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24 maggio 2017

Manchester, l'ennesimo avvertimento


di Giuliano Guzzo

L’esplosione di lunedì sera nel foyer della Manchester Arena si è portata via ventidue vite umane, diverse delle quali di giovanissimi, inclusa una bambina di appena otto anni, ma – per quanto grande e comprensibile sia ora la commozione – rischia di lasciarci, come popolo e come Europa, illusioni pericolose che da troppo tempo continuiamo a cullare. La prima è l’illusione che tutto, prima o poi, passi; così, da sé, a colpi di incoraggiamenti, retorici inviti al dialogo e, soprattutto, senza la piena presa di consapevolezza di una guerra in corso. Attenzione, però: non la guerra del mondo occidentale contro il terrorismo, ma contro se stesso.

Se le armate jihadiste 2.0 risultano oggi così penetranti e distruttive nelle nostre città – da Parigi a Londra, da Berlino a Manchester, appunto – è semplicemente perché glielo si concede. Come? Anzitutto, coltivando il sogno di un’Europa secolarizzata e multiculturale, il che nei fatti non solo non ostacola, ma è una strepitosa risorsa del terrorismo. E’ infatti qui, da noi e non nei Paesi dei bigotti e populisti immaginari, che l’Isis infatti arruola molti più miliziani che altrove. Non è una provocazione, si badi, bensì un’evidenza: l’indice di radicalizzazione jihadista – calcolato considerando il numero di foreign fighters per milioni di abitanti di fede mussulmana – vede oggi il Regno Unito fucina di terroristi superiore a Paesi come la Libia o il Marocco.

Questo perché, come hanno potuto appurare analisi specialistiche, «il fenomeno dei foreign fighters non è il prodotto di società islamiche povere o repressive come spesso si dice, anzi la propensione è molto più elevata in società libere, democratiche e benestanti» (AA.VV. I Foreign fighter europei. Contributi per una riflessione strategica, Centro Alti Studi Difesa/Centro Militare di Studi Strategici, Roma 2015, p. 47). L’illusione che l’incubo terrorismo, in Occidente, svanisca da sé o grazie «maggiore integrazione» – paroline magiche del frasario politicamente corretto – è dunque destinata a infrangersi il giorno che si capirà che siamo noi stessi, l’Europa stessa, a favorire il materializzarsi di simili, orrendi scenari.

Se siamo a questo punto è difatti grazie ad un'Europa che da una parte esporta – o aiuta a esportare – la democrazia con le bombe, e dall’altra, in nome di una filantropia cieca e scriteriata, ritiene che l’accogliere tutti gli immigrati possibili sia un dovere morale; che da un lato – benché le tre più mortifere sigle terroristiche mondiali siano di matrice islamista (cfr. Annex of Statistical Information, Country Reports on Terrorism, 2016) – rifiuta di riconoscere connessioni, anche remote, tra la religione mussulmana, specie di corrente sunnita, e il cancro terroristico, e dall’altro rigetta il più possibile le proprie radici cristiane, senza rendersi conto che a queste condizioni la sospirata integrazione, molto semplicemente, non è possibile. Punto.

La seconda illusione di cui faremmo bene a sbarazzarci, infatti, è proprio questa: che integrare i potenziali terroristi, disinnescando per tempo il loro odio, sia cosa sempre possibile. Come se non fosse proprio nell’Occidente prospero, laicizzato e tollerante – come si diceva poc’anzi – che l’Isis ha visto crescere vertiginosamente la propria forza. Prendete l’Inghilterra: ospita circa 3 milioni di mussulmani, è un Paese avanzatissimo sotto molti punti di vista, col sindaco della capitale di fede islamica, eppure, purtroppo, insanguinato dal terrore; nel caso di Manchester ad opera di un giovane di origini libiche, ma britannico. Possiamo quindi davvero rilanciare la filastrocca dei muri da battere, della urgente «maggiore integrazione» e dell’islamofobia, senza provare un po’ di vergogna?

