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11 gennaio 2019

Il muro dell'idiozia e il senso dei confini (di M.Veneziani)

di Marcello Veneziani
La parola d’ordine del Cretino Planetario per farsi riconoscere e ammirare è: vogliamo ponti, non muri. Appena pronuncia la frase, il Cretino Planetario s’illumina d’incenso, crede di aver detto la Verità Suprema dell’Umanità, e un sorriso da ebete trionfale si affaccia sul suo volto. Non c’è predica, non c’è discorso istituzionale, non c’è articolo, pistolotto o messaggio pubblico, non c’è concerto musicale, film o spettacolo teatrale che non sia preceduto, seguito o farcito da questa frase obbligata. L’imbecille globale si sente con la coscienza a posto, e con un senso di superiorità morale solo pronunciando quella frase. Il cretino planetario diverge solo nella pronuncia, a seconda se è un fesso napoletano, un bobo sudamericano o un lumpa siculo. In Lombardia c’è un’espressione precisa per indicare chi si disponeva ai confini per mettersi al servizio dei nuovi arrivati, dietro ricompensa: bauscia.

Il cretino planetario ripete sempre la stessa frase, sia che parli di migranti che di ogni altra categoria protetta. Lui è accogliente, come gli prescrivono ogni giorno i testimonial del No-Muro, il Papa, Mattarella e Fico che ogni giorno guadagna posizioni nel Minchiometro nazionale, l’hit parete dedicata a chi sbatte la testa contro il muro.

Il pappagallo globale marcia contro i muri, più spesso ci marcia, ma la parola chiave serve per murare il Nemico, per separare dall’umanità evoluta ed accogliente i movimenti e le persone che s’ispirano all’amor patrio, alla sovranità nazionale, alla civiltà, alla tradizione. L’appello ad abbattere i muri e a stendere ponti è ormai ossessivo e riguarda non solo i popoli e i confini territoriali ma anche i sessi e i confini naturali, le culture e i comportamenti, le religioni e le appartenenze, e perfino il regno umano dal regno animale. Dall’Onu al golden globe, dalla predica al talk show e alla canzone, l’onda dell’idiozia abbatte il Muro del suono e del buon senso.

Ora, io vorrei prima di tutto osservare che i muri più infami che la storia dell’umanità conosca, non sono i muri che impediscono di entrare ma i muri che impediscono di uscire. Come sono, necessariamente, i muri delle carceri e come fu, l’ultimo grande, infame Muro che la storia conobbe, a Berlino. E che non edificò nessun regime nazionalista o sovranista, nessun dittatore e nessun Trump ma il comunismo. Chi tentava di superare quel muro e quel filo spinato per scappare dalla sua terra, era abbattuto dai vopos. Nessun regime autoritario o nazionalista ha mai avuto la necessità di innalzare un muro per impedire che la popolazione scappasse. Né si conoscono esodi di popolo paragonabili a quelli dove ha dominato il comunismo.

Se vogliamo restare in Italia, e a Roma in particolare, c’è solo un muro nel cuore della Capitale che non si può varcare, e sono proprio le Mura Vaticane dove il Regnante predica al mondo ma non a casa sua di abbattere i muri e accogliere tutti. E comunque i muri più famosi, i muri del pianto e della vergogna, non appartengono alla cristianità. Detto questo, a coloro che amano la civiltà e la tradizione, l’amor patrio e la sovranità nazionale, si addice piuttosto il senso del confine. Perché confine significa senso del limite, senso della misura, soglia necessaria per rispettare le differenze, i ruoli, le identità e le comunità. Tutti i confini sono soglie, sono porte, che si possono aprire e chiudere, che servono per confrontarsi sia nel colloquio che nel conflitto, comunque per delimitare o arginare quando è necessario. La società sradicata del nostro tempo ha perso il senso del confine, e infatti sconfinano i popoli, i sessi, le persone, si è perso il confine tra il lecito e l’illecito. Sconfinare è sinonimo di trasgredire, delirare, sfondare. La peggiore maledizione per i greci era l’hybris, lo sconfinamento, la smisuratezza, il perdersi nell’infinito. Il confine è protezione, sicurezza, è umiltà, è tutela dei più deboli, non è ostilità o razzismo. Vi consiglio di leggere L’elogio delle frontiere di Régis Debray. Ai più modesti, consiglio l’elogio dei muri di Alberto Angela che non mi risulta un ufficiale delle SS.

