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10 ottobre 2014

Il (vero) rispetto per prevenire il bullismo


di Giuliano Guzzo

L’episodio avvenuto a Napoli, dove un quattordicenne è stato ricoverato in gravissime condizioni dopo essere rimasto vittima di orrendi atti di bullismo – lo hanno aggredito in tre ed uno di questi, bloccatolo, gli ha abbassato i pantaloni e, soffiando con una pistola ad aria compressa, gli ha provocato lacerazioni nell’intestino – è troppo serio per essere liquidato come una tragedia. Oltre che sui tre aggressori, per i quali c’è da sperare la giustizia faccia il suo corso, la responsabilità di quanto accaduto e di quanto quotidianamente accade nelle nostre scuole, strade e città grava anche su di noi, per tutte le volte che abbiamo ritenuto – e continuiamo a ritenere – quella del bullismo una questione irrisolvibile e perciò secondaria. Non è così. Che il fenomeno possa essere contrastato in modo efficace lo mostra l’esperienza – nelle scuole del Portogallo, per dire, sono passati da oltre 3500 casi di aggressioni nell’anno 2008/2009 a meno di 1500 nell’anno 2012/2013 –, mentre che lo si debba combattere lo mostrano le conseguenze sulle vittime – conseguenze mentali e fisiche, che possono trascinarsi anche 40 anni dopo l’infanzia (American Journal of Psychiatry, 2014; Vol.171(7):777-84) -, le quali divengono più propense di altri soggetti a sviluppare una preoccupante attitudine a condotte devianti (Presentation to the American Psychological Association, 2013). Non vanno neppure dimenticati i costi sulla collettività che la violenza giovanile produce.

In Inghilterra, dove la violenza delle gang è un problema purtroppo diffuso, ne hanno avuto un riscontro lo scorso anno con un rapporto contenente un’analisi degli effetti delle bande di violenti sui bilanci della salute pubblica: al Servizio Sanitario Nazionale di Sua Maestà il bullismo costa 2,9 miliardi di sterline, pari a circa 3,5 miliardi di euro, e vi sono ospedali dove quasi il 10% di tutti i ricoveri al pronto soccorso è riconducibile a ferite da coltello provocate durante aggressioni (MHP Health, 2013). In Italia il fenomeno è meno allarmante, ma questo non ci autorizza a sottovalutarlo, tanto più alla luce di quanto accaduto a Napoli, dove si è verificato – lo abbiamo detto – un episodio gravissimo, ma sorprendente fino ad un certo punto. La letteratura, infatti, da tempo evidenzia per i soggetti sovrappeso il pericolo di violenza e di discriminazione (Obesity, 2009; Vol.17(5): 941–964). Sarebbe tuttavia un errore concentrarsi solo su questa categoria di persone, esattamente come sarebbe incauto restringere l’attenzione alle sole ragazze o ai giovani con tendenze omosessuali o immigrati. Per una ragione semplice ma fondamentale: la famiglia, la scuola e le Istituzioni non devono insegnare ai ragazzi a rispettare i ragazzi di colore, le ragazze, i ragazzi obesi o i ragazzi gay; la famiglia, la scuola e le Istituzioni devono educare i ragazzi al rispetto dei ragazzi. Punto. Frazionare l’urgenza di questo impegno addossandone la responsabilità ora all’ambiente familiare ora al quartiere o alla classe scolastica sarebbe un grave errore.

