Visualizzazione post con etichetta demografia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta demografia. Mostra tutti i post

18 dicembre 2017

Contenimento delle nascite: rinuncia consapevole o suicidio indotto?


di Massimo Contini

Confucio (come mia zia), diceva che “i bambini significano felicità” e infatti fino agli anni ’50 in Cina l’aborto e la contraccezione erano vietati. A un certo punto, però, la natalità era talmente alta che nel 1953 è stata permessa la contraccezione e poi nel 1957 anche l’interruzione di gravidanza. Ma i bambini hanno continuato a nascere vorticosamente e si è arrivati al punto che la sovrappopolazione è stata considerata esplicitamente “un ostacolo allo sviluppo e alla modernizzazione”.

Si è cominciato così con lo Wan Xi Shao, ossia “sposatevi piu’ tardi – fateli piu’ distanziati – fatene solo due”. Ma non bastava. Ancora troppe nascite. Il punto di picco lo si è toccato nel 1979: il 25% della popolazione mondiale era cinese e due terzi avevano meno di trent’anni! E’ partita così la “politica del figlio unico” per raggiungere la “crescita zero” nel 2000.

Visti i primi risultati positivi, già a fine anni ’80 si è attenuata la legislazione di contenimento delle nascite, finché – centrati gli obiettivi – nel 2013 la politica del figlio unico è stata abolita: le famiglie cinesi oggi possono avere due figli senza incorrere nel pagamento di sanzioni. Vi chiederete come mai riporto la sintesi delle vicende cinesi in materia di contenimento delle nascite.

Ebbene, esistono due diversi modi per far fronte alla pressione demografica:

uno è il metodo coercitivo/punitivo, ossia quello cinese;

l’altro quello persuasivo/pervasivo/perversivo, ossia quello nostrano, “occidentale” potremmo dire. Il nostro è partito in sordina (ma subito ben sponsorizzato e finanziato dai centri di potere che contano), negli anni ’40 con i Planned Parenthood americani per promuovere aborto e contraccezione, ed è arrivato settant’anni dopo – attraverso vari passaggi successivi (’68; amore libero; divorzio; rivendicazioni LGBT; umanizzazione degli animali in sostituzione dei figli; teoria del Gender ) – a importi oggi di fare squirting dopo il sesso anale in una gangbang con tua cugina e un trans mentre nel contempo diventi top manager. Altrimenti sei un fallito.

Questi sono i modelli venduti e imposti da lavatrici psichiche come Mtv, Grandi fratelli, baracconi Pop e partiti Radicali. E se tu, donna, fai un figlio prima dei trent’anni, sei una fallita, sei una frustrata che si dedica ai figli perché non ha saputo conquistarsi la sua emancipazione e libertà.

Viagra e Cialis hanno poi dato il colpo di grazia. Fino a che, stare sotto i quattro orgasmi settimanali a rating quattro stelle (in scala da uno a cinque), fa di te un fallito/a. Il risultato sono ragazzine anoressiche e ragazzini impauriti; cinquantenni con pancetta che fanno palestra e solarium; chirurgia estetica per nonne tatuate che si sentono ancora “vive” e l’incapacità cronica e diffusa per tutti di accettare il tempo che passa.

Tornando al contenimento delle nascite, quindi, quale dei due sistemi – cinese e occidentale – può essere considerato migliore? Non c’è dubbio: quello cinese. Vietateci i tre figli e multateci il secondo. Ma diteci la verità. Non trattateci come pecore, prendendoci per i fondelli e convincendoci che si tratti di una nostra autonoma rivendicazione di libertà.

http://www.lefondamenta.it/2017/12/15/contenimento-delle-nascite-rinuncia-consapevole-suicidio-indotto/



Iscrivetevi alla nostra newsletter settimanale, che conterrà una rassegna dei nostri articoli.