Senza muri non c’è casa, non c’è tempio, non c’è sicurezza. Senza muri non c’è pudore, intimità, protezione dal freddo, dal buio e dall’incognito. Senza muri non c’è senso della misura, riconoscimento del limite e dei propri limiti. Senza muri non c’è bellezza, non c’è fortezza, non c’è fondazione delle città, non c’è erezione di civiltà. Non a caso le città eterne nascono da Romolo che tracciò i confini, non da Remo che li violò. I muri sono i bastioni della civiltà, gli ospedali della carità, le biblioteche della cultura, le pareti dell’arte, il raccoglimento della preghiera.

Se il cretino planetario non lo capisce, in compenso lo capiscono bene gli anarchici di Tarnac che colsero nel muro abbattuto la vittoria del caos e dell’anarchia: “La distruzione delle capacità di autonomia dei dominati passa per l’abolizione delle frontiere del loro essere: individuale e collettivo. Finché esistono frontiere, è possibile opporre un sistema di valori a un altro, un tipo di diritto all’altro, distinguere uomo da donna, madre da padre, cittadino da straniero, insomma vero da falso, giusto dall’ingiusto, normale da anormale” (Gouverner par le Chaos – Ingénierie Sociale et Mondialisation, 2008).

Le città senza confini perdono la loro identità, come le persone che perdono i loro lineamenti. Non capovolgete l’amore per la famiglia in omofobia, l’amore per la propria patria in xenofobia, l’amore per la propria civiltà in razzismo, l’amore per la propria tradizione in islamofobia. E l’amore per i confini in muri dell’odio. Ma tutto questo il Cretino Planetario non lo sa.

MV, La Verità 9 gennaio 2019



 

04 giugno 2018

Una lettera d'amore per gli italiani

di Alfredo Incollingo
Marcello Veneziani non ci sta. Si duole nel vedere tanti ragazzi che lasciano la nostra Patria per l'Europa o per gli altri cinque continenti, alla ricerca di un futuro sicuro e di una vita migliore. Diciamo la verità: l'Italia non è una nazione facile, non lo è più da molto tempo. Sfiduciati da uno Stato alieno e invisibile, che mette da parte i suoi cittadini per gli esterni, secondo una visione distorta di carità, i giovani italiani preferiscono sgobbare in Inghilterra o in Germania, facendo lavori umili. Non fuggono solo laureati o ricercatori universitari. In Lettera agli italiani: per quelli che vogliono farla finita con questo paese (Marsilio, 2015), Veneziani chiede ai nostri ragazzi di fermarsi un attimo per leggere una lunga epistola. È una riflessione che l'autore fa sull'identità italiana e su tutto che essa concerne (costume, cultura...). Prima di andar via, sembra affermare Veneziani, rifletti sulla tua Patria: la bellezza del paesaggio e delle città, il cattolicesimo, la lingua o i grandi astri della nostra letteratura. Tanti hanno pensato, almeno una volta nella vita, di farla finita con l'Italia, ma sono parole alle volte espresse con nervosismo e con rabbia di fronte alle evidenti difficoltà. Non si può nascondere chi siamo e da dove veniamo, un luogo che è difficile da lasciare. Eppure, tanti partono via, sognando una vita agevole all'estero. Veneziani non li vuole fermare, perché ognuno è libero di vivere ramingo per il pianeta, ma vuole spiegare perché vale la pena rimanere in Italia, senza arrendersi al declino circostante.

