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25 gennaio 2018

Un Campari con... Claudio Risé.

Claudio Risé è uno scrittore, giornalista, docente universitario e psicoterapeuta italiano (iscritto all'Ordine degli psicologi della Lombardia, già membro del Consiglio Direttivo dello stesso). È stato fino al 2008 docente di Psicologia dell'Educazione alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Milano-Bicocca, e precedentemente di Sociologia della comunicazione e dei processi culturali alla Facoltà di Scienze dell'Università dell'Insubria, e di Polemologia al Corso di Laurea in Scienze Diplomatiche della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Trieste. Ha scritto numerosi saggi sul dono, la psicologia del maschile, la figura del padre, oltre a svariati libri su temi di psicologia sociale ed educativa. Lo abbiamo intervistato per parlare del rapporto fra Bibbia e Psicanalisi.

Recentemente è stato riaperto il dibattito sul rapporto fra Cattolicesimo e psicoanalisi, in virtù di una rivelazione su un episodio di gioventù di Papa Francesco. A Roma alla Gregoriana andranno in onda degli incontri su questo argomento, dal titolo "L'avvenire di un'illusione", in riferimento all'opera omonima di Freud. L'ipotesi di un rapporto stretto fra Bibbia e psicoanalisi freudiana è quindi fondata?

Quasi l'intera cultura occidentale ha le sua radici nella Bibbia: è un libro fondatore dell'Occidente e della sua visione della vita. Anche Freud, ebreo non praticante, si è formato in quella fertile realtà, pur essendone poco consapevole. La sua psicoanalisi però, influenzata dal materialismo positivista di fine ottocento, ha invece una posizione reattiva nei confronti di ogni religione, che considera un'"illusione infantile" - come scrive nel libro da lei citato- da cui liberare al più presto il genere umano. All'"illusione religiosa", Freud contrappone le "certezze del pensiero scientifico". Una posizione ingenuamente naturalistica, poi naufragata nella "crisi della ragione" che caratterizzò già la seconda metà dl novecento. La sua tesi, per lo meno antiquata, è che credere in Dio sia solo frutto di ignoranza. E' la visione della secolarizzazione, anch'essa un'esperienza di ieri (e forse l'altro ieri), anche se molti non se ne sono accorti.

Questa tesi non è nuova, anzi è abbastanza datata. Negli ultimi vent'anni ne sono state formulate altre?
Negli ultimi cinquanta anni la spinta all'allontanamento da Dio si è molto affievolita, per rovesciarsi poi nel suo contrario (come mostra anche la recente storia politica) dal 1990, l'anno del crollo dell'Unione Sovietica, l'ultimo dei grandi totalitarismi atei nel mondo. In tutto il globo le religioni, a cominciare dai tre monoteismi, ebraismo, cristianesimo ed Islam, sono in continuo sviluppo, anche se spesso al di fuori delle rispettive Chiese, distanziatesi dalla forza del sacro già nel secolo scorso. Comunque gli studiosi del campo non parlano più di secolarizzazione, ma post-secolarizzazione.

Uno dei motori della secolarizzazione è proprio il tentativo di ridurre la religione ad una specie di branca della psicoanalisi?
Sarebbe ridicolo e avrebbe ben poca spinta. La cura della psiche umana è molto più antica di tutto ciò (l'esame di coscienza comincia con Pitagora), e il suo avvenire andrà ben oltre queste recenti e ristrette esperienze e visioni dell'uomo.

 

15 agosto 2017

Intervista con la professoressa Anna Bono: Ius soli e ius sanguinis

di La Baionetta
È un periodo di fuoco quello che la politica italiana sta affrontando in queste ultime settimane. A scaldare gli animi non è il sole estivo, bensì il disegno di legge sulla cittadinanza, ora in discussione al Senato. La proposta in questione è stata fatta per introdurre il 'diritto di nascita', e non il cosiddetto ius soli, il quale esiste già dal 1992 a fianco dello ius sanguinis; sulla scia di Francia Olanda e altri paesi europei. Da allora sono passati 25 anni, e nel frattempo la cittadinanza è stata estesa a oltre un milione di immigrati.