 

09 settembre 2017

Un Occidente sempre più sessuomane e sterile


di Alfredo Incollingo

L'Occidente è gaudente e sessualmente disinibito. Non c'è cosa che, eroticamente parlando, non stuzzichi le fantasie degli occidentali, sempre pronti a nuove sperimentazioni nelle camere da letto. Questa grande confidenza con il sesso non si traduce con una maggiore fertilità degli europei, che anzi sono sempre più sterili. Il demografo Roberto Volpi non ha mai esitato a denunciare questo stato di cose sulle pagine de “Il Foglio” e in un agile e ben documentato saggio della Lindau, “Il sesso spuntato: il crepuscolo della riproduzione sessuale in Occidente” (2012). Oggi, paradossalmente, chi denuncia il calo demografico in Europa, era lo stesso che anni addietro celava questo dato negativo. Un aumento dei rapporti sessuali, liberi e occasionali, non equivale ad una maggiore riproduzione. Il sesso ormai è un puro esercizio di piacere, depotenziato, “spuntato” ed egoista. La rivoluzione sessuale sessantottina ha aperto nuove frontiere all'erotismo. E' più facile “farlo”, in forme e in modi sempre differenti. La diffusione della contraccezione, dell'ideologia del godimento, della pornografia e della “liquidità” dei rapporti familiari ha castrato il sesso, annichilendo le sue finalità riproduttive. Anche all'interno delle famiglie i coniugi hanno notevolmente diminuito la propria fertilità. Il relativismo familiare ha diffuso in Occidente nuove dimensioni dei rapporti, dove la generazione viene messa in secondo piano rispetto ad altre priorità (lavoro, benessere...). Roberto Volpi ci aiuta a comprendere le cause e le conseguenze del crepuscolo della riproduzione sessuale in Occidente, un tema che ancora oggi è tabù. Nonostante i giornali progressisti se ne siano accorti, tuttora si continua a negarlo.

Iscrivetevi alla nostra newsletter settimanale, che conterrà una rassegna dei nostri articoli. Utilizzeremo agosto come mese di prova, poi a settembre si parte a regime.
 

08 marzo 2017

Stiamo sparendo. E gli stranieri non ci salveranno


di Giuliano Guzzo

Gli italiani si stanno estinguendo. No, non è la cupa profezia di qualcuno, bensì una tragica realtà che l’ultimo report dell’Istat, reso noto ieri, ha certificato in modo inoppugnabile: i residenti in Italia, al primo gennaio 2017, erano 86.000 in meno rispetto al primo gennaio del 2016. Un calo in parte già anticipato da una nota di sedici pagine diffusa lo scorso giugno, ma che ora viene ufficializzato con quantificazioni da brividi. In pratica, è come se una città come Como o centri come Bassano del Grappa e Riccione sommati, da un anno all’altro, fossero scomparsi. Nel nulla. Il solo dato non negativo, in quello che pare un bollettino di guerra, è rappresentato dal calo dei morti, 608.000 contro i 648.000 del 2015.

Per il resto, il 2016 si è confermato un anno demograficamente allucinante dal momento che, quanto a saldo naturale – la differenza tra il numero dei nati vivi e quello dei morti – ha fatto registrare il secondo peggior risultato storico (-134.000), superato soltanto da quello del 2015, che per ora è da considerarsi come eccezionale (-162.000). Tuttavia, differentemente 2015 – sottolinea l’Istat – quando a incidere negativamente sulla dinamica naturale furono sia il calo delle nascite sia l’eccezionale aumento dei morti, il deficit naturale del 2016 è da ascriversi soprattutto a una nuova riduzione della natalità. Questo significa che il nostro problema, come poche voci solitarie denunciano da anni, è anzitutto quello delle culle vuote.

Pare difatti esservi solo una parte d’Italia che soffre meno l’inverno demografico, la provincia di Bolzano che, a fronte di una riduzione delle nascite su scala nazionale del 2,4 per cento, ne registra un incremento pari al 3,2 per cento. Per il resto, lo scenario è cupo assai. E non riguarda solo il nostro Paese. Secondo una nota apparsa a gennaio su Population & Sociétés, il bollettino mensile d’informazione dell’Istituto nazionale demografico francese, oggi in Europa una donna su sette non ha figli, record che non si registrava, pensate, dalla prima guerra mondiale. La stessa Francia, per anni osannata come faro della natalità nel Vecchio Continente, va ora affossandosi, se si pensa che se le donne francesi sono rapidamente passate da una media di 2,01 figli registrata nel 2014, ai 1,96 figli del 2015 fino agli 1,93 dello scorso anno.

Ora, poiché il tasso di sostituzione è pari a 2,1 figli per donna, è fuori discussione come la denatalità europea non sia più questione marginale, bensì una vera e propria emergenza. Che i governanti europei pensano di affrontare e risolvere in un solo modo: ospitando un numero sempre più elevato di migranti. Una soluzione – anche sorvolando sulle non secondarie problematiche relative all’integrazione degli stranieri – che non sta in piedi per almeno tre motivi. In primo luogo, perché i cosiddetti migranti sono in larga parte di sesso maschile. In seconda battuta, poi, perché già oggi, in Italia, le straniere residenti non fanno più di 1,95 figli ciascuna, numero ben superiore a quello delle donne italiane ma lontano a quello che sarebbe necessario al nostro paese per risollevarsi.

