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27 luglio 2019

Chiamati alla santità per opera dello Spirito (Card. Sarah)

di Robert Cardinal Sarah
(Presentazione del libro
Lo Spirito Santo e la Chiesa alla luce dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, S. PINNA - F. PINNA - T. GORNATI,  Edizioni Sant’Antonio, Berlin 2019.)

Quando sono stato invitato a scrivere queste poche parole di Presentazione da don Samuele Pinna, affermato studioso di teologia, ho compreso l’importanza del volume che avevo tra le mani a motivo del suo oggetto.
La relazione, infatti, tra Dio e la Chiesa è imprescindibile, oltre che per ogni teologo, per qualsiasi credente. Il tentativo poi di penetrare il mistero divino a partire dall’insegnamento magisteriale del Vaticano II permette di cogliere la ricchezza del patrimonio del deposito della fede che la Madre Chiesa ci consegna lungo la storia. Ricordare che lo Spirito Santo, il leggero soffio di Dio che aleggia sulle acque del mondo e della storia, è la guida e l’anima del Corpo di Cristo aiuta a superare la crisi di fede che, proprio dopo il Concilio, si è abbattuta sulla cristianità.

Se, infatti, il legame tra Dio e i cristiani diviene insipido, la Chiesa diventa una semplice struttura umana, una società come le altre. Allora, la Chiesa si banalizza, si assimila a qualsiasi istituzione mondana e si corrompe fino a perdere la sua natura originaria. Senza Dio, inoltre, noi creiamo una Chiesa a nostra immagine, per i nostri piccoli bisogni e secondo i nostri gusti. La moda si impadronisce della Chiesa e la verità, che – se tale – vale per ogni uomo, viene a essere accantonata.

In questo senso il Concilio Vaticano II non ha considerato la Chiesa come una realtà chiusa in sé stessa, ma la vede connessa indissolubilmente a Cristo. La Chiesa è come la luna: «È risplendente della gloria di Dio… la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello» (Ap 21, 10-23), non brilla di luce propria, ma riflette la luce di Cristo. In effetti, allo stesso modo che senza il sole, la luna è oscura, opaca e invisibile, così è per la Chiesa se si allontana da Cristo, vero Dio e vero uomo. L’ecclesiologia dipende evidentemente dalla cristologia, che è a essa legata.
La Chiesa non è dunque una creazione umana. La Chiesa è di Cristo. La Chiesa è l’immenso popolo nuovo formato da tutti quelli che la morte di Cristo sulla Croce ha strappato dal regno del peccato e sono risuscitati nella vita con Cristo.

Questa raccolta di saggi presenta, allora, in modo lampante, l’opera della Terza persona della Trinità, che è di vitale importanza per la Chiesa universale. La voce e l’azione dello Spirito Santo, infatti, sono costanti nella compagine ecclesiale, poiché mostrano quella verità a cui ogni uomo è chiamato per vocazione divina. Il battezzato, il quale è membro “vivo” del Corpo di Cristo, è consapevole che l’uomo non deve essere rivolto semplicemente verso sé stesso. È l’orientamento opposto che gli assicura l’equilibrio e la vita. Bisogna che l’uomo muoia a se stesso, poiché nel momento in cui è rinchiuso nel proprio ego, la sua prigione interiore rimane un vero inferno.

Solo Dio è la via aperta per la quale possiamo sfuggire a noi stessi. È solo il pensiero di Dio che ci può donare allo stesso tempo la libertà e la purezza, e l’equilibrio tra le due. Non è prendendo a modello l’uomo che sapremo che cosa dobbiamo fare, ma nel volgerci verso Dio: è Lui che ci mostrerà quali siano i sacrifici che ci sono richiesti ed è sempre Lui che ci donerà anche la forza per metterli in pratica.

Se siamo fedeli a dirigere ogni giorno con pazienza la nostra anima verso la luce divina, diventeremo luminosi a nostra volta. L’orientamento normale porterà l’ordine, l’equilibrio, la tranquillità e la pace. Saremo, così, sulla strada della santità che consiste nell’interessarsi a Dio più che a se stessi, a sottomettersi alla Sua Santa Volontà e a vivere della sua beatitudine eterna.

Ma come non si può vedere in questo itinerario l’opera in noi dello Spirito Santo? E, d’altro canto, come possiamo descrivere in maniera precisa e puntuale l’azione della Terza persona della Trinità? Ancora una volta ci viene in aiuto il presente volume, a cui rimando, che avvia la riflessione partendo dall’insegnamento del Concilio e approda istruendo sullo studio di importanti teologi (Hans Urs Von Balthasar, Henri de Lubac, Yves Congar, Charles Journet) che con la loro ricerca hanno influito sul Vaticano II. Il libro, difatti, lega insieme il contributo di don Samuele con quello dei suoi genitori, come è spiegato chiaramente nell’Introduzione. Mi è impossibile non sostare con delicatezza su tale aspetto, così come non riesco a non andare col pensiero ai miei genitori che, come ho già raccontato altrove [Dio o niente, pp. 22-24], sono stati decisivi per la mia vita umana e di fede. La magnanimità, l’onestà, l’umiltà, la generosità e la nobiltà dei sentimenti dei miei genitori, la loro fede e la densità della loro vita di preghiera e soprattutto la loro fiducia in Dio mi hanno molto impressionato. Non li ho mai visti entrare in conflitto con nessuno. Ho vissuto, quindi, in una famiglia pia, serena, pacifica dove Dio era sempre presente e la Vergine Maria venerata filialmente. La mia infanzia, pertanto, è stata molto felice: sono cresciuto nella serenità e nell’ingenuità innocente di un piccolo villaggio al centro del quale si trovava la missione degli spiritani, che tanto hanno influito sulla mia vocazione sacerdotale. La scelta, dunque, di don Samuele di aver inserito due scritti dei suoi genitori, Francesco e Teresa, non è solo per lui un “dono inaspettato” – come l’ha definito –, ma anche per ciascuno di noi, tanto da meritare sincera gratitudine.

