Questo libro-intervista di Robert Sarah ha il pregio (raro,
di questi tempi) di parlare chiaro. Nei suoi dieci capitoli vengono toccati
moltissimi temi, da quelli più personali, riguardanti la vita del cardinale, ad
altri di attualità. Ma procediamo con ordine.
Il libro inizia con dei ricordi dell’infanzia e gioventù di
Robert Sarah, del suo villaggio di Ourous, in Guinea (paese a maggioranza
islamica), dove poco più di cento anni fa giunsero dei missionari francesi,
della congregazione degli spiritani, i quali iniziarono l’opera di
evangelizzazione del villaggio che all’epoca era del tutto animista. I ricordi
del cardinale toccano anche la religione tradizionale africana, la quale viene esposta
nei suoi contenuti più intimi, come sia nata da una ricerca del divino per poi
mostrare l’incapacità di maturare oltre la paura e il rapporto do ut des con
gli spiriti. Ma nonostante l’animismo tradizionale sia incapace di dare
risposte al senso religioso, quest’ultimo è molto forte negli africani; in vari
capitoli si parla infatti di come questa religiosità sia tipicamente africana e
permetta la civile convivenza di islam e cristianesimo, poiché c’è una stima
reciproca per lo spirito religioso che unisce. Più avanti si fa notare come ciò
sia tipico dell’africa nera, mentre in altre zone, come nel Sudan, i rapporti
siano estremamente problematici.
Successivamente viene esposta la vita che condusse il
giovane Sarah dal suo villaggio al seminario, per poi passare in Francia (oltre
ad un soggiorno di studio a Gerusalemme) e, quindi, ritornare in Guinea prima
come sacerdote, poi come vescovo, il più giovane dell’epoca, successore di
Mons. Tchidimbo, il quale languiva in un campo di prigionia dell’allora
dittatore marxista Sékou Touré. Le enormi difficoltà affrontate, sia per i
viaggi in barcone per giungere al seminario, sia durante il ministero
episcopale, sono raccontati con dovizia di particolari, e mettono molto bene in
luce il carattere di Robert Sarah: una persona che è pronta a qualsiasi sacrificio
per Gesù Cristo, e per essere associato alla Sua Croce. Dio è tutto per
l’autore, che si affida alla Provvidenza in tutta la sua vita, e dichiara di
fare dei digiuni per poter stare da solo a solo con Colui che ha offerto la Sua
vita per il mondo e per tutti gli uomini. Un uomo che fa penitenza per
intercedere per il mondo e i suoi abitanti, cristiani e non; un comportamento
ascetico che andrebbe imitato, senza se e senza ma, da molti che hanno
responsabilità spirituali verso altri.
Ma oltre ai ricordi, nel libro si tratta diffusamente sia
delle sfide attuali della Chiesa sia della dottrina cristiana, sine glossa.
L’autore, il quale è stato per anni responsabile dell’agenzia Cor unum (che
distribuisce aiuti materiali), racconta come l’essenziale per la Chiesa non sia
la lotta alla povertà materiale, ma alla miseria spirituale. Infatti nel
Vangelo i poveri sono evangelizzati, non arricchiti (cfr. Matteo 11, 5), e sono
i poveri in spirito i veri beati del regno dei Cieli. La differenza sostanziale
tra carità cristiana e mera filantropia umanitaria è messa bene in luce più
volte durante tutto il libro: l’autore è ben conscio di quanta confusione ci
sia oggi a questo riguardo, e non solo.
Tra le sfide poste dall’attualità, il cardinale non si
sottrae nemmeno alle domande sugli scandali che sono avvenuti all’interno della
Chiesa, in particolare i problemi posti da pedofili che sono entrati in
seminario e poi sono stati ordinati sacerdoti. L’autore è chiarissimo: una
persona del genere è un traditore di Cristo, e con le sue azioni su dei bambini
innocenti compie un male enorme, che non sarà facilmente lavato, e del quale
dovrà rendere conto alla giustizia umana e divina. Chi infanga il sacerdozio
rompe ogni legame con Cristo, e tradisce il carattere che viene impresso
nell’anima con l’ordinazione sacerdotale. Da questo argomento si passa poi al
problema dei problemi, la presenza del male nel mondo. La risposta di Sarah
consiste nel dire che, semplicemente, eliminare Dio e dichiarare assurdo il
mondo (come fa Camus, citato nel libro) non elimina il problema del male, anzi
lo rende solo più insopportabile. E qui affiorano alla mente dell’autore i
ricordi dovuti ai suoi viaggi in zone disastrate del mondo: Fukushima, le
Filippine, Haiti,… In ognuno di questi luoghi viene esposta la meraviglia di
trovarsi di fronte a persone che vanno avanti e che non si fanno scoraggiare
dalle avversità enormi che hanno dovuto affrontare. Uno dei ricordi più belli
riguarda il ringraziamento di una donna giapponese, buddista, la quale ha
scritto una lettera al cardinale nella quale lo ringrazia di averle portato la
speranza.
Oltre a ciò, si tratta anche di quello che è il sinodo di
poche settimane fa, che però all’epoca dell’intervista non era ancora avvenuto.
E qui il presule si scaglia - letteralmente – contro l’eurocentrismo di certi
novatori, i quali vogliono accomodare la dottrina per problemi che sono del
tutto occidentali (il divorzio, il gender) e che non interessano se non
marginalmente l’Africa e l’Asia, profondamente conosciute dall’autore nei suoi
viaggi. Il colonialismo ideologico viene condannato senza mezzi termini: un
bambino di un villaggio africano non può difendersi contro l’ideologia gender,
e spesso i paesi occidentali usano ricattatoriamente l’arma degli aiuti finanziari
per imporre il loro diktat ideologico a paesi che hanno molti altri problemi.
Tutto questo, e molto di più, si trova in Dio o niente:
finalmente un libro dove un sacerdote parla chiaro, senza doppi sensi e mezze
parole. Un toccasana per il giorno d’oggi: ad un mondo che soffre una fame
spirituale enorme non viene servita una minestra allungata di politicamente
corretto in salsa cristianeggiante, ma il pane spirituale di Cristo. Solo
quest’ultimo sfama realmente.
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