A differenza di quanto accade nel resto d'Europa, da noi si rischia di allargare inutilmente il diritto di cittadinanza, e di dare l'impressione di “regalarla senza obblighi”, con un diritto di nascita che, qualora fosse approvato, vanificherebbe gli effetti di un ragionevole ius soli già vigente. Si tenga presente che in Francia e in Olanda vige lo ius soli ma non il diritto di nascita, e come nella legge Martelli del 1992, i minori possono acquisirla solo al compimento del diciottesimo anno. In Germania, Spagna, Regno Unito il diritto di nascita è temperato da un periodo di residenza del genitore più lungo di quello previsto dalle norme italiane. Non si citano gli Stati Uniti giacché hanno un'altra situazione politico-sociale ma una cosa è certa: nemmeno lì regalano la cittadinanza.

E se nel resto del mondo ricordare quanto detto non è prova di discriminazione, tutt'altro accade in Italia. Chiunque compia tale gesto di buon senso, è gettato al bailamme mediatico e accusato di “essere un cattivo”. In tale contesto si sprecano gli slogan pietistici e gli slogan urlati in opposizione, che purtroppo prevalgono sulle riflessioni di merito.

Ora, a chi non vuole annegare in quel mare di “fake-news” non resta che una sola cosa da fare: affidarsi a qualcuno di autorevole con cui approfondire per davvero la questione e stare ai fatti, lontani da ogni mistificazione ideologica. Ed è quello che chi scrive ha fatto per VitaDiocesana Pinerolese, chiedendo un giudizio ad Anna Bono, autorevole africanista e docente di Storia e Istituzioni dell'Africa presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino.

Una nuova legge sulla cittadinanza è necessaria? Ci aiuti ad approfondire la questione...
Premesso che non sono un’esperta in questioni giuridiche, credo che sia importante capire la distinzione fondamentale tra ius soli e ius sanguinis. Il primo stabilisce che chi nasce nel territorio di uno stato ne è cittadino, anche se i suoi genitori non lo sono. Il secondo fa dipendere la cittadinanza dal sangue, quindi dalla nazionalità dei genitori. L’Italia garantisce a tutti i minori residenti, autoctoni e stranieri, gli stessi diritti fondamentali – primi fra tutti, quello all'assistenza sanitaria e quello all'istruzione. Probabilmente la formula più ragionevole e che meglio tutela i diritti dei bambini e dei loro genitori, è quindi quella già in vigore: uno ius soli per così dire temperato in base al quale, raggiunta la maggiore età, i figli di stranieri nati e residenti in Italia stabilmente possono scegliere di diventare cittadini italiani.

Per quale motivo “lo slogan” che porta a equiparare l'emigrazione italiana di allora con quella di chi giunge oggi sulle nostre coste va sfatato?
Per prima cosa gli italiani che emigravano in passato, e quelli che lo fanno tuttora, emigrano regolarmente, rispettando le leggi nazionali e internazionali, mentre gli emigranti che arrivano in Italia lo fanno illegalmente.
In secondo luogo gli emigranti italiani del passato sceglievano come destinazione paesi in crescita, che chiedevano forza lavoro, mentre gli emigranti illegali attuali scelgono come destinazione un paese in forte crisi economica, con elevati tassi di disoccupazione (quella giovanile supera il 40%) e di povertà assoluta: una scelta irrazionale, del tutto anomala.

Tito Boeri, presidente dell'INPS, è d'accordo con quanto sostenuto dal monsignore; in una conferenza stampa, ai primi di luglio, ha dichiarato: “l'Italia ha bisogno degli immigrati per sostenere il welfare. La giovane età degli immigrati compensa il calo delle nascite nel nostro paese, la minaccia più grave al nostro sistema pensionistico”. Come commenta queste parole?
Non abbiamo bisogni di giovani, ovviamente, visto che tanti se ne vanno e milioni restano disoccupati. Abbiamo bisogno di lavoro, occupazione, crescita economica.
La quasi totalità degli immigrati illegali non lavora e non troverà lavoro, quindi non paga e non pagherà contributi. Se anche fosse, il nostro sistema previdenziale è contributivo. Quindi, quelli che lavorano, con i contributi versati maturano la loro pensione e il loro trattamento fine rapporto, non quello altrui.