 

20 gennaio 2018

Onore a Veneziani

di Fabrizio Cannone

Uno dei problemi capitali della nostra epoca e della nostra civiltà è l’assenza crudele di pensieri liberi e non addomesticati. Fossero pure pensieri discutibili, esagerati, spavaldi o ridicoli, ma che abbiano il pregio della libertà. La quale, in questo contesto, non può che coincidere con una visione altra (ed alta) rispetto alle bassezze e le noie senza requie del presente. I grandi uomini furono sempre personalità inattuali, nel senso sia di essere in tensione verso il loro pieno compimento (come la potenza con l’atto nella logica aristotelica), sia nel senso più ovvio di pre-esistere al futuro, di vedere oltre, di non cedere un millimetro all’eterno presentismo della storia. Inoltre, di osservare la realtà senza i paraocchi dell’attualità, ma attraverso quella luce ineffabile che nell’uomo è la coscienza.
Marcello Veneziani lo seguiamo fin da ragazzini, e da quando dirigeva L’Italia settimanale, di cui abbiamo ancora in soffitta l’intera collezione… In quegli anni di riflessione e di facili manicheismi, ma anche di eroici furori e di risentimento verso un Sistema (già) percepito come inetto e oppressivo, gli scrivemmo delle lettere, a cui almeno una volta fece caso. Si tratta, tanto più oggi che è giunto ad una consapevolezza e ad una notevole sintesi di letture e di esperienze, di una voce importante e rara della destra culturale italiana. Forse, l’intellettuale della Nuova Destra di maggior peso politico, come lo definì qualcuno di altra sponda. Probabilmente anche di uno scrittore e di un pensatore, tra i giornalisti italiani di oggi, di più denso peso filosofico.

L’ultima sua opera la consideriamo un piccolo capolavoro (cf. M. Veneziani, Gli imperdonabili. Cento ritratti di maestri sconvenienti, Marsilio, 2017). Veneziani, da par suo, descrive e tratteggia, come in un dizionario, cento autori che gli sono grati, da Dante ad oggi, non escludendo alcuni scrittori vivi e vegeti. Si conoscono già parecchi dei suoi autori prediletti: da Gentile a Prezzolini (che, giunto all’età di cento anni, si congratulò per un articolo del Nostro, appena ragazzo, p. 116), da Nietzsche (a cui dedicò il suo primo articolo, p. 62) a Chesterton e ad Augusto Del Noce, sino alle poetesse mistiche Simone Weil e Cristina Campo. Altri autori non sono certo i suoi prediletti (come i mitizzati Adorno, Gramsci, Garrone ed Eco), ma essi restano degni di essere apprezzati e valutati per l’influsso che hanno avuto, ed anche per essere intelligentemente criticati e confutati, specie nell’interpretazione che normalmente se ne dà, di comodo e di scuola.

Malgrado un allontanamento che parrebbe definitivo dalla fede cristiana della sua Bisceglie natale – la qual cosa non può non dispiacere chi è giunto alla strada del Vangelo anche grazie a lui – Veneziani mantiene un legame viscerale con la terra, con i patres, con l’Italia, con la Tradizione. Con quei punti fermi quindi che soli possono fondare la Destra eterna o il partito della ragione: Dio, la patria, la famiglia, e ciò che ne consegue.
Tutta la sua critica alla contemporaneità in nome di Altro deriva da una lettura inattuale (e imperdonabile) del presente e questo sarebbe già un bel trampolino verso l’approdo ultimo: ma Egli non riconosce ancora che l’unica metafisica compiuta, e davvero universale, è il solo cattolicesimo romano.
La sua penna graffiante e i suoi giudizi liberi e antimoderni sulla politica, la cultura e la storia, aiuteranno ancora, e speriamo a lungo, gli uomini liberi e i cristiani autentici a tenersi in disparte rispetto alla tirannia di un mondo fondato sul non avere fondamento, se non il nulla ovvero l’a-teismo e l’empietà come stile di vita.
 

