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29 ottobre 2019

Giallo-rossi polverizzati in Umbria


di Giuliano Guzzo
Insomma, non è successo niente. In Umbria i giallorossi hanno rimediato una batosta epocale – manco sommati, si è capito, contano granché -, ma sembra non sia successo niente. Il premier Giuseppe Conte ha dichiarato che il voto umbro  «è un test da non trascurare affatto ma noi siamo qui a governare con coraggio e determinazione», confermando un attaccamento al suo ruolo (e alla sua poltrona) che manco la Vinavil. Nicola Zingaretti ha parlato di «risultato di tenuta», mentre Grillo se n’è addirittura uscito con un «pensavo peggio» davvero spiritoso dato che, dalle politiche dal 2018 ad oggi, il Movimento 5 Stelle – solo in Umbria – ha perso quattro quinti dei suoi voti.

A questo punto viene da chiedersi perché mai Pd e 5 Stelle non festeggino, se davvero hanno rimediato un «risultato di tenuta», pensavano «peggio», e possono governare con «coraggio e determinazione». Battute a parte, la sensazione è che, se ieri i giallorossi temevano le urne, tanto da inventarsi un apparentamento che ha fatto incenerire anni di analisi politiche, oggi ne sono terrorizzati. Altro che togliere il voto agli over 65, insomma: è già tanto che non lo tolgano a tutti, che non sospendano la democrazia a gloria dell’Europa e dello spread. Il problema, per loro, è che non hanno fatto i conti con Matteo Renzi che, osservando a quali vertici di popolarità sta portando il Conte Bis, potrebbe a breve di abbandonare la nave. E lì sì che per Pd e 5 Stelle sarebbero dolori.

Intanto, ciò che colpisce – posto che nessuno si aspettava solenni autocritiche dei giallorossi -, è la nonchalance con cui costoro dimostrano di non pensarci neppure a porre fine ad un’esperienza governativa che, se i numeri hanno un senso, non è criticata ma detestata dagli italiani. Ah già, gli italiani: ci sono pure loro. Sembra quasi a sinistra se ne siano scordati, fingendo di non capire che l’ondata sovranista è anche – anzi, soprattutto, viene da aggiungere – diretta conseguenza di forze politiche che, da tempo, sacrificano l’interesse nazionale a beneficio di quello estero – sia esso quello di Bruxelles, di Berlino o di Parigi – e di quello domestico, sia esso quello grillino o quello piddino. Il talento politico di Matteo Salvini e quello di Giorgia Meloni non si discute, insomma. Ma pure la miopia giallorossa non scherza.
 

05 maggio 2017

A difesa delle Scuole paritarie


di Daniele Barale

Mercoledì mattina, davanti al municipio di Torino, si è svolta una manifestazione contro i recenti tagli alle scuole materne paritarie operata dall’amministrazione 5-stelle, guidata da Chiara Appendino.

A promuoverla è stata la Fism (Federazione italiana scuole materne), per dire sì alla libertà di educazione, contro ogni ideologia liberticida e statalista.

Per due ore, dalle 10 alle 12, una nutrita delegazione di genitori, insegnanti e presidi ha fatto sentire le proprie ragioni contro la scelta del sindaco Appendino di tagliare il 25% del contributo alle scuole cattoliche della FISM e alla scuola della comunità ebraica: da 3 milioni a 2 milioni e 250 mila euro per 55 istituti che accolgono 5.500 bambini.

Una scelta irresponsabile, dato che le scuole rischiano di chiudere e di mandare al collasso l’intero sistema d’istruzione della città. In questo modo la promessa del sindaco Appendino di non voler tagliare sui servizi essenziali, istruzione e welfare è venuta meno. Ha fatto fare pochissimi tagli sui servizi a gestione comunale ma molti appunto sulla scuola. Non a caso, e a ragione, gli organizzatori della manifestazione ai giornalisti presenti asserivano: «È la conferma che la giunta Appendino si muove in modo ideologico, senza nessun criterio ed equilibrio; che mette in difficoltà la famiglia: i tanti papà e mamme che hanno scommesso sulle scuole paritarie a causa dei tagli subiranno un aumento delle rette, come se i loro figli fossero di serie B solo perché vanno in una scuola paritaria cattolica».

Non è mancato alla buona battaglia dei manifestanti l’appoggio di migliaia di persone, perché mentre erano in piazza, in dieci mila hanno firmato contro i tagli dei cinque stelle; e a questi si aggiungono i non pochi esponenti politici e della società civica, provenienti da diverse aree, fatto che conferma la trasversalità e il buon senso comune alla base delle ragioni della Fism. Sono passati in piazza Silvio Magliano, consigliere dei Moderati, Monica Canalis e Stefano Lo Russo, consiglieri PD; due “camei” di Piero Fassino e Osvaldo Napoli. Vi è stata anche una delegazione del Popolo della Famiglia, rappresentata dal dottor Marcello Protto. Presenti anche Agesc (Associazione genitori scuole cattoliche) e MCL (Movimento cristiano lavoratori).

Dopo due ore, verso la fine della manifestazione, è arrivata anche la reazione da parte del Movimento Cinque Stelle. Il capo gabinetto e portavoce del sindaco Paolo Giordana e l’assessore all’istruzione Federica Patti si sono avvicinati ai rappresentanti della Fism e delle varie associazioni, dopo che questi hanno insistito per avere risposte direttamente dal sindaco. Giordana e Patti non hanno dimostrato di voler essere solidali e nemmeno di voler ascoltare seriamente le istanze dei loro interlocutori.

Sì, una cosa è chiara (più del sindaco): Appendino e company sono ben contenti di dimenticare che la scuola paritaria, cattolica e non, è sempre pubblica. Da sostenitori di una ideologia che limita, come già si diceva in apertura, la libertà di educazione, di espressione (articoli 21 e 30 della Costituzione). Ecco perché ossessivamente non vogliono riconoscere che la scuola paritaria e statale hanno pari dignità e non vogliono riconoscere che c’è bisogno di tutti i gestori di scuole. «La collaborazione tra scuole paritarie, comunali e statali permette di massimizzare le risorse. Non conta chi sono i gestori, ma se offrono una scuola di qualità, accessibile a tutti e rispettosa di chiunque. Nella sfida educativa, abbiamo bisogno di tutti». Come affermava nel 2015 al meeting di Rimini Luigi Berlinguer, ex ministro dell’Istruzione e autore della legge 62/2000 sulla parità scolastica. Di certo non un galoppino del Papa.

https://labaionetta.blogspot.it/2017/05/obice-scuole-paritarie-in-piazza-contro.html

 

24 gennaio 2016

Cosa nasconde il nuovo moralismo italiano


di Nicola Tomasso

L’Italietta liquida estorta nei suoi bassifondi dalla volgare vanità di Renzi e dal cicalio ronzante di Grillo in questi giorni mostra il suo vero volto, sfigurato quasi ineluttabilmente e ridotto a carcassa in mano a stupide iene. Il caso di Quarto dipinge in modo assai eloquente l’imbruttimento socio-culturale (e aggiungerei antropologico) italiano, gettando nel pentolone mediatico il peggiore moralismo mai manifestato fin’ora. Di più, lo scontro sui gradi di perfezione tra M5S e PD è quanto di più rivoltante si potesse assistere in apertura di 2016 (se si apre così!). Non sono solo dei superficialotti improvvisati alla politica, sono anche rei, turpi assassini delle parole e dei valori. Sono colpevoli di aver cancellato dal vocabolario la parola “garantismo” dando inizio alla dittatura del moralismo ideologico; di aver gettato nell’oblio il concetto di dignità dell’uomo, estendendo la voglia matta di sangue dai feti al palcoscenico elevato del pubblico patibolo; di dare in pasto ai ventri degli italiani lamentosi e invidiosi ogni sorta di porcheria giustizialista, con tanto di eco ecclesiastica; sono colpevoli di aver sovvertito la morale cristiana, quella del peccato veniale e mortale, quella della piena avvertenza e del deliberato consenso, quella fondata sulla legge naturale e sui dieci comandamenti, con la morale della pubblica indignazione. E così ci si indigna come lorsignori decidono, per la corruzione sì, per l’uccisione dell’innocente no, per l’avviso di garanzia sì, per il sovvertimento omosessualista no. L’indignazione si delinea come un goffo tentativo di recupero di un’etica a colpi di imperativi morali ormai basati sul nulla; un’etica priva di fondamento metastorico, ad uso e consumo delle ondate mediatiche e delle lobby che, all’occasione, stabiliscono a tavolino il nuovo decalogo. Una corsa perversa e demolitrice, sotto le cui macerie c’è sempre lui, l’uomo, agitato e sbatacchiato nella bufera solve et coaugula del nichilismo sminuzzatore di menti e di anime.  Persino dalla Chiesa riescono a farsi inseguire in questa gara a chi la spara più grossa, a chi meglio calpesta la ragione. E via tutti in coro, vescovi, pseudo-politici, comici e animi benigni ad indignarsi, a turbarsi poveri loro per quanto avviene a Quarto, a casa del boss che fa cent’anni, per l’attico di Bertone, per quel mascalzone che ha ricevuto l’avviso d’una indagine. L’integrità della vita sembra essere un motto singhiozzato: va bene appellarsi ad essa per inventare nuovi diritti come quelli tra omosessuali (diritti già esistenti), non va bene per la tutela delle garanzie di un imputato o presunto tale; va bene per il suicidio (può esistere un diritto alla morte?), non va bene per gli embrioni destinati a sopire congelati; per i diritti degli animali sì, per quelli degli allevatori no. L’elenco sarebbe lungo, ma è bene tornare a Quarto, un piccolo comune campano dove è andata sinteticamente in scena l’Italia di oggi. È l’Italia figlia di Tangentopoli, l’Italia apostata, l’Italia scurrile e sgarbata, l’Italia smidollata e devirilizzata, incapace ormai del rispetto e del garbo che si devono ad una donna prima ancora che ad un (ormai ex) sindaco

 

30 maggio 2012

Dal Vaffa ai politici al Vaffa alla politica: anatomia del grillismo

di Giuliano Guzzo
Tutta antipolitica? Non proprio. Se si vuole capire quello che sta succedendo in queste settimane nel nostro Paese occorre diffidare delle semplificazioni e iniziare, prima di tutto, con un po’ di pulizia terminologica. Partiamo quindi con delle distinzioni: un conto è l’antipolitica, un conto è la politica che potremmo chiamare “antisistema” e un altro ancora è la crisi della politica. Quest’ultima, per essere chiari, non ha nulla a che vedere col caso italiano, dal momento che riguarda primariamente la sudditanza – Europea? Occidentale? – delle istituzioni rispetto all’andamento dei mercati finanziari. Non è esclusiva italiana, a ben vedere, nemmeno la ciclica emersione di movimenti di protesta; basti pensare al fenomeno internazionale degli “indignados”, per molti versi una riedizione, per così dire, di quello dei “No global”.