di Fabio Petrucci
Nella giornata di martedì, a seguito della richiesta pervenuta dalle autorità di Damasco e del voto favorevole del Senato di Mosca, la Russia è ufficialmente scesa in campo nello scenario militare siriano. L'iniziativa del Cremlino è giunta a poche ore di distanza dall'intervento di Vladimir Putin all'Assemblea Generale dell'ONU e dal poco fruttuoso faccia a faccia con l'omologo statunitense Barack Obama. La discesa in campo di Mosca al fianco del governo siriano sembra poter determinare sostanziali cambiamenti nelle vicende belliche e politiche che coinvolgono la Siria e l'intero Medio Oriente. Essa è inoltre l'inequivocabile segnale di conferma di un cambiamento nel quadro geopolitico mondiale: il ritorno della Russia al rango di grande potenza dopo il declino seguito al crollo dell'Unione Sovietica. Un risultato certamente frutto delle abilità diplomatiche dimostrate da Vladimir Putin e Sergej Lavrov nel corso degli anni, ma anche degli errori e del basso livello dei loro “antagonisti” internazionali.
Dal
mondo occidentale, in particolare dagli Stati Uniti, si sono alzate quasi
immediatamente dure accuse al Cremlino: in primis quelle di aver posto in atto
un'aggressione e di aver colpito i cosiddetti “ribelli” anziché l'ISIS. A
queste accuse si è poi aggiunta quella di aver provocato vittime civili nel
corso dei raid. Ma proviamo ad entrare nel dettaglio.
La
prima accusa, esplicitata dal segretario alla difesa USA Ash Carter, risulta
spiccatamente paradossale poiché l'intervento militare russo è stato richiesto
dal legittimo governo di Damasco, quello cioè che ancora oggi rappresenta la
Siria all'ONU: si tratta quindi di un intervento concordato tra Stati sovrani
su basi bilaterali. Viceversa, la cosiddetta “coalizione” a guida USA bombarda
il territorio siriano da oltre un anno fuori da qualsiasi mandato ONU e senza
alcuna richiesta da parte delle autorità siriane. Quindi, in punta di logica e
di diritto internazionale, la posizione dei russi appare molto più solida e
fondata di quella americana. A dimostrazione della legittimità dell'azione del
Cremlino si potrebbe ricordare, per fare un esempio recente, quanto accaduto in
Mali a partire dal gennaio 2013, quando il legittimo governo dello Stato
africano richiese l'intervento francese per fronteggiare il separatismo
jihadista affiliato ad “al-Qāʿida”.
In quell'occasione l'azione francese trovò anche legittimazione in sede ONU.
Inoltre, l'accusa di aggressione formulata da Carter appare ancora più
paradossale se si considera che da ormai quattro anni gli Stati Uniti
finanziano ed addestrano l'opposizione armata al governo di Damasco, ormai
confluita in gran parte nella galassia del jihadismo.
E
giungiamo così alla seconda accusa, quella secondo cui i raid russi avrebbero
colpito i “ribelli” piuttosto che obiettivi dell'ISIS. Per comprendere quanto
accaduto è necessario aver chiaro lo scopo primario della discesa in campo di
Mosca, la cui azione è diretta contro tutti i gruppi terroristici di
ispirazione jihadista attivi in Siria, non solo il “Califfato”. Tra questi
gruppi il più forte e radicale è rappresentato da “Jabhat al-Nusra”, formazione d'ispirazione qaidista,
sostanzialmente ritenuta dagli USA un'alleata sia contro il governo laico di
Damasco che contro l'ISIS. Altro gruppo di chiara impostazione estremista è il “Fronte Islamico”. In questo momento
questi due movimenti sono tra i più forti nel campo dell'opposizione
anti-Assad, e quindi funzionali al principale obiettivo statunitense in Siria.