La meditazione, còlta e altamente spirituale, di Francesco Pinna è un accorato richiamo alla necessità, per la vita ecclesiale, del Sacramento dell’Ordine. I continui riferimenti e i rimandi ai grandi pensatori cristiani, ai Padri della Chiesa e ai Sommi Pontefici mostrano come l’avvenire del sacerdozio debba essere letto proprio a partire dall’esempio dei santi. La sua sopravvivenza e la sua fecondità sono garantite dalla promessa di Gesù di essere con noi tutti i giorni fino alla fine dei tempi. È il legame con Cristo a permettere al sacerdote di essere il testimone della dimensione verticale dell’esistenza, mettendo in comunicazione con Dio e ripetendo il suo messaggio instancabilmente, affinché sia ascoltato nel grande rumore del mondo. Il sacerdote, come viene ricordato in questo primo saggio, possiede il potere divino, che consiste nel far discendere Dio e la sua Parola tra gli uomini.

Da qui, l’importanza insostituibile dell’Eucarestia che, del resto, è il motivo proprio di questa meditazione occasionata a ragione della prima Santa Messa di don Samuele, ma che ben si applica per ogni battezzato (sia o meno consacrato). La configurazione del presbitero, la sua identificazione a Cristo crocifisso, si realizza mediante un’intensa vita di preghiera, di adorazione e di contemplazione silenziosa. Senza la preghiera, senza una vita radicata nell’Eucaristia e quasi inchiodata sulla croce, il sacerdote corre il rischio di cadere nell’attivismo, nella superficialità e nella mondanità. È contemplando il volto di Cristo nell’orazione che il sacerdote attinge la generosità per donarsi, corpo e anima, come Cristo, al suo ministero sacerdotale. Proprio nell’Eucaristia il sacerdote diventa non solo un Alter Christus, anzi egli è Ipse Christus: è davvero Cristo stesso.
Infine, come è giustamente richiamato in questa prima parte del libro, la vocazione sacerdotale è inseparabile dalla Vergine: la vita di un sacerdote non si può concepire senza un legame filiale con Maria. La Madre di Cristo mantiene i sacerdoti nella fedeltà e loro impegni. Grazie alla Vergine Maria sono convinto che il sacerdozio non sparirà mai. È per questo il sacerdote come ogni cristiano deve piantare la sua vita su tre pilastri: Crux - Hostia et Virgo: la Croce - l’Eucaristia e la Vergine Maria.

Il secondo saggio di Teresa Gornati è una puntuale rilettura dell’ultimo Concilio in cui emerge una chiara e coinvolgente spiegazione sulla realtà dello Spirito di Dio, il quale è ausilio necessario per la testimonianza che ogni cattolico è chiamato a dare. È importante ricordare che il Vaticano II ha segnato una svolta nella concezione della missione: «la Chiesa, durante il suo pellegrinaggio sulla terra, è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine» (Ad gentes, n. 2).
Se non stabiliamo in modo chiaro il mandato missionario nella Trinità, c’è il rischio di ridurre la missione a un insieme di attività di carattere sociale, a opere per lo sviluppo economico o il progresso, a impegno politico in favore della liberazione di popoli oppressi e alla semplice lotta contro l’esclusione. Tutte cose buone, talvolta anche necessarie, ma diverse dalla missione che Gesù ha affidato ai suoi discepoli. Essere missionari, in effetti non significa dare delle cose, ma comunicare il fondamento della vita trinitaria: l’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Essere missionari consiste nel condurre gli uomini a un’esperienza personale dell’amore incommensurabile che unisce il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo per lasciarsi travolgere insieme a loro dalla fornace ardente d’amore che si è manifestata in modo sublime sulla croce. Essere missionari significa aiutare gli altri a diventare veri discepoli di Gesù, aiutarli a vivere una amicizia profonda con Gesù e a diventare un solo e unico essere con Gesù (cfr. Rm 6, 5).

La trasformazione missionaria della Chiesa non è una via umana, ma un appello dello Spirito Santo che illumina i nostri cammini, come una torcia infuocata e splendente nell’oscurità di questo mondo.
In questa seconda parte sono posti in evidenza gli elementi essenziali non semplicemente al fine di condurre una dotta ricerca sulla Terza persona della Trinità, ma per indicare la via che il cristiano, sostenuto dall’amore divino, può intraprendere per vivere il Vangelo in quanto testimone di una grazia che ha anzitutto ricevuto.

Il libro si conclude con un denso testo teologico di Samuele Pinna in cui sono recuperati i concetti già presenti nei due precedenti scritti. Vorrei spendere una parola solo sul concetto della santità nella Chiesa, che Pinna recupera dall’opera del cardinal Journet di cui è esperto estimatore e conoscitore profondo.
Nella storia della Chiesa, chi conserva la fede è il “piccolo resto”. Ci sono credenti che rimangono fedeli a Dio e alla sua Alleanza: sono il ceppo che rinascerà sempre perché l’albero non muoia. Anche se indifeso, resterà sempre un piccolo gregge, un modello per la Chiesa e per il mondo. I santi hanno trovato Dio: questi uomini e queste donne hanno scoperto l’essenziale. La terra rinasce e si rinnova grazie ai santi e al loro attaccamento indefettibile a Dio e agli uomini che vogliono condurre alla salvezza eterna e divengono, così, la pietra angolare dell’umanità. La preoccupazione principale di tutti i discepoli di Gesù deve essere, allora, la santificazione. Il primo posto nella loro vita deve essere riservato – lo ripeto! – all’orazione, alla contemplazione silenziosa della croce, la nostra “Spes unica”, e all’Eucaristia, tutto il resto sarebbe altrimenti vana agitazione. I santi amano e vivono nella verità e si preoccupano di guidare i peccatori alla verità di Cristo. Essi non potranno mai tacere questa verità né manifestare il minimo compiacimento verso il peccato o l’errore. La Chiesa non è una democrazia in cui la maggioranza finisce per prendere le decisioni, ma è il popolo dei santi.