Il terzo e ultimo pensiero illusorio da cui, come europei, faremmo bene a sbarazzarci al più presto è che l’Europa possa tornare sicura solo grazie ad un coordinamento tra politici, servizi segreti e forze dell’ordine. Intendiamoci: tutto ciò certo necessario – urgentissimo, direi -, ma non sufficiente. La prima medicina di cui abbiamo bisogno è un’altra, ed è spirituale. Perché non possiamo nasconderci il fatto che l’Europa stretta nella morsa del terrorismo non è quella di sempre, bensì un Vecchio Continente che non ama la propria gloriosa storia, che non fa figli, che non prega. Questo chi vuole distruggerci lo sa benissimo, per questo conta di annientarci anche se siamo militarmente molto superiori.

Concludo condividendo la notizia che proprio a pochi chilometri da Manchester, alla Saint Thomas in Werneth a Oldham, pare non vi sia neanche uno studente – non uno –, oggi, disposto a definirsi «cristiano». E che c’entra mai questo, ribatteranno i soliti cervelloni dalla lingua lunga e dalla vista corte, suvvia. C’entra eccome, invece. E’ un indizio simbolico, ma pur sempre un indizio, del declino da cui spiritualmente e demograficamente siamo, se uomini, chiamati a ribellarci. Poi però leggi i commenti di quelli secondo cui l’Occidente e l’Europa ce la faranno perché hanno la libertà, i diritti civili e il progresso, e vieni subito visitato dal dubbio che qui forse, più che una rinascita, serva proprio un miracolo.

https://giulianoguzzo.com/2017/05/24/apri-gli-occhi-europa-o-pure-manchester-sara-vana/

 

18 febbraio 2017

Quando la carità cristiana plasmò la carismatica Europa


di Alfredo Incollingo

Sarebbe ingiusto nei confronti della storia, se vogliamo mantenerci su un piano laico, negare le radici giudeo – cristiane dell'Europa. Cristo ha capovolto i parametri filosofici e etici dei popoli europei: il concetto di persona, la sua sacralità, la sua dignità, l'amore  che è carità e il patrimonio culturale cristiano sono realtà concrete che oggi vengono spiegate con dubbie origini. Sarebbe un tradimento per i cattolici condividere il parere di chi rifiuta queste evidenze ed è giusto continuare a impegnarsi a livello europeo affinché li si riconosca. Suor Marina Motta, sorella delle Suore del Bambino Gesù, dottoressa in lettere moderne e in scienze religiose, ci racconta in "Carismatica Europa: come i santi hanno rivoluzionato la storia dell'Occidente" (Città Nuova, 2015) la straordinaria vita dei santi che hanno plasmato la nostra Europa.
Dall'antichità all'età contemporanea si delinea una galleria di volti e di personalità carismatiche, sante e integre nella loro fede, che hanno lasciato la loro sacra orma nella società umana. Motta ci racconta le loro vite, le loro opere e come hanno contribuito alla cristianizzazione dell'occidente e poi a forgiare la nostra Europa. San Cirillo e San Metodio hanno avvicinato l'occidente all'oriente; San Benedetto da Norcia ha fatto conoscere Cristo alle genti europee; San Francesco e gli ordini mendicanti hanno insegnato che la carità e l'economia non sono incompatibili: è possibile un'economia umana. Le grandi mistiche medievali e moderne hanno parlato del Dio d'Amore e della Vergine Maria che ci assiste e ci consola, ricordandoci di convertirci per far trionfare il Sacro Cuore di Gesù; i missionari, gesuiti e no, hanno portato il Vangelo nei quattro angoli del pianeta, come Gesù stesso ha insegnato.
Il cristianesimo non è una filosofia, perché, se fosse così, si ridurrebbe a un insieme di concetti astratti. La fede in Cristo è invece un fatto concreto perché Gesù è un Dio vivente, una divinità che si è fatta uomo. Se fosse una semplice dottrina, non avrebbe lasciato il segno nelle nostre vite e nella nostra civiltà. Il racconto dei santi fondatori dell'Europa ci provano che il cristianesimo è verità e come tale ha rivoluzionato nel segno dell'Amore (cristiano)  e con la carità quello che una volta era un continente privo di umanità e un misto confusionario di genti. Quale ruolo ha la santità oggi? Motta conclude il suo interessante lavoro delineando l'importanza dei santi nella contemporaneità, in un mondo che sembra aver allontanato Dio dal suo orizzonte esistenziale.