07 dicembre 2017

Cinque tramonti


di Aurelio Porfiri

Nella situazione complessa e difficile in cui ci troviamo ad agire oggi, intra ed extra ecclesiam, non può sorprenderci che ci si trovi a convergere più che spesso con pensatori che non si professano cattolici ma il cui pensiero ci offre più di un elemento utile anche per meglio articolare la nostra battaglia all'interno del cattolicesimo. In questi giorni di politically correct sfrenato, quante volte ci è utile ascoltare un Vittorio Sgarbi, un Diego Fusaro, un Vittorio Feltri e molti altri, che con coraggio cercano di scardinare i catenacci del pensiero unico per liberare il nostro pensiero dalle catene della paura. Uno dei pensatori più importanti in questo senso è senza dubbio il filosofo Marcello Veneziani, attivo anche nel campo giornalistico, ma soprattutto autore di alcuni saggi fondamentali nella elaborazione di una via italiana ad un pensiero che ancora dà importanza alla Tradizione, all'identità, ad un senso della storia che sia al di fuori dalla narrativa che una certa cultura cerca di imporci. Quindi, ogni suo nuovo libro è certamente un avvenimento e lo è certamente anche "Tramonti. Un mondo finisce e un altro non inizia" (2017, Giubilei Regnani), presentato a Roma il 7 Novembre presso il Pio Sodalizio dei Piceni con interventi dell'autore stesso, di Fausto Bertinotti e di Dino Cofrancesco, con la moderazione di Daniele Scalea.
Un libro importante dicevamo, in cui l'autore rileva che "siamo dinnanzi al collasso della modernità e al tramonto di cinque mondi": comunismo, occidente, cristianità, destra e democrazia. Ma, nota l'autore, a fronte di questo sfaldamento non sorge un mondo nuovo. Quindi, diremmo, ci troviamo in questa sorta di "terra di mezzo", gravida di qualcosa a cui non sappiamo dare un nome.
Molto bello il primo capitolo, quello sul comunismo e sulla sua caduta - o per meglio dire trasformazione -, un capitolo assolutamente da leggere non solo per leggere gli scenari politici e sociologici che oggi viviamo, ma anche per capire i cambi paradigmatici in seno alla religione cattolica stessa. Come non pensare anche a un certo cattolicesimo quando Veneziani ci spiega la genesi e lo sviluppo del politically correct? "L'eredità ideologica del comunismo è nel passaggio dal Pc al Pc, ossia dal Partito Comunista al Politically Correct, che è il nuovo PC del nostro tempo, il nuovo canone ideologico e il nuovo codice lessicale a cui attenersi per dividere il mondo tra chi rappresenta la parte giusta e progressiva dell'umanità e chi invece ne rappresenta la parte infame e regressiva". Molto interessante e pregna anche la parte dedicata al cristianesimo, una parte che si estende per ben 62 pagine e in cui l'autore si confronta, con cognizione di causa pur se da osservatore - in un certo qual modo - esterno, con l'eredità di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI (molto intense e sentite, anche originali, le pagine dedicate a quest'ultimo) e certamente affronta anche le problematiche e le sfide che vengono portate dal recente pontificato.
Insomma, un altro libro che offre un contributo di idee interessante da parte del pensatore di Bisceglie; e senz'altro un testo da leggere, anche per cattolici consapevoli (ma poco adulti), con grande attenzione.



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11 febbraio 2017

Globalismo e sovranità: opzioni politiche per l'Italia che verrà



di Alessandro Elia 

Suadere atque agere,” ovvero “persuadere e agire” è il motto del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli, che ieri ha tenuto il convegno “Globalismo e sovranità: opzioni politiche per l'Italia che verrà”. Hanno partecipato tre illustri relatori quali l’economista Ettore Gotti Tedeschi, il giornalista e saggista Marcello Veneziani e l’economista Alberto Bagnai. Di particolare rilevanza è stata la presenza di Matteo Salvini, segretario federale della Lega Nord, deputato ed europarlamentare che ha fatto della difesa della sovranità popolare uno dei suoi cavalli di battaglia.

