Dagospia cannibalizza la lite su twitter (con noi incolpevoli detonatori). La spiegazione però è un’altra: c’è un’amicizia (spirituale) a rischio. Niente di più serio. Tornare ai temi “alti” agevolerebbe la pace: più sangue, Logos (e uova), meno Renzi & Salvini. Gli auguri di Natale a due preziosissimi outsider.
di Valerio Pece
Antonio Socci e Giuliano Ferrara, per anni campioni di un cattolicesimo fiero e attraente, litigano su Twitter. Dagospia spiattella la lite online invitando a “gustarla” (neanche fossero cristiani e leoni al Colosseo) ma non può spiegarla. In realtà quella tra i due giornalisti è chiaramente un bisticcio tra chi si è molto stimato, ammirato, sedotto. Una scenata tra innamorati, ecco cosa è stato. Solo in quest’ottica va letto lo “scazzo” (così lo definisce il sito di D’Agostino). Proviamo a spiegarci. Era il 2007 quando Socci spendeva per l’elefantino parole oggi impensabili: «un cavaliere medievale», «un animo nobile, generoso e intimamente umile», «solo lui potrebbe tranquillamente – da domattina – fare il direttore del Corriere della Sera o tenere un popolare show televisivo o fare il ministro o scrivere un saggio filosofico». Ferrara, da parte sua, iniziava la sua sacrosanta battaglia contro la banalizzazione dell’aborto (ad oggi il suo momento migliore) sull’onda di un potente libro-inchiesta del giornalista toscano: “Il genocidio censurato” (Piemme, 2006). Se è vero che molta acqua è passata sotto i ponti, è vero anche che un passato fatto di ardenti battaglie comuni, di lacrime e sangue, di uova prese addosso, non può certo dimenticarsi così, all’improvviso.
Proprio il video linkato nel tweet che ha scatenato la lite (video da “gustare”, questo sì, e innocentemente postato da chi scrive) mostra plasticamente quanto andiamo dicendo, ovvero un sodalizio culturale raro e prezioso. Ospite di Ferrara a Otto e Mezzo, Socci parla di Padre Pio, del Grande Inquisitore, della Vergine Maria. E in studio scatta la magia. Sono minuti ancora assaporabili su youtube; e proprio il ricordo della loro bellezza e verità («non male il soccino» si lascia scappare Ferrara nel suo tweet) e – più ancora – il ricordo di un’amicizia spirituale che ha il sapore di un paridise lost, ha innescato le scomposte reazioni seguite (fino alla deflagrazione ferrariana #eorabastarotturedicoglioni). Tutto ciò molto ben al di là della coloritura politica utilizzata - come copertura - dai due. Per essere ancora più chiari, la nostra convinzione (rapsodica e bislacca quanto si vuole) è che, pur citandoli, Socci e Ferrara non stessero litigando né per Bergoglio, né per Salvini.
Eppure in molti rimasero affascinati dal modo con cui l’elefantino si prendeva gioco di certa finta laicità, tanto che il Foglio era diventato il giornale di riferimento per molti cattolici, mentre – molto incuriosita – la Chiesa meno clericale strizzava l’occhio all’intellettuale ‘tendenza Chesterton’: dal Cardinal Ruini a padre Raniero Cantalamessa al direttore di Radio Maria padre Livio Fanzaga.