(Da Il Settimanale di Padre Pio, n.5, del 5 febbraio 2017)

 

22 agosto 2016

L’insopportabile richiamo ai «valori occidentali»


di Giuliano Guzzo

Se c’è qualcosa di più irritante dell’opposizione al burkini – opposizione che ipocritamente arriva dopo che, insieme ad un’immigrazione fuori controllo, si sono allegramente accettate la costruzione di moschee, le scuole coraniche, la rimozione di Presepe e Crocifisso, addirittura la presenza islamica a Messa – è l’ossessivo richiamo, da parte di molti politici europei, a quei «valori occidentali» che sarebbero minacciati dal costume da bagno delle donne islamiche. Assurdo: gli stessi politici e più in generale la stessa Europa che non ha avuto particolare problemi a rinnegare le proprie radici cristiane, a perseguire una laicizzazione esasperata ostile al valore originale della laicità ancor prima che alle religioni, ad attaccare la famiglia approvando tutte le misure possibili e immaginabili – dal “divorzio breve” alle unioni civili, passando per la fecondazione extracorporea – per sfigurarla, e che è giunta ad impedire ad un grande Papa, Benedetto XVI, una lezione in una università fondata da un altro Papa, Bonifacio VIII), ora si accorge che esistono «valori occidentali»? Com’è possibile? Lo stesso Occidente che grida contro la guerra, ormai, solo sfruttando mediaticamente le immagini di bambini feriti – come sta facendo in queste ore diffondendo le foto del povero Omram, diffusione che guarda caso coincide con una disfatta dei sanguinari “ribelli” foraggiati da America e alleati arabi vari – trova ancora il coraggio di moraleggiare?

Sia chiaro: mi sento, come molti, profondamente legato ai «valori occidentali» della tradizione europea e cristiana. Anche se rispetto la libertà religiosa di chiunque, non c’è dunque – da parte mia – nessuna forma di simpatia verso la cultura islamica, le sue usanze e i suoi costumi. Tuttavia non è possibile neppure accettare lezioni da coloro che, snaturando il diritto e abusando dell’autorità politica, da decenni non fanno che violentare tutto ciò che rimanda alle nostre radici in nome di una libertà assolutizzata che nulla a che vedere con la nostra storia e della quale rideva già Hegel, osservando che «quando si sente dire che la libertà in generale consisterebbe nel poter fare ciò che si vuole, una tale rappresentazione può essere presa soltanto per mancanza totale di educazione del pensiero» (Lineamenti di filosofia del diritto, Bompiani 1996, p. 103). Eppure i signori della distruzione occidentale voglio ridurci a questo: a paladini del bikini, a sacerdoti del topless, a guardiani della libertà dell’aperitivo. Come se fosse tutto qui. Come se non ci fosse qualcosa di molto più prezioso – per dirla con Pasolini – da difendere, da conservare e per cui pregare. Uno scrigno che i signori dei «valori occidentali», dagli Hollande e Valls alle Merkel, non hanno mai fatto nulla, ma proprio nulla per tutelare. Ed ora hanno pure il coraggio, proprio loro, di improvvisarsi fedeli e incorruttibili custodi della Bellezza europea, gente non disposta a transigere neppure su costumi da spiaggia non in linea con la nostra identità. Scusate, ma per chi ci avete preso?

https://giulianoguzzo.com/2016/08/19/linsopportabile-richiamo-ai-valori-occidentali/

 