Che gli stranieri non costituiscano affatto, pur chiaramente apportando un qualche contributo, una soluzione alla denatalità, risulta poi provato proprio dal poc’anzi caso di Bolzano. Infatti, se da una parte è vero che in Alto Adige – dove comunque, si badi, manca il tasso di sostituzione – si registra, inattesa, una crescita della natalità, dall’altra è altrettanto vero come da quelle parti gli stranieri residenti siano meno rispetto a quelli presenti in provincia di Trento, dove invece l’inverno demografico pare ben lontano dall’essere superato: 46.454 anziché 48.466. Ebbene, se davvero l’immigrazione fosse la miracolosa salvezza che raccontano, dovrebbe essere il Trentino a trainare la natalità regionale e non l’Alto Adige, come invece avviene.

Senza contare, denunciano demografi come Giancarlo Blangiardo, che gli effetti dell’ipotetica compensazione derivante dalla sostituzione dei neonati con immigrati, nel lungo periodo, sono destinati a produrre un accrescimento del carico sociale con un’intensità che sarà tanto più accentuata quanto più i flussi di immigrazione saranno caratterizzati da soggetti giunti da noi in età matura. Morale della favola, sperare che gli immigrati raddrizzino a suon di figli la nostra avvilente curva demografica non è solo un’ipotesi strampalata, è proprio folle. Che fare, dunque, per non scomparire o per non trasformarci in un immenso ospizio? Quale strategia dovrebbe adottare l’Europa, ma soprattutto l’Italia, per uscire da un inverno demografico che flagella la penisola da decenni?

Da sociologo, credo che le priorità siano almeno tre. La prima è smettere di considerare la denatalità questione di di asili nido, occupazione femminile o aiuti economici, tutte cose utili ma non risolutive. Oltre al poc’anzi citato caso della Francia, che sulle politiche familiari investe assai, ricordo quello dell’Emilia Romagna, già dalla fine degli anni Sessanta all’avanguardia fra tutte le regioni italiane con un indice di posti nido ogni cento bambini migliore di quello europeo, il cento per cento di posti nelle scuole materne e un’occupazione femminile di livello europeo; eppure, ciò nonostante – ha segnalato uno studioso come Roberto Volpi – negli anni Novanta, dall’alto di questi record, in quella regione si è assistito al precipitare delle nascite di anno in anno fino all’inconsistenza di 0,9 figli per donna, record mondiale ancora ineguagliato.

Smettiamola, allora, di considerare i figli che non nascono espressione di disagi solo materiali, perché non è così. Un secondo aspetto da considerare, per rilanciare la natalità italiana, è la vituperata famiglia tradizionale. Se infatti aspettiamo le cosiddette famiglie arcobaleno o speriamo nelle convivenze, cari miei, stiamo freschi: è la coppia sposata, soprattutto se giovane, la salvezza demografica dell’Italia. E per quanto gli incentivi economici – da soli – non bastino, occorre sostenere il più possibile i giovani che convolano a nozze. Un terzo ed ultimo consiglio che mi sentirei di dare, più generale degli altri, è quello di iniziare ad occuparsi di denatalità abbandonando in blocco inderogabili priorità progressiste quali unioni civili, uteri in affitto, ius soli, biotestamento e caccia armata agli obiettori di coscienza. Non si tratta di essere di destra, ma di non essere dementi.

https://giulianoguzzo.com/2017/03/07/stiamo-sparendo-e-gli-stranieri-non-ci-salveranno/

 

