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28 dicembre 2018

Socci e Ferrara. Lite fra innamorati


Dagospia cannibalizza la lite su twitter (con noi incolpevoli detonatori). La spiegazione però è un’altra: c’è un’amicizia (spirituale) a rischio. Niente di più serio. Tornare ai temi “alti” agevolerebbe la pace: più sangue, Logos (e uova), meno Renzi & Salvini. Gli auguri di Natale a due preziosissimi outsider.

di Valerio Pece
Antonio Socci e Giuliano Ferrara, per anni campioni di un cattolicesimo fiero e attraente, litigano su Twitter. Dagospia spiattella la lite online invitando a “gustarla” (neanche fossero cristiani e leoni al Colosseo) ma non può spiegarla. In realtà quella tra i due giornalisti è chiaramente un bisticcio tra chi si è molto stimato, ammirato, sedotto. Una scenata tra innamorati, ecco cosa è stato. Solo in quest’ottica va letto lo “scazzo” (così lo definisce il sito di D’Agostino). Proviamo a spiegarci. Era il 2007 quando Socci spendeva per l’elefantino parole oggi impensabili: «un cavaliere medievale», «un animo nobile, generoso e intimamente umile», «solo lui potrebbe tranquillamente – da domattina – fare il direttore del Corriere della Sera o tenere un popolare show televisivo o fare il ministro o scrivere un saggio filosofico». Ferrara, da parte sua, iniziava la sua sacrosanta battaglia contro la banalizzazione dell’aborto (ad oggi il suo momento migliore) sull’onda di un potente libro-inchiesta del giornalista toscano: “Il genocidio censurato” (Piemme, 2006). Se è vero che molta acqua è passata sotto i ponti, è vero anche che un passato fatto di ardenti battaglie comuni, di lacrime e sangue, di uova prese addosso, non può certo dimenticarsi così, all’improvviso.

Proprio il video linkato nel tweet che ha scatenato la lite (video da “gustare”, questo sì, e innocentemente postato da chi scrive) mostra plasticamente quanto andiamo dicendo, ovvero un sodalizio culturale raro e prezioso. Ospite di Ferrara a Otto e Mezzo, Socci parla di Padre Pio, del Grande Inquisitore, della Vergine Maria. E in studio scatta la magia. Sono minuti ancora assaporabili su youtube; e proprio il ricordo della loro bellezza e verità («non male il soccino» si lascia scappare Ferrara nel suo tweet) e – più ancora – il ricordo di un’amicizia spirituale che ha il sapore di un paridise lost, ha innescato le scomposte reazioni seguite (fino alla deflagrazione ferrariana #eorabastarotturedicoglioni). Tutto ciò molto ben al di là della coloritura politica utilizzata - come copertura - dai due. Per essere ancora più chiari, la nostra convinzione (rapsodica e bislacca quanto si vuole) è che, pur citandoli, Socci e Ferrara non stessero litigando né per Bergoglio, né per Salvini.

Eppure in molti rimasero affascinati dal modo con cui l’elefantino si prendeva gioco di certa finta laicità, tanto che il Foglio era diventato il giornale di riferimento per molti cattolici, mentre – molto incuriosita – la Chiesa meno clericale strizzava l’occhio all’intellettuale ‘tendenza Chesterton’: dal Cardinal Ruini a padre Raniero Cantalamessa al direttore di Radio Maria padre Livio Fanzaga.
In comune Socci e Ferrara – oltre a Ratzinger-Benedetto XVI – avevano però anche la dura intolleranza dei più. Se i libri di Socci vendevano come il pane e il coraggio brioso di Ferrara era goduto e spalleggiato da più d’un Movimento ecclesiale (Salvatore Martinez nel 2007 lo invitò alla Convocazione nazionale del Rinnovamento nello Spirito; la simpatia per l’elefantino da parte di CL – adiuvante l’operazione di Luigi Amicone “Fratello Embrione, sorella verità” – era cosa nota; perfino la leader dei Focolari, Maria Voce, in un’intervistaa Tempi confidò a chi scrive che tra i tanti omaggi per la scomparsa di Chiara Lubich, l’articolo di Ferrara era stato «uno dei più apprezzati» dal popolo focolarino) ci si chiedeva come mai la maggioranza del mondo ecclesiale avesse così paura di dialogare con loro. Ecco ancora – chiarissimo – un altro tratto condiviso che oggi spiega certe scintille: il sentirsi “tollerati”, quando non rifiutati tout-court, dal principale interlocutore. Socci, da cristiano, già a inizio carriera veniva sottoposto a “inquisizione” per aver osato criticare Giuseppe Lazzati (seguirono altri boicottaggi, a iniziare dalla chiusura di Excalibur, trasmissione Rai da lui condotta). Ferrara, da laico, non è stato ritenuto degno di entrare nel Cortile dei Gentili né di salire sulla “Cattedra dei non credenti” del duomo di Milano (che pure corteggiava i Cacciari e gli Eco). A
Bucarest il cardinal Ravasi, nell’atto di definire con una lectio magistralis chi sono gli atei “degni” del Cortile dei Gentili, affermò: «Il loro impegno (di Cioran e Ionesco, ndr) è sincero e, a differenza di certi atei devoti, non ha connotazioni di altro genere, insalivate con altri sapori di tono politico o sociale». Ovvero, come sparare sull’elefantino senza nominarlo.

Ma se queste potrebbero anche considerarsi medaglie al merito, impantanarsi ieri sul “Royal baby”-Matteo Renzi e oggi sul “truce” (così Ferrara bolla Matteo Salvini), cioè sulla politica nuda e cruda, su qualcosa di infinitamente più modesto rispetto ai temi che avevano innervato il “suo” Foglio, rimane un mistero grande. Specie se – perché lo Spirito soffia davvero dove vuole – si è stati un tramite per elevare tanti alla grandezza del Logos (come avvenuto, ad esempio, per Giovanni Lindo Ferretti, ex leader del gruppo punk CCCP, che ad un Ferrara lestissimo nel bloccarlo confessava il ruolo giocato da questi nella sua conversione a Cristo; ancora su Otto e mezzo, dal min. 6) «Strappare dal cuore delle persone Cristo significa gettare l’uomo nella disperazione», ricorda Antonio Socci. E la dolente citazione di Ernest Renan è la chiave per capire l’inconfessata (e ricambiata, l’abbiamo visto) infatuazione di Ferrara per lo scrittore senese, che come un Virgilio ha portato l’elefantino davanti alla bellezza del Mistero. Avrebbe poi dovuto intervenire la virtù personale, cooperando con la Grazia, ma qualcosa è andato storto (siamo chiaramente in campo teologico, che è lì che si gioca la partita).

Mettendosi sinceramente a nudo, lo stesso Ferrara si confessava così: «Noi laici [..] siamo fragorosi e impudichi, se facciamo una battaglia di idee è sui giornali che nasce, sui giornali che muore; [..] ci rispecchiamo in categorie obsolete come vittoria o sconfitta, consumiamo le nostre vite senza tempo per osservarle, senza tempo per scrutare nel profondo quelle degli altri, senza tempo per viaggiare nel mistero dei carismi personali, del carisma di una chiesa, nel carisma di un popolo». ..Il punto è che invece servirebbe proprio tutto questo. Niente di meno. Non l’ultimo arrivato, bensì Gregorio Magno – che evangelizzò gli Angli e i Sassoni, che scrisse la Regula Pastoralis (il più grande trattato di spiritualità medievale), a cui dobbiamo la “messa gregoriana” – parlava di sé come “servus servorum Dei”, servo dei servi di Dio. Indicando l’umiltà come “ars artium”, l’arte delle arti. Bisogna saper scegliere quella che in morale si chiama l’“opzione fondamentale”. Tutto qui.
Certo, non è necessario essere “cattivi” per cedere alla rabbia, basta essere particolarmente preoccupati o stanchi. Nulla, dunque, è mai perduto. Come scrive Paolo agli Efesini, basta non far tramontare il sole sopra la nostra ira. Il tempo dirà se i due animosi, genialoidi, esagerati (ma a noi cari) intellettuali saranno in grado di far pace e di ricordarsi che i nemici, se ci sono, sono altri. É Natale, glielo auguriamo di cuore.