28 luglio 2016

Troppo facile dire «integrazione»


di Giuliano Guzzo

In questa angosciante estate, quasi quotidianamente insanguinata da atti di terrorismo, c’è un termine, che è anche un concetto, al quale una certa parte del mondo culturale e politico europeo ricorre con notevole frequenza allo scopo di stemperare il clima incandescente venutosi a creare giorno dopo giorno: integrazione. Occorre più integrazione – è, in sintesi, la rassicurazione – e vedrete che il terrorismo verrà sconfitto e la causa jihadista cesserà di reclutare nuovi ordigni umani, pronti ad immolarsi seminando morte in piazze, strade e centri commerciali. Ora, dato che quello della sconfitta del terrorismo di matrice islamista è scopo comune, è il caso di prendere sul serio, al fine di valutarne la consistenza, ogni proposta, inclusa appunto quella dell’«integrazione». Una proposta che però a mio avviso, se da un lato sa di ricetta vincente – peccato non averci pensato prima, viene da commentare – dall’altro rivela profondissimi limiti che temo sfuggano a coloro che la appoggiano; tre, essenzialmente.

Il primo limite, o comunque la prima criticità della proposta dell’«integrazione», riguarda i destinatari. Siccome non è così semplice individuare un aspirante terrorista per integrarlo, dobbiamo presumere che il processo d’«integrazione» sarà indirizzato ad immigrati (o figli di immigrati) in particolare di fede islamica, no? D’accordo, ma non viene forse ripetuto che non esisterebbe alcun legame, neppure remoto, fra terrorismo, immigrazione ed Islam? E se le cose stanno così, che senso ha parlare di «integrazione»? Si vuole forse far entrare dalla finestra ciò che, liquidandolo come xenofobo, si è sbattuto fuori dalla porta?

Una seconda criticità della ricetta dell’«integrazione» concerne sempre i destinatari di questa; ammesso e non concesso che sia possibile individuare i potenziali terroristi da strappare al fascino delle sirene jihadiste, c’è un piccolo problema: chi ci assicura che costoro siano disposti ad integrarsi? E se un simpatizzante dell’ISIS non ne volesse sapere? E se coloro che condividono e rivendicano una lettura fondamentalista della fede mussulmana declinassero gentilmente l’offerta dell’«integrazione»? Che si fa? Dato che – su questo saremo tutti d’accordo – l’«integrazione» non equivale ad un lavaggio del cervello, essendo l’esito costruttivo di una relazione, non mi paiono interrogativi trascurabili. Certo, si può sempre ribattere che un tentativo di maggiore «integrazione» merita di esser fatto comunque: ma è bene essere consapevoli, appunto, che si tratta di tentativi.

La terza ed ultima problematica connessa alla proposta dell’«integrazione» concerne la natura stessa di chi la promuove. In altre parole, per integrare bisogna essere in grando di farlo: ma l’Occidente e in particolare l’Europa lo è? Non molti giorni fa ascoltavo in televisione, da una raggiante Lilli Gruber, che l’«integrazione» sarebbe possibile e riuscita, in Europa in non pochi casi come provano – secondo lei – il fatto che il sindaco di Londra sia mussulmano e che mussulmano sia un ministro francese. Ora, dinnanzi a chi evoca esempi così specifici a fronte di una questione di portata sociale, non si può non vedere come molti neppure sappiano di che parlano. Vorrei inoltre capire, a proposito di valori sui quali basare un’«integrazione», che cosa un’Europa secolarizzata, in crisi e flagellata dalla denatalità (è il solo Continente al mondo destinato, nei prossimi anni, allo spopolamento) abbia esattamente da proporre. Sarò pessimista, ma temo assai poco.

Anziché insistere con la filastrocca dell’«integrazione» – che, come si è visto, pone questioni allegramente sottovalutare da quanti la recitano – meglio dunque per l’Europa un’autocritica. Ma non un’autocritica politica, economica e neppure culturale, bensì un’autocritica spirituale. Viviamo in un contesto sociale che ha potuto rinnegare le radici cristiane per il semplice fatto che ha già rifiutato Dio. Un rifiuto che ci sta facendo perdere ragioni per vivere (o forse qualcuno vive per l’Ue, l’Euro e Bruxelles?) mentre il nemico, purtroppo, ne trova pure per uccidere. Questa è la realtà dalla quale ripartire, dalla consapevolezza che, di fatto, la fede è il primo vero antidoto al virus del terrore, il solo che ci consentirà di non sottometterci. Proprio come ha fatto l’altro ieri père Jacques Hamel che, alla minaccia di inginocchiarsi ai suoi carnefici, ha preferito la morte. Perché aveva già Qualcuno da ascoltare.