16 settembre 2016

Fertility Day: non chiediamo un welfare, ma un cambio di mentalità


di Giovanni Di Domenico

Ad inizio settembre non sono mancate le critiche all’ennesima iniziativa governativa, il cosìddetto “Fertility Day” in programma per il prossimo 22 settembre.
Questa iniziativa avrebbe come scopo quello di mettere al corrente uomini e donne del fatto che dopo una certà età i figli sono molto più difficili da fare, e che ci sono numerosi comportamenti da evitare se si vuole evitare il rischio di infertilità (che non è solo femminile, è bene ricordarlo).
Tutto questo, ovviamente, in un’ottica di rinascita demografica per l’Italia. È bello notare che, finalmente, qualcuno ai piani alti abbia preso coscienza del fatto che se non torna a crescere il tasso di figli per donna (attualmente 1,39, quando per avere una sostituzione minima servirebbe almeno 2,1) sarà molto difficile per questo paese riprendere a crescere e diventare nuovamente solvibile da un punto di vista pensionistico.
Fin qui, tutto bene. I problemi iniziano non appena si va ad analizzare la campagna e i suoi contenuti. Molto sinteticamente, le frasi scelte come slogan e le immagini messe a corredo sono semplicemente inopportune, di una bruttezza incredibile (potremmo dire che invogliano a diventare azionisti della Durex).
Oltre a questo, la campagna punta molto alla promozione della fecondazione medicalmente assistita, tacendo in maniera criminale sulle bassissime percentuali di successo della stessa.
Come se non bastasse, la già infelice campagna ha scatenato le ire di sinistroidi e laicisti vari su tutto il web (se avete stomaco andate a leggervi Saviano e Scanzi, non li linkiamo per carità di patria e perché non regaliamo visite a certi siti) che, novelli catari, hanno tuonato all’urlo di:
- FASCISMOHHH!1!!1!
- MEDIOEVOHH111!!!
- OMOFFOBIHH!!!
E via dicendo, il resto potete immaginarvelo da soli.
Le loro critiche erano poi accompagnate da uno dei più triti e ritriti luoghi comuni sull’inverno demografico, ovvero:
“LE FAMIGLIE NON FANNO FIGLI PERCHE’ MANCA IL WELFAREHHH!11!!!!!1”
Ovviamente ignari del fatto che Paesi con un welfare per le famiglie ben migliore del nostro stanno messi peggio di noi (la Krande Cermania di Frau Merkel, per dirne uno, ha 1,37 figli per donna).
In tutto questo, notiamo ancora una volta una delle capacità più evidenti dell’italiano medio (perché Saviano e Scanzi, checché ne dicano, sono arci-italiani medi): la lamentela. E viene da chiedersi come abbia fatto la buonanima di mia nonna Dina, a ventitré anni (correva l’anno 1953), a crescere 3 figli mentre lavorava la terra e mandava avanti un podere insieme a mio nonno Francesco. Oppure come abbia fatto mia nonna Antonietta, rimasta vedova a 45 anni (correva l’anno 1984) a crescere 3 figlie con uno stipendio solo e anche dei vecchi da accudire. Vi posso assicurare che le sopracitate non sono mai state in lizza per il Nobel dell’Economia, né lo hanno mai vinto.
Il fatto vero è che il welfare aiuta e tanto, ma non basta. Siamo circondati da esempi, ognuno di noi. Io per primo, lavoro in una realtà dove i miei colleghi più grandi non hanno particolari problemi economici, eppure mettono al mondo al massimo 2 figli, nessuno di loro ne ha di più e alcuni di loro neanche li hanno.
Quello che ci viene chiesto, invece, è un cambio di mentalità che nessuno dei nostri governanti è intenzionato anche solo ad incentivare: ovvero che i figli non sono un diritto, ma un sacrificio e soprattutto un dono di Dio.
Mi rendo conto che aspettarsi una presa di coscienza simile da gente che approva la legge Cirinnà è più che un miracolo, ma la speranza è l’ultima a morire. Arriveremo al punto che non si potrà fare altrimenti, anche solo per mantenere quel baraccone dell’INPS (Istituto Nazionale Ponzi Scheme).
Probabilmente la speranza di cui sopra è la stessa Speranza che permetteva alle vecchie generazioni, magari addirittura inconsapevolmente, di mettere al mondo i figli.

Concludo citando 2 personaggi molto diversi tra loro, ma che su questo concordano. Uno è Oliviero Toscani, che, anche se è ateo e mangiapreti, tra le tante bischerate qualcuna ne indovina, ogni tanto:
“La sovversione è avere 6 figli, 12 nipoti e amare una sola donna da 50 anni ”
L’altro invece è Giovanni Zenone, l’editore di Fede&Cultura, che al Festival di Fede&Cultura, mentre presentava la propria famiglia al pubblico, si è lasciato scappare:
“La famiglia è così bella che la vogliono anche i gay!”

