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14 gennaio 2019

Ipotesi sulla genealogia di Gesù/4

di Marco Muscillo
(Puntata precedente)
La mia ipotesi, che probabilmente non sarà nuova agli esperti (categoria alla quale non appartengo), si basa completamente sulla mia riflessione e meditazione delle Sacre Scritture e la mia fonte è solamente quella, al netto di brevi commenti letti via web. Per sbrogliare alcuni enigmi sono andato a vedere cosa diceva a riguardo la mistica agostiniana Anna Katherina Emmerick. È inusuale che in uno studio si dia attendibilità eccessiva ai veggenti, ma c’è anche da considerare che la monaca di Dulmen era analfabeta, malata, e non aveva mai letto la Bibbia. Inoltre, la veridicità delle sue visioni è stata già provata in un caso, quando seguendo le sue indicazioni è stata ritrovata la casa di Maria Vergine ad Efeso. L’archeologia quindi si è già fidata di lei, perché non potrebbe farlo anche la genealogia?

Inoltre va ricordato che è difficile fare una ricostruzione storica con delle fonti i cui autori non avevano l’intenzione di essere attendibili storicamente, quanto piuttosto di darne un significato teologico. Abbiamo già detto che Matteo parla agli ebrei e per dimostrare che Gesù è il Messia, usa la gematria. Il suo è uno stile messianico, rivolto ai dottori della Legge e alla casta sacerdotale. Egli non è interessato ad indicare tutti i nomi dell’ascendenza di Gesù, ma piuttosto vuole far capire attraverso la scienza teologica che Gesù è il nuovo Davide, il Messia atteso. Anche il Cronista dell’Antico Testamento appartiene alla casta sacerdotale. Il suo intento è quello di ricostruire un’identità non solo storica, ma soprattutto religiosa, per fare in modo che il popolo della Promessa, non si dimentichi del suo Dio, dopo gli anni d’oblio dell’esilio babilonese, quando tutto il culto era stato sospeso.

Solo l’Evangelista Luca è storicamente più accurato, ma ciò non implica che la sua genealogia sia completa: anche lui parla con linguaggio gematrico, dove predominanti sono i numeri 7, 11 e 77.
Quello che qui ho scritto potrebbe essere una base di ulteriori verifiche, cercando altre fonti, magari ebraiche e babilonesi. Sicuramente il Tempio di Gerusalemme raccoglieva i censimenti degli israeliti, soprattutto quelle della dinastia davidica. Quel che era scritto nei registri del Tempio, potrebbe essere stato tramandato dalla tradizione ebraica, talmudica. Non credo si possa trovare il nome di Gesù, perché la Beata Emmerick dice che i farisei, nemici di Gesù, eliminarono tutto ciò che potesse ricondurre Nostro Signore alla stirpe di Davide. Tuttavia potrebbero esserci alcuni dei nomi da noi considerati, come ad esempio Eli/Giacchino figlio di Mattat, o Giacobbe figlio di Levi, e magari confermare la loro parentela stretta.

Ma la cosa più importante è ricordare che pur se è qualcosa di affascinante ricostruire la genealogia storica di Gesù, tuttavia non è fondamentale. Anzi, sarebbe sbagliato non considerare l’aspetto più importante: che tutti i battezzati sono figli di Dio e chiamati ad essere eredi del Suo Regno. La genealogia di Gesù ci ricorda che Egli è la storia, è la storia dell’uomo da Adamo fino alla Fine dei Tempi, Egli è l’uomo, è l’umanità stessa, l’Alfa e l’Omega. San Giovanni ce lo ricorda: “E Pilato disse loro: «Ecco l'uomo!»” (Gv 19,5).

Se Gesù è l’uomo in quanto tale, noi siamo tutti chiamati ad essere madri, fratelli, sorelle del Messia:
Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Mc 3, 31-35).

Siamo dunque tutti chiamati a entrare a far parte dell’albero genealogico di Gesù. Ce lo chiede Lui stesso ed è Sua Volontà poterci chiamare tutti fratelli e sorelle: “Come vorrei che tu fossi mio fratello, allattato al seno di mia madre!” (Ct 8,1).  Questo Suo desiderio si è realizzato quando dalla croce ci ha donato la Sua madre carnale, perché anche noi possiamo rinascere in Lui.

Fine
 

09 gennaio 2019

Ipotesi sulla genealogia di Gesù/3

di Marco Muscillo
puntata precedente
Ma c’è un’altra questione che dobbiamo considerare. Sappiamo infatti che Geremia pronuncia un oracolo di maledizione contro Ieconia e la sua stirpe:

«Per la mia vita - oracolo del Signore - anche se Conìa figlio di Ioiakìm, re di Giuda, fosse un anello da sigillo nella mia destra, io me lo strapperei. Ti metterò nelle mani di chi attenta alla tua vita, nelle mani di coloro che tu temi, nelle mani di Nabucodònosor re di Babilonia e nelle mani dei Caldei. Sbalzerò te e tua madre che ti ha generato in un paese dove non siete nati e là morirete. Ma nel paese in cui brameranno tornare, là non torneranno. È forse questo Conìa un vaso spregevole, rotto, oppure un vaso che non piace più a nessuno? Perché sono dunque scacciati, egli e la sua discendenza, e gettati in un paese che non conoscono?».
Terra, terra, terra! Ascolta la parola del Signore! Dice il Signore: «Registrate quest'uomo come uno senza figli, un uomo che non ha successo nella sua vita, perché nessuno della sua stirpe avrà la fortuna di sedere sul trono di Davide né di regnare ancora su Giuda». (Ger 22,24-30).