Perché occorre riconoscere, oltre al diritto di emigrare, il diritto di vivere a casa propria? Come lo si può garantire, attraverso quali tipi di aiuto? Premesso che il diritto a emigrare non comporta il diritto di andare dove si vuole, entrando in un paese a forza, con espedienti e senza rispettarne le leggi, il diritto primario è effettivamente vivere in dignità e sicurezza nel proprio paese. Ogni governo, ogni popolo dovrebbe impegnarsi a far valere questo diritto. Come? Occorrono prima di tutto governanti responsabili, preparati, disposti a contrastare corruzione e malgoverno. Aiuti dall'esterno sono possibili, ma non essenziali e men che meno risolutivi, se mancano le condizioni interne per garantire crescita economica e sviluppo.

https://labaionetta.blogspot.it/2017/07/intervista-Bono-Iussoli-iussanguinis.html
 

01 maggio 2017

Un Campari con... Marco Tosatti. Fatima e quel segreto non svelato

Cento anni dopo, Fatima non cessa di far discutere. Del resto è stato Benedetto XVI nel 2010 a dire che la missione profetica della rivelazione mariana non si è ancora conclusa. Ma nel 2000 con la pubblicazione del terzo segreto non era stata messa la parola fine? Non ci era stato detto che si trattava delle persecuzioni alla Chiesa, culminate con l’attentato a Giovanni Paolo II? Ne parliamo con Marco Tosatti, di cui sta per uscire l’edizione aggiornata del suo “Il segreto non svelato”.

Quali sono gli argomenti inseriti nella nuova edizione del libro?
"Chorabooks l’ha pubblicato proprio in questi giorni. Con poca modestia mi sembra di poter dire che è un libro veramente centrale per chi – senza essere uno specialista – vuole farsi un’idea di tutto ciò che è stato, ed è ancora, il problema Fatima. Per la Chiesa e per il mondo. La prima edizione, anni fa, ebbe il merito di mettere in evidenza le contraddizioni e le omissioni di un secolo. Quest’ultima opera, pur mantenendo la struttura originale, e lo sguardo non solo cattolico sul fenomeno Fatima, è aggiornato fino alle ultime settimane; e in particolare si parla di Ratzinger, e della perizia grafologica su quello che potrebbe essere un documento veramente problematico. Insomma, Fatima continua a riservarci questioni e sorprese…"

Ad un occhio attento e ragionevole non sembra proprio che la gestione della pubblicazione della terza parte del segreto di Fatima sia stata chiara e limpida. In molti ritengono che non sia stato detto tutto. Qual è la sua opinione?
 Per capire la gestione del fenomeno Fatima, da parte di pontefici, segretari di stato e altre personalità di Chiesa bisogna sempre tenere presente che la Chiesa con la “C” maiuscola nutre una profonda prudenza, per non dire diffidenza, verso le manifestazioni private del sovrannaturale, e ancora di più verso le persone dei veggenti. Il segretario di papa Wojtyla, quando in un viaggio in Africa gli chiesi di Fatima, mi rispose – cito a memoria – “Non è sempre chiaro quello che dice la Madonna e quello che dice suor Lucia”. Ora nel corso dei decenni ci sono state testimonianze di persone che hanno visto il segreto, altre che hanno visto la busta in cui era racchiuso uno dei messaggi di suor Lucia, altri che hanno scritto sulla busta per conto di Giovanni XXIII…e tutti questi pezzi non sono stati fatti combaciare, nelle varie spiegazioni ufficiali. Può essere – dico può essere, non dico che sia avvenuto – che un documento scritto da suor Lucia sia stato giudicato magari di ispirazione non sovrannaturale. Quello che è evidente però è che persone che sono state in contatto col problema hanno parlato di più messaggi, e di uno di essi che avrebbe riguardato l’apostasia nella Chiesa. E’ difficile credere che si siano inventati tutto…ma anche di questo si tratta nel libro.