 

01 settembre 2016

Il Fertility Day e polemiche, scusate, proprio idiote


di Giuliano Guzzo

Appartengo ai tanti critici di questo governo, che personalmente considero – per il suo programma, il suo operato e soprattutto la sua arroganza, contrabbandata per operosità – qualcosa di non molto diverso da una sciagura. Ciò detto, fatico a comprendere le polemiche sorte in seguito alla notizia del Fertility Day, la nuova campagna del Ministero della Salute che partirà il 22 settembre a favore della natalità, subito presentata da alcuni come una sorta di istigazione a fare figli (che brutta cosa, i figli, vero?) quando invece altro non è che un semplice richiamo, per quanto mi riguarda pure di dubbia efficacia, ad un problema che anticipa per cronologia e gravità quello economico.
Non citerò, per tediare il lettore, tutti gli economisti che negli anni hanno denunciato come sia quello demografico il nostro primo guaioSe l’Italia facesse più figli, le sue prospettive economiche sarebbero migliori. Invece un Paese con una popolazione in declino alla fine non potrà ripagare i suoi debiti», ha per esempio dichiarato il professor Tyler Cowen, accademico ed editoralista del New York Times: Corriere della Sera, 8/5/2012, p. 31), né penso – dopo che le straniere sono finite sotto il tasso di sostituzione di 2.1 figli per donna da un paio d’anni e procreano sempre meno – di dover smontare per l’ennesima volta la bufala colossale degli stranieri o dei migranti (in larga parte maschi) come salvezza per la natalità italiana.
A dirla tutta non ci sarebbe neppure – benché il buon Roberto Saviano, apprendista demografo, vi abbia confezionato un post «acchiappalike» su Facebook – da mettere in relazione la denatalità con precariato lavorativo e crisi economica, che pure sono problemi seri. Infatti come i lettori più affezionati di questo blog sapranno, se da un lato è fuori discussione come la situazione attuale, anche fiscalmente parlando, tutto sia fuorché un incentivo a fare figli, dall’altro esistono numerosi indizi che lasciano supporre che il problema, in questo caso, non sia materiale ma antropologico; basti dire che la tendenza del figlio unico, in Italia, ha conosciuto un boom negli anni ’80, stagione economicamente parlando d’oro rispetto all’odierna.
Mi limiterò quindi soltanto, dato che dei poc’anzi citati argomenti non è il caso di parlare, ad una telegrafica osservazione: la curva demografica italiana è caduta da decenni. D-e-c-e-n-n-i. Significa non basterà il Fertility Day – che peraltro ricorda campagne sulle quali i Paesi nordeuropei, quei retrogradi medievali brutti e cattivi, Danimarca in testa, investono da anni – né il bonus bebé; tuttavia iniziative simili costituiscono almeno un pallido punto di partenza. Non vi piacciono? D’accordo: allora fuori le alternative però. Perché la storia insegna che raddrizzare la curva demografica è difficilissimo (l’imperatore Augusto, per dire, non ci riuscì neppure varando leggi ad hoc) ed insegna pure che senza nuovi nati una comunità, una società, un Paese sono spacciati.
Inoltre, se avete letto quanto diffuso dall’Istat a giugno di quest’anno saprete che gli italiani non solo non crescono, ma cominciano a sparire: «Nel corso del 2015 il numero dei residenti ha registrato una diminuzione consistente per la prima volta negli ultimi novanta anni: il saldo complessivo è negativo per 130.061 unità. Il calo – veniva poi precisato – riguarda esclusivamente la popolazione di cittadinanza italiana – 141.777 residenti in meno – mentre la popolazione straniera aumenta di 11.716 unità». Capito? Iniziamo ad estinguerci e qui c’è ancora gente che rompe le palle (scusate il francesismo, ma quando ci vuole ci vuole) per una campagna che, banalmente, sussurra verità inconfutabili, tipo che a 45 anni non hai le stesse possibilità di diventare madre che a 25? Ma sì che ce lo meritiamo, di sparire.

https://giulianoguzzo.com/2016/09/01/il-fertility-day-e-le-polemiche-sciocche-anzi-proprio-idiote/
 