https://giulianoguzzo.com/2016/07/28/facile-troppo-facile-dire-integrazione/

 

21 luglio 2016

Il Trionfo della Santa Croce, una festa per l’oggi


di Roberto De Albentiis

Un paio di mesi fa avevo scritto per questo blog un articolo in cui parlavo delle varie feste della Santa Croce, ma sono venuto a conoscenza solo pochi giorni fa di una festività che non conoscevo, e che si celebra proprio oggi: il Trionfo della Santa Croce; legata alla grande vittoria cristiana di Las Navas de Tolosa (16 luglio 1212), che impresse una svolta decisiva nella liberazione della penisola iberica dal dominio musulmano, Papa Innocenzo III la istituì per commemorare questo grande evento, che aveva visto il trionfo degli eserciti della Croce sugli eserciti della Mezzaluna. Festa propria della Spagna e dei suoi domini, fissata prima al 16 o 17 luglio e poi definitivamente al 21 per non oscurare la festa del Carmelo, già poco nota, è ora quasi del tutto scomparsa, rimasta solo in alcune località e in alcuni calendari, tanto che io stesso l’ho scoperta quasi per caso.
Su Las Navas de Tolosa e sul legame con questa festa ci sarebbe alla fine poco da dire, ma proviamo ad attualizzare e magari rivitalizzare questa festa, di cui c’è bisogno per più di un motivo; innanzitutto, il ricordo di una grande e decisiva battaglia cristiana europea contro la potenza islamica farebbe venire in mente più di un legame con l’attualità, ma è davvero così? L’Europa di oggi è la stessa Europa di ieri? Decisamente no.

L’Europa di ieri era l’Europa essenzialmente cristiana, l’Europa in cui, pur tra i vari Re ed Imperatori, pur nella pluralità di ordinamenti politici, il primo vero e unico Re e Signore era Dio, perché si sapeva che solo da Lui deriva ogni potere e ogni legittimità; l’Europa in cui tutto, dalla legge alla cultura, era cristiano, in cui non contavano le divisioni linguistiche o politiche perché unica era la fede e unico era il simbolo che accomunava tutti i popoli come fratelli, ovvero, proprio la Santa Croce, esposta sui palazzi (altro che discussioni sul Crocifisso nei luoghi pubblici come oggi!), lungo le strade, negli stendardi di battaglia.

Scrive Gonzague de Reynold: “L'Europa unita ci fu soltanto una volta nella storia: durante i secoli XI e XII di quel Medioevo il cui nome organico è epoca della Cristianità...Per la prima volta nella storia un mondo ha ricavato la sua legge dalla sua fede, ha cercato di organizzarsi secondo i suoi principi. Per quanto se ne possa parlare, la visione del mondo del Medioevo, che si rifaceva all'ordine, alla pace, alla fraternità cristiana, all'unità di tutti e di tutto in Dio, rimane il più alto gradino cui lo spirito si sia mai elevato.”; l’Europa cristiana di ieri non ha nulla a che vedere con l’Unione Europea né con l’Occidente apostata e putrescente. Per cosa si deve combattere e morire, oggi? Per Nostro Signore Gesù Cristo, ormai spodestato dal Suo trono regale non solo spirituale, ma anche sociale? Per la propria Patria, quando da decenni viene instillato un auto-odio verso di essa, verso le proprie radici? No, oggi non si combatte né si muore per Cristo o per la Patria, anzi, prima li si combatte, e solo dopo, disperati e privi di radici, ci rendiamo conto di cosa abbiamo fatto. Ma seriamente, chi combatterebbe e morirebbe per il Mc Donald’s o il Burger King, per uno stupido reality show o per i matrimoni gay? Perché dovremmo farlo, poi?

