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24 febbraio 2017

Seguire lo «spirito» di Pannella? No, grazie


di Giuliano Guzzo

Houston, abbiamo un problema: la Chiesa, o comunque una parte non trascurabile dei suoi esponenti, si è innamorata persa dei radicali. Sì, proprio di quelli che – battendosi per divorzio, aborto, figli in provetta, spinelli liberi, eutanasia – hanno dato e continuano a dare un contributo decisivo alla devastazione culturale, demografica e spirituale dell’Italia; per capirci, l’Erode, con la sua strage degli innocenti, a confronto era uno sprovveduto. Esagero? Non è vero niente? «La CEI guarda con attenzione a questa iniziativa e come Segreteria generale dà una convinta adesione». Queste le parole con cui il sottosegretario e portavoce della CEI comunicava l’adesione della Chiesa italiana alla Marcia per l’Amnistia, la Giustizia, la Libertà promossa dal Partito Radicale il 6 novembre scorso a Roma. Vorrei tanto sbagliarmi, ma di fronte ad «una convinta adesione» è la lingua italiana ad inchiodare alla realtà chiunque non viaggi coi paraocchi.

Un caso isolato? Nient’affatto. Lo scorso 17 febbraio, direttamente dalla sede del Partito Radicale, è arrivata non da parte di un pretino di periferia bensì da un arcivescovo, oltretutto Presidente della Pontificia accademia per la vita, un’apologia di Marco Pannella: «Credo che il Marco pieno di spirito continua a soffiare. Un uomo che […] che sa aiutarci a sperare […] Questo nostro mondo ha bisogno più che mai forse più di prima di uomini […] come lui […] mi auguro che lo spirito di Marco ci aiuti a vivere in quella stessa direzione». Purtroppo, in questa sbornia radicaleggiante, anche il Santo Padre in persona ci ha messo del suo. Il riferimento, qui, è all’inserimento papale di Giorgio Napolitano ed Emma Bonino «tra i grandi dell’Italia di oggi», effettuato – senza più smentita -, nel febbraio dello scorso anno, in un’intervista concessa da Casa Santa Marta al Corriere della Sera.

Avessero potuto parlare, Eluana Englaro e i nascituri aspirati dal ventre materno con una pompa di bicicletta avrebbero dissentito, ma c’è la concreta speranza che il pontefice, essendo argentino, ignori la storia d’Italia o la segua piuttosto distrattamente. Tuttavia, il fatto grave resta: della politica radicale, tra uomini di Chiesa, pare non sia più possibile parlare, se non con commossa riconoscenza. In tempi normali, anziché parlare del bisogno di farsi guidare dallo «spirito» di Pannella, si sarebbe vigorosamente evidenziato quello di pregare per l’anima del leader radicale; «tra i grandi dell’Italia di oggi» si sarebbero richiamati Massimo Gandolfini e Paola Bonzi; si sarebbe data «una convinta adesione» al Family Day, che invece il giorno dopo ottenne più spazio sulla prima pagina di Repubblica, ed è tutto dire, che su quella di Avvenire. Gli attuali, dunque, non sono affatto tempi normali, anzi pare si faccia a gara a chi la spara più grossa ed è questo, Houston, il nostro peggior problema.

https://giulianoguzzo.com/2017/02/24/seguire-lo-spirito-di-pannella-no-grazie/

 

21 maggio 2016

La dittatura del Partito Radicale di Massa


di Giuliano Guzzo
Il coro pressoché unanime seguito alla morte di Marco Pannella, non ancora sepolto e già risorto nelle celebrative e nostalgiche parole di politici, giornalisti e – addolora dirlo – persino sacerdoti ed alti prelati, è qualcosa di troppo vasto e imbarazzante, per impedire a chiunque di cogliere che si sta celebrando la nascita di un nuovo, travolgente soggetto politico: il PRM, il Partito Radicale di Massa. Previsto con enorme anticipo, su tutti, dal grande Augusto Del Noce (1910–1989) nel suo Il suicidio della rivoluzione (1978) – in cui spiegava che «l’esito dell’eurocomunismo» non avrebbe potuto «essere che quello di trasformare il comunismo in una componente della società borghese ormai completamente sconsacrata» -, il PRM non è solo un soggetto politico nuovo ma del tutto monopolizzante, che oltre a superare sta annientando quel che resta di Destra e Sinistra inglobandole sotto le insegne del Pensiero Unico.
Dell’esistenza di questo Partito – esistenza oggi constatabile sulla base di tantissimi elementi, primo fra tutti l’impressionante prossimità che, a livello parlamentare, le forze politiche fanno registrare sui temi etici, sui quali le divisioni sono, salvo rarissimi casi, pura finzione – si vociferava da tempo, ma il decesso del suo italico profeta è stata l’occasione della fondazione ufficiale. Del resto, solo con una morte poteva esordire un Partito che di morte odora lontano un miglio, radunando tutti i favorevoli all’aborto di Stato, alla fecondazione extracorporea, alla legalizzazione delle cosiddette droghe leggere nonché – per restare in tema – alla “dolce morte”, appunto. Ma la forza di questo nuovo soggetto non nasce solo dal numero dei suoi adepti, ma anche dal quello delle sue sedi territoriali. Quante sono? Quanti sono i suoi adepti.
Il PRM, infatti, è completo sia di una dimensione religiosa individualistica – condensata nel culto, come osserva il filosofo Marcello Veneziani, alla divinità cinica ed egoista di Kazzimiei – sia di un potere talmente esteso da non temere alcuna competizione elettorale. Del resto, che bisogno dovrebbe avere di elettori, un Partito che vanta già sudditi? Perché dovrebbe preoccuparsi del consenso, un Partito che controlla già coscienze omologandole su tutti i temi antropologicamente decisivi? Per quale ragione affannarsi a raccogliere iscrizioni quando si hanno già milioni di adesioni inconsapevoli e volontarie al tempo stesso? Il PRM non segue i sondaggi, non teme le urne, né i referendum costituzionali. Solo di una cosa ha enorme paura: della Verità, intesa come svelamento di tutte le menzogne sulle quali un’antropologia individualistica si sostiene propagando il verbo di Kazzimiei.
La forza della Verità – senza dubbio irresistibile – non deve però far credere che il PRM sia a rischio di sconfitta né, tanto meno, di scioglimento dato che il suo radicamento, oggi, è persino superiore alle previsioni di Del Noce, che probabilmente non immaginava un arruolamento massiccio, nel Partito, anche di uomini di Chiesa. Inoltre, la Verità – a differenza delle menzogne – abbisogna di testimoni, di gente disposta a perderci; ma la gente disposta a perderci per la Verità è oggi molta meno, purtroppo, di quella disposta a perdersi per il Partito. Viene così facile pronosticare, almeno nel breve termine, una ulteriore espansione di questa entità omologante, che seguiterà  orwellianamente a collezionare nuove reclute quasi agli stessi ritmi con cui colleziona errori. Tanto, il solo scopo che si prefigge è il Caos, lo svuotamento etico foderato di filantropia.
Non sentirete infatti mai esplicite parole d’odio o di rabbia da parte di uomini del Partito, non perché odio e rabbia oggi siano scomparsi – tutt’altro , ma perché i sentimenti forti, qualunque essi siano, rischiano di rianimare l’elettroencefalogramma di una massa che deve essere anestetizzata, che non deve più vivere ma vegetare. Il PRM propone così una solidarietà al ribasso, uno stare insieme che sia coesistenza senza essere fratellanza, convivenza senza essere comunione, tutti insieme eppur tutti soli, senza radici né in Cielo né in terra: non in terra per non ricordarsi di avere una memoria da coltivare, non in Cielo per non sognarsi un futuro da costruire. Purtroppo per il PRM, però, l’uomo ha desideri più grandi delle sue minime necessità e, per quanto il Pensiero Unico prosperi come prospera oggi, ci saranno sempre alcuni con nostalgia di Verità, di cose grandi e pure. Una nostalgia destinata, un domani, ad incenerire il PRM, che finirà nel Nulla per cui si è sempre battuto.

 

19 maggio 2016

Marco Pannella, una vita contro la Vita.


di Francesco Filipazzi

Marco Pannella è morto poco fa, dopo aver lottato contro due tumori. La stampa è già in procinto di santificarlo e non è detto che qualcun altro possa prendere la proposta sul serio (anche in Vaticano). Da cattolici, non possiamo fare altro che sperare che si sia convertito in punto di morte, e pregare che Dio lo accolga al suo cospetto.

Il suo impegno per i “diritti civili”, a parte quello per le condizioni nelle carceri, ha contribuito a creare gravi ferite nella società italiana, poiché le sue battaglie sono traducibili in droga, divorzio, aborto ed eutanasia, ma noi vogliamo sottolineare che non si può certo addossare tutta la colpa di ciò che è accaduto negli ultimi 50 anni ad un uomo solo. E’ vero, Pannella ha condotto molte battaglie, ma in Parlamento non c’era, o aveva un peso irrisorio.