Oltre agli inviti alla penitenza, al sacrificio e alla preghiera, in fondo comuni a molte apparizioni mariane, in Portogallo la Madonna ha dato anche un messaggio “politico” e in seguito disse a suor Lucia che la terza parte del segreto avrebbe dovuto essere divulgata nel 1960. Proprio il periodo in cui fervevano i preparativi per il Concilio Vaticano II… Sarà per questo che il Vaticano sembra aver paura di Fatima?
Che Fatima contenga un messaggio politico in senso lato è evidente e chiaro. Che il richiamo, ripetuto, all’anno 1960, faccia nascere un possibile riferimento al Concilio Vaticano II, foriero di interpretazioni lontane da quelle che erano le intenzioni di Giovanni XXIII e di molti dei Padri conciliari, continuità con la storia della Chiesa, non frattura, è solo naturale. E se un qualche documento eventuale di suor Lucia avesse fatto menzione dell’apostasia…beh, non bisogna essere particolarmente acuti per immaginare come potrebbe essere stato accolto in Vaticano nel dopo Concilio…E come potrebbe esserlo anche adesso, se è per questo.

La consacrazione della Russia, così come chiesta dalla Madonna, è stata fatta? Cosa pensava realmente suor Lucia al riguardo?
Nel libro dedico un capitolo proprio a questo tema. E bisogna ammettere che suor Lucia su questo punto è stata molto oscillante. Ci sono stati momenti in cui sembrava pensare che la consacrazione non fosse stata compiuta; e nell’ultima parte della sua vita invece sembra aver accondisceso ad ammettere che la consacrazione fosse stata eseguita in maniera soddisfacente. Di più non credo che si possa dire, per il momento. Se e quando saranno desecretati i documenti e i diari contenuti nella cella a Coimbra saremo in grado di avere le idee più chiare…

Le apparizioni di Fatima e di Civitavecchia sembrano fra loro strettamente collegate. E' un'analisi corretta?
Per quanto si possa analizzare un tema così difficile e sfuggente come quello delle rivelazioni private e personali, mi sembra di poter dire che non solo Fatima e Civitavecchia sono collegate, ma anche Medjugorje, e altre manifestazioni mariane, come Akita e Kibeho, secondo me fanno parte di una linea di attenzione sovrannaturale verso un mondo che sembra sempre di più rinnegare le sue basi umane.

In Portogallo si conserverà sempre il dogma della fede… Cosa può voler dire sulla base dei suoi studi e ricerche?
E’ una delle frasi più enigmatiche del messaggio. Perché, apparentemente, non è che il Portogallo sembri differire molto dal processo di secolarizzazione divampante in Europa. Ma nella logica del messaggio, un’affermazione del genere sembra implicare che altrove questo non avverrà. Però nella parte “rivelata” della profezia di questo non si parla più. E’ certamente uno degli elementi di maggior forza per ipotizzare che un'altra parte riguardasse proprio questo, e cioè l’apostasia nella Chiesa di cui hanno parlato Ottaviani e Ciappi e altri ancora.

“Possano questi sette anni che ci separano dal centenario affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria” disse Benedetto XVI nella sua omelia del 13 maggio 2010 a Fatima. Semplice augurio o qualcosa di più? Lei si aspetta qualcosa per questo 2017?
I tempi del sovrannaturale non sono i nostri, e le vie del sovrannaturale non assomigliano a sentieri umani. Ho fiducia che la vittoria sarà di Colei che ha schiacciato la testa del serpente. Quando questo avverrà, non sono certo io a poterlo immaginare. Magari fosse presto!
 

20 maggio 2016

Abbé Barthe: In periodi di confusione ci guida il Sensus Fidelium

L'Abbé Claude Barthe è un importante sacerdote e teologo francese. Abbiamo scelto di consultarlo riguardo il ruolo dei laici nella Chiesa del 2016, una questione molto spinosa, in un periodo di disorientamento generale come questo. Ringraziamo gli amici del CNSP. (Per l'occasione è scaricabile il pdf con intervista in italiano e francese)



D: In questo periodo di confusione, i laici come si devono comportare? Chi non si adegua al "nuovo ordine" come può rimanere coerente?