Ma l’Europa cristiana era tale perché governata e più ancora vissuta da uomini cristiani, ma qual è lo stato della maggior parte dei cristiani oggi? Uno dei distintivi del vero cristiano è l’amore per la Croce, che non è solo un’adorazione, pia, giusta e doverosa, alla Santa Croce dove morì Nostro Signore, ma è anche l’atteggiamento di accettazione delle sofferenze e delle difficoltà, le varie piccole e grandi croci, che Dio permette che ci colpiscano, per nostra santificazione (o, Dio non voglia, se fossimo gravemente colpevoli, giusta punizione) e Sua glorificazione.

Ma come si può amare la Croce se si parla solo di “diritti” (e molto presunti) e mai di doveri, o se si dice che sacrifici e anche penitenze nulla contano perché Dio è “amore”? (un “amore” falso e mondano che nulla ha a che fare con la vera essenza di Dio, che è Amore vero e che l’ha dimostrato con l’Incarnazione e la Passione e Morte, sulla Croce, di Gesù!)
A che pro, quindi, blaterare di “crociate” se vogliamo difendere non i diritti di Nostro Signore, ma quelli di minoranze aggressive e viziate, non la libertà della nostra Patria ma la nostra finta libertà di “scelta” (ridotta ormai a giustificazione di qualsiasi sciocchezza o di qualsiasi libertinaggio)? A che pro blaterare di “crociate” se non issiamo gli stessi vessilli con la Croce ma, se va bene, i simboli e i marchi di qualche impresa multinazionale?

Il 15 luglio si festeggia solennemente Cristo come Redentore, e per operare pienamente la Redenzione Cristo ha versato tutto il Suo Preziosissimo Sangue ed è morto ignominiosamente sulla Croce; senza Croce non c’è Resurrezione, così come non c’è qualsiasi altro successo umano, anche se buono; solo amando la Croce Dio concede vittoria, sia essa la vittoria della nostra Patria nazionale o continentale che la vittoria contro i nostri peccati e le nostre debolezze, riflesso della grande vittoria di Cristo sulla morte e il peccato.
A tutti, buona festa del Trionfo della Croce, rammentando che Dio, per trionfare e regnare, si serve anche di noi e delle nostre opere, ma come potrà Egli trionfare e regnare nelle società e negli ambienti se prima nella nostra vita e nella nostra anima non trionfa e regna?
Ricordiamoci, come scrive l’Apostolo ai Romani, che “Infatti il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani, come sta scritto”; torniamo per questo ad amare la Croce (“scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani”, come dice ancora l’Apostolo, riferendosi a Gesù Crocifisso, e quindi alla Croce, scrivendo ai Corinzi), torniamo o diventiamo buoni e veri cristiani, di fatto e non solo di nome, sostanzialmente e non solo formalmente!
 

22 marzo 2016

La buona stampa vista da noi

di Redazione
Il banco della buona stampa nelle parrocchie è composto principalmente da Famiglia Cristiana, Avvenire e qualche giornale locale di Curia. Pubblicazioni che spesso non soddisfano i requisiti di "cattolicità" che dovrebbero caratterizzare la stampa cattolica. Da qualche anno però ci sono preti intelligenti che propongono al popolo delle pubblicazioni migliori, ma ciò non avviene ovunque. Siamo quindi nella situazione di doverci arrangiare da soli. Fra le pubblicazioni cartacee, a nostro parere spiccano le seguenti.

Il Timone: rivista di apologetica di altissimo livello. Ogni numero è ricco di spunti di riflessione e di punti di vista che danno la possibilità di arricchire il proprio essere cristiano con argomentazioni vere e solide. I dossier interni sono lezioni di catechismo che purtroppo altrove non si trovano. Collegati al Timone ci sono poi I Quaderni del Timone, fascicoletti monografici che approfondiscono una tematica specifica. Inoltre, per i più piccoli, c'è il Timone Junior, ideato relativamente da poco, ma è un mezzo sicuro per educare i propri figli e nipoti, oltre ad essere un ausilio per i catechisti delle classi elementari. Sempre collegabile al mondo del Timone c'è il sito online la Bussola Quotidiana, che approfondisce quotidianamente l'attualità.
L'abbonamento è consigliato. In alternativa, è presente sul banco della buona stampa di molte parrocchie, indicate sul sito.
Sito: www.iltimone.org.