Ciò non toglie che larga parte dell’impegno pesi sulle spalle dei genitori, la cui latitanza educativa è assai difficilmente compensabile da altri soggetti privi della loro autorevolezza e sgravati dai loro doveri. Poi pure scuola ed Istituzioni, naturalmente, debbono fare il loro non solo ampliando e diversificando i meccanismi di sorveglianza, ma anche promuovendo un rispetto autentico, in grado di proiettarsi ben oltre la mera tolleranza. Non possiamo cioè limitarci a chiedere ai ragazzi di sopportarsi per la stessa ragione per cui non è la tregua bensì la pace il contrario della guerra. La tolleranza dunque non basta, ma non possiamo neppure “costringere all’amore”, soluzione paradossale che finirebbe per contraddire i propositi di sana educazione che dovrebbe realizzare. L’unica via d’uscita è dunque un’educazione appassionata ed equilibrata, che spieghi ai più giovani che nel momento in cui non solo non offendono ma rispettano ed aiutano chi di loro versa in una condizione di debolezza non stanno sacrificando il loro tempo né offrendo una concessione di cortesia ma solo – anche se non possono capirlo – aiutando loro stessi. Viene infatti purtroppo per tutti, prima o poi, una stagione o un momento di vulnerabilità. E non c’è modo migliore per assicurarsi accoglienza in vista di quella eventualità che iniziare ad accogliere. Non c’è modo migliore per sperare, un domani, in uno sguardo d’amore che iniziare, oggi, donando il proprio.

http://giulianoguzzo.com/2014/10/10/il-vero-rispetto-per-prevenire-il-bullismo/
 

10 settembre 2013

Se Vendola vuole un figlio

di Giuliano Guzzo

Nichi Vendola ed Eddy Testa vogliono un figlio. Anzi, anche più d’uno, come ha dichiarato il compagno del Governatore della Puglia nel corso di un’intervista aVanity Fair. Ora, pur senza voler emettere il benché minimo giudizio su situazioni o persone, è doveroso porsi un interrogativo di fondo, che prescinde dalla singola situazione affettiva comprendendole tutte: ma un figlio è qualcosa o è qualcuno? Perché se è qualcosa è (al pari di ogni altra cosa) lecito volerla, mentre se è qualcuno è solo lecito aspettarlo, secondo tempi e modi che non sono programmabili, ma sono dati.
 

07 gennaio 2013

Se nell'Italia del 2013 il padre diventa "(lesbo-)partner"

 di Marco Gabrielli


C'è una notizia che ha bisogno di qualche commento. Tratta della dicitura “padre” applicata sui braccialetti identificativi distribuiti, per motivi di sicurezza, nella clinica ostetrica dell'ospedale di Padova.
 

27 settembre 2012

Gioventù liquida(ta)

Con questo articolo inizia a collaborare con noi Valentina Ragaglia, 21 anni, seconda di cinque sorelle. Studia presso l’università degli studi di Catania e frequenta la Facoltà di Lettere moderne. Ha scoperto la sua vocazione per la scrittura all’età di 14 anni, mentre si dibatteva tra le declinazioni latine e greche, che tuttora la perseguitano. Fedele alla Chiesa Cattolica ed al Papa, non teme di doversi confrontare con il mondo di oggi. Ama la musica e conduce una rubrica in una web radio.
 

13 agosto 2012

Emergenza educativa: da dove cominciare?

di Isacco Tacconi
Mi dà lo spunto per questa riflessione un fatto accaduto qualche mese fa in una scuola superiore di Spoleto, in cui un ragazzo e una ragazza di 15 anni si sono lasciati tranquillamente andare ad atti sessuali in classe sotto gli occhi dei compagni e della stessa professoressa durante un lavoro di gruppo.
 

12 giugno 2012

"Mio figlio bocciato? Colpa dello Stato". La civiltà dei bambinoni viziati


di Marco Mancini
Cinque bambini (tra i quali tre stranieri e un disabile) bocciati in prima elementare. Succede a Pontremoli, nella civile Toscana. In un mondo normale, nessuno se ne stupirebbe più di tanto. Nel mondo alla rovescia in cui viviamo da qualche decennio, è subito scandalo. I genitori dei bambini, riuniti nel solito Comitato, e l’inutile Codacons preannunciano una class action, il ricorso al Tar per ottenere la riammissione a tavolino dei cinque pargoli (manco fossero interisti…) e chi più ne ha più ne metta.