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09 giugno 2017

L'inutile porcata dell'educazione sessuale a scuola


di Giuliano Guzzo

«Contra factum non valet argumentum», sentenziavano i latini a rammentare il primato della realtà sulla narrazione. Un ammonimento antico, perfino banale forse, ma che varrebbe la pena tenere a mente, quando leggiamo di lezioni di sesso esplicito impartite alle elementari o ascoltiamo l’esperto di turno enfatizzare l’utilità per non dire la straordinaria importanza dell’educazione sessuale a scuola, iniziativa in verità di chiara connotazione ideologica – il primo a proporla per legge in Italia, nel 1975, fu non a caso il Partito Comunista – ma, soprattutto, di manifesta inutilità se non persino controproducente.

A suffragarne l’inutilità ci ha però pensato un vastissimo e direi definitivo studio con il quale, esaminando i dati provenienti da più di 55.000 giovani 14-16enni sottoposti a programmi di salute sessuale e riproduttiva provenienti dall’Africa sub-sahariana, dall’America Latina e dall’Europa, seguendoli da uno a 7 anni i ricercatori hanno concluso che detti corsi scolastici «non hanno alcun effetto sul numero di giovani persone infette da HIV ed altre malattie sessualmente trasmissibili» (Cochrane Database of Systematic Reviews, 2016).
Basterebbe già l’imponenza di una simile ricerca, a ben vedere, a chiudere la questione. Tuttavia un recentissimo studio, andando oltre, ha confermato quanto già gli esperti del campo, come il prof. Renzo Puccetti, evidenziano da tempo: l’educazione sessuale a scuola non è solo inutile – cosa che già dovrebbe allarmare, pensando ai quattrini spesso e volentieri pubblici con cui viene promossa – ma addirittura un boomerang. Trattasi di uno studio che, prendendo in esame il caso dell’Inghilterra, ha messo in rilievo un passaggio semplice ma assai eloquente.

Il fatto, in breve, è che a più educazione sessuale – strano ma vero – corrispondono più gravidanze tra le giovanissime; viceversa ad un calo d’intensità dell’osannata iniziativa, le cose migliorano. Esagerazione? Per nulla: nel 1999, in Inghilterra appunto, quando le iniziative di sensibilizzazione sulle pratiche sessuali toccavano economicamente il loro culmine, si contavano oltre 40.000 di under-18 incinte. Poi, probabilmente anche perché la cosa non dava i frutti sperati, dal 2010 i fondi per l’educazione sessuale hanno iniziato a calare e così pure le ore scolastiche dedicatevi. Ebbene, che è accaduto?

E’ successo che le gravidanze tra le giovanissime, anziché aumentare, hanno preso a ridursi drasticamente, tanto che nel 2015 si sono registrati solo 20.000 casi. Meno della metà di quelli registrati sedici anni prima. Questo perché, secondo i ricercatori occupatisi della questione, chi segue corsi di educazione sessuale, rispetto agli altri, tende ad anticipare l’età del primo rapporto, ad averne con maggiore frequenza e ad adottare comportamenti sessualmente maggiormente a rischio (cfr. Journal of Health Economics, 2017). Il perché poi questo accada, a sua volta, non risulta affatto difficile da comprendere.

La quasi totalità dei corsi di educazione sessuale, infatti, si risolve in apologia della contraccezione e lezioncine hot, riducendo il fare l’amore a robetta da manuale delle istruzioni, della serie più conosci i dettagli e più vai pure sul sicuro. In sostanza l’educazione sessuale a scuola non educa affatto, anzi fa opposto rispetto a giovani assetati come non mai di ideali grandi, delusi come sono dal vuoto tutto intorno. Morale della favola per bocciare certi corsi scolastici – penso ai genitori preoccupati che strani “insegnamenti” possano essere proposti ai loro figli – non occorre essere cattolici, ma un po’ informati. E vedrete che gli “esperti”, a scuola, non li si vedrà più manco col binocolo.

https://giulianoguzzo.com/2017/06/09/nuovo-studio-conferma-leducazione-sessuale-a-scuola-e-un-boomerang/

 

05 maggio 2017

A difesa delle Scuole paritarie


di Daniele Barale

Mercoledì mattina, davanti al municipio di Torino, si è svolta una manifestazione contro i recenti tagli alle scuole materne paritarie operata dall’amministrazione 5-stelle, guidata da Chiara Appendino.