 

02 agosto 2017

Caro Giuliano Ferrara, ecco perché l’incontro cattolici-protestanti resta impossibile


di Alfredo Incollingo

Giuliano Ferrara elogia, sul “Foglio” del 25 luglio scorso, una possibile intesa tra cattolici e protestanti, recensendo l’ultimo volume del vescovo di Chieti – Vasto, Bruno Forte. Al di là dei propositi e delle buone intenzioni, al lettore più attento non possono non sfuggire le incolmabili differenze tra il cristianesimo cattolico e quello protestante. Ci sono punti dottrinali e interpretazioni contrapposte, che difficilmente posso trovare un punto di conciliazione. E’ bene quindi ricapitolare brevemente le differenze maggiori per capire la totale contrapposizione tra il cattolicesimo e Martin Lutero.

Il papa è l’Anticristo?

La Chiesa Cattolica fonda se stessa sul “Primato Romano” e sulla “Successione apostolica”, oltreché prima di tutto su Cristo. Da Gesù discende non solo la “Parola”, ma anche il “papa”, che è il Suo vicario terreno, che regge e guida la comunità dei fedeli. San Pietro fu il primo “romano pontefice”, come volle Cristo, e per due millenni gli uomini hanno tramandato questo ufficio sacerdotale. Il papa è la guida spirituale dei cattolici, colui che “ex cathedra” proclama dogmi, o insegna e difende il Magistero e la Tradizione: vuol dire che dà l’esatta lettura del Vangelo, seguendo pedissequamente le parole di Gesù. Martin Lutero al contrario, riscontrando l’oggettiva corruzione nella Roma del Cinquecento, definisce il papato un’impostura, nonostante il mandato di Cristo. Il papa è l’Anticristo o, quanto meno, un prodotto umano che turba l’esatta lettura delle Scritture. Il fedele deve leggere da sé i testi e incontrare così, da solo, Dio. Di conseguenza la Chiesa e la dottrina cattolica (Sacramenti, teologia…) sono meri prodotti umani, da riformare completamente. La Riforma protestante ebbe una ricaduta gravosa per le sorti europee: si perse l’unità spirituale, quella culturale e politica (tra alti e bassi). Fu una tragedia per il Continente e per il cattolicesimo. Oggi, nonostante la volontà di vincere il secolarismo, la conciliazione è ancora difficile, se non impossibile, per via di questa sostanziale divergenza tra la Chiesa cattolica e quelle protestanti.

Sola fede, e le opere?

L’uomo si salva per la sola fede o anche grazie alle opere? Martin Lutero era un monaco agostiniano e un attento studioso del vescovo di Ippona. Naturalmente rimase fortemente influenzato dalla prospettiva "fideista" di questo Dottore della Chiesa Cattolica. Si sa però che la lettura di un solo Dottore o Padre della Chiesa Cattolica potrebbe sviare la piena comprensione del cattolicesimo: ogni grande teologo ha affrontato singoli problemi dottrinali (soprattutto in occasione di sconti teologici con eretici a lui coevi); pochi, come San Tommaso d’Aquino, hanno tentato una visione sistemica nella loro indagine. Martin Lutero rintracciò nelle Sacre Scritture alcuni passi evangelici che dimostravano come le opere fossero insignificanti ai fini della salvezza. San Paolo e Sant’Agostino parlano della salvezza per fede, ma lo stesso Gesù, nel Vangelo secondo Matteo (25, 31-46), ricorda che solo chi ha ben agito potrà entrare nel Regno di Dio. Se l’uomo non può salvarsi con le opere, è naturalmente in mano al volere divino e solo Lui può decidere chi salvare. La bellezza del cattolicesimo sta nell’aver saputo conciliare l’umano e il divino, nell’essere paradossale, come affermava G.K. Chesterton, nell’unire gli opposti (apparenti): fede e ragione, anima e corpo… E’ stato fatto senza “finzioni”, ma dando chiarezza agli stessi insegnamenti di Gesù.

