di Federico Cavalli
Reagire a una violenza fisica per difendersi è quanto di più istintivo si
possa osservare nella natura umana; percependo il pericolo si cerca di
reagire nel modo più efficace possibile così da poter evitare qualsiasi
danno per la propria sopravvivenza.
Tale tipo di reazione, tanto naturale
quanto elementare, viene troppo spesso limitata a questa singola tipologia
di violenza come se, oltre alla forza, non ci fossero altri modi per
mettere in pericolo la vita e la dignità di un individuo; la società con
cui giornalmente ci troviamo a convivere è immersa in un’enorme ipocrisia di
fondo: ogni genere di violenza fisica viene condannata duramente (almeno in
apparenza, se poi ad essere picchiato e legato è un’esponente di un certo
tipo di pensiero politico ci si può benissimo passare sopra come se nulla
fosse successo), mentre non si batte ciglio per una brutalità di egual se
non maggiore pericolosità: stiamo parlando della violenza culturale.
Quest’ultima ha il suo più grande punto di forza nel riuscire a passare del
tutto inosservata, grazie al sapersi camuffare perfettamente fra le
conquiste della civiltà contemporanea; se non si percepisce il pericolo
vien da sé che non ci sarà resistenza alcuna. Eppure, nonostante
l’intorpidimento di una grandissima parte del mondo degli intellettuali,
che sembrano ormai essersi completamente dimenticati di ciò che è
fondamentale per poter migliorare il mondo, ovvero sviluppare una mentalità
critica del proprio tempo, si può notare come ultimamente qualcosa sia
cambiato grazie alla nascita di piccoli ma agguerriti gruppi di
controcultura che evidentemente hanno fatto tesoro delle più belle parole
gramsciane: “Occorre invece violentemente attirare l'attenzione nel
presente così com'è, se si vuole trasformarlo. Pessimismo
dell'intelligenza, ottimismo della volontà”.
È questo il caso dell’ormai
avviata realtà dell’Intellettuale dissidente, quotidiano online che brilla,
da anni e a ragion veduta, di luce propria; se infatti è raro assistere a
dibatti e manifestazioni culturali aventi come protagonista il pensare
controcorrente, è ancor più raro trovarne di alta qualità e, puntualmente,
ciò che porta la firma di questa piccola ma importante realtà culturale
rientra a pieno titolo in questa rarità di casi; l’incontro che si è tenuto
mercoledì 14 marzo ne è una prova evidente.
Il convegno in questione,
ospitato nella sala teatro della fondazione Cristo Re, è stato un vero e
proprio atto di resistenza critica nei confronti delle politiche economiche
e sociali del nostro tempo, e non sarebbe potuto essere altrimenti data la
caratura dei due relatori: Ettore Gotti Tedeschi ed Enzo Pennetta.
È
proprio dall’ultimo libro di quest’ultimo, L’ultimo uomo edito circolo
Proudhon, che si è preso spunto per i temi trattati durante l’appuntamento
in questione; Malthus, Darwin, Huxley sono solo alcuni dei nomi illustri
che sono stati menzionati nell’analisi critica portata avanti dai due
oratori durante un dialogo strutturato abilmente con domande e risposte
precise, accattivanti ed esaustive.
Ciò che è emerso da tali considerazioni
è estremamente preoccupante: durante l’ultimo secolo si è voluto
ricostruire e rimodellare l’uomo completamente, in tutta la propria natura,
dando di fatto origine ad una vera e propria nuova genesi, una genesi
laicista. L’uomo è stato sradicato completamente e reso orfano di senso per
poter permettere una vera e propria rivoluzione antropologica in favore
dell’uomo nuovo, completamente devoto alla Gnosi (la “conoscenza”, la
tentazione, l’atto di presunzione ed orgoglio posto in essere da Adamo ed
Eva verso il Dio Creatore). Questa la premessa per giungere al cosiddetto trans-umanesimo.
Questa rivoluzione/involuzione umana, che vede al momento
la propria apoteosi, nonostante fosse già stata denunciata a più riprese
negli “scritti corsari” di Pier Paolo Pasolini e sebbene sia tutt’ora
avvertita e svelata da una piccola parte del mondo intellettuale
contemporaneo, continua giornalmente la sua ascesa al potere (ormai si
tratta solamente di consolidamento) nell’indifferenza dei più. Ma tutto ciò
come è potuto divenire realtà? Come si è potuti arrivare a tanto senza
ribellione alcuna?
Le teorie economiche di Malthus hanno un filo diretto e
sono state legittimate, nel senso proprio del termine, dalla teoria
darwiniana. Quest’ultima, dopo avere vissuto un periodo di eclissi dovuta
alla riscoperta delle leggi di Mendel, è stata riportata in auge non tanto
per ragioni scientifiche (delle quali lo stesso Prof. Pennetta nelle sue
pubblicazioni ha ampiamente trattato i limiti), quanto perché funzionale
alla nuova visione distopica e perversa del mondo, dove un mezzo di per sé
neutrale (il mercato) viene mal gestito a discapito dell’uomo,
trasformandolo da mezzo a fine; la nuova genesi umana è poi passata
attraverso vere e proprie rivoluzioni culturali che, avvalendosi di
organizzazioni sovranazionali (ONU, UNESCO, UNICEF…), sono riuscite a
cambiare il modello di uomo nella quasi totalità del globo. Tutte queste
tematiche sono affrontate ottimamente all’interno del libro del professor
Pennetta, ma sentirle divulgate dal vivo aiuta ancora di più a prendere
coscienza di quanto avvenuto in questi ultimi decenni.
Il “nuovo fascismo”
(che ha prodotto ambientalismo, teoria del gender, disumanizzazione…) si è
affermato, il modello di uomo è stato cambiato, ora più che mai serve una
presa di coscienza netta, ora più che mai è necessario dissentire con tutte
le forze. Come? Vivendo questa vita con la dignità di esseri umani che ci
appartiene e non abbassandoci a vivere come la Gnosi ci impone, da automi,
da semplici bacilli, o da bestie da soma; ciò che è morto non può che
seguire la corrente, solo ciò che è vivo può opporsi ad essa. Deve svilupparsi una nuova
resistenza culturale, sociale ed umana; non possiamo permetterci di perdere
altro tempo. Considerando che nel 1974 Pasolini denunciava il pericolo
della nuova civiltà dei consumi, siamo già in ritardo di 44 anni.