05 giugno 2016

Danimarca, spot sul sesso e un po’ di figli in più


di Giuliano Guzzo
Ad ascoltare cosa scrivono i giornali, sembra che in Danimarca abbiano superato l’inverno demografico. Grazie infatti ad una campagna volta ad incentivare i danesi a fare più sesso –  «Fallo per mamma» – nel 2016 sarebbero in arrivo 1.200 bambini in più rispetto allo scorso anno. La notizia rallegra, naturalmente. Tuttavia pare un po’ presto sia per gridare alla scoperta dell’antidoto contro il calo della natalità, sia per brindare alla nuova primavera demografica danese. Per quanto riguarda il presunto successo di «Fallo per mamma», c’è da dire che una prima – anche se molto debole – inversione di tendenza in termini di maggiore natalità, in Danimarca, si era registrata già nel 2014, con il passaggio a 10,22 nascite in un anno per 1.000 persone, leggerissimo aumento rispetto alle 10,2 del 2013; ed anche nel 2015 sono nati più figli che nel 2014.
Anzi, se si va a confrontare il numero dei nati nel 2015 con quello dei nati del 2014 si scopre una differenza di oltre 1.300 unità, superiore quindi ai 1.200 bambini in arrivo in più quest’anno. Dunque è tutto da dimostrare che il piccolo“baby boom” in corso sia dovuto al succitato spot anziché ad una tendenza in essere da qualche tempo e della quale, peraltro, non è chiaro se i responsabili siano i danesi o gli immigrati nel Paese. Ma c’è dell’altro: la stessa notizia di 1.200 nati in più – per quanto positiva – non è affatto sufficiente a considerare la Danimarca fuori dall’inverno demografico. Si deve infatti ricordare che nel 2014 il numero medio di figli per donna era di 1,69, anni luce da quel tasso di sostituzione (2,1) che garantisce ad un Paese non già di crescere, ma almeno di sopravvivere. Perché queste precisazioni? Per diversi motivi.
In primo luogo perché non vorremmo che tiepidi risvegli demografici in un Paese dell’Europa del Nord facessero pensare superato un problema – quello della denatalità – che si è stratificato nei decenni e nella mentalità, ragion per cui è semplicemente ridicolo pensare di risolverlo con qualche spot pubblicitario. Un secondo motivo per cui si son volute effettuare le anzidette precisazioni – soprattutto mettendo in luce come sia assai dubbia l’efficacia dello spot  «Fallo per mamma» – è per evitare che qualche cervellone importi l’idea in Italia, magari con qualche corso scolastico. Infine, ammesso e non concesso che bastino pubblicità a risolvere il guaio della denatalità – cosa tutt’altro che sicura, come si è visto – c’è da dire, come terza considerazione, che i figli non basta farli, bisogna anche crescerli ed educarli: non proprio un dettaglio.
 

17 maggio 2016

Il bonus bebé contro l'inverno demografico?



di Giuliano Guzzo

Sì, no, forse. Non si è affatto capito quale effettivamente sia la posizione del Governo sulla possibilità di aumentare il bonus bebè, che per chi lo ignorasse è un assegno mensile di 80 euro che – per i primi tre anni di età – spetta per ciascun figlio nato o adottato alle famiglie a basso reddito: il Ministro Lorenzin aveva proposto di raddoppiarlo, facendolo così salire a 160 euro mensili, ma dalle ultime indiscrezioni pare che né il Presidente del Consiglio né il Ministro dell’Economia siano molto d’accordo. Ora, a parte il lato tragicomico che vede la proposta di un Ministro smentita o quasi da un altro Ministro dello stesso Governo del giro di poche ore, gli aspetti realmente drammatici della questione sono almeno due. Il primo consiste nell’inverno demografico che caratterizza il nostro Paese: lo scorso anno – segnala l’Istat – le nascite sono state 488 mila (-15 mila), nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia; non solo: il 2015 è il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità, giunta – nonostante l’arrivo in Italia di molti immigrati – a 1,35 figli per donna.
Il secondo aspetto drammatico, però, è ancora più inquietante del primo. Se infatti da un lato sappiamo che l’Italia soffre un inverno demografico con pochi precedenti al mondo (solo la Germania sembra messa peggio di noi), dall’altro non esiste alcuna certezza che non raddoppiando, bensì neppure triplicando o quadruplicando il bonus bebè si migliorerebbe in modo significativo la situazione. Che cosa intendo dire? Intendo dire che ha ragione da vendere, il Ministro Lorenzin, quando denuncia «il quadro di un paese moribondo». Il punto però è che non è affatto detto che, con più aiuti, la situazione della natalità, in Italia, migliorerebbe. Primo perché, come detto, il bonus bebé va e continuerebbe ad andare solamente ad alcune categorie di famiglie, secondo perché il calo della natalità non risulta risolvibile con sussidi economici: fosse così – lo diciamo per le tante persone di buona volontà che si battono per il quoziente familiare – sarebbe quasi da festeggiare. Purtroppo però la situazione è molto più seria e neppure Paesi europei con un welfare invidiabile, finora, sono riusciti a superare l’inverno demografico.
Diviene dunque difficile comprendere quali siano le ragioni per opporsi ad un provvedimento – il raddoppio del bonus bebé – che, se pur risulterebbe quasi di certo inefficace ad invertire la tendenza demografica italiana, costituirebbe quanto meno un segnale, un modo per ricordare alle famiglie in difficoltà – ma anche al Paese – che la nascita di nuovi figli è un bene comune, qualcosa per cui valga la pena investire e scommettere. Invece, salvo sorprese, tutto pare destinato ad arenarsi. Il che significa solo una cosa: rimandare un appuntamento difficilissimo. Quale? Quello nel momento in cui un Governo responsabile prenderà atto del fatto che, senza figli, non solo non un Paese non ha futuro ma non ha neppure pensioni, imposte e alcunché per sostentarsi, ammettendo di essere in forte difficoltà nel cambiare le cose. Come si è poc’anzi detto, infatti, il fattore economico non spiega né l’inverno demografico (iniziato in Italia ben prima della crisi) né, tanto meno, come uscirne. La crisi della natalità, insomma, è un guaio serio, dinnanzi al quale non sembrano esistere ricette efficaci nel breve termine. Eppure da qualche parte occorrerà pur iniziare. Anche per questo ha senso chiedersi: chi ha paura del bonus bebè?

