di Luca Gili
Qualche persona che fraintenda il significato dell'umiltà
potrebbe essere tentata di dire che in fondo non è un male se gli uomini di
Chiesa non fanno ricerca ad alto livello: purtroppo non è raro ascoltare queste
sciocchezze fra gli uomini di Chiesa, ed anche sulla bocca di molti che il
destino cinico e baro ha destinato alla 'formazione' delle nuove leve del
clero.
Certo, come è noto, la Scrittura non sembra raccomandare la
scienza: 'qui auget scientiam auget et dolorem' (Qohelet 1.18), 'scientia
inflat, caritas vero aedificat' (1 Cor. 8.1). Eppure, la tradizione e la storia
della Chiesa - e, nel suo piccolo, la storia dell'Ordine religioso a cui
immeritatamente appartengo - hanno sempre raccomandato e promosso lo 'studium
litterarum'.
La soluzione, come sempre, ci è offerta da san Tommaso, che
in Summa Theol. IIa-IIae, qu. 188 art. 5 si chiede se sia legittimo istituire
un ordine religioso dedito allo studio.
Nella seconda obiezione Tommaso riferisce che san Girolamo -
che pure fu un letterato di vaglia -, glossa la lettera a Tito scrivendo queste
parole: 'antequam, diaboli
instinctum studia in religione fierent, et diceretur in populis, Ego sum Pauli,
ego Apollo, Ego Cephae [...]'. Sembrerebbe quindi che gli studi sono stati introdotti
per suggestione diabolica. San Tommaso, nel rispondere a questa obiezione, si
allacia appunto a 1 Cor. 8.1-2, ed afferma che effettivamente gli studi
disgiunti dalla carità gonfiano d'orgoglio, ma se congiunti con la carità
portano alla edificazione della Chiesa. San Girolamo, evidentemente, si
riferiva a studi disgiunti dalla carità, che portano solo a dissidi e a eresie.
Tre sono i motivi fondamentali per i quali san Tommaso
ritiene che sia giusto e doveroso che esistano ordini religiosi dediti allo
studio.
a) Lo studio aiuta la vita contemplativa, perché illumina
l'intelletto, proponendogli le verità teologiche sulle quali meditare;
indirettamente, lo studio rimuove gli ostacoli alla contemplazione, che sono
costituiti dagli errori in materia di dottrina.
b) In secondo luogo, lo studio è necessario 'ad praedicandum
et ad alia huiusmodi exercendum'. Questo punto è fondamentale e la Scrittura
non manca di sottolinearlo (cf. Tit 1.9). Ci tornerò nel prosieguo.
c) Lo studio costituisce poi una forma di penitenza, che
sottrae dai pensieri carnali e terreni e costituisce un'ottima forma di
obbedienza.
Ora, a molti ecclesiastici sfugge che il secondo punto è
vitale. Anche qui posso portare soltanto evidenze aneddotiche, ma ho sempre
trovato non privo di interesse il fatto che molti miei amici hanno una certa
diffidenza verso la Chiesa proprio per la cialtroneria di cui il clero dà prova
in molte sue pubblicazioni (l'elenco delle quali è pressoché pleonastico).
Questo, va detto, non include quanti - laici e religiosi - fanno ricerca in modo
infaticabile ed egregio: ringraziando Dio sono ancora in tanti.
Eppure a me pare legittimo sottolineare un problema
strutturale: la moltiplicazione di facoltà teologiche fa sì che queste persone
di valore non possano raggiungere tutti i seminaristi e i religiosi in
formazione. Esistono facoltà teologiche con pochissimi studenti, le quali, per
rimanere aperte, sono giocoforza costrette a reclutare docenti non sempre con
le qualifiche adeguate - docenti che non hanno mai fatto ricerca ad un livello
accettabile. Una migliore allocazione delle risorse umane permetterebbe
senz'altro di innalzare la qualità della docenza. Ma, per fare questo, chi ha
ruoli di responsabilità nella Chiesa dovrebbe essere tanto umile da riconoscere
l'urgenza del cambiamento. E per riconoscere questa urgenza, ahimè, è
necessaria anche un po' di cultura.
I recenti Vaticanleaks ci consentono di rilevare che questi
punti da me compendiati sono ben chiari a don Julian Carron, attuale guida del
movimento di Comunione e Liberazione, e autore di una lettera riservata al
nunzio apostolico in Italia sulla nomina del successore del card. Tettamanzi
alla guida dell'arcidiocesi milanese. I giornali si sono concentrati sul fatto
che Carron fa il nome del cardinale Angelo Scola, ma è bene prestare attenzione
alle preoccupazioni del sacerdote spagnolo per la chiesa ambrosiana -
preoccupazioni che, a suo dire, sono dettate anche dalla scarsa incisività (mi
si passi l'understatement) del governo dell'arcidiocesi da parte dei cardinali
Martini e Tettamanzi.
Carron osserva che 'l'insegnamento teologico per i futuri
chierici e per i laici, sia pur con lodevoli eccezioni, si discosta in molti
punti dalla Tradizione e dal Magistero'; inoltre, 'negli ultimi trent'anni
abbiamo assistito a una rottura di questa tradizione [ambrosiana], accettando
di diritto e promuovendo di fatto questa frattura tipica della modernità tra
sapere e credere, a scapito dell'organicità dell'esperienza cristiana, ridotta
a moralismo e intimismo' (lettera pubblicata in G. Nuzzi, Sua Santità,
Chiarelettere: Milano, 2012, p. 301).
Questo problema non è solo milanese, ma sembra affliggere
gran parte della Chiesa. E' per questo che è più che mai indispensabile
impegnarsi nell'attività intellettuale con serietà e rigore, per non separare
il sapere dal credere.
Però queste affermazioni di Carron sono state autorevolmente smentite da Scola davanti al Papa in Duomo, il mattino del 2 giugno, con tutto il clero ambrosiano presente:
RispondiEliminahttp://www.chiesadimilano.it/polopoly_fs/1.60257.1338624908!/menu/standard/file/01_introduzione%20del%20card%20Scola.doc
Inoltre ecco sempre di Scola una netta presa di distanza da Carron, al consiglio presbiterale di Milano: http://www.incrocinews.it/chiesa-diocesi/verso-l-anno-della-fede-1.60793
RispondiEliminaCaro Anonimo,
RispondiEliminaScola ha difeso - secondo me sbagliando - i suoi due predecessori. Ma anche questa è politica.
L'analisi di Carron sullo stato delle facoltà teologiche non mi pare scalfita dagli interventi del cardinale.