Per questo, pensiamo che nonostante tutto, nonostante si sia battuto a favore di tutto ciò contro cui noi ci battiamo, il leader radicale almeno è stato coerente, mentre dietro di lui si sono trincerati molti incoerenti, traditori e infami. Per questo, la morte di Pannella può essere un buon motivo per ricordare che mentre lui si batteva per certe “conquiste”, altri lo hanno usato come testa di ponte, si pensi a vasti settori della Democrazia Cristiana, mentre altri ancora - soprattutto negli ultimi anni - hanno deciso di abbandonare la battaglia a favore della vita, preferendo accomodarsi sull’ideologia pannelliana, che ormai è diventata ideologia di riferimento, nell’Italia del 2016.

Ma la colpa, diciamo noi, è di chi vince la battaglia o di chi, senza valide motivazioni, per starsene tranquillo, rinuncia a combattere? La colpa che in Italia vengano praticati milioni di aborti è colpa di Pannella o di chi li pratica? Il divorzio non è forse stato in qualche modo approvato anche da chi diceva di stare dalla parte della famiglia? E la Chiesa oggi dov'è?

Facile, diciamo noi, dare tutte le colpe ad un uomo solo. E’ vero, ha vissuto tutta la sua vita a battersi contro la vita, ma la colpa, signori miei, è collettiva. Nell’Italia del 2016 ben pochi possono dirsi innocenti. La foglia di fico che si chiamava Pannella è caduta ed oggi tutta la nazione, sempre più dannata, è nuda davanti a Dio con i suoi orribili peccati.
 

25 giugno 2014

I Radicali bacchettano Papa Francesco

di Giuliano Guzzo

Sembra già passato un secolo da quando Papa Francesco, lo scorso mese di aprile, ha telefonato a Marco Pannella mentre costui era impegnato nel suo ennesimo digiuno. Ora però tutto è cambiato ed i rapporti fra Santa Sede e Radicali sono decisamente più freddi, o almeno così sembra a giudicare dalle parole arroventate che Marco Perduca, rappresentante all’Onu del Partito Radicale, ha riservato al Santo Padre reo, nei giorni scorsi, d’essersi apertamente schierato contro ogni regolamentazione delle cosiddette droghe “leggere”, una delle battaglie radicali per eccellenza.
 

19 settembre 2013

"Fine pena mai" o "mai pena senza fine"?

di Alfredo De Matteo
Uno dei dodici quesiti referendari proposti dai radicali di Pannella riguarda l’abolizione del carcere a vita. L’idea che sia addirittura immorale condannare alla pena dell’ergastolo l’autore di crimini particolarmente brutali è circoscritta a poche persone e a sparuti gruppi di pressione oppure, in realtà, è una ipotesi che circola con una certa insistenza da diversi decenni nell’ambito culturale italiano e mondiale? Basti dire che una discreta parte della classe politica si è già schierata per l’abolizione e che lo stesso mondo cattolico non sembra scartare a priori tale irragionevole tesi. D’altra parte, Papa Francesco, seppur con diverso spirito, ha recentemente firmato un “motu proprio” in materia penale che tra le altre misure prevede l’abolizione del “fine pena mai” nello Stato della Città del Vaticano, sostituito con la detenzione dai trenta ai trentacinque anni.
Quali sono i presupposti filosofici su cui si basa la tesi dell’illiceità dell’ergastolo? E’ utile a questo punto fare una premessa: in una società che sembra avere come unico punto di riferimento il relativismo etico e morale, in cui non esistono valori assoluti ma tutt’al più soggettivi punti di vista, risulta contraddittorio e paradossale (ma estremamente significativo) che soprattutto sui temi etici si ricorra da più parti ad affermazioni assolute, non soggette a verifica o a dibattito, come quella in base a cui la pena ha come principale o unica finalità il reinserimento sociale del condannato. E’ infatti in quest’ottica che trova giustificazione la tesi secondo cui privare l’autore di un delitto della possibilità di potersi reinserire nella società civile una volta scontata la pena, costituisca una inutile quanto crudele punizione.