Nella Chiesa primitiva, i cristiani si chiamavano “santi” perché tutta la loro vita era ricolma della presenza di Cristo e della luce del suo Vangelo. Erano una minoranza ma hanno trasformato il mondo. La forza di un cristiano deriva, dunque, dal suo rapporto con Dio. Deve incarnare la Sua santità in lui e indossare «le armi della luce» (Rm 13, 12). I santi sono uomini che lottano con Dio ogni notte fino all’alba. Questa lotta ci fa crescere, ci fa raggiungere la nostra vera statura di uomini e di figli di Dio. La Chiesa altro non è se non il luogo in cui la santità può realizzarsi in pienezza.

Sono grato a don Samuele e ai suoi genitori Francesco e Teresa per questo ricco volume che ci ricorda non solo l’importanza della centralità di Dio nella nostra vita, ma anche il Suo primato su ogni realtà. Il suo influsso amorevole, infatti, ci riempie l’intimo del cuore mediante il dono del Suo Spirito, elevandolo a vita nuova, a vita eterna.


 

08 aprile 2019

Il concetto. Non tirate il cardinal Sarah in politica

Sei anni di pontificato sui generis ci hanno fatto dimenticare la buona creanza e, soprattutto, ci hanno indotto a politicizzare continuamente le nostre posizioni religiose. Si tratta di una reazione naturale, dato che Bergoglio è a tutti gli effetti un leader politico de sinistra.

L'ultimo a farne le spese in ordine di tempo è il cardinal Sarah, forse il più grande cardinale vivente, che esprime certamente posizioni che vanno sotto l'etichetta di "conservatrici", essendo in realtà solo cattoliche, ma è persona ritirata e posata che non andrebbe strumentalizzato per fare propaganda di bassa lega.
Lo scriviamo perché è in uscita un libro del cardinale, "Le soir approche et déjà le jour baisse", che in Italia arriverà fra qualche tempo. All'interno ci sono molti insegnamenti che meriterebbero un approfondimento personale che vada al di là della citazione di frasi estrapolate. Certo i lettori troveranno nel testo un sant'uomo che esprime preoccupazione per la crisi della Chiesa, ci sono critiche al modello immigrazionista e concetti cattolici forti, ma trasformare il cardinal Sarah, la perla dell'episcopato africano, in una figurina da estrarre alla bisogna, come stanno facendo quotidiani come Libero e Il Giornale, per cercare di ascriverlo a una parte politica, è una mancanza di rispetto. 
Leggete i suoi libri, soprattutto "La Forza del silenzio" e capirete di cosa stiamo parlando.

 

24 ottobre 2018

Libri. "Dio o niente" del cardinal Sarah

Conversazioni sulla fede con Nicolas Diat

di Samuele Pinna
tratto da «Città di Vita» 72 (2017) 6, pp. 680-681

Dio o niente del cardinale Robert Sarah, vincitore del XXXIII Premio Capri S. Michele (2016), è un libro – già dal titolo – che mostra la via maestra scelta dal Porporato per rispondere alle domande di Nicolas Diat. Si tratta di una conversazione sulla fede in cui il Cardinale, rispetto ai vari temi trattati, argomenta il suo pensiero in modo semplice eppure insieme straordinariamente profondo, di una profondità mistica – si potrebbe dire –. Uno sguardo di vero uomo credente, non disincantato e molto informato su ciò che avviene nel mondo. Il “mondo” è cifra sintetica di quell’“umano” ancora impermeabile alla grazia e Sarah, sapendolo bene, non lo compiange né lo snobba a motivo dei suoi “deragliamenti”, ma in certo modo lo ascolta, aiutando e consigliando tutte le persone di buona volontà a intravedere una via d’uscita rispetto all’assurdità della vita. Una esistenza senza Dio è, appunto, destinata al “niente”, una vita con Dio al “Tutto”. Chi esercita un’intensa comunione col Signore, pertanto, non può scendere a compromessi di sorta, anche se ciò significa abbracciare la Croce della persecuzione e del biasimo. Una storia personale quella del Cardinale che sa anche di “avventuroso”, benché raccontata con garbo e umiltà, anche nei passaggi davvero impressionanti, come quando nel 1978 non ancora trentatreenne è nominato arcivescovo di Conakry da Paolo VI (era allora il vescovo più giovane al mondo) oppure quando scopre che il dittatore della Guinea Sékou Touré non aveva mai cessato di sorvegliarlo e aveva persino pianificato il suo arresto e la sua esecuzione.

Il suo essere chiamato, in un secondo momento, a Roma per prestigiosi incarichi, sempre vissuti in umiltà come servizio alla Chiesa, gli consente di conoscere più da vicino Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e papa Francesco. Egli scrive che «gli onori che la Chiesa può accordare a certuni dei suoi figli sono innanzitutto una grazia di Dio affinché la fede, la speranza e la carità siano più radiose. La tentazione mondana è una peste. Non esiste una promozione umana nella Chiesa, ma semplicemente un’imitazione del Figlio di Dio. Le soddisfazioni ricavate dai negozi ecclesiastici sono piccoli orpelli ingannevoli. Francesco richiama spesso e a ragione la mondanità di Satana» (pp. 97-98). Se è registrata la radicalità evangelica dell’attuale Pontefice, di Giovanni Paolo II dirà che ha rappresentato la gloria della sofferenza e il suo pontificato è stato «prodigioso e crocifisso al tempo stesso» (p. 119). Di Benedetto XVI, poi, afferma essere un uomo di grande sensibilità, molto pudico e riservato, che incarna la dolcezza, la tenerezza, l’umiltà e la bontà rispettosa di Dio. In effetti – precisa –, «la sua visione di Dio e dell’uomo è stata così profonda [nel suo pontificato] che sono certo – e lo spero – che un giorno sarà, con la grazia di Dio, canonizzato, venerato come un grande santo e proclamato Dottore della Chiesa» (p. 127).