Il convegno si è proposto il fine di giustificare e spiegare dal punto di vista politico ed economico la reazione populista che sta sorgendo nel palcoscenico politico italiano e internazionale.
Il primo dei relatori, Ettore Gotti Tedeschi, ha voluto parlare partendo dalla sua esperienza professionale che l’ha portato a essere non solo studioso dei grandi processi economici degli ultimi decenni ma anche parte in causa nel ruolo di banchiere o esperto del settore. Ha voluto mettere in chiaro che “se si sbaglia la diagnosi, si sbaglia la prognosi” e quindi la prima cosa da chiedersi per comprendere l’attuale crisi economica è: come ci siamo arrivati? Gotti Tedeschi ha individuato quattro momenti decisivi del graduale processo che è giunto fino ai nostri giorni, nei quali stiamo assistendo alla quarta e ultima tappa, “la spartizione del cadavere”, dato che, economicamente parlando, il nostro paese è a tutti gli effetti morto. Negli anni settanta c’è stato un primo segno di indebolimento del nostro paese dovuto alla constante crescita del PIL non adeguatamente sostenuta da una crescita demografica, la quale invece si trovava in graduale calo. Il problema demografico può essere ricondotto alla disgregazione del nucleo famigliare dovuto alle rivoluzionarie tendenze sessantottine e al lassismo morale della gerarchia ecclesiastica che, essendo imbevuta dello spirito conciliare, non è stata una guida stabile nei princìpi morali come lo era prima. Il colpo mortale è stato messo in atto con l’Euro, una moneta così forte da penalizzare le imprese esportatrici italiane costringendole così ad andare all’estero. Infine il “colpo di grazia” è stato inflitto con la catastrofica crisi del 2008 in cui gli Stati Uniti, pur di salvare le banche, hanno nazionalizzato il debito privato raddoppiando in questo modo il debito pubblico.

Marcello Veneziani ha spiegato che l’unica autentica novità politica degli ultimi venti anni è stata il populismo, una reazione al “sistema globalitario” (neologismo coniato da Veneziani), il quale è alimentato da due fattori: il mercato globale liberista accompagnato dal progresso tecnologico e un’ideologia planetaria radical chic di derivazione marxista. Questa ideologia totalizzante, identificabile con il “politicamente corretto”, odia essenzialmente tutto ciò che è reale e considera la cultura come emancipazione dalla natura. Il populismo è stato l’unico fenomeno in grado di combattere il mondialismo e si è caratterizzato, nelle sue diverse manifestazioni, con quattro capisaldi che ne costituiscono il comune denominatore in tutti i paesi. Primo fra questi la sovranità, intesa non come iper-democratismo popolare ma come rispetto e valorizzazione dei legami tradizionali e del tessuto sociale di un popolo. Altro punto irrinunciabile è il limite, perché una società che ne faccia a meno diviene priva di regole, senza ordine né misura e regna il relativismo. Terzo punto comune a tutti i populismi è la protezione economica, “variamente intesa e determinata” che non è riducibile al semplice “protezionismo” di cui è insensatamente accusato Donald Trump. Infine, la ripresa del tema della famiglia che indica la necessità di tornare alla realtà e al diritto naturale, perché non esistono civiltà senza famiglia. Veneziani ha voluto altresì ricordare che non basta una reazione popolare ma bisogna formare una classe politica che in futura sappia governare, perché – Aristotele docet – il popolo non può essere ad un tempo il governato e il governante.

Infine Alberto Bagnai ha fatto notare come sia un vantaggio per l’economia di scala – a scapito dei popoli - cancellare le differenze – persino le più evidenti come quelle tra uomo e donna - per creare un “uomo globale” ovvero un consumatore indistinto dai gusti conformisti; in questo modo le multinazionali e le potenti oligarchie, avendo ampliato la dimensione della domanda, potranno rendere il processo di produzione più efficace per guadagnarci. Bagnai ha sottolineato l’importanza di ristabilire la “mediazione democratica” per arginare l’impatto politico e sociale delle multinazionali che non agiscono negli interessi del popolo.
Il convegno è stato permeato da un clima di speranza in una rinascita delle identità europee e di determinazione per non farsi scappare la ghiotta occasione che oggi si presenta di arrestare la marcia distruttiva del “sistema globalitario”.

(versione completa dell'articolo apparso su La Verità)

 

04 gennaio 2013

"Dio, Patria e Famiglia"

di Giuliano Guzzo

Dopo il lungo tramonto, la notte; e dopo la notte, per quanto buia, nuovamente l’alba. Si muove confidando in questa ciclicità, la prospettiva che Marcello Veneziani offre nel suo ultimo libro – Dio, patria e famiglia (Mondadori 2012, pp. 151) – col quale legge la crisi contemporanea e ne pronostica, strada facendo, il superamento. Larga parte dei nostri guai, secondo l’Autore, deriva dall’eclissi dell’antica triade che intitola l’opera e potremo uscirne solo nella misura in cui si verificherà un recupero dei valori estinti o comunque sotto attacco.