Il Signore promette dunque che il re Ieconia non avrà discendenza che siederà sul trono di Davide. Dice infatti il Signore di considerare Ieconia come “uno senza figli”, perché “nessuno della sua stirpe avrà la fortuna di sedere sul trono di Davide” . La maledizione pronunciata contro la discendenza di Ieconia impedisce quindi che il Messia possa discendere dalla sua stirpe.
Questo oracolo può essere interpretato come compiuto con la nascita di Gesù. Se infatti se Gesù è figlio carnale di Maria, la quale discende da Natan, il Messia discende da Natan e non dalla stirpe di sangue dei re. Tuttavia, come ci ricorda San Matteo, l’Angelo ordina a Giuseppe di imporre il nome al bambino di Maria, per porlo legalmente nella discendenza reale, che comunque comprende il nome di Ieconia. Quindi questa interpretazione ha un suo punto debole.
Gli ebrei che non credono che Gesù sia il Messia, ritengono invece che la maledizione di Ieconia valga soltanto per i suoi figli e non per i successivi discendenti. Ma questo tipo di interpretazione serve solo ad aggirare le parole pronunciate per mezzo del profeta Geremia e anche l’ipotesi cristiana sopra esposta, seppur sufficiente a spiegare gli eventi, potrebbe non essere completa.
Che Ieconia abbia avuto mogli e figli potrebbe confermarcelo anche la Scrittura. In 2Re 24,15 leggiamo che Nabucodonosor “deportò in Babilonia Ioiachìn, la madre del re, le mogli del re, i suoi eunuchi e le guide del paese, conducendoli in esilio da Gerusalemme in Babilonia”. Lo stesso passo di Geremia 22 indirettamente potrebbe farci capire che Ieconia avrà una stirpe, ma nessuno proveniente da essa siederà sul trono.

Nel terzo capitolo del primo libro delle Cronache troviamo un’altra genealogia della stirpe davidica, che arriva a nominare varie generazioni dopo il ritorno da Babilonia:
Questi sono i figli che nacquero a Davide in Ebron: il primogenito Amnòn, nato da Achinoàm di Izreèl; Daniele secondo, nato da Abigàil del Carmelo; Assalonne terzo, figlio di Maaca figlia di Talmài, re di Ghesur; Adonia quarto, figlio di Agghìt; Sefatìa quinto, nato da Abitàl; Itràm sesto, figlio della moglie Egla. Sei gli nacquero in Ebron, ove egli regnò sette anni e sei mesi, mentre regnò trentatré anni in Gerusalemme. I seguenti gli nacquero in Gerusalemme: Simèa, Sobàb, Natàn e Salomone, ossia quattro figli natigli da Betsabea, figlia di Ammièl; inoltre Ibcàr, Elisàma, Elifèlet, Noga, Nefeg, Iafia, Elisamà, Eliadà ed Elifèlet, ossia nove figli. Tutti costoro furono figli di Davide, senza contare i figli delle sue concubine. Tamàr era loro sorella.
Figli di Salomone: Roboamo, di cui fu figlio Abia, di cui fu figlio Asa, di cui fu figlio Giòsafat, di cui fu figlio Ioram, di cui fu figlio Acazia, di cui fu figlio Ioas, di cui fu figlio Amazia, di cui fu figlio Azaria, di cui fu figlio Iotam, di cui fu figlio Acaz, di cui fu figlio Ezechia, di cui fu figlio Manàsse, di cui fu figlio Amòn, di cui fu figlio Giosia. Figli di Giosia: Giovanni primogenito, Ioakìm secondo, Sedecìa terzo, Sallùm quarto. Figli di Ioakìm: Ieconia, di cui fu figlio Sedecìa.
Figli di Ieconia, il prigioniero: Sealtièl, Malchiràm, Pedaià, Seneazzàr, Iekamià, Hosamà e Nedabia. Figli di Pedaià: Zorobabele e Simei. Figli di Zorobabele: Mesullàm e Anania e Selomìt, loro sorella. Figli di Mesullàm: Casubà, Oel, Berechia, Casadia, Iusab-Chèsed: cinque figli. Figli di Anania: Pelatia, di cui fu figlio Isaia, di cui fu figlio Refaià, di cui fu figlio Arnan, di cui fu figlio Abdia, di cui fu figlio Secania. Figli di Secania: Semaià, Cattùs, Igheal, Barìach, Naaria e Safàt: sei. Figli di Naaria: Elioenài, Ezechia e Azrikàm: tre. Figli di Elioenài: Odavià, Eliasìb, Pelaià, Akub, Giovanni, Delaià e Anani: sette. (1Cr 3)


Le Cronache quindi attribuiscono a Ieconia sette figli, ma la discendenza di cui tratta in seguito appartiene ai figli di Zorobabele, il quale, a differenza di quanto ci dicono i Vangeli di Matteo e Luca, è figlio di Pedaià e non di Sealtièl (Salatiel). Ma ciò potrebbe spiegarsi considerando la legge del levirato: Pedaià potrebbe aver sposato la vedova di Sealtièl per dare discendenza al fratello. La stranezza però riguarda il fatto che non si indichi la discendenza degli altri cinque figli di Ieconia.
Sappiamo che Ieconia “aveva diciotto anni, quando divenne re; regnò tre mesi in Gerusalemme” (2Re 24,8) e che:
Ora, nell'anno trentasettesimo della deportazione di Ioiachìn re di Giuda, nel decimosecondo mese, il venticinque del mese, Evil-Merodàch re di Babilonia, nell'anno della sua ascesa al regno, fece grazia a Ioiachìn re di Giuda e lo fece uscire dalla prigione. Gli parlò con benