nella casa di contemplazione di Amandola. Sono stato ospite assieme alla mia famiglia presso il santuario di Canoscio, vicino Città di Castello, nella Casa Madre di Frigento ed anche presso il piccolo e antico santuario della Madonna dei Boschi, tra Firenze e Bologna. Presso la comunità di padre Manelli ho trovato, già da molti anni, il mio direttore spirituale, che fa parte del Consiglio Generale dell’Ordine ed è uno stimatissimo teologo e mariologo scotista. Conosco bene tutte le loro pubblicazioni, come Fides Catholica, Annales Francescani, Immaculata Mediatrix, Il Settimanale di Padre Pio, I Quaderni di studi scotisti, De vita contemplativa, etc. Collaboro con alcune di esse, redigendo articoli semplici di taglio apologetico e a volte brevi saggi di analisi storico-teologica. Mio nipote e un mio figlioccio hanno partecipato, con frutti evidenti, ai campi scuola organizzati dai frati, etc. etc.
 

01 agosto 2013

Francescani dell'Immacolata: un provvedimento che danneggia la Chiesa intera

di Federico Catani e Isacco Tacconi

Il provvedimento dell’11 luglio scorso e in vigore dal 12 agosto prossimo, emesso dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata a carico dell’istituto religioso dei Frati Francescani dell’Immacolata, vieta loro di officiare la Santa Messa secondo il rito celebrato nella Chiesa da più di 1500 anni, il cosiddetto “rito antico” o rito tridentino, anche detto “forma straordinaria dell’unico rito romano”, che risale a s. Gregorio Magno. Tale forma mai abolita, lo ricordiamo, era stata liberalizzata e favorita da papa Benedetto XVI nel 2007 con il Motu Proprio “Summorum Pontificum”.

Una faida interna all’Ordine ha creato uno schieramento (maggioritario) a favore della liturgia nella forma extraordinaria e alle direttive del Ministro Generale e fondatore dell’Ordine, p. Stefano M. Manelli, e uno schieramento (minoritario) avverso al nuovo corso. Questa minoranza dissidente ha richiamato così l’intervento delle autorità pontificie. Non ripercorriamo tutta la vicenda. Ne hanno parlato magistralmente il prof. Roberto de Matteila coppia Gnocchi&Palmaro su Corrispondenza Romana, Francesco Agnoli sul Foglio, Corrado Gnerre su Il Giudizio Cattolico e il buon Sandro Magister sul suo sito. Inoltre ormai tutta la blogsfera se ne occupa. In sintesi, a partire dal 12 agosto, i frati FI non potranno più celebrare liberamente secondo il Messale del 1962, ma dovranno chiedere, ognuno singolarmente, l’autorizzazione al commissario posto alla guida dell’Ordine, il cappuccino Fidenzio Volpi. P. Stefano, infatti, è stato destituito e allontanato dalla guida dell’Istituto. Lui che, seguendo l’invito rivolto da Paolo VI agli ordini religiosi di tornare allo spirito dei fondatori, intraprese negli anni Settanta un ritorno alle origini del francescanesimo, con  una vita povera, umile, penitente ed obbediente, per seguire in tutto l’esempio di San Francesco, dando vita, sull’impronta di San Massimiliano Kolbe e del suo amore illimitato alla Madonna, all’Istituto dei Francescani dell’Immacolata.

Con il provvedimento della Congregazione per i religiosi si priverebbe della Messa antica quella fetta crescente di fedeli che, grazie a Benedetto XVI, hanno riscoperto la ricchezza della bimillenaria liturgia della Chiesa, “culmine e fonte” della vita cristiana. Amata e custodita dai santi, alimento e vita dei fedeli di ogni tempo e anche di coloro che vanno a Messa dai Frati Francescani dell’Immacolata. Adesso che succederà? I fedeli laici si dovranno rassegnare a vedersi privati di un loro diritto, riconosciuto da un documento (il Motu Proprio) di rango giuridico molto superiore al decreto della Congregazione dei religiosi, che impone una evidente ingiustizia. Il provvedimento, infatti, recherebbe danno non solo ai FFI ma all’intero popolo di Dio.

E allora qui è il caso di non cedere. I FFI hanno già detto che obbediranno al Papa, con autentico spirito francescano. Dicono che accettano questo momento difficile certi che l’Immacolata non li abbandonerà. Ne siamo sicuri. Eppure, dato che non possiamo rassegnarci a veder penalizzata la perenne Tradizione della Chiesa, manifestantesi nella Sacra Liturgia, ci permettiamo di suggerire qualcosa: perché i padri FI fedeli al fondatore non chiedono udienza al Papa? Perché non redigono un documento in cui, pur sottomettendosi all’autorità suprema del Vicario di Cristo, non spiegano le loro ragioni difendendo il diritto dei fedeli laici a beneficiare dell’Ufficio divino da loro svolto?  