Tempi: diretto da Luigi Amicone, nasce in area CL, ma ultimamente si è distinto per un'autonomia che gli fa onore. Settimanale venduto in edicola, parla principalmente di attualità. Il costo contenuto è sicuramente un invito all'acquisto.
Sito: www.tempi.it

Notizie Pro Vita: in trincea sul fronte della difesa della vita troviamo questa pubblicazione, nata negli ultimi anni, impegnata nello smascherare le porcherie di eutanasisti, abortisti, uteroaffittisti e via dicendo. Rappresenta un'opera di testimonianza continua, che permette di rimanere aggiornati riguardo ciò che accade nel mondo della morte. Uno sguardo fisso sull'estero, soprattutto verso quei paesi che rappresentano le "avanguardie". Molto numerose anche le testimonianze di redenzione e di eroismo. Anche in questo caso l'abbonamento è consigliato.
Sito: www.notizieprovita.it

Radici cristiane: pubblicazione di massimo pregio, diretta da Roberto de Mattei. Il parterre degli argomenti è vastissimo, con grande attenzione alle tematiche storiche. Arrivata a 116 numeri, è una pubblicazione molto longeva e un punto di riferimento per l'area cattolica che non si vuole arrendere al mondo.
Sito: www.radicicristiane.it

La Croce: inizialmente cartaceo, la Croce ora è solo online. Lo inseriamo ugualmente nelle letture consigliate, in quanto offre sugli argomenti etici uno sguardo decisamente alternativo rispetto al mondo moderno. Con la speranza che non diventi organo di partito del nascente soggetto Adinolfiano.
Sito: www.lacrocequotidiano.it
 

29 dicembre 2014

Oltre il vuoto ideale, la curvatura delle banane e il regno del sofisma


di Matteo Donadoni

Esiste un lembo di terra francese in cui si parla tedesco, anzi, un dialetto alemanno. E’ l’Alsazia, luogo simbolo della secolare rivalità franco-tedesca. Il capoluogo alsaziano, capitale ideale dell’Europa (dopo Roma) ed esempio di pacificazione di atavici conflitti in vista di un futuro migliore è una delle tre sedi del Parlamento europeo. Di Strasburgo ricordo il traffico, le salsicce e una curiosa, incessante, sensazione di trovarmi in Germania. D’altra parte ci sono rimasto soltanto poche ore, meno del tempo sufficiente a Papa Bergoglio per fare un discorso straordinario. Il discorso che attendevo.

Il pontefice romano è tornato a parlare nell’emiciclo di vetro “dopo oltre un quarto di secolo” dalla visita di San Giovanni Paolo II nel 1988, il cui discorso è stato richiamato più volte. Allora il mondo era diviso in due blocchi, oggi è frantumato; al tempo della minaccia sovietica l’Europa Unita era una speranza, oggi è un superstato burocratico, una burocrazia assoluta, che si occupa di inculcare nei cittadini dei vari stati dell’Unione un’unica visione del mondo ideologizzata, legata alle esigenze della massoneria internazionale – dalle normative sulla pesca al calibro delle pere ed alla corretta curvatura delle banane – non tenendo conto del meraviglioso patrimonio storico-culturale che i popoli europei custodiscono, uniti dalla tradizione cristiana declinata nelle diverse culture locali, perché «l'unità non significa uniformità politica, economica, culturale, o di pensiero».