È paradossale che formazioni chiaramente legate alla famigerata “al-Qāʿida”, la stessa dell'attentato
alle Torri Gemelle, vengano ora considerate alleate dallo stesso paese, gli
Stati Uniti, che ha giustificato guerre come quelle in Afghanistan ed Iraq
sulla base della lotta al terrorismo di matrice qaidista. È altresì segno di
grande ipocrisia la circostanza per cui “al-Qāʿida”
in Mali è stata combattuta dagli alleati francesi degli USA, mentre “al-Qāʿida” in Siria non dovrebbe subire
gli attacchi dell'aviazione russa. Sarebbe interessante comprendere le
sostanziali differenze tra l'ISIS ed organizzazioni come “Jabhat al-Nusra” ed il “Fronte
Islamico”. Del resto, come sottolineato da Putin all'ONU ed ammesso anche
dall'amministrazione americana, non è raro che gruppi di cosiddetti “ribelli”,
addestrati dal Pentagono, abbiano poi defezionato unendosi all'ISIS e portando
in dote al “Califfato” armi sofisticate fornite dalla Casa Bianca. Inoltre
giova ricordare che per la Russia l'impegno contro tali formazioni ha anche una
valenza interna, poiché tra i miliziani di “Jabhat
al-Nusra” non mancano esponenti del cosiddetto “Emirato del Caucaso”.
Addirittura un'altra formazione terroristica attiva in Siria, affiliata prima
all'ISIS ed ora a “Jabhat al-Nusra”,
la “Brigata Muhajireen”, è guidata
proprio da miliziani caucasici. Quanto detto non significa che tutti i gruppi
di opposizione ad Assad siano nel mirino dei russi. Come ricordato dal ministro
Lavrov appena ieri, il cosiddetto “Esercito
Libero Siriano” è considerato da Mosca come un interlocutore necessario per
gli assetti futuri del paese, sebbene sia ancora da capire quali siano
l'effettiva consistenza di tale organizzazione ed i suoi rapporti con gli
estremisti.
I
primi raid dell'aviazione russa hanno interessato le province di Hama, Homs e
Latakia, in cui la presenza dei cosiddetti “ribelli” è più massiccia di quella
dell'ISIS (comunque presente da alcuni mesi). Il fatto che l'aviazione russa
abbia iniziato da queste regioni non deve stupire, poiché si trovano non
lontano dai centri nevralgici da cui viene coordinata l'azione russa in Siria:
le basi militari di Tartus e Latakia. Difendere le due basi da possibili
attacchi dei jihadisti è il primo passo per poter avviare un'offensiva più
ampia. C'è inoltre la necessità di evitare che l'ISIS, presente nella regione
di Homs, ottenga il controllo dell'autostrada che collega Damasco alle
roccaforti costiere e settentrionali.
Contestualmente
all'inizio delle operazioni dell'aviazione russa hanno cominciato a circolare
notizie relative a presunte vittime civili (anche bambini). Tali resoconti sono
stati diffusi dal discusso “Osservatorio siriano per i diritti umani” con sede
a Londra e dall’ONG dei “White Helmets”,
finanziata da George Soros. In realtà, le zone colpite dai raid sono state
quasi completamente abbandonate dai civili già da alcuni mesi e si ritrovano ad
essere terreno delle scorribande dei jihadisti. Ben presto è giunta la smentita
di Mosca alle accuse occidentali, mentre sui social network sono circolate le
prime evidenze dell'utilizzo di foto relative ad eventi del passato adoperate
per avvalorare la tesi delle vittime civili. Si tratta dell'ennesima prova
dell'uso propagandistico dei media, ormai ridotti a strumento di guerra
diplomatica e psicologica. Prova di ciò è data dal fatto che sui giornali ed in
TV non fanno notizia i bombardamenti della “coalizione” a guida USA, che vanno
avanti da oltre un anno e paiono non aver sortito alcun esito determinante
nell'arresto dell'avanzata del “Califfato”. Quasi nel silenzio dei media è
passata la morte di dodici presunti “bambini soldato” nel corso di un attacco
francese compiuto pochi giorni fa, così come non fanno notizia le centinaia di
morti in Yemen a causa dei bombardamenti compiuti dall'Arabia Saudita, paese
tra i maggiori finanziatori delle forze anti-Assad ed inglobato nella medesima
coalizione a guida USA che dovrebbe combattere l'ISIS.
Quel
che viene in evidenza in questi giorni è la totale illogicità della strategia
statunitense. L'amministrazione Obama, estremamente carente in realismo ed
incapace di ammettere le proprie responsabilità per il disastro in atto in
Siria, pare ormai chiusa in un "cul-de-sac" da cui uscire non sarà né
indolore né facile. Ed in fondo non è poi così avventato il curioso paragone di
Vladimir Putin all'ONU, secondo cui la strategia statunitense sembra
caratterizzata da errori molto simili a quelli commessi nel secolo scorso dalla
defunta Unione Sovietica. Inutile ricordare che quest'ultima finì per
implodere, dando vita ad uno sconvolgimento geopolitico di immani dimensioni.
Pubblicato il 02 ottobre 2015
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