di Giuliano Guzzo
L’episodio avvenuto a Napoli, dove un quattordicenne è stato
ricoverato in gravissime condizioni dopo essere rimasto vittima di
orrendi atti di bullismo – lo hanno aggredito in tre ed uno di questi,
bloccatolo, gli ha abbassato i pantaloni e,
soffiando con una pistola ad aria compressa, gli ha provocato
lacerazioni nell’intestino – è troppo serio per essere liquidato come
una tragedia. Oltre che sui tre aggressori, per i quali c’è da sperare
la giustizia faccia il suo corso, la responsabilità di quanto accaduto e
di quanto quotidianamente accade nelle nostre scuole, strade e città
grava anche su di noi, per tutte le volte che abbiamo ritenuto – e
continuiamo a ritenere – quella del bullismo una questione irrisolvibile
e perciò secondaria. Non è così. Che il fenomeno possa essere
contrastato in modo efficace lo mostra l’esperienza – nelle scuole del
Portogallo, per dire, sono passati da oltre 3500 casi di aggressioni
nell’anno 2008/2009 a meno di 1500 nell’anno 2012/2013 –, mentre che lo
si debba combattere lo mostrano le conseguenze sulle vittime –
conseguenze mentali e fisiche, che possono trascinarsi anche 40 anni
dopo l’infanzia (American Journal of Psychiatry, 2014; Vol.171(7):777-84) -, le quali divengono più propense di altri soggetti a sviluppare una preoccupante attitudine a condotte devianti (Presentation to the American Psychological Association, 2013). Non vanno neppure dimenticati i costi sulla collettività che la violenza giovanile produce.
In Inghilterra, dove la violenza delle gang è un problema purtroppo
diffuso, ne hanno avuto un riscontro lo scorso anno con un rapporto
contenente un’analisi degli effetti delle bande di violenti sui bilanci
della salute pubblica: al Servizio Sanitario Nazionale di Sua Maestà il
bullismo costa 2,9 miliardi di sterline, pari a circa 3,5 miliardi di
euro, e vi sono ospedali dove quasi il 10% di tutti i ricoveri al pronto
soccorso è riconducibile a ferite da coltello provocate durante
aggressioni (MHP Health, 2013). In Italia il fenomeno è meno
allarmante, ma questo non ci autorizza a sottovalutarlo, tanto più alla
luce di quanto accaduto a Napoli, dove si è verificato – lo abbiamo
detto – un episodio gravissimo, ma sorprendente fino ad un certo punto.
La letteratura, infatti, da tempo evidenzia per i soggetti sovrappeso il
pericolo di violenza e di discriminazione (Obesity, 2009; Vol.17(5):
941–964). Sarebbe tuttavia un errore concentrarsi solo su questa
categoria di persone, esattamente come sarebbe incauto restringere
l’attenzione alle sole ragazze o ai giovani con tendenze omosessuali o
immigrati. Per una ragione semplice ma fondamentale: la famiglia, la
scuola e le Istituzioni non devono insegnare ai ragazzi a rispettare i
ragazzi di colore, le ragazze, i ragazzi obesi o i ragazzi gay; la
famiglia, la scuola e le Istituzioni devono educare i ragazzi al
rispetto dei ragazzi. Punto. Frazionare l’urgenza di questo impegno
addossandone la responsabilità ora all’ambiente familiare ora al
quartiere o alla classe scolastica sarebbe un grave errore.
Ciò non toglie che larga parte dell’impegno pesi sulle spalle dei
genitori, la cui latitanza educativa è assai difficilmente compensabile
da altri soggetti privi della loro autorevolezza e sgravati dai loro
doveri. Poi pure scuola ed Istituzioni, naturalmente, debbono fare il
loro non solo ampliando e diversificando i meccanismi di sorveglianza,
ma anche promuovendo un rispetto autentico, in grado di proiettarsi ben
oltre la mera tolleranza. Non possiamo cioè limitarci a chiedere ai
ragazzi di sopportarsi per la stessa ragione per cui non è la tregua
bensì la pace il contrario della guerra. La tolleranza dunque
non basta, ma non possiamo neppure “costringere all’amore”, soluzione
paradossale che finirebbe per contraddire i propositi di sana educazione
che dovrebbe realizzare. L’unica via d’uscita è dunque un’educazione
appassionata ed equilibrata, che spieghi ai più giovani che nel momento
in cui non solo non offendono ma rispettano ed aiutano chi di loro versa
in una condizione di debolezza non stanno sacrificando il loro tempo né
offrendo una concessione di cortesia ma solo – anche se non possono
capirlo – aiutando loro stessi. Viene infatti purtroppo per tutti, prima o
poi, una stagione o un momento di vulnerabilità. E non c’è modo
migliore per assicurarsi accoglienza in vista di quella eventualità che
iniziare ad accogliere. Non c’è modo migliore per sperare, un domani, in
uno sguardo d’amore che iniziare, oggi, donando il proprio.
http://giulianoguzzo.com/2014/10/10/il-vero-rispetto-per-prevenire-il-bullismo/ Pubblicato il 10 ottobre 2014
Mi sembra che Giuliano Guzzo abbia ridimensionato troppo il ruolo genitoriale in questo specifico caso, perché le scuole non potranno mai fare niente su questi ragazzi quando i genitori ti rispondono con un :"Però c'erano anche gli altri due...non c'era solo mio figlio!!!!" e lo zio Troppi sono i genitori che difendono i figli così! mio figlio lo preferisco morto che assassino e violentatore!!
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