A promuoverla è stata la Fism (Federazione italiana scuole materne), per dire sì alla libertà di educazione, contro ogni ideologia liberticida e statalista.

Per due ore, dalle 10 alle 12, una nutrita delegazione di genitori, insegnanti e presidi ha fatto sentire le proprie ragioni contro la scelta del sindaco Appendino di tagliare il 25% del contributo alle scuole cattoliche della FISM e alla scuola della comunità ebraica: da 3 milioni a 2 milioni e 250 mila euro per 55 istituti che accolgono 5.500 bambini.

Una scelta irresponsabile, dato che le scuole rischiano di chiudere e di mandare al collasso l’intero sistema d’istruzione della città. In questo modo la promessa del sindaco Appendino di non voler tagliare sui servizi essenziali, istruzione e welfare è venuta meno. Ha fatto fare pochissimi tagli sui servizi a gestione comunale ma molti appunto sulla scuola. Non a caso, e a ragione, gli organizzatori della manifestazione ai giornalisti presenti asserivano: «È la conferma che la giunta Appendino si muove in modo ideologico, senza nessun criterio ed equilibrio; che mette in difficoltà la famiglia: i tanti papà e mamme che hanno scommesso sulle scuole paritarie a causa dei tagli subiranno un aumento delle rette, come se i loro figli fossero di serie B solo perché vanno in una scuola paritaria cattolica».

Non è mancato alla buona battaglia dei manifestanti l’appoggio di migliaia di persone, perché mentre erano in piazza, in dieci mila hanno firmato contro i tagli dei cinque stelle; e a questi si aggiungono i non pochi esponenti politici e della società civica, provenienti da diverse aree, fatto che conferma la trasversalità e il buon senso comune alla base delle ragioni della Fism. Sono passati in piazza Silvio Magliano, consigliere dei Moderati, Monica Canalis e Stefano Lo Russo, consiglieri PD; due “camei” di Piero Fassino e Osvaldo Napoli. Vi è stata anche una delegazione del Popolo della Famiglia, rappresentata dal dottor Marcello Protto. Presenti anche Agesc (Associazione genitori scuole cattoliche) e MCL (Movimento cristiano lavoratori).

Dopo due ore, verso la fine della manifestazione, è arrivata anche la reazione da parte del Movimento Cinque Stelle. Il capo gabinetto e portavoce del sindaco Paolo Giordana e l’assessore all’istruzione Federica Patti si sono avvicinati ai rappresentanti della Fism e delle varie associazioni, dopo che questi hanno insistito per avere risposte direttamente dal sindaco. Giordana e Patti non hanno dimostrato di voler essere solidali e nemmeno di voler ascoltare seriamente le istanze dei loro interlocutori.

Sì, una cosa è chiara (più del sindaco): Appendino e company sono ben contenti di dimenticare che la scuola paritaria, cattolica e non, è sempre pubblica. Da sostenitori di una ideologia che limita, come già si diceva in apertura, la libertà di educazione, di espressione (articoli 21 e 30 della Costituzione). Ecco perché ossessivamente non vogliono riconoscere che la scuola paritaria e statale hanno pari dignità e non vogliono riconoscere che c’è bisogno di tutti i gestori di scuole. «La collaborazione tra scuole paritarie, comunali e statali permette di massimizzare le risorse. Non conta chi sono i gestori, ma se offrono una scuola di qualità, accessibile a tutti e rispettosa di chiunque. Nella sfida educativa, abbiamo bisogno di tutti». Come affermava nel 2015 al meeting di Rimini Luigi Berlinguer, ex ministro dell’Istruzione e autore della legge 62/2000 sulla parità scolastica. Di certo non un galoppino del Papa.