R: La sua domanda presuppone che ci sia un "nuovo ordine", diciamo un disordine, in seno alla comunità ecclesiale. Lo credo anch’io. Lo si può definire, almeno di primo acchito, lo "spirito del Concilio", espressione meravigliosamente vaga, ma che definisce un tentativo molto concreto di assalto al cattolicesimo da parte della modernità, toccando la dottrina, la morale e il culto divino. Questo attacco non ha potuto che svilupparsi solo in ragione di una sorta di dismissione dell'autorità. E' la versione cattolica della famosa crisi della paternità del 1968. Si è voluto vedere il 1968 come un'applicazione della "uccisione del padre" che, secondo Freud, sta all’origine della società, ma che, in realtà, è stato un suicidio dei padri, o in tutti i casi una dismissione del ruolo paterno nella famiglia, nella società e nella Chiesa.

Di colpo i figli si ritrovano abbandonati ampiamente a loro stessi. Devono per forza di cose lasciarsi guidare dal "sensus fidelium", che i teologi chiamano "l'infallibilità passiva" (la Chiesa non può cadere in errore nel credere). Per ogni credente, il "sensus fidei" è un istinto, un “fiuto”, che accompagna la virtù della fede. Porta il fedele a credere a ciò che gli insegna la Chiesa, ma anche a continuare a vivere della sua fede e a continuare a determinarsi in funzione di essa, per naturale sviluppo di ciò che gli è stato già insegnato, anche quando smette di essere insegnato. Ovviamente, non si deve cadere nell'individualismo protestantizzante: solo il Magistero può determinare definitivamente se il fedele che si è fatto guidare dalla bussola dell'istinto della fede, ha reagito correttamente.

I fedeli di Lione illuminavano le loro case durante la festa dell'Immacolata Concezione, proprio mentre l'Immacolata Concezione della Vergine era oggetto di vivaci polemiche. La proclamazione del dogma, nel 1854, ha dato loro ragione. Possiamo parlare di intervento dell'istinto della fede anche per la sopravvivenza della Messa tradizionale dopo il 1969, sopravvivenza che è stata ampiamente dovuta ai fedeli laici. Il Summorum Pontificum ha confermato, quarant'anni più tardi, la fondatezza dell'atteggiamento di coloro che hanno continuato a celebrarla o ad assistervi.


D: Così come, con il Summorum Pontificum, i laici sono stati il motore del recupero della Messa Tradizionale, potranno anche essere il motore del recupero della Tradizione nella Chiesa?

R: I laici hanno avuto questo ruolo di motore, per esempio nell'insegnamento del catechismo tradizionale, che hanno continuato a insegnare e a fare insegnare ai loro figli, al posto dei nuovi catechismi, che avevano invaso le parrocchie e le scuole dalla fine degli anni 60.

Oggi constatiamo che la maggior parte dei bambini ha ricevuto un insegnamento vago, talvolta eterodosso, per la maggior parte del tempo insufficiente. Suppongo che sia stato lo stesso in Italia, dal momento che ho sentito un anziano vescovo ausiliario di Roma raccontare, durante un incontro sacerdotale, che aveva incontrato dei bambini di scuole cattoliche della periferia della città, che non sapevano le preghiere più semplici né farsi il segno della croce. E' per questo che, nella realtà che conosco meglio, quella francese, dei genitori cattolici si sono organizzati, aiutati da sacerdoti, associazioni, scuole private, per assicurare una continuità nell’insegnamento del catechismo.

Durante una conversazione che ho avuto con il cardinale Ratzinger nel 1995, mi disse: "Pensa che la pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica sarebbe stata possibile 20 anni fa nel 1965?". Io gli risposi che era proprio questo il problema: un concilio dopo il quale non si potevano più pubblicare catechismi. E lui sospirando: "E' vero, la Chiesa è stata ferita". Anche ammettendo che il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 abbia risolto tutte le difficoltà, è arrivato dopo una "vacatio catechismi" di quasi trent'anni, che di fatto dura ancora. In tutti i casi, la sua comparsa ha dato ragione ai genitori che avevano continuato a trasmettere il catechismo tradizionale. 