Nel libro sono, inoltre, presenti risposte a questioni attuali: dall’eredità del Concilio Vaticano II, alle grandi problematiche a riguardo della famiglia, della Liturgia e del modo di esercitare la carità nella Chiesa. La parola del Cardinale è sempre ferma nella sua semplicità e, nello stesso tempo, radiosa di una luce soprannaturale. Le sue risposte, che sanno affrontare la complessità dei nostri tempi, si alimentano della preghiera che apre alla verità di Dio. Chi si accosta a questo scritto non è mai urtato dalle riflessioni di Sarah che risultano lucide, ricche ed edificanti. Tra le righe è facile scorgere il suo amore incondizionato per Dio e la sua Chiesa, amore non mutevole né ingenuo, ma radicato nella grazia. Un ottima lettura, dunque, da molti punti di vista: umano e storico, spirituale ed ecclesiale, ma anche filosofico e teologico. Come si legge nella quarta di copertina, un libro davvero graffiante, commovente, tonificante.

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13 aprile 2018

Appunti sulla questione liturgica

di Amicizia San Benedetto Brixia
La questione liturgica nei suoi sviluppi recenti pare tutto fuorché semplice, essa si presenta piuttosto come un intreccio di fattori molto complessi, la cui soluzione resta sospesa. Personalmente mi piace evocare lo Scisma d’Occidente o Grande Scisma, che lacerò la Chiesa in tre fazioni a cavallo del quindicesimo secolo; allora si trattava di Roma, Avignone e Pisa, oggi si tratta delle tre forme nel rito latino: ordinaria, extra-ordinaria e neo-catecumenale, una sorta di “Grande Scisma Liturgico”.

Le immagini di alcune celebrazioni, in cui si vedono l’altar maggiore (forma extra-ordinaria), l’altare che guarda il popolo (e dà le spalle a Dio? - forma ordinaria) e l’altare che mette al centro la menorah (e non la croce - forma neo-catecumenale) è eloquente dello strappo liturgico che stiamo vivendo. D’altronde in questi ultimi anni si assiste a una vivacità di piccoli gruppi molto motivati, che va rinnovando dal basso la crisi imperante. Per usare una seconda analogia, potremmo parlare di “Globalizzazione Liturgica”: una rete di costumi che rompe gli argini spazio-temporali (il gusto ispanico di Kiko si affianca alla romanitas; l’antico incalza il nuovo) e debilita qualsiasi gerarchia (al punto che paradossalmente la forma più stanca e abusata è l’ordinaria).

Circa la forma neo-catecumenale oggi non si sente più dire nulla, ma non ne colgo il motivo. L’esistenza di una terza forma, vagamente normata, messa in atto da una comunità poderosa, contro la quale nessuno ha il coraggio di esprimersi, mi spiazza. Parliamo di una realtà ecclesialmente forte, quella del Cammino, di cui però sono note alcune ombre a livello di teologia (liturgica e non solo). Perché se ne tace? Perché questo enorme movimento è silenziato? Perché il problema è il ritorno al gregoriano ma non le melodie spagnoleggianti? Il criterio è forse il successo? Siccome il Cammino riempie le chiese, ecco che i Pastori o temono di frenarlo oppure si compiacciono dei numeri alti? C’è al contempo un monitoraggio appunto pastorale che valuti l’armoniosità di questo fenomeno con il resto della Chiesa? Attenzione, non sto interrogando i neo-catecumenali, sto chiedendo ai debiti inquisitori se van facendo il loro mestiere. E lo chiedo perché , a fronte di tante polemiche anti-tridentine (per così dire) non ne sento alcuna circa il Cammino e, nella fattispecie, circa le sue prassi liturgiche che amo definire una terza forma rituale de facto.

Circa la forma ordinaria, ho l’impressione di un certo provincialismo. Dopo 50 anni siamo sempre attorno alle solite quisquilie: dare più spazio alle donne, imitare la simbologia secolare (o pagana e insomma negare le nostre radici), perdersi in improbabili strategie logocentriche e semantiche. Stiamo sull’ultimo aspetto: non vi pare terribilmente banale la questione del Padre Nostro rinnovato? Tra tanta sciatteria liturgica e teologica, è da una frase del Pater che ci risolleveremo? Che poi, nella fattispecie, il progetto mi pare sintomatico di una crisi irrisolta, elenco i motivi di questo asserto. 1) Antropologicamente, la grande sfida linguistica liturgica è il recupero della lingua sacra e il Pater è una delle poche preghiere con cui potremmo rieducare agilmente il popolo, io parlerei di un ritorno al latino e non di un ennesima correzione all’italiano. 2) Linguisticamente, il problema non si pone: gli originali greci e latini in nostro possesso dicono “non ci indurre in tentazione”, se polemizziamo contro tale fatto rischiamo di creare un senso di sospetto sulle fonti scritturistiche. 3) Tradizionalmente, i gravi problemi sollevati dal Testo Sacro erano risolti – magari con una certa drasticità – o sottraendo il testo ai fedeli, oppure integrando il testo incensurato con debite catechesi; l’opzione che va prevalendo invece sacrifica la verità del testo e al contempo azzera il valore della catechesi che dovrebbe accompagnarlo: sviliamo la Bibbia e il Catechismo in un sol colpo. 4) Filologicamente, il discorso si basa su ipotesi inverificabili circa la lingua semita di Gesù, che noi verremmo a rendere in lingua italiana fornendo neppure una traduzione ragionata, quanto una interpretazione teologica (come dimostra don Morselli). Questo è scorretto. 5) Liturgicamente, e al di là di tutte le ambiguità generate dai punti appena presentati, tale ulteriore modifica sarebbe percepita come l’ennesimo cambiamento, occasione di confusione, messa in forse della tradizione ereditata, origine di perplessità: tutte cose di cui il nostro popolo, già liturgicamente debole, non abbisogna. 6) Culturalmente, la ricezione di tale modifica rischia di sbilanciare ancor più le predicazioni sul versante del misericordismo – gli ultimi anni ce ne hanno dati esempi tristi, e ho in mente il clero e non il Sommo Pontefice – con perpetuato oblio delle verità dure della fede (Timor di Dio, Ira di Dio, Novissimi, etc.). 7) Storicamente, lo ribadisco, ci troviamo di fronte a un rigurgito sessantottino; avessero cambiato nel 69 anche questo testo, ne avremmo patito meno danno che a mutarlo ora. Queste le mie considerazioni. Provincialismo, per l’appunto. Non sarà esso a evangelizzare gli italiani.