https://labaionetta.blogspot.it/2017/05/obice-scuole-paritarie-in-piazza-contro.html

 

12 gennaio 2017

I casi Mortara, fra patria potestà e libertà di educazione



di Riccardo Zenobi

Dopo il “Caso Spotlight”, film "da oscar" sulla pedofilia nel clero (cattolico) uscito 15 anni dopo gli eventi narrati, Hollywood ci delizierà prossimamente con un film di Spielberg sul caso Mortara, una storia di appena 160 anni fa; sicuramente un’altra pellicola che farà il pieno di premi – anche nel caso venisse girata in uno scantinato con un fondale di cartapesta, ma a Spielberg i soldi non mancano, né mancheranno i finanziatori.

Prima di addentrarci ulteriormente nella questione, è opportuno ripercorrere i fatti salienti connessi al “caso Mortara”, per capire di cosa si parla e perché, nonostante risalga alla metà dell’ottocento e da circa un secolo non interessa più nessuno, ci fanno un film sopra.

Nel 1852, nella Bologna pontificia, la domestica cristiana del commerciante ebreo Momolo Mortara battezzò di sua iniziativa il piccolo Edgardo, cui i medici avevano dato poche ore di vita. Inaspettatamente, il bambino si riprese e, sei anni più tardi, la notizia del battesimo furtivo, ma valido, giunse all’orecchio delle autorità e il piccolo, che secondo la legge sia civile che ecclesiastica doveva essere educato cristianamente, fu portato a Roma.”

Queste righe sono tratte dal retro del libro “Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX”, memoriale in cui lo stesso Edgardo Mortara (divenuto canonico regolare lateranense) nel 1888 ripercorre i fatti che lo hanno visto protagonista e sono sufficienti per inquadrare a livello storico la vicenda, la quale ebbe risonanza internazionale all’epoca degli eventi – testimoni sono dei libelli dell’epoca, scritti in diverse lingue, che si possono reperire anche su Google books.

Un evento del genere fa rabbrividire l'uomo contemporaneo; anche se riguarda una situazione storica differente, lontana dai nostri schemi culturali, etc.: al netto di tutto ciò, l’evento in sé stesso non può essere accettato da una sensibilità moderna. Ed essendo io stesso contemporaneo, anche io ho una simile reazione emotiva; solo che non ho intenzione di fermarmi alla semplice sensazione istintiva di trovarmi di fronte ad una ingiustizia, ma voglio analizzare perché ho tale reazione, sotto quale prospettiva questo evento è ingiusto e – tornando a quanto esposto in apertura – anche il film che ci faranno sopra sarà veicolo di ingiustizia.

L’evento descritto nelle righe riportate mi appare ingiusto perché riguarda un bambino che l’autorità ha separato dalla famiglia – sottraendolo quindi alla patria potestà e alla tutela genitoriale nell’educazione – ed è stato educato in maniera differente da come voleva la tradizione famigliare. Il tutto, fateci caso, in maniera completamente legale: non si è trattato di un battesimo forzato comminato dall’autorità ecclesiastica – la domestica agì di sua spontanea volontà – e le leggi dell’epoca prevedevano che un bambino battezzato validamente ricevesse una educazione cristiana – quindi non imponevano ad una famiglia non cristiana di educare i figli cristianamente. Legalmente non era un abuso, umanamente per qualcuno lo è. E ciò fa capire che legge non è sinonimo di giustizia. Ciò però è vero non solo nel caso di normative in se stesse apparentemente inaccettabili: se controlliamo, le leggi tirate in ballo in questo caso non sono in se stesse ingiuste, poiché la legislazione non permetteva certo il battesimo contro la volontà della famiglia di origine del bambino, e il fatto che una legge preveda che bambino battezzato riceva una educazione cristiana difficilmente può essere vista come un “mostro giuridico”. Eppure, questo evento fa capire che nemmeno una legge giusta è automaticamente sinonimo di giustizia.

Questo evento storico deve essere una lezione per tutti noi contemporanei: l’ingiustizia può essere completamente legale. Infatti, se ci fate caso, cosa si è violato? La patria potestà e la libertà d’educazione, temi caldissimi nel dibattito attuale, in quanto grazie all’utero in affitto un bambino può essere separato dalla madre biologica (o da colei che lo ha portato in grembo), e sul versante dell’educazione è lo Stato che decide di introdurre certe ideologie nei programmi scolastici già alle elementari, genitori volenti o nolenti. Dite che è un paragone abusivo? Non mi pare: in entrambi i casi si fa tutto legalmente e in nome dell’insegnamento della verità – solo che nel caso Mortara la verità era il Vangelo, mentre attualmente è l’ideologia di riferimento dei radical chic. Certo, oggi i bambini non vengono sottratti fisicamente alla famiglia ed educati ad una religione a cui non appartengono i genitori, almeno non formalmente. Sfido però chiunque a sostenere che non è materialmente in questo modo: non sono state le famiglie a chiedere di introdurre l’ideologia gender nei programmi scolastici, e se ci fossero genitori recalcitranti che rifiutano di mandare i propri figli a scuola lo Stato interverrebbe legalmente per sottrarli alla patria potestà, in nome di principi contrari alla libertà d’educazione, come previsto dalle leggi vigenti.

Chiunque ritenga ingiusto e abominevole il caso Mortara si chieda se una cosa del genere non stia avvenendo nella civilissima Europa del XXI secolo, il tutto legalmente e sotto lo sguardo compiaciuto o sconfortato di molte famiglie. Ma su una famiglia israelita vissuta negli stati pontifici nel XIX secolo ci faranno un film da oscar, mentre su migliaia di famiglie cristiane che vivono in Europa nel XXI secolo ci vorrà molto tempo perché venga posta una qualsiasi domanda. Ecco perché tale film sarà esso stesso veicolo di ingiustizia: perché darà certamente luogo ad una levata di scudi contro la Chiesa cattolica, smuoverà l’indignazione giusta ma verso l’obbiettivo sbagliato, perché oggi il vero problema riguardo il tema dell’educazione forzata non è dato dalla Chiesa ma dallo Stato e dalla sua ideologia di turno. Alla fine, Hollywood si conferma essere la troupe cammellata delle ideologie di riferimento dei potenti – e ciò del tutto legalmente.

 

26 giugno 2015

Libertà di educazione e scuole parentali



di Michele Silvi 


Patto educativo di corresponsabilità, Sussidiarietà, Autonomia, Cooperazione, Sistema formativo integrato... Ne abbiamo sentite tante, negli ultimi anni, di paroline magiche che si proponevano di risolvere l'ormai eterno problema dell'alienazione delle istituzioni educative pubbliche. Abbiamo visto nascere i POF (Piani dell'Offerta Formativa) per permettere a famiglie, associazioni ed enti locali di interagire con la programmazione scolastica, ma in definitiva cosa si è risolto?

Ce lo dice l'esperienza: niente. Per migliaia di bambini e ragazzi la scuola continua ad essere un non-luogo, un mondo separato dalla realtà, dalla società e dalla stessa comunità educante in cui gli input esterni, quando ci sono, o vengono del tutto inglobati nella burocrazia scolastica a tal punto da accrescere tale separazione o prendono la forma di sceneggiate, momenti di intrattenimento, pause dalla vera esperienza scolastica.


Quando si parla di rapporti scuola-famiglia l'idea comune è quella del controllo (da parte della famiglia) oppure della denuncia (da parte della scuola) di situazioni “difficili”. Il clima di reciproca diffidenza è così diffuso che è sempre più difficile ottenere l'autorizzazione dei genitori ad avviare quelle pratiche che garantirebbero un insegnante di sostegno ad un bambino bisognoso, e d'altra parte gli insegnanti sono portati a mantenersi nei limiti di competenza della loro professione per non rischiare che un sincero interessamento per il bene dell'alunno venga visto come un'“invasione” nella vita privata delle famiglie fino ad arrivare a conseguenze legali.

Ciò che ne deriva è un rapporto di sussidiarietà solo formale, burocratico, in cui sulla carta famiglia e scuola “cooperano” ma nella realtà sono estranei; tutto è formalizzato e codificato fino a tal punto che tutti gli attori in scena si trovano spesso con le mani legate dalla paura di essere accusati di abusare del  proprio ruolo o di evadere dalla propria zona di competenza.


Se vogliamo parlare davvero di “comunità educante”, tuttavia, è necessario che esista innanzitutto una comunità: “Insieme di persone che hanno comunione di vita sociale, condividono gli stessi comportamenti e interessi.” (treccani), di cui, a mio parere, l'elemento  caratterizzante è proprio la “comunione di vita sociale”, il vivere insieme, il condividere un'esperienza della realtà. Proprio ciò che nelle nostre scuole non avviene.

La comunità non è una cosa che si limita a vivere entro gli stessi confini geografici, o meglio: non può esserlo se deve essere comunità educante. È necessario che ci sia un laccio che tenga unita una comunità che voglia educare, legame che si chiama fiducia: fiducia sì nelle istituzioni, ma soprattutto nelle persone. E di chi si fiderebbe un genitore? Di un professionista forgiato dal Ministero? Ancora, l'esperienza ci dice di no. Quei genitori che non si fidano dei servizi sociali e delle Asl non si fideranno nemmeno del professionista della formazione che il nostro Ministero si impegna a formare, perché questi sono meri ruoli, maschere, mentre per rendere possibile la fiducia bisogna presentare alle persone altre persone; persone che non ricoprono un ruolo part-time ma  che testimoniano a tempo pieno la volontà di mettersi a disposizione dei bisogni formativi degli alunni.

È per questo motivo, presumiamo, che molti genitori si rivolgono a figure educative non professionali con un coinvolgimento e un interesse più profondo di quello che dimostrano per chi viene pagato dallo Stato proprio per svolgere quelle funzioni (mi riferisco agli oratori, centri ricreativi, associazioni e tutto quel mondo di agenzie educative non istituzionali che ogni giorno cerca di colmare, non sempre con successo, le carenze istituzionali), ma è proprio per questo motivo che inizia ora a diffondersi il fenomeno di una scuola che nasce “dal basso”, ovvero gruppi di genitori che si organizzano per fare a meno degli organismi burocratici finanziati dalle loro tasse e scelgono insegnanti fidati per allestire a loro spese scuole non solo a misura di bambino, ma anche a misura della comunità come stanno facendo, ad esempio, i fondatori di Alleanza Parentale.

Qualcuno chiama questo fenomeno “homeschooling”, ma la “casa” non è la “residenza”, la casa è proprio la comunità che non consegna i suoi figli ad un'entità aliena ma se ne prende cura con le proprie risorse guidandoli nella scoperta del proprio mondo: un mondo reale, vivo, concreto. Riuscirà mai la Scuola finanziata dalle nostre tasse farsi espressione di una comunità? Per ora non ci riesce, e solo chi può permetterselo (purtroppo) risolve come crede, dando fiducia a chi sa ispirarla.

 

06 ottobre 2014

10 mila Sentinelle in piedi invadono le piazze italiane


di Alessio M.P. Calò

Grande successo e partecipazione per la manifestazione nazionale delle Sentinelle in piedi, “Cento piazze per l’Italia”, durante la quale il movimento, apartitico ed aconfessionale (nonostante i media continuino a darci degli ultracattolici e dei forzanovisti, ma conosciamo bene il livello indegno del giornalismo italiota), ha vegliato a favore della libertà di espressione, per la famiglia fondata sull’unione tra un uomo e una donna, per la libertà di educazione, per il diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre; e contro l'impossibilità di manifestare il proprio pensiero, contro l’ideologia gender, contro il cosiddetto “matrimonio” omosessuale, contro l’adozione di bambini a coppie omogenitoriali, contro la fecondazione eterologa e contro l’aberrante pratica dell’utero in affitto.

 

02 ottobre 2014

Domenica 5 ottobre: Sentinelle in piedi in 100 piazze d'Italia!


di Giulia Tanel

È passato poco più di un anno da quando, in una piccola cittadina del nord, uno sparuto gruppo di persone ha deciso di scendere per la prima volta in piazza sullo stile dei Veilleurs debout francesi, i cosiddetti “Veglianti in piedi” che, con il loro semplice stazionamento in posizione eretta davanti a luoghi simbolo del potere, si opponevano a provvedimenti non conformi alla loro coscienza. Eppure in pochi mesi la situazione ha subito un’evoluzione molto rapida, tanto che nel corso di quattordici mesi sono state migliaia le persone che hanno vegliato in oltre 150 d’Italia. Un intero popolo di giovani, adulti, genitori, nonni, insegnanti, avvocati, medici... si è mobilitato in favore della libertà di espressione, per la famiglia fondata sull’unione tra un uomo e una donna, per la libertà di educazione, per il diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre; e contro il ddl Scalfarotto, contro l’ideologia gender, contro il cosiddetto “matrimonio” omosessuale, contro l’adozione di bambini a coppie omogenitoriali, contro la fecondazione eterologa e contro l’aberrante pratica dell’utero in affitto.

Stiamo parlando delle Sentinelle in Piedi, una rete aconfessionale e apartitica pronta a dimostrare pubblicamente, in maniera silenziosa e assolutamente pacifica, che in Italia sono ancora molte le persone ad avere a cuore i princìpi – non a caso definiti “non negoziabili” – che costituiscono la base della nostra società: la vita, la famiglia e l’educazione. “Mentre il relativismo dilaga e molti sembrano rimanere indifferenti – scrivono le Sentinelle in Piedi –, c’è una rete da Nord a Sud che non solo informa e forma, ma che è pronta a farsi vedere, uscendo dalle sale dei convegni e dalle sagrestie, uscendo allo scoperto per rivolgersi al cittadino comune e svegliare le coscienze sopite. [...] In silenzio, leggendo un libro come simbolo di formazione continua, le Sentinelle in Piedi invadono le piazze in un modo del tutto nuovo e pacifico, e si mobilitano ogni volta che è minacciata la natura dell’uomo della civiltà. Da Trento a Salerno, da Bisceglie a Trieste passando per Firenze, Napoli e Milano, da Genova a Venezia, questa resistenza di cittadini, pacifica silenziosa e sempre più numerosa, scende in piazza per ribadire che non è possibile zittire le coscienze di chi ha gli occhi aperti”.

Domenica 5 ottobre questo straordinario movimento di popolo vivrà un momento particolarmente importante dal momento che, per la prima volta, le Sentinelle in Piedi manifesteranno contemporaneamente in circa cento città d’Italia. Tante persone saranno simbolicamente unite per riaffermare – con G. K. Chesterton – che “le foglie sono verdi in estate”: ossia che la famiglia è una sola, che i bambini hanno bisogno di un papà e di una mamma, che essere maschio o femmina non è frutto di una scelta o di un’influenza culturale, che la libertà di coscienza e di espressione vengono prima di qualsivoglia ideologia e non possono essere messe a tacere troppo facilmente.

In tutto questo le Sentinelle in Piedi sono confortate dalla consapevolezza che la loro mobilitazione sta producendo i frutti desiderati: non è infatti un caso se la discussione al Senato del ddl Scalfarotto è momentaneamente “congelata”, così come non è stata vana la mobilitazione delle Sentinelle trentine, alla cui presenza va in parte attribuita la sospensione delladiscussione, presso il Consiglio Provinciale di Trento, del ddl locale sull’omofobia.

Mantenere desta la coscienza e avere il coraggio di portare avanti le proprie idee è quindi necessario, oggi più che mai. Ma soprattutto, oltre che per la società nel suo complesso, è un’azione utile innanzitutto per chi decide di “metterci la faccia” vegliando in piazza, in quanto comporta una nuova presa di coscienza circa i valori sui quali vale ancora la pena scommettere. Ed è anche per questo motivo che, in chiusura, ci sentiamo di rivolgere a tutti l’appello a scendere in piazza con le Sentinelle in Piedi domenica 5 ottobre. 