https://giulianoguzzo.com/2016/05/17/chi-ha-paura-del-bonus-bebe/
 

08 gennaio 2016

La crisi della famiglia è antropologica, non economica


di Giuliano Guzzo

Premessa: la famiglia, in Italia, non solo non è sostenuta, ma è fiscalmente vampirizzata. E’ per la verità cosa arcinota, ma è bene ribadirlo subito affinché nessuno pensi che chi scrive prenda sottogamba un problema tanto importante e così ostinatamente ignorato dalla politica. Detto questo, però, da sociologo non posso non dissentire da quanti – e sono molti, oramai, anche ai vertici dell’associazionismo cattolico – sono convinti che introducendo il quoziente familiare e un welfare migliore il calo dei matrimoni e della natalità, due problemi l’uno legato all’altro, parecchio se non tutto nel panorama odierno migliorerebbe. Il mio dissenso da questo tipo di considerazioni è motivato da più elementi.

Il primo, molto banalmente, è quello che si può senza esitazione definire un dato di realtà: gli aiuti economici non bastano. Un esempio lampante è quello francese: lì il quoziente familiare esiste già dal remoto 1945 e la natalità sfiora appena il tasso di sostituzione (1,97 figli per donna, nel 2013), risultato senza dubbio migliore di quello italiano ma comunque non certo sufficiente a far parlare di una primavera demografica e probabilmente – ma non si può dire con certezza, dato che non disponiamo di dati sulla fertilità per origine degli abitanti – dovuto al contributo di cittadini stranieri o comunque di origine non strettamente francese. Ad ogni modo il caso della Francia non è isolato.

Si pensi, per esempio, alla Germania, la locomotiva economica d’Europa: il Paese elargisce aiuti sostanziosi alle famiglie, gli stipendi in media sono più alti, hanno una disoccupazione inferiore alla nostra ed altre circostanze favorevoli che però non schiodano i tedeschi da un tasso di fertilità cimiteriale pari, udite udite, ad appena 1,3. Oppure si prenda la brillante Finlandia dove dal 1938 alle donne in attesa di partorire arriva un “pacco neonatale” contenente di tutto (vestitini, copertina, un completino pesante, cuffiette, calzini, un set di lenzuola, uno per l’igiene del bambino completo di spazzolino da denti e forbicine per le unghie, materasso e bavaglino) e che, spesso, è pure la prima culla dei figli.

Eppure, nonostante tutto questo, anche laggiù, in Finlandia, la denatalità non solo esiste come problema, ma peggiora: si è difatti passati dalle 10,8 nascite ogni 1.000 abitanti del 2001 alle 10,45 del 2006 fino alle 10,36 del 2012. Un ulteriore elemento che porta a sconsigliare di leggere la crisi della famiglia in termini economici – per quanto questi abbiano un loro peso – è l’esperienza Italiana, che evidenzia molto chiaramente il ruolo anzitutto della componente culturale della crisi della famiglia. Un esempio è il divorzio, confermato com’è noto con il referendum del 1974: pochi anni dopo i matrimoni lasciarono sul terreno un quinto, le nascite addirittura un quarto della loro consistenza.