Nell'ambito della morale familiare, dopo il Vaticano II, si è discusso della questione della regolazione delle nascite come di una questione aperta. Paolo VI è intervenuto per riservarsi di definirla, e l'ha fatta studiare da una commissione ad hoc. Così è stata data l'impressione, fino all'Humanae Vitae, nel 1968, che si potesse agire liberamente in questo ambito. Durante quel periodo, l'istinto della fede degli sposi ha dovuto allora agganciarsi ai principi formulati in precedenza dall'enciclica di Pio XI "Casti Connubii" e dai discorsi di Pio XII. E oggi ancora, l'Humanae Vitae è così mal difesa dalla gerarchia, che i fedeli agiscono più per l'istinto della fede che sotto la sua guida.

Allo stesso modo, anche le due assemblee consecutive dei Sinodi dei Vescovi sulla famiglia hanno aperto un “dibattito” artificioso a proposito della dottrina evangelica dell'indissolubilità del matrimonio e delle sue conseguenze morali e sacramentali. L'esortazione apostolica Amoris Laetitia, ha poi spiegato che il dibattito era sempre aperto, e ha in qualche modo ammesso delle eccezioni pratiche alla legge evangelica in questo ambito. Ciò obbliga i fedeli laici (e i poveri confessori!) ad aggrapparsi in virtù del loro senso della fede al magistero precedente.

D: Il Concilio Vaticano II invoca un maggiore ruolo dei laici. Perché allora al posto di ascoltarli, le gerarchie portano avanti solo le rivendicazioni di prelati ottuagenari?

R: Sa, l'età importa poco. Ci sono dei giovani eretici e dei vecchi ortodossi. Ma è vero che nell'episodio evangelico della donna adultera, i vecchi sembravano aver più peccati da rimproverarsi rispetto ai giovani... E' vero anche che i membri di quelle che chiamiamo "le forze vive" del cattolicesimo oggi in occidente, le comunità religiose tradizionali, le nuove comunità, le associazioni studentesche, le organizzazioni per la difesa della vita, i movimenti apostolici di tutti gli ordini, hanno un'età media molto giovane.

Incontestabilmente, ciò che il Vaticano II ha detto riguardo la promozione dei laici, per esempio nel decreto Apostolicam Actuositatem, non è stato capito. O piuttosto, i laici che sono stati promossi nei consigli parrocchiali, nelle riviste cattoliche ufficiali ecc, sono laici in linea con "lo spirito del Concilio". Sono quelli che ritroviamo nei gruppi liturgici, che intervengono nelle cerimonie, distribuiscono la comunione, presiedono e predicano (almeno in Francia) durante le sepolture. In realtà, è stata fabbricata una sorta di "laicato clericale", un "clero bis".

Oggi ci parlano di diaconesse... Ma dagli anni 90 in Francia si discute della possibilità che avrebbero i cappellani non preti negli ospedali (spesso donne), di amministrare l'unzione degli infermi e la confessione. Al contrario, quando dei laici chiedono la Messa tradizionale, si organizzano per farla celebrare, vengono disprezzati e si silurano le loro rivendicazioni: questi laici non sono nello "spirito del Concilio". In verità, dal Vaticano II, la Chiesa non è mai stata così clericale.

D: Il silenzio di molti "buoni pastori" in questo periodo come può essere letto da chi si aspetta delle risposte proprio da loro?

R: Lei allude, immagino, alla situazione presente, successiva ad Amoris Laetitia. Durante il periodo, molto agitato, successivo al Vaticano II, il potere gerarchico era moderato - Papa Montini - ma il potere culturale era in mano ai progressisti. Poi è arrivato un periodo che è stato chiamato di "Restaurazione", utilizzando un termine del Rapporto sulla fede, del 1984-85, l'epoca dei papi Wojtyla e Ratzinger: l’impulso romano, pur lasciano grandi interrogativi - le giornate di Assisi per esempio - ha favorito un "ritorno" anti-68.