 

29 marzo 2014

L’omocrazia e la dittatura degli “uguali”

di Giorgio Mariano

La macchina dell’indottrinamento culturale marcia ormai a pieno regime calpestando ogni autentica libertà, anche quelle sancite dalla Costituzione la quale, se soltanto fino a pochi mesi fa veniva celebrata dal simpatico sponsor Benigni come “la più Bella del Mondo” ora è diventata semplicemente “la più Omofoba del mondo”.

Si chiama “educare alla diversità” l’opuscolo prodotto dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale) e messo in circolazione (senza permesso del relativo dipartimento per le Pari Opportunità!) negli asili e nelle scuole elementari italiane. Nonostante il sottosegretario all’Istruzione Toccafondi abbia preso le distanze dall’iniziativa chiaramente ideologica e, nonostante la nota di demerito pervenuta al direttore dell’UNAR, M. De Giorgi, dal Dipartimento delle Pari Opportunità, gli opuscoli continuano a circolare indisturbati. Non solo. La Regione Umbria, per esempio, in accordo con l’associazione “Omphalos Arcigay Arcilesbica", ha lanciato una feroce campagna, a spese dei contribuenti, per diffondere l’educazione di genere sotto la sempre di moda veste della “lotta alla discriminazione”. L. Pesaresi, assessore al Comune di Perugia con delega alle Pari Opportunità, afferma che la “cultura di genere” va “promossa e inserita nei percorsi educativi”. Il programma prevede incontri su sessualità, omosessualità, educazione alle differenze, ecc. All’articolo 30 della Costituzione Italiana, tuttavia, si legge espressamente che: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei  casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”. Ricordiamo, dunque, che istruire ed educare i figli è compito proprio dei genitori e delle famiglie e non delle scuole o di associazioni paragovernative allineate ai dettami omosessualisti, i quali, lo vediamo chiaramente, se ne infischiano della patria potestà e del diritto dei genitori a fornire l’educazione e la formazione che ritengono più giusta per il corretto sviluppo umano dei propri figli. No, ora sono gli “specialisti”, i “tecnici” della sessualità che, entrando a forza nelle scuole, spiegano ai nostri figli come far emergere il loro “lato gay”.  

L’opuscolo si chiama “educare alla diversità” ma va letto “indottrinare all’uniformità” giacché ben lungi dalla conservazione e dalla stima della diversità, che sarebbe la mera constatazione della distinzione fra maschi e femmine, al contrario mira ad appiattire ogni tipo di diversità anche quelle biologiche, esteriori, evidenti. Si parte cioè da una apparente lotta alla discriminazione in favore di una presunta “tutela della diversità” per giungere in definitiva verso l’uniformità di vedute e di pensiero che non prevede una distinzione netta fra la sessualità maschile e femminile (questa sì è diversità!) bensì verso una confusione sessuale che priva l’individuo della sua propria identità. Inoltre appare decisamente incoerente questa veste filantropica della tutela della diversità quando la “teoria del gender” altro non è che l’avanguardia e l’apripista della “teoria queer” la quale, in soldoni, concepisce l’essere umano come indeterminato, privo di una sua sessualità originaria, ma del tutto neutro e asessuato. Ciò significa che il punto di partenza non è la diversità, legittima, naturale, autentica, reale, bensì una uguaglianza di fondo che anzi elimina ogni differenza sostanziale.  Ci muoviamo sui binari marxisti della lotta di classe confluita in una vera e propria lotta alla diversità e alla disuguaglianza e non, come si vuol far credere, di una tollerante educazione alla diversità. Perché se veramente si volesse educare alla diversità si terrebbe conto della naturale e ontologica diversità maschio-femmina, due mondi così vasti quanto maltrattati.