In comune Socci e Ferrara – oltre a Ratzinger-Benedetto XVI – avevano però anche la dura intolleranza dei più. Se i libri di Socci vendevano come il pane e il coraggio brioso di Ferrara era goduto e spalleggiato da più d’un Movimento ecclesiale (Salvatore Martinez nel 2007 lo invitò alla Convocazione nazionale del Rinnovamento nello Spirito; la simpatia per l’elefantino da parte di CL – adiuvante l’operazione di Luigi Amicone “Fratello Embrione, sorella verità” – era cosa nota; perfino la leader dei Focolari, Maria Voce, in un’intervistaa Tempi confidò a chi scrive che tra i tanti omaggi per la scomparsa di Chiara Lubich, l’articolo di Ferrara era stato «uno dei più apprezzati» dal popolo focolarino) ci si chiedeva come mai la maggioranza del mondo ecclesiale avesse così paura di dialogare con loro. Ecco ancora – chiarissimo – un altro tratto condiviso che oggi spiega certe scintille: il sentirsi “tollerati”, quando non rifiutati tout-court, dal principale interlocutore. Socci, da cristiano, già a inizio carriera veniva sottoposto a “inquisizione” per aver osato criticare Giuseppe Lazzati (seguirono altri boicottaggi, a iniziare dalla chiusura di Excalibur, trasmissione Rai da lui condotta). Ferrara, da laico, non è stato ritenuto degno di entrare nel Cortile dei Gentili né di salire sulla “Cattedra dei non credenti” del duomo di Milano (che pure corteggiava i Cacciari e gli Eco). A
Bucarest il cardinal Ravasi, nell’atto di definire con una lectio magistralis chi sono gli atei “degni” del Cortile dei Gentili, affermò: «Il loro impegno (di Cioran e Ionesco, ndr) è sincero e, a differenza di certi atei devoti, non ha connotazioni di altro genere, insalivate con altri sapori di tono politico o sociale». Ovvero, come sparare sull’elefantino senza nominarlo.
Ma se queste potrebbero anche considerarsi medaglie al merito, impantanarsi ieri sul “Royal baby”-Matteo Renzi e oggi sul “truce” (così Ferrara bolla Matteo Salvini), cioè sulla politica nuda e cruda, su qualcosa di infinitamente più modesto rispetto ai temi che avevano innervato il “suo” Foglio, rimane un mistero grande. Specie se – perché lo Spirito soffia davvero dove vuole – si è stati un tramite per elevare tanti alla grandezza del Logos (come avvenuto, ad esempio, per Giovanni Lindo Ferretti, ex leader del gruppo punk CCCP, che ad un Ferrara lestissimo nel bloccarlo confessava il ruolo giocato da questi nella sua conversione a Cristo; ancora su Otto e mezzo, dal min. 6) «Strappare dal cuore delle persone Cristo significa gettare l’uomo nella disperazione», ricorda Antonio Socci. E la dolente citazione di Ernest Renan è la chiave per capire l’inconfessata (e ricambiata, l’abbiamo visto) infatuazione di Ferrara per lo scrittore senese, che come un Virgilio ha portato l’elefantino davanti alla bellezza del Mistero. Avrebbe poi dovuto intervenire la virtù personale, cooperando con la Grazia, ma qualcosa è andato storto (siamo chiaramente in campo teologico, che è lì che si gioca la partita).
Mettendosi sinceramente a nudo, lo stesso Ferrara si confessava così: «Noi laici [..] siamo fragorosi e impudichi, se facciamo una battaglia di idee è sui giornali che nasce, sui giornali che muore; [..] ci rispecchiamo in categorie obsolete come vittoria o sconfitta, consumiamo le nostre vite senza tempo per osservarle, senza tempo per scrutare nel profondo quelle degli altri, senza tempo per viaggiare nel mistero dei carismi personali, del carisma di una chiesa, nel carisma di un popolo». ..Il punto è che invece servirebbe proprio tutto questo. Niente di meno. Non l’ultimo arrivato, bensì Gregorio Magno – che evangelizzò gli Angli e i Sassoni, che scrisse la Regula Pastoralis (il più grande trattato di spiritualità medievale), a cui dobbiamo la “messa gregoriana” – parlava di sé come “servus servorum Dei”, servo dei servi di Dio. Indicando l’umiltà come “ars artium”, l’arte delle arti. Bisogna saper scegliere quella che in morale si chiama l’“opzione fondamentale”. Tutto qui.
Certo, non è necessario essere “cattivi” per cedere alla rabbia, basta essere particolarmente preoccupati o stanchi. Nulla, dunque, è mai perduto. Come scrive Paolo agli Efesini, basta non far tramontare il sole sopra la nostra ira. Il tempo dirà se i due animosi, genialoidi, esagerati (ma a noi cari) intellettuali saranno in grado di far pace e di ricordarsi che i nemici, se ci sono, sono altri. É Natale, glielo auguriamo di cuore.
Pubblicato il 28 dicembre 2018
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