Detto ciò, ne approfittiamo per rivolgerci filialmente a Papa Francesco. Santità, anche noi fedeli legati alla Tradizione siamo pecore. Puzziamo come le altre e pertanto La preghiamo di ascoltarci: abbiamo infatti imparato dai Suoi discorsi che la Misericordia di Dio è infinita. Quindi siamo certi di ottenere attenzione e comprensione. Siamo per lo più giovani, cerchiamo di impegnarci nella vita di tutti i giorni per essere atleti di Gesù, come piace a Lei, andando sempre controcorrente, proprio come Lei ci insegna. Non siamo inamidati e nemmeno pelagiani, perché sappiamo bene che senza la grazia di Dio non riusciremmo a salvarci. Ebbene, noi siamo riconoscenti ai Francescani dell’Immacolata, perché ci hanno aiutato a vivere da buoni cristiani. Questi frati sono poveri davvero, nei fatti, e non solo a parole e questo a Lei dovrebbe piacere, Santo Padre. Quelli che conosciamo non sono zitelli acidi, non hanno la faccia da peperoncino in aceto: anzi, sono allegri, gioviali e simpatici, nonostante facciano una vita dura. Non hanno macchine di lusso, né vivono in appartamenti comodamente arredati. Ora, noi non sappiamo bene quali siano le motivazioni profonde che stanno alla base di questa lacerazione interna all’istituto dei FI, ma un tale provvedimento sanzionatorio recherebbe danno all’intero popolo di Dio che beneficia del servizio liturgico in usus antiquior. La liturgia, infatti, è un bene comune della Chiesa universale, anzi è “il bene” che fonda e alimenta la Chiesa. Privandone i fedeli, contemporaneamente si priverebbe l’intero Corpo Mistico dei frutti spirituali che da essa scaturiscono.

I FI, pur con tutti i loro limiti umani, ci hanno dato e ci danno un esempio concreto di santità vissuta. Santo Padre, in Italia sono questi cari e amati “frati azzurri” a garantire la celebrazione di molte Messe nella forma extraordinaria. Se Lei impedisce loro di proseguire il lavoro svolto sin qui, che ne sarà di noi giovani e meno giovani legati al Vetus OrdoGrazie alla generosità di S.S. Benedetto XVI, che Lei considera “un nonno saggio” da ascoltare, ci siamo accostati all’antico rito e ce ne siamo innamorati, senza per questo diventare scismatici. Molti di noi fanno anche parecchi chilometri per assistere alla Santa Messa in usus antiquior. Eppure non di rado incontriamo difficoltà ed ostacoli, incomprensioni e pregiudizi, spesso proprio da parte di vescovi e preti, ma non solo. In questo senso ci sentiamo davvero gente di periferia. E allora, Santità, Lei che conosce e ama le periferie, venga a visitarci: anche noi abbiamo bisogno delle sue cure e della sua protezione. Lei sa che c’è una povertà pure spirituale, perché l’ha detto, anche se i giornali non se ne sono accorti. Qualora si privasse il popolo di Dio della Messa nella forma straordinaria e magari (Dio non voglia!) della spiritualità e della guida dei Francescani dell’Immacolata si creerebbe un grande vuoto spirituale e un vulnus profondo nel Corpo Mistico. Non crediamo che sia questo ciò che vuole. Noi ovviamente vediamo in Lei il “dolce Cristo in terra” e a Lei ci sottomettiamo filialmente, perché La amiamo come Padre. Ma proprio per questo, La preghiamo di ascoltare le nostre buone ragioni e magari di spiegarci eventuali provvedimenti. Non crediamo di sbagliare nell’amare la forma straordinaria da sempre circondata di onore e venerazione e, Glielo assicuriamo, ciò non ci impedisce di sentire cum Ecclesia. Tuttavia noi ci riferiamo alla Chiesa che ha duemila anni di storia, non solo a quella che va dal 1965 ad oggi. Noi stiamo con i Papi da San Pietro a Lei, e con tutti i Concili, da Nicea al Vaticano II. Santità, mostri il suo volto amorevole e non voglia penalizzare noi fedeli. Nella Chiesa c’è spazio per tutti e coloro che seguono la Messa nella forma straordinaria non sono di certo una “maggioranza”. I provvedimenti necessari per un rappacificamento interno dell’Ordine non sono di nostra competenza, ma Le chiediamo di non privarci della Santa Messa celebrata secondo il Messale del beato Giovanni XXIII, la quale non è appannaggio o esclusiva dei Frati Francescani dell’Immacolata, di cui anzi essi sono servi, ma dono di Cristo e della Chiesa al mondo intero come un tesoro da cui si traggono cose antiche e cose nuove.

FIRMA QUI L'APPELLO DI "CORRISPONDENZA ROMANA" IN FAVORE DEI FRANCESCANI DELL'IMMACOLATA E DELLA MESSA TRADIZIONALE.
 

22 novembre 2012

Anche Dio ha i suoi diritti



di Federico Catani

Parliamoci chiaro. La Messa di Paolo VI è valida e tutti ci andiamo, volenti o nolenti. Resta il fatto però che quella antica è tutt'altra cosa... E non parlo di motivi estetici, ma prettamente spirituali! C'è poco da fare. Girate la frittata come volete, ma la Messa di S. Pio V ti fa entrare a contatto col Crocifisso. Nella Messa nuova, invece, per capire di stare sotto la Croce ci vuole davvero tanta fede.
 

30 ottobre 2012

Un Pellegrinaggio "Straordinario"

di Isacco Tacconi 

Il gioco di parole è quanto mai azzeccato, perché quello previsto per il 3 novembre è un pellegrinaggio sui generis. Non si dovranno percorrere lunghe distanze attraverso territori impervi infestati da tartari e predoni sanguinari, anche se la mèta è sempre la stessa, il cuore della cristianità: Roma, la città eterna, sede del vicario di Cristo
 

16 agosto 2012

La Birra Benedetta


di Isacco Tacconi

Ieri 15 agosto, festa dell’Assunzione in cielo di Maria, per i profani Ferragosto, i monaci benedettini di Norcia hanno inaugurato il loro nuovo birrificio, dove verrà prodotta e venduta la birra “Nursia”, dall’antico nome della ben nota città di Brancaleone. In qualità di amatore, mi sento di poter dare un giudizio di valore sulla birra artigianale di produzione dei monaci, anche se strettamente personale perché non sono un esperto in merito: in totale buona fede, anche perché come dicono a Roma, “nun mecce pagano”, posso assicurare che è di ottima qualità!