La disastrosa abdicazione di Benedetto XVI e l'elezione di Papa Francesco, nel 2013, hanno di nuovo cambiato le carte in tavola. I fedeli, i preti che erano indicati come ratzingeriani, si sono ritrovati orfani. Ma anche i vescovi e i cardinali. Come membri della Chiesa docente, hanno ora un ruolo decisivo da giocare per venire in aiuto alle pecorelle e per preparare l'avvenire.

Guardi la risonanza che hanno avuto, durante le assemblee sinodali del 2014 e 2015, i libri dei cardinali Brandmuller, Burke, Caffarra, De Paolis, Muller, "Permanere nella verità di Cristo" e "Matrimonio e famiglia". Parole identiche oggi, dopo Amoris Laetitia, avranno una ripercussione notevole, per sostenere la fede dei fedeli in una congiuntura in cui la Chiesa è sempre più sommersa da una marea mondana.

D: I laici devono quindi supplire alle mancanze dottrinali dei pastori?

R: Come le dicevo, l'istinto della fede aiuta i fedeli di Cristo ogni volta che gli insegnamenti del magistero non indicano più loro con chiarezza cosa devono credere e cosa devono fare. Nel 1790 si presentò ai preti francesi il dilemma di prestare o no giuramento alla Costituzione Civile del clero. Pio VI ha atteso un anno prima di parlare. Durante questo tempo, quelli che non giuravano si regolarono da soli, secondo il loro sensus fidei.

I numerosi rifiuti di prestare giuramento hanno stimolato l'intervento del Papa: il breve Quod aliquantum, il 10 marzo 1791, ha condannato la Costituzione Civile del clero e i giuramenti a quella costituzione. Nel 1892, più grave del silenzio, sono state invece le parole di Leone XIII che ha seminato sconcerto fra i cattolici francesi, domandando loro di allinearsi alla democrazia moderna, concretamente alla terza repubblica anticlericale (Inter Sollicitudines). Molti laici hanno resistito, in nome della condanna del "nuovo diritto", da parte del Papa stesso, nella Immortale Dei. E la "Lettre sur le Sillon" di San Pio X, nel 1910, ha condannato la modernità politica di Marc Sangnier. Di conseguenza, il senso della fede, allorquando deve esercitarsi come oggi, lo fa, in definitiva, nell'attesa di una parola futura del magistero. 

Il suo esercizio può essere paragonato a un movimento di legittima difesa, per preservarsi o preservare il proprio prossimo dalla violenza, quando l'autorità pubblica non può o non vuole intervenire. I laici dei nostri giorni, sono spesso in stato di legittima difesa, liturgica, dottrinale, morale. Ma non si tratta per niente di rimpiazzare il magistero. Al contrario, questa azione di supplenza concreta rappresenta una domanda insistente dell’intervento del magistero, del magistero come tale, il magistero infallibile affidato a Pietro e ai suoi successori perché le porte degli inferi non prevalgano mai sulla Chiesa.

 

06 gennaio 2013

Un campari - vodka con... Aleksandr Dugin


a cura di Andrea Virga

Aleksandr Gel’evic Dugin (nato a Mosca nel 1962) è poco conosciuto in Italia, al di fuori di alcuni ambiti politici e di studio, ma si tratta di uno tra i più influenti filosofi russi contemporanei. È stato negli ultimi vent’anni il principale esponente intellettuale del nazionalbolscevismo e del neo-eurasiatismo, ma le sue teorie geopolitiche e filosofiche hanno trovato accoglienza anche presso le classi dirigenti dei Paesi ex-sovietici. Dopo aver insegnato all’Università di Stato di Mosca, è stato chiamato alla nuova Università Nazionale del Kazakistan, voluta dal Presidente Nursultan Nazarbaev nella nuova capitale di Astana e intitolata al filosofo eurasiatista Lev Gumilëv.

Prima di tutto, siccome il nostro blog è intitolato a De Maistre, volevo chiederle quale sia stata e se ci sia stata un’influenza di De Maistre sulla cultura russa, considerando anche che ha vissuto per diversi anni a San Pietroburgo.