Discorso laico, quello del Papa, e, a differenza di quello di Wojtyla, di singolare scaltrezza gesuitica. Ha fatto riflettere infatti, dopo gli applausi, il fatto che, nel giorno in cui tutto il mondo ha potuto vedere in bella mostra le icone russe nella Stazione Spaziale Internazionale – trionfo di Maria di Fatima con buona pace del cosmonauta Jurij Gagarin che non aveva visto Dio –, il Santo Padre non abbia mai nominato, ma nemmeno una volta, il nome di Gesù Cristo.
Per quanto io avrei preferito che tuonasse a suon di Sacre Scritture, Papa Francesco ha esortato a “tornare alla ferma convinzione dei Padri fondatori dell'Unione europea” e soprattutto a riscoprire le Originarie radici greco-romane e giudaico-cristiane su cui l’Europa fonda la propria civiltà, e da cui sono scaturiti quelli che oggi chiamiamo “diritti umani”: «Tale consapevolezza culturale trova fondamento non solo negli avvenimenti della storia, ma soprattutto nel pensiero europeo, contraddistinto da un ricco incontro, le cui numerose fonti lontane provengono “dalla Grecia e da Roma, da substrati celtici, germanici e slavi, e dal cristianesimo che li ha plasmati profondamente”, dando luogo proprio al concetto di "persona"». Quindi la priorità del Parlamento europeo dovrebbe essere quella di fare leggi adeguate alla “dignità trascendente dell’uomo”, perché «parlare della dignità trascendente dell'uomo, significa dunque fare appello alla sua natura, alla sua innata capacità di distinguere il bene dal male, a quella "bussola" in scritta nei nostri cuori e che Dio ha impresso nell’universo creato».
Mentre, invece, oggi la civiltà europea sembra soccombere in favore dei tecnicismi burocratici delle proprie istituzioni, che parlano ormai una lingua che nessuno capisce, professano una fede laica avulsa dalla storia e dalla memoria dei popoli, insegnano una cultura di morte che “ruba la speranza” alle persone. Questo è il grande equivoco che avviene «quando prevale l'assolutizzazione della tecnica», che finisce per realizzare «una confusione fra fini e mezzi». Risultato inevitabile della "cultura dello scarto" e del "consumismo esasperato". Al contrario, affermare la dignità della persona significa riconoscere la preziosità della vita umana, che ci è donata gratuitamente e non può perciò essere oggetto di scambio o di smercio.
E dato che, se mi è concesso citare un grande filosofo sudamericano, Nicolás Gómez Dávila, «il paganesimo è l’altro antico testamento della Chiesa», ecco un esempio fornito dall’affresco nella Stanza della Segnatura, "la Scuola di Atene" (1509-1510) di Raffaello Sanzio (1483 – 1520): «un'immagine che ben descrive l'Europa e la sua storia, fatta del continuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo indica l'apertura al trascendente, a Dio, che ha da sempre contraddistinto l'uomo europeo, e la terra rappresenta la sua capacità pratica e concreta di affrontare le situazioni e i problemi. Il futuro dell'Europa dipende dalla riscoperta del nesso vitale e inseparabile fra questi due elementi. Un'Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un'Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello "spirito umanistico" che pure ama e difende.
Proprio a partire dalla necessità di un'apertura al trascendente, intendo affermare la centralità della persona umana, altrimenti in balia delle mode e dei poteri del momento. In questo senso ritengo fondamentale non solo il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale contributo non costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e per l'indipendenza delle istituzioni dell'Unione, bensì un arricchimento. Ce lo indicano gli ideali che l'hanno formata fin dal principio, quali la pace, la sussidiarietà e la solidarietà reciproca, un umanesimo incentrato sul rispetto della dignità della persona».

Un discorso laico che tutti possono capire, un discorso che non offre il fianco alle solite strumentalizzazioni. Un discorso chiaro per dare una svolta alla concezione di Europa che immaginiamo e che vogliamo, per non vivere nell’omologazione, “nella concezione omologante della globalità”, nel regno del sofisma.
Perché «dare speranza all'Europa non significa solo riconoscere la centralità della persona umana, ma implica anche favorirne le doti. Si tratta perciò di investire su di essa e sugli ambiti in cui i suoi talenti si formano e portano frutto. Il primo ambito è sicuramente quello dell'educazione, a partire dalla famiglia, cellula fondamentale ed elemento prezioso di ogni società.
La famiglia unita, fertile e indissolubile porta con sé gli elementi fondamentali per dare speranza al futuro. Senza tale solidità si finisce per costruire sulla sabbia, con gravi conseguenze sociali».
Molto altro ancora si potrebbe dire riguardo al grande discorso di Strasburgo, che va letto integralmente e meditato, ma questo era quanto mi stuzzicava raccontarvi... Ma avranno capito, lassù a Strossburi?