Circa la forma extra-ordinaria, si conferma il diffondersi inarrestato, seppur forse meno fervidamente di un lustro addietro, dei gruppi tradizionali a cui si potrebbe rimproverare un eccesso di liturgismo: la vita di tali gruppi infatti si limita ancora troppo spesso alle sole celebrazioni e non contempla la cura di cammini comunitari e di formazione, né tanto meno il coordinamento di un impegno sociale (così io noto in ambito italiano).

D’altro canto – fenomeno inatteso – le prese di posizione del card. Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, stanno muovendo un processo di rinnovamento culturale liturgico vigoroso. La modalità sembra quella auspicata da Benedetto XVI: riscoprire nella ritualità tradizionale le forme che conferiscano nuovamente vigore e identità alla liturgia ordinaria. Gli interventi del porporato non si contano, tra conferenze, articoli e pubblicazioni, andando a riscoprire il senso del silenzio sacro, del canto liturgico, dell’orientamento celebrativo, della comunione in ginocchio: tutti retaggi del tridentino (cosiddetto). Mancano ancora in tal direzione disposizioni normative specifiche. E’ anche vero che, per ora, il guineano rimane al suo posto, nonostante sia nota la libertà con cui il Sommo Pontefice suole ridefinire gli incarichi dei sacri palazzi (e lo dico senza spirito di critica).

La soluzione credo non la possegga nessuno, prendere consapevolezza dello stato delle cose mi risulta il primo e imprescindibile passo per meritarsela.

 

07 giugno 2017

Sarah: "La Chiesa si regge o cade con la liturgia"


Gli amici di Messainlatino.it hanno pubblicato un resoconto del discorso pronunciato dal Card.Sarah al IV convegno sulla liturgia.

Oltre al testo sotto riportato, vogliamo trasmettervi anche l'invito che il cardinale ha rivolto a un nostro collaboratore:

"Spetta sopratutto a voi giovani incoraggiare i sacerdoti a dare dignità alla Liturgia. È vostro dovere esortarli ad ispirare un desiderio di santità".

Resoconto:

Si è aperto ieri a Milano il IV Convegno Sacra Liturgia, che si concluderà il prossimo 9 giugno, e che nei prossimi giorni vedrà la presenza di relatori di primissimo piano, fra cui il Card. Raymond Leo Burke, P. Michael Lang, Dom Alcuin Reid, P. Vincenzo Nuara, Mons. Thomoty Verdon, e molti altri. Messa in Latino sarà presente con alcuni suoi inviati, e cercherà di darvi qualche informazione dal vivo (o quasi...).
La seduta inaugurale è stata dedicata alla prolusione del Card. Robert Sarah, dal titolo “Il nostro incontro con Dio: la Sacra Liturgia. Una prospettiva cristologica ed ecclesiologica”.
In attesa che il testo ufficiale della relazione sia reso disponibile, come hanno preannunciato gli organizzatori del convegno, proviamo a darvene qui qualche anticipazione, scusandoci sin d’ora con tutti – a iniziare da Sua Eminenza – se si tratterà di una sintesi approssimativa: niente più di una breve antologia dei ricordi del cronista, sicuramente molto parziale. Trovandoci nella città del Manzoni, ci permettiamo una citazione: se incorreremo in qualche imprecisione o, addirittura, in qualche errore, “credete che non s’è fatto apposta”.
Il Card. Sarah, che ha citato ripetutamente Sant’Ambrogio (in particolare il De Mysteriis), ha parlato della centralità della liturgia per poter essere cristiani: non può dirsi tale, infatti, chi non partecipa alla vita sacramentale della Chiesa. Quanto alla liturgia, non può dirsi cristiana se non mette Cristo al centro.
La liturgia non può essere ideata o modificata dalla singola comunità o dagli esperti, ma deve essere fedele alle forme dettate dalla Chiesa universale. La Chiesa, poi, come ha insegnato Benedetto XVI (anch’egli ripetutamente citato dal Cardinale), si regge o cade con la liturgia.
Il Card. Sarah ha anche richiamato e ribadito quanto disse in occasione del convegno dell’anno scorso a Londra, quando formulò la proposta, che suscitò tanto scalpore, di celebrare ad orientem; alla quale, quest’anno, ha voluto aggiungerne altre tre.

La prima: visto il continuo e grave scandalo presente nella chiesa di oggi, in cui i fratelli battezzati “disertano” la Liturgia, trascurando il precetto domenicale, e mettendo così a rischio la loro salvezza eterna, abbiamo il dovere di esercitare nei loro confronti la correzione fraterna. Approfondendo ed ampliando il discorso, il cardinale ha ripreso il tema – anch’esso molto discusso dopo la sua prolusione londinese dello scorso anno - della “riforma della riforma”, che il Cardinale ritiene una questione urgente. Poichè la chiesa preconcilare e la chiesa postconciliare non sono due entità separate, va escluso che il concilio abbia sollecitato tale frattura. Se fratture si sono create, dunque, bisogna curarle, per il bene delle nostre anime.

Seconda proposta: riflettere sul fatto che è il Cristo concreto ad agire nella Sacra Liturgia. Occorre un atteggiamento di riverenza agevolato dai riti della liturgia stessa. Nella liturgia non possiamo separare Gesù, inteso come nostro fratello in umanità, da Gesù nostro Signore e nostro Dio. Davanti alla Presenza Eucaristica del Signore dobbiamo inginocchiarci.

Infine, dobbiamo fare dell'incontro liturgico un incontro simile a quello di S. Tommaso, che dinanzi a Gesù risorto esclamò “mio Signore e mio Dio”. Dobbiamo dunque ricevere la Santa Comunione in ginocchio e sulla lingua. Se, come insegna S. Paolo “nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra”, ciò tanto più deve esser fatto quando siamo realmente alla presenza del Signore. Anche Gesù ha pregato in ginocchio nel Getsemani. Dobbiamo prostrarci di fronte all'Agnello condotto al macello. Il Cardinale ha citato due esempi di Santi contemporanei: Giovanni Paolo II, che, nei suoi ultimi anni, quando era devastato dalla malattia, comunque si inginocchiava, nonostante il dolore che ciò gli procurava; e Madre Teresa di Calcutta, la quale, pur toccando il corpo di Cristo nei poveri, come dice Papa Francesco, non osava toccare la S. Eucarestia. Vedere la comunione ricevuta in mano era la cosa che la rattristava di più; diceva, anzi, che quello era il peggior problema del mondo di oggi.

Questa è, come si ripete, solo una sintesi incompleta e imperfetta della prolusione del Card. Sarah; sintesi che - ce ne rendiamo ben conto - non dà minimamente il senso della profondità e della densità teologica delle sue parole. Alle quali, prima che il Cardinale impartisse la sua benedizione, ha fatto seguito un applauso calorosissimo e lunghissimo – anzi, una vera e propria standing ovation. Il convegno di Milano, dunque, non poteva iniziare in modo migliore e sotto auspici più fausti.

Approfondimento ulteriore: Nuova Bussola Quotidiana.


 

09 novembre 2015

Dio o niente di Robert Sarah. Quando un sacerdote parla chiaro


di Riccardo Zenobi
Questo libro-intervista di Robert Sarah ha il pregio (raro, di questi tempi) di parlare chiaro. Nei suoi dieci capitoli vengono toccati moltissimi temi, da quelli più personali, riguardanti la vita del cardinale, ad altri di attualità. Ma procediamo con ordine.

Il libro inizia con dei ricordi dell’infanzia e gioventù di Robert Sarah, del suo villaggio di Ourous, in Guinea (paese a maggioranza islamica), dove poco più di cento anni fa giunsero dei missionari francesi, della congregazione degli spiritani, i quali iniziarono l’opera di evangelizzazione del villaggio che all’epoca era del tutto animista. I ricordi del cardinale toccano anche la religione tradizionale africana, la quale viene esposta nei suoi contenuti più intimi, come sia nata da una ricerca del divino per poi mostrare l’incapacità di maturare oltre la paura e il rapporto do ut des con gli spiriti. Ma nonostante l’animismo tradizionale sia incapace di dare risposte al senso religioso, quest’ultimo è molto forte negli africani; in vari capitoli si parla infatti di come questa religiosità sia tipicamente africana e permetta la civile convivenza di islam e cristianesimo, poiché c’è una stima reciproca per lo spirito religioso che unisce. Più avanti si fa notare come ciò sia tipico dell’africa nera, mentre in altre zone, come nel Sudan, i rapporti siano estremamente problematici.

Successivamente viene esposta la vita che condusse il giovane Sarah dal suo villaggio al seminario, per poi passare in Francia (oltre ad un soggiorno di studio a Gerusalemme) e, quindi, ritornare in Guinea prima come sacerdote, poi come vescovo, il più giovane dell’epoca, successore di Mons. Tchidimbo, il quale languiva in un campo di prigionia dell’allora dittatore marxista Sékou Touré. Le enormi difficoltà affrontate, sia per i viaggi in barcone per giungere al seminario, sia durante il ministero episcopale, sono raccontati con dovizia di particolari, e mettono molto bene in luce il carattere di Robert Sarah: una persona che è pronta a qualsiasi sacrificio per Gesù Cristo, e per essere associato alla Sua Croce. Dio è tutto per l’autore, che si affida alla Provvidenza in tutta la sua vita, e dichiara di fare dei digiuni per poter stare da solo a solo con Colui che ha offerto la Sua vita per il mondo e per tutti gli uomini. Un uomo che fa penitenza per intercedere per il mondo e i suoi abitanti, cristiani e non; un comportamento ascetico che andrebbe imitato, senza se e senza ma, da molti che hanno responsabilità spirituali verso altri.

Ma oltre ai ricordi, nel libro si tratta diffusamente sia delle sfide attuali della Chiesa sia della dottrina cristiana, sine glossa. L’autore, il quale è stato per anni responsabile dell’agenzia Cor unum (che distribuisce aiuti materiali), racconta come l’essenziale per la Chiesa non sia la lotta alla povertà materiale, ma alla miseria spirituale. Infatti nel Vangelo i poveri sono evangelizzati, non arricchiti (cfr. Matteo 11, 5), e sono i poveri in spirito i veri beati del regno dei Cieli. La differenza sostanziale tra carità cristiana e mera filantropia umanitaria è messa bene in luce più volte durante tutto il libro: l’autore è ben conscio di quanta confusione ci sia oggi a questo riguardo, e non solo.