Non possiamo non notare tutto il lavorio minuzioso e radicale che si sta pazientemente sviluppando da anni nell’appiattimento di qualsiasi distinzione la natura ci presenti. A partire da quella fra l’uomo e l’animale (l’antispecismo), fra l’uomo e la donna (la teoria gender e la teoria queer), fra ricchi e poveri, capitalisti e operai (le istanze del marxismo), fra gli intelligenti e i meno dotati, fra l’ignorante e il sapiente (l’egualitarismo delle qualità), fra i giovani e gli anziani (il mito dell’eterna adolescenza). In definitiva tutto volge verso l’eliminazione di ogni differenza e distinzione, ossia verso un’autentica distruzione della diversità. L’attuale propaganda della “tolleranza” è solo uno specchietto per le allodole finalizzato all’annichilimento della persona umana privata di ogni riferimento morale, psicologico, biologico ed esistenziale per ridurlo schiavo delle proprie passioni e della propria volontà impazzita, criterio ultimo del moderno concetto di giustizia: io lo desidero, quindi è giusto, di conseguenza, ne ho diritto! Siamo dinanzi ad una vera e propria “omocrazia” ossia una “dittatura dell’uguale” secondo la quale tutto è diverso e uguale a se stesso secondo il principio gnostico e massonico del solve et coagula (sciogli e riunisci). Vediamo chiaro come il sole che gli alfieri dell’ideologia di genere non sono abituati a chiedere: i programmi vengono semplicemente imposti. Il nuovo subdolo mezzo sono le favole. Solo che non è la mamma a leggerle, ma un esponente della comunità gay, e la favola non è innocente, ma ideologica. Non si vuole insegnare una piccola morale, ma il pensiero unico dell’ideologia gender. Il mezzo per chiudere la bocca agli obbiettori e a tutti coloro che come dei bruti e retrogradi hanno sempre creduto che la vita scaturisse solo da un maschio e una femmina è l’accusa di omofobia e di intolleranza.


Ai genitori e a tutti gli uomini di buona volontà: ribellatevi al pensiero unico, alla dittatura omocratica e all’omolatria imperante! Non lasciatevi strappare l’innocenza dei vostri figli sotto il naso! Attenti ai programmi scolastici, occhio alle “nuove” iniziative e domandate conto di ciò che viene trasmesso nell’orario scolastico. Il diritto all’istruzione e all’educazione della prole è nostro, non lasciamo che “altri” corrompano i costumi e le menti delle nuove generazioni. Difendiamo la vita, difendiamo la famiglia naturale, l’unica vera famiglia, quella tra un uomo e una donna, e avremo difeso l’integrità della persona umana.
 

14 novembre 2013

Padre condannato per schiaffi. Facciamo del buon senso sull’educazione.

di Alessandro Rico

La vicenda del papà di Arezzo, condannato a un mese di reclusione per uno schiaffo al figlio, è molto più complessa di quanto si può sospettare. Guai a fare anche di questo, un problema di tifoserie nemiche, quella a favore dei ceffoni e quella votata alla non violenza assoluta. Innanzitutto, vanno chiarite le circostanze: pare che la sberla incriminata abbia lasciato un segno rosso sul viso del bambino, sconvolto al punto da saltare la scuola per diversi giorni. E poi bisogna specificare il reato che i giudici hanno contestato al manesco genitore: si tratta di abuso dei mezzi di correzione, una fattispecie regolata dall’articolo 571 del Codice penale, che punisce chiunque, nell’impiego appunto «dei mezzi di correzione o di disciplina», esponga la persona sottoposta alla sua autorità al pericolo «di una malattia nel corpo o nella mente».
 

11 settembre 2013

La scuola omogenea come scelta educativa

di Paolo Pugni

Diceva Messori che per ritrovarsi alla testa del rinnovamento basta rimanere fermi sui propri principi, solidi e ben razionali, quelli che oggi vengono bollati come tradizionalisti, perché la ruota della storia, ondivaga o –oggi diremmo– liquida prima o poi fa sì che appaia l’avanguardia del nuovo. Il famoso e apprezzato autore lo riferiva alla Chiesa, credo di non fare torto né a lui né alla Storia nell’applicare questa arguta osservazione a tutti quei casi in cui la certezza di valori basati sulla persona sono messi in dubbio da variegate mode più o meno affidabili.