È interessante notare come De Maistre fosse tradizionalista e conservatore, mentre il suo discepolo russo Pëtr Chaadaev fu occidentalista, liberale e fra i nemici principali degli Slavofili. Questo è molto interessante. Quali sono le ragioni per cui un controrivoluzionario come De Maistre ha potuto essere maestro dell’autore che era (ed è) considerato nella tradizione russa come l’esponente più conosciuto e radicale del liberalismo russofobo, un partigiano della modernizzazione e del progresso? Si tratta di una differenza di prospettive: De Maistre era un conservatore cattolico, un reazionario europeo; la Russia possiede invece una propria struttura sociale, dove l’occidentalismo non è accettabile né nella forma progressista, liberale, aperta, né nella forma reazionaria e conservatrice.

Può spiegare meglio questa reazione della Russia verso l’Europa?

La civiltà europea e la civiltà russa sono due civiltà diverse. E questa è l’unica ragione per cui il discepolo del reazionario era divenuto, tra i Russi, un progressista. Perché l’Europa, quando vuole entrare in dialogo con la Russia o con la società russa, è sempre universalista ed eurocentrica, sia dalla parte conservatrice che dalla parte progressista. Tratta la Russia nella maniera europea, presentandola come un Paese europeo, ma la Russia, come slavofili ed eurasiatisti affermavano, non è un Paese europeo, è una civiltà particolare, la civiltà eurasiatica. Se proprio vogliamo chiamarla Europa, è un’altra Europa, greco-bizantina e ortodossa, e, secondo gli eurasiatisti, non comprende solo l’Europa orientale ortodossa e slava, ma anche l’Asia turca e turanica.

Quindi il problema di De Maistre sta nel suo essere comunque un pensatore europeo?

Tutto questo spiega perché, in Russia, De Maistre non ha lasciato che quasi nessuna traccia. Non è considerato un personaggio importante nella nostra storia. Viveva a San Pietroburgo, era un cattolico reazionario, ma tutti i cattolici sono progressisti per noi, perché non sono ortodossi. L’identità russa ortodossa era basata e ancora oggi si basa su una certa distanza con il cattolicesimo, progressista, tradizionale o reazionario che sia. Questo è considerato come occidentalizzazione, modernizzazione ed europeizzazione della cultura russa.

Qual è invece il suo giudizio personale sulla figura di Joseph de Maistre?

Questo è un aspetto paradossale, ma personalmente, come guénoniano, io considero De Maistre come un personaggio molto positivo e molto interessante nel contesto occidentale ed europeo. C’è un progetto di organizzare una conferenza tradizionalista, “Le serate di San Pietroburgo”, in onore di De Maistre, invitando tradizionalisti e conservatori di Paesi diversi, europei ed asiatici, e anche autori conservatori russi, per ripensare la tradizione conservatrice in generale. Ma queste due cose sono diverse: un conto è il nostro interesse tradizionalista evoliano-guénoniano per un autore conservatore e reazionario, un altro è la tradizione culturale russa che è piuttosto indifferente di fronte a De Maistre, che in più ha l’aspetto negativo di essere stato maestro di Chaadaev, che per noi è una figura antislavofila, antipatriottica e antirussa. Chaadaev era come Trotzky, e il suo maestro non può essere molto bravo, in un certo senso. Ma per noi il personaggio di Joseph de Maistre è molto interessante e molto importante.
 

13 novembre 2012

Un Campari con… Costanza Miriano

a cura di Alessandro Rico 

Perennemente circondata dai quattro figli (il più grande mette subito i paletti: «Io sono il suo agente segreto», mi avvisa), accompagnata dal marito discreto ma sempre presente, Costanza Miriano ha presentato sabato 3 novembre, a L’Aquila, il suo ultimo libro: Sposala e muori per lei (Sonzogno, pp. 208, € 15,00). I proventi delle vendite della serata sono stati interamente devoluti a una delle parrocchie più disastrate del capoluogo abruzzese terremotato. E CampariedeMaistre non poteva mancare all’appuntamento con questa "vecchia" conoscenza del blog.