Ma è proprio così? Qual è lo scopo principale della pena? L’argomento è complesso e merita ben altro approfondimento. Tuttavia, già il ricorso al buon senso e al corretto uso della ragione ci consente di far emergere l’evidente illogicità di un siffatto modo di ragionare. Infatti, posto che sia indice di civiltà abolire l’ergastolo è giocoforza necessario sostituire tale misura con un’altra che renda possibile il reinserimento sociale del condannato (a meno che non si voglia abolire completamente il carcere …). Già emerge un primo problema: quanti anni vanno comminati al posto del carcere a vita? Trenta, venti, quindici o dieci? Dipende senz’altro dall’età del reo perché se trent’anni non sono troppi per un ventenne lo sono per un cinquantenne o un sessantenne. Infatti, se è possibile un reinserimento nella società a cinquant’anni (anche se tale ipotesi rimane solo teorica) è logicamente impossibile per un ottantenne o un novantenne, o almeno è estremamente improbabile, sia per l’età molto avanzata sia per il fatto che è alquanto probabile che egli muoia prima di riuscire a scontare tutta la pena. Dunque, dovremmo prevedere per i medesimi delitti pene sempre diverse a seconda dell’età del condannato (e aggiungerei del suo stato di salute e delle sue risorse caratteriali): può questo corrispondere alle autentiche esigenze di giustizia di uno Stato? Certamente no, dal momento che la pena deve essere proporzionale alla gravità del crimine commesso. A conferma di ciò, è facile constatare il frequente verificarsi della situazione seguente: quando viene condannato ad una pena relativamente blanda l’autore di un delitto efferato o di particolare rilevanza sociale (ad esempio i crimini connessi con la mafia o col cosiddetto femminicidio) sia i parenti delle vittime, sia l’opinione pubblica reclamano giustizia e chiedono a gran voce l’applicazione di una sanzione maggiore, indipendentemente dall’età del reo.
Pertanto, sembra proprio che la tesi abolizionista non poggi su alcuna base razionale ma che anzi sia il prodotto, tra l’altro, di una visione della vita orizzontale e materialista, priva di ogni riferimento al trascendente nonché di una reale attenzione alle esigenze spirituali del condannato. E’ infatti tramite la pena che il detenuto può emendarsi ed abolire la possibilità di scontare il carcere a vita (e aggiungerei anche quella di venire giustiziato) nel caso dei delitti più gravi, riduce le possibilità di una sua completa guarigione spirituale (più la colpa è grave maggiore è il tempo necessario per espiare).

Giova, a questo punto, riportare il Catechismo della Chiesa Cattolica:
2266 Corrisponde ad un'esigenza di tutela del bene comune lo sforzo dello Stato inteso a contenere il diffondersi di comportamenti lesivi dei diritti dell'uomo e delle regole fondamentali della convivenza civile. La legittima autorità pubblica ha il diritto ed il dovere di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto. La pena ha innanzi tutto lo scopo di riparare il disordine introdotto dalla colpa. Quando è volontariamente accettata dal colpevole, essa assume valore di espiazione. La pena poi, oltre che a difendere l'ordine pubblico e a tutelare la sicurezza delle persone, mira ad uno scopo medicinale: nella misura del possibile, essa deve contribuire alla correzione del colpevole.

Dunque, confidando sulla ragione e su quanto riportato nel Catechismo (che ad essa è sempre conforme) è possibile affermare, senza paura di smentita, che il reinserimento sociale del condannato non è lo scopo principale della pena, sia perché vengono prima le esigenze di giustizia sia perché, in realtà, ciò che conta veramente è che egli si emendi dalla colpa e non semplicemente che “si rifaccia una vita” una volta in libertà, come vorrebbero i pluriomicidi Marco Pannella ed Emma Bonino …
 

04 settembre 2013

Berlusconi e i radicali: storia di una brutta amicizia

La firma di Berlusconi a favore dei 12 quesiti referendari proposti dai Radicali non può essere assolutamente giustificata. Su questo noi camparini siamo tutti d'accordo. Tuttavia, sulla figura e il ruolo di Silvio e sull'atteggiamento di certi cattolici "di destra" al suo riguardo, il dibattito ferve e, forse, ferverà sempre. Ecco qui due riflessioni. Certamente una è più dura con Berlusconi e l'altra tenta di "assolverlo". Ad ogni modo, come potrete leggere, trattasi in realtà di due visioni complementari, utili per una riflessione seria e pacata. (F.C.)

 

19 dicembre 2012

Pannella, sciopero a fini elettorali


di Danilo Quinto 
Avevamo in mente di buttar giù due righe sull'ennesimo sciopero della fame di Pannella: ma non potevamo certo farlo come qualcuno che Pannella l'ha conosciuto per anni. Pubblichiamo quindi, con il suo permesso, un contributo di Danilo Quinto — ex tesoriere del Partito Radicale — comparso oggi sulla "Nuova Bussola Quotidiana".