Sola Scriptura?

Un altro punto di profonda divergenza tra protestanti e cattolici è il ruolo della Sacra Scrittura. Nessuna confessione cristiana osa dimenticarla, ma ci sono i luterani, che la considerano come l’unico punto di riferimento della fede, e i cattolici, che l’affiancano alla Tradizione, che proviene dagli Apostoli e trasmette ciò che costoro hanno ricevuto dall'insegnamento e dall'esempio di Gesù e ciò che hanno appreso dallo Spirito Santo. Non si può prescindere dal valore incommensurabile del patrimonio spirituale di quegli uomini e di quelle donne che si sono dati a Dio. Di conseguenza, anche il Magistero, ovvero, banalmente, l'insegnamento della Chiesa, è un altro pilastro del cattolicesimo, che trae comunque origine dalla Bibbia e non la rinnega. Entrambe dimostrano al contrario la sua veridicità.

Questi tre punti sostanziali delle enormi differenze tra cattolici e protestanti ci permettono di capire che un’intesa è impossibile. E’ vero che lo scopo è quello di combattere il secolarismo occidentale, ma ci dimentichiamo che sono gli stessi protestanti ad aver aperto alle “innovazioni” bioetiche moderne. Una riconciliazione è lontana a venire.

 

21 ottobre 2014

Paolo VI: un Papa nella tempesta


di  don Mauro

Venerdì 3 ottobre nelle sale della Cattolica di Brescia la Fondazione San Benedetto ha promosso una contestata tavola rotonda sul beato Paolo VI, ospiti Giacomo Scanzi e Giuliano Ferrara, rispettivamente direttori del Giornale di Brescia e del Foglio. Contestata soprattutto la presenza del secondo che, ateo e - quel che è peggio - conservatore, non è stato ben accolto dalla frondosa claque di progressisti - clero e laicato - che tanto rumoreggia nella città della leonessa. La serata si è aperta tra i saluti dell'organizzazione nella persona del presidente, Graziano Tarantini, che ha dovuto ribadire una verità banale, scontata, ma evidentemente non ancora depositata nella coscienza di tanti cittadini: dobbiamo difendere la libertà di confronto ed opporci ad ogni promozione di ideologie a senso unico, paurose di confrontarsi con l'altro. Una semplice e penetrante lezione di civiltà e democrazia, di cui Brescia aveva evidentemente bisogno.

Nel loro primo intervento i due ospiti hanno tratteggiato una sorta di profilo biografico del beato Pontefice, sottolineando ognuno alcune caratteristiche specifiche. Per Scanzi Montini va letto nella prospettiva della modernità criticamente assunta. Se la modernità è da intendersi con Del Noce quale processo irreversibile di secolarizzazione, Montini è stato l'uomo capace di farsi prossimo all'uomo moderno, per ascoltarne la disperazione e la solitudine, pur senza condiscendervi; personalità forte sempre pronta ad obbedire, ma al contempo capace di difendere ed esprimere le proprie ferme ragioni specie davanti a comandi ingiusti; Papa nella tempesta, sì, come suggerisca il titolo della serata, ma di una tempesta che nei suoi anni iniziava e nei nostri sembra infuriare. L'Elefantino, prendendo parola, preferisce un aggancio soft, diplomatico, sufficiente a tener chiusa la bocca dei contestatori e dei loro scagnozzi da centro sociale accorsi all'incontro, ed esordisce con un album di ricordi, quelli del giovane comunista affascinato dalla santità culturale del curiale aristocratico, chiamato a transitare la Chiesa dallo stile dei Pii a quello pastorale di Giovanni XXIII. Di questo Paolo VI sembra apprezzata soprattutto la miscela di scienza e di fede, di ascolto e fermezza: la scienza di chi ha sempre promosso la cultura e l'aggiornamento in tutte le sue forme, la fede che ha resistito "sia alla telecrazia che alla demoscopia", per dirla con Ratzinger, l'ascolto di chi ha osservato l'evolversi dell'assemblea conciliare ormai ridotta ad una "Pallacorda", la fermezza di chi non solo arginò ma anche guidò su temi ardui quali famiglia e sessualità: aveva già capito tutto della scienza che volge al fabbricare e strumentalizzare, in barba all'amore e al dono, e vi si era opposto lui solo, fino a quella sua ultima e dolorosa enciclica che lo consacrò - aggiungo io - novello Geremia, profeta vero e inascoltato.

La seconda parte del dibattito è ripartita da una considerazione perentoria di Tarantini: un pensiero non cattolico sta divenendo dominante nella Chiesa, e forse sarà vincente nei tempi presenti, ma non sarà mai cattolico. Ad essa ha fatto eco la riflessione breve ma intensa di Scanzi, che ha illuminato con grande finezza e puntualità il rannodo teologico tra Carità divina ed esigenze dell'amore umano: l'ultimo non si dà prescindendo dalla prima. E qui si intravede una sfida cruciale "della nostra dimensione folle e drammatica" in quanto temi così delicati sembrano sequestrati dal dominio della "antiparola", per esprimerci con lo stesso Paolo VI, in una continua mistificazione dei termini e in una crescente confusione della realtà da cui però non possiamo attenderci in alcun modo la felicità vera tanto cercata. Ha chiuso quindi Giuliano Ferrara con un serrato domandare retorico, fatto di controluce e trasparenze, in un dire e non dire attorno al problema del giusto confine tra giustizia e misericordia, tra obiettivi pur santi e tecniche o compromessi attuati, tra linguaggio adatto al popolo e forzature della dottrina. Chiarissima la sottile polemica verso Papa Francesco ed il Sinodo sulla famiglia, mai però declinata in modo aperto o provocatorio, bensì modellata sulla figura di Papa Montini, quale modello da cui imparare anche per l'oggi che la più alta forma di carità è proprio la politica, da lui sempre vissuta con uno stile diffidente verso il facilismo e verso il minimismo dogmatico, ma attraversato da una fede inconcussa.

 

07 settembre 2013

Ferrara, digiuna che è meglio!

di Paolo Maria Filipazzi

Capita alle volte, di aprire il giornale alla mattina e così facendo rovinarsi l’intera giornata. Per esempio: mercoledì 5 settembre lancio un’occhiata alla prima pagina de “Il Foglio” ed il caffè mi va di traverso. Il quotidiano dell’Elefantino titola a caratteri cubitali: “IL DIGIUNO DEI PAVIDI”. L’occhiello è tanto delirante quanto tale da non lasciare dubbi su di che cosa si tratta: “si digiuna per slancio mistico o contro l’aborto, la sharia, la schiavitù. Digiunare per paura della guerra giusta, quando le armi chimiche ne esaltano il sapore tossico, è il colmo dell’assurdo”.
 

01 febbraio 2013

I diritti dei bambini secondo il televideo


di Riccardo Zenobi 
Che in Francia il governo Hollande voglia aprire (letteralmente: far scoppiare) la “famiglia” anche a coppie omosessuali non è una novità, né una notizia. Che ci siano state 800mila persone di tutti gli orientamenti politici e religiosi (non ultimo degli omosessuali che non si allineano all’agenda del movimento gay) a manifestare contro questa imposizione non è una novità, né una notizia. Che i media abbiano liquidato tutta la faccenda come la lotta di una “minoranza cattolica oscurantista” contro le “libertà fondamentali di uno stato laico” non è una novità, né una notizia.
 

31 maggio 2012

A Giulià, ma che stai a dì?


di Saba Giulia Zecchi
Avventori di Campari e de Maistre, avete fatto caso a Radio Londra in questi giorni? Dopo tre giorni lontana dal web e tv, ho provato a ridurre al minimo indispensabile il numero di schede aperte su Chrome, senza affogare negli aggiornamenti su Vaticanleaks, M5S e conferenze presidenziali, e concentrarmi solo sul Tea Party che in questi giorni è sbarcato anche a Napoli grazie a www.storialibera.it.