Una ulteriore perplessità di fondo nel collegamento fra crisi della famiglia – intesa come calo dei matrimoni e della natalità – e crisi economica e mancanza di attenzioni economiche sorge in me dal fatto che, così ragionando, si considera l’essere umano puramente in un’ottica materialista, mentre invece la persona umana è qualcosa il cui splendore – e i cui bisogni – vanno molto oltre. Da questo punto di vista, altri elementi ci vengono dal fatto che, come evidenziato i dati Istat 2005, nelle Isole e al Sud i giovani si sposano prima di aver compiuto 29 anni mentre invece al Centro e soprattutto al Nord, dove mediamente le condizioni economiche sono migliori, dopo i 30; se fossero economia e precariato a fare la differenza, i numeri avrebbero dovuto essere opposti.

A contrastare il peso dell’elemento economico invece sulla natalità ci sono invece gli alti tassi di fertilità di persone appartenenti a determinate fedi religiose. Si pensi a quanti si riconoscono nella religione islamica: vivono, in Occidente, la nostra stessa condizione di crisi economica eppure si prevede che i musulmani si riprodurranno a velocità doppia rispetto al resto della popolazione e nel 2030 rappresenteranno il 26,4% della popolazione del pianeta; oppure, guardando agli Stati Uniti, si pensi alla comunità Amish, considerata la religione in massima espansione in tutta l’America: costoro crescono a ritmo vertiginoso non grazie alle conversioni, ma semplicemente perché le famiglie hanno molti figli che rimangono all’interno della comunità.

Questo cosa significa? Che la politica italiana può continuare – come fa ormai bellamente da decenni – ad ignorare la famiglia? Che il quoziente familiare non conta nulla? Che è sbagliato sostenere la natalità? Tutto il contrario: la “cellula fondamentale della società” va sostenuta! Se però pensiamo di contrastare economicamente una crisi che è antropologica e che ha nel successo culturale di istituti quali il divorzio e l’aborto, entrati saldamente nella mentalità comune, un punto di grande forza, combattiamo contro i mulini a vento. Non perché, lo ripeto, sia giusto che il fisco continui a bastonare la famiglia, ma perché la famiglia – proprio perché è fondamentale per la società dell’Italia come dell’Europa – ha diritto a molto di più di semplici, per quanto sostanziosi, contributi economici.

http://giulianoguzzo.com/2016/01/08/la-crisi-della-famiglia-e-antropologica-non-economica/#more-9017
 

23 marzo 2013

Malthus e i poveri

di Riccardo Zenobi

Uno dei leitmotiv di certo ambientalismo è l’idea che siamo in troppi sulla terra, e che quindi le risorse non bastano a sfamare tutti gli abitanti del pianeta. Idea che, come è noto, risale a Thomas Robert Malthus, il cui pensiero si può grossomodo esprimere nel concetto che, mentre le risorse crescono in maniera aritmetica (1,2,3,4,…) la popolazione cresce in maniera geometrica (1,2,4,8,…): in tal modo le risorse del pianeta non basterebbero a sfamare la crescente popolazione.
 

07 febbraio 2013

Drogati di pornografia?


di Satiricus
Parliamo di pornografia, di spirito, di società e di chimica. E di scolarizzazione e deturpamento dei bambini. E per farlo partiamo anzitutto col segnalare un saggio scientifico di Donald Hilton, Come la pornografia droga e altera il tuo cervello, lungo e tecnico, le cui tesi però sono lampanti fin dal titolo: il consumo di materiale pornografico stimola la produzione eccessiva di sostanze chimiche dalle quali deriva la dipendenza alla pornografia stessa, dipendenza che agguaglia di fatto il pornomane a qualsiasi altro drogato di sorta.
 

04 luglio 2012

Una società che non fa figli si condanna a una morte lenta


di Giulia Tanel
A Pechino, in questi giorni, le autorità politiche si stanno scontrando con le conseguenze disastrose della famigerata “politica del figlio unico”. Sono infatti stati resi noti dei dati – come sempre scientificamente inclementi – che parlano fin troppo chiaro: alla fine dell’anno scorso i cinesi con più di sessant’anni si attestavano attorno al 13,7% dell’intera popolazione, mentre nel 2020 essi saranno il 17,1% del totale, per raggiungere la quota del 31% nel 2050.
Insomma: la popolazione cinese è condannata ad un costante innalzamento dell’età media della popolazione, fattore che è portatore di svariate conseguenze problematiche.