di Luca Gili
Nel mio precedente intervento su Campari e de Maistre,
osservavo ironicamente che la qualità della formazione intellettuale del clero
lascia molto a desiderare. Il mio era solo un accenno, che magari può risultare
di facile comprensione a chi conosce l'ambiente, ma che andrebbe provato con
maggiore dovizia di dettagli.
Mi pare opportuno ritornarci ora, dal momento che, tra le
reazioni ai recenti scandali vaticani, si segnala l'intervista rilasciata daVittorio Messori a VaticanInsider.
Messori non rileva certo per la prima volta che le miserie umane del clero non
devono sorprendere chi conosca anche solo superficialmente la Chiesa e la
storia della Chiesa. E' senz'altro motivo di profondo dolore sapere che il Papa
sia stato tradito da persone a lui così vicine, se si confermerà la
responsabilità del suo attendente di camera nel passare alla stampa documenti
riservati. Ma Messori ha ragione nel sottolineare che chi si sorprende non
conosce bene la storia - e, aggiungerei io, non conosce le miserie che ci sono
nel cuore di ogni uomo, non conosce insomma che cos'è il peccato originale.
Lo scrittore cattolico aggiunge però questa volta una
osservazione ulteriore, che mi pare meritevole di attenzione: ciò che più lo
sorprende è la mediocrità del clero - intesa dal punto di vista intellettuale;
una mediocrità che, osserva Messori, è effettivamente una (spiacevole) novità.
Riflessioni analoghe sono state sviluppate anche 'da sinistra': in un fondo uscito sul Corriere,
Alberto Melloni propone in sostanza la stessa analisi di Messori. Se persone
con una estrazione culturale tanto diversa rilevano lo stesso problema, è forse
il caso di prendere sul serio la questione che sollevano.
Chi scrive frequenta da qualche tempo gli ambienti
ecclesiastici dall'interno e ne ha ricavato la medesima impressione. E' ovvio
che si tratta di una impressione 'nasometrica': valutare la qualità della
formazione intellettuale del clero richiederebbe una attenta analisi di dati di
cui io non sono in possesso - e di cui credo nessuno al momento disponga. Chi
si prendesse la briga di consultare su Scimago la produzione scientifica di
studiosi residenti in Vaticano, o con indirizzo vaticano, troverebbe lo
sconfortante dato secondo cui dal 1996 al 2010 sono stati prodotti soltanto quattro papers. Ma questo, ovviamente, significa ben poco, perché molti studiosi attivi
nelle università pontificie possono avere segnalato affiliazioni non vaticane,
e non è un mistero che Scopus (su cui Scimago si basa) non indicizza pressoché
alcuna rivista teologica o filosofica pubblicata dalle Università pontificie
romane[1].
Altri dati oggettivi potrebbero essere ricavati considerando
il ranking delle riviste pubblicate dalle università pontificie. Come è noto,lo European Reference Index for the Humanities lista anche le pubblicazioni in'Religious studies and Theology'.
Si apprenderà quindi che soltanto tre riviste in fascia A che possano essere
considerate un'emanazione di atenei pontifici (Orientalia Christiana Periodica,
Gregorianum e Biblica), laddove
le pur numerose altre pubblicazioni hanno un ricevuto un giudizio più severo.
Le cose non vanno meglio a filosofia, in cui non compaiono riviste di atenei
pontifici nell'ultima lista pubblicata nel 2011 fra i periodici classificati
con il massimo dei voti. Ciò non toglie ovviamente che singoli studiosi, che
lavorano in facoltà ecclesiastiche, possano condurre ricerca all'avanguardia,
il cui valore sia riconosciuto a livello internazionale - e potrei fare molti
nomi di questi studiosi - ma mi pare opportuno soprassedere, dal momento che di
certo ne dimenticherei alcuni. Ciò che sorprende è vedere che tutti costoro - o
almeno, quanti a mia conoscenza hanno un curriculum decente - si sono formati
altrove.
Le cose non migliorano se si considera la qualità della
formazione intellettuale attualmente offerta ai seminaristi e ai futuri
chierici.
Non è un mistero inoltre che ai seminaristi non è richiesta
la conoscenza delle lingue classiche - e i test che sono loro fatti per la
conoscenza del greco e del latino sono semplicemente[2]
ridicoli[3].
Moltissimi seminaristi ignorano l'inglese - lingua nella quale oggi si fa ricerca,
anche negli humaniora, che pure dovrebbero essere il terreno privilegiato degli
studi del clero: si dirà che non a tutti è richiesto di fare ricerca, ma se si
nega allo studente l'accostamento alle frontiere del dibatitto, la sua
formazione intellettuale sarà già obsoleta, incapace di incontrare le sfide che
si pongono oggi. Senza considerare che la conoscenza dell'inglese ha anche
ovvie utilità 'pastorali'.
In poche parole, la situazione, anche dal mio piccolo
osservatorio, è decisamente sconfortante.
In un prossimo articolo, cercherò di spiegare perché è
necessario prendere sul serio la formazione intellettuale del clero. La riforma
della società, diceva san Pio X, nasce dalla riforma della Chiesa. E
quest'ultima si avrà con una buona formazione (spirituale innanzi tutto, ma
anche intellettuale) del clero.
[1] Questa
sarebbe già una utile informazione sulla qualità delle riviste pubblicate. Ma
forse è meglio non infierire.
Ritengo che alla crisi intellettuale si accompagni la crisi di fede: come si può amare Qualcuno che non si conosce? Forse è solo una mia impressione.
RispondiEliminaUn intellettualista come san Tommaso sarebbe senz'altro d'accordo. Del resto, si ama Dio se lo si conosce, lo si conosce amandolo.
RispondiEliminaLe due cose vanno a braccetto.
Il punto è questo, se uno guarda all'essenza della cosa. Io volevo fare un discorso molto più superficiale, ma sono grato a Riccardo che solleva il punto nodale.