Tra le sfide poste dall’attualità, il cardinale non si sottrae nemmeno alle domande sugli scandali che sono avvenuti all’interno della Chiesa, in particolare i problemi posti da pedofili che sono entrati in seminario e poi sono stati ordinati sacerdoti. L’autore è chiarissimo: una persona del genere è un traditore di Cristo, e con le sue azioni su dei bambini innocenti compie un male enorme, che non sarà facilmente lavato, e del quale dovrà rendere conto alla giustizia umana e divina. Chi infanga il sacerdozio rompe ogni legame con Cristo, e tradisce il carattere che viene impresso nell’anima con l’ordinazione sacerdotale. Da questo argomento si passa poi al problema dei problemi, la presenza del male nel mondo. La risposta di Sarah consiste nel dire che, semplicemente, eliminare Dio e dichiarare assurdo il mondo (come fa Camus, citato nel libro) non elimina il problema del male, anzi lo rende solo più insopportabile. E qui affiorano alla mente dell’autore i ricordi dovuti ai suoi viaggi in zone disastrate del mondo: Fukushima, le Filippine, Haiti,… In ognuno di questi luoghi viene esposta la meraviglia di trovarsi di fronte a persone che vanno avanti e che non si fanno scoraggiare dalle avversità enormi che hanno dovuto affrontare. Uno dei ricordi più belli riguarda il ringraziamento di una donna giapponese, buddista, la quale ha scritto una lettera al cardinale nella quale lo ringrazia di averle portato la speranza.

Oltre a ciò, si tratta anche di quello che è il sinodo di poche settimane fa, che però all’epoca dell’intervista non era ancora avvenuto. E qui il presule si scaglia - letteralmente – contro l’eurocentrismo di certi novatori, i quali vogliono accomodare la dottrina per problemi che sono del tutto occidentali (il divorzio, il gender) e che non interessano se non marginalmente l’Africa e l’Asia, profondamente conosciute dall’autore nei suoi viaggi. Il colonialismo ideologico viene condannato senza mezzi termini: un bambino di un villaggio africano non può difendersi contro l’ideologia gender, e spesso i paesi occidentali usano ricattatoriamente l’arma degli aiuti finanziari per imporre il loro diktat ideologico a paesi che hanno molti altri problemi.

Tutto questo, e molto di più, si trova in Dio o niente: finalmente un libro dove un sacerdote parla chiaro, senza doppi sensi e mezze parole. Un toccasana per il giorno d’oggi: ad un mondo che soffre una fame spirituale enorme non viene servita una minestra allungata di politicamente corretto in salsa cristianeggiante, ma il pane spirituale di Cristo. Solo quest’ultimo sfama realmente.
 

02 novembre 2014

Il gender tra Africa e ONU


di  don Mauro

Sabato 4 ottobre, vigilia della concertata ed osteggiata veglia nazionale delle Sentinelle in Piedi, a Brescia si è tenuta una giornata di studio e formazione sul tema della famiglia, promossa e ospitata dalla curia diocesana, molto attiva e coraggiosa su simili tematiche. Nell'intensa giornata si sono succeduti una decina di interventi dei quali mi propongo dare una breve sintesi in questo e in successivi articoli. Partiamo con un po' di sommario. Argomenti affrontati: l'evoluzione storico-culturale-politica dell'ideologia del gender; la dittatura del gender in un contesto di scontro di civiltà, particolarmente nel contrasto tra esportazione culturale europea e resistenza tradizionale africana; aggiornamento della situazione giuridica quale luogo e mezzo di ulteriore diffusione e imposizione dell'ideologia; ultimi studi neuroscientifici sull'importanza del rapporto madre-figlio fin dal periodo della gestazione; recensione critica circa lo status questionis delle ricerche sul benessere o malessere dei bambini adottati da coppie omosessuali. Relatori, nell'ordine: Marguerite Peeters, card. Robert Sarah, Giancarlo Cerrelli, Massimo Gandolfini, Roberto Marchesini. Tralascio di dire dei video relativi ad altre micro-questioni, contributi complementari e via dicendo (su tutti la promozione del caso Bruce Brenda David, già recensito su Campari).

Non dirò pressoché nulla sul l'intervento di Cerrelli, perché non abbisogna di particolari commenti, trattandosi di un elenco eloquente dell'incalzante moltiplicarsi di leggi a favore delle cause omosessualiste (non le definisco "cause omosessuali" in quanto molti omosessuali non vi si riconoscono), spesso connotato da forzature procedurali puntualmente pubblicizzate da agenzie di comunicazione tendenziose. Rimando poi ad altra sede la recensione degli interventi di Gandolfini e Marchesini, in quanto il contenuto degli interventi è confluito in un bel testo della "biblioteca della Manif" che converrà riprendere per intero altrove.

Parliamo qui delle lezioni offerte da Peeters e Sarah.

L'intervento del card. Robert Sarah, fisicamente assente per impegni dell'ultima ora in Vaticano, è stato relazionato dal suo segretario, mons Tejado. A fronte delle recenti polemiche sul cosiddetto razzismo kasperiano, torna utile uno sguardo sul discorso di Sarah, che verte attorno a due questioni fondamentali. La prima riguarda il bagaglio culturale africano e il portato valoriale di quel continente, spesso filtrato dagli europei attraverso pregiudizi che ne snaturano il senso profondo. Attraverso una serie di esempi relativi alle molte e diversificate tribù africane, il relatore ha mostrato come si conservi nella coscienza nera il senso dell'unicità e dell'indissolubilità matrimoniale. Cominciando dal primo carattere, a dispetto di pratiche poligame sovente diffuse e ovviamente discutibili, va notato come il privilegio della prima moglie non è misconosciuto, a lei si devono infatti onori unici, particolarmente nell'ambito paradigmatico della dote matrimoniale o delle onoranze funebri, con cui si afferma lo status giuridico-culturale di amanti per tutte le successive compagne dell'uomo di casa. D'altra parte si danno riti sponsali altamente simbolici in cui si dichiara plasticamente l'indissolubilità, ad esempio tramite riti natural-religiosi imperniati sull'uso della noce di cola, frutto tipico dell'Africa occidentale il cui guscio, un tutt'uno dato da due parti 'cementate' tra loro, illustra il valore del coniugio. La seconda questione sollevata è più incisiva, perché consiste in un j'accuse lanciato a noi europei, esportatori della teoria del gender, descritta dal prelato come una lotta contro le determinazioni antropologiche e teologiche scritte nella nostra natura, processo con cui si istituzionalizzano convincimenti psicologici e orientamenti antinomici alla concezione sessuale tradizionale. Il che si configura come una imposizione dell'ONU a danni della cultura africana, che sente l'omosessualità come un non-sense rispetto alla matrimonialità, e ritiene dunque oltraggioso il volerla imporre. La problematica si riassume dunque in un quesito: l'omosessualità porterà qualcosa di buono al matrimonio? Evidentemente no. Inoltre l'Africa deve difendersi dall'influsso di simili gruppi anche perché essi autorizzano la morte di bambini, anziani e handicappati. Per concludere il card. Sarah ha illustrato la differenza tra le agenzie ideologiche che portano oggi la decadenza europea in Africa, e invece i missionari che hanno portato il Vangelo!

Limite dell'intervento di Sarah è stata l'assenza del conferenziere, sì da rendere impossibile approfondire temi di peso, per lo più solo accennati nella relazione, e peraltro calibrati su un registro testimoniale più che documentale. Testimonianza personale e incisività argomentativa sono state fuor di dubbio le note dell'intervento di Marguerite Peeters, esperta e critica internazionale delle problematiche della gender theory, cui è approdata ormai vent'anni fa, quando, ancora giovane giornalista, si è trovata coinvolta un po' casualmente tra le reporter al Congresso ONU di Il Cairo e di Pechino, e da allora si è specializzata quale studiosa delle politiche familiari globali, evidentemente volte a modificare lo stato reale della realtà al fine di imporre modelli che strumentalizzano e snaturano donna, bambino, famiglia e vita. Veniamo ai contenuti della conferenza.

Si parte da un appello, appello a reagire alla pressione culturale e politica che sta investendo tutto l'occidente, ma anche gli altri continenti affatto digiuni della nostra storia e dei nostri problemi. Per reagire serve però anzitutto conoscenza, conoscere la storia che sta dietro all'attuale moda omosessualista e antifamilista. Anzitutto bisogna riconoscere che il gender non è un progetto esclusivamente omosessuale, ha invece due interpretazioni: quella femminista radicale e quella omosessuale. Le donne per prime hanno negato l'identità filiale, materna e coniugale loro propria, di conseguenza si è venuti a dire che l'identità maschile e femminile nella loro complementarietà allo stesso modo sarebbero costruzioni sociali che si opporrebbero all'uguaglianza dei cittadini, da qui l'imperativo: le concezioni tradizionali vanno smontate con ogni mezzo, sia esso educativo, giuridico, culturale. Su questa duplice radice, femminista ed omosessualista, si snoda la seconda considerazione: riconoscere che la medesima governance familiare presiede alle iniziative di tutela del gender e pure a quelle che aboliscono la donna come persona e la sostituiscono con un essere individualista, nella promozione spinta di politiche anticoncezionali e abortiste. Proprio per il fatto che la donna ha perso il suo ruolo, per questo suo non essere più femminile né accogliente, ma volta alla ricerca di potere e conflitto con l'altro sesso, si assiste oggi a un aumento del numero di omosessuali nella società contemporanea. Un terzo punto si è soffermato sullo sviluppo storico-culturale dell'ideologia imperante: dal deismo alla Butler, da Rousseau che riteneva l'istituzione paterna nociva all'egualitarismo sociale alla tecnocrazia di ispirazione nicciana. In quarto ed ultimo luogo la Peeters ha portato l'attenzione su quelle che sono le odierne linee politiche e culturali della governance mondiale, evidentemente ritagliate sulle classiche strategie massoniche della ambiguità terminologica e delle dietrologie dell'ombra. Si vede nella nascita e diffusione del termine 'gender', che inizialmente poteva essere interpretato variamente: si trattava solo di una nuova promozione delle quote rosa? In realtà no, bensì l'ONU voleva fornire una nuova etica al mondo globale; e donde si sarebbe attinta tale etica? Dal contesto culturale del post-guerra fredda, nel contesto della caduta del muro e dello sdoganamento di aborto e divorzio già avviato. E più in generale si vede nella sistematica diffusione di un nuovo linguaggio che veicoli questa stessa etica, un linguaggio diffusivo che viene importato ormai in ogni continente: governance, consensus, partnership, democrazia partecipativa. E ancora, si assumono come campi di cooperazione internazionale i problemi di fame, ecologia e sessualità, pretendendo si siano superati i vecchi problemi relativi all'opposizione degli schieramenti politici, per tuffarsi nella nuova proposta dei temi etici, da trattare - si promette - in modo neutro, e in realtà pilotati attraverso neo-lingue ambigue, opache e insidiose. Infine si riconosce esserci una governance che guida tale procedere, dove per governance si intende un sistema in equilibrio tra società civile e settore privato, tra governo e altre istituzioni mediane, in un meticciamento che sposta l'asse dalla verticalità gerarchica all'influenza orizzontale delle ONG, per un gioco fittizio nel quale di fatto le ONG finiscono col dettare l'agenda politica degli Stati (praticamente come sta avvenendo con Re.a.d.y. in Italia). Fin qui la Peeters, che però non ci ha dato soluzioni, se non quella preliminare, urgente e per nulla scontata di formarsi una coscienza critica e un sapere adeguato alla materia e ai tempi. Prossimamente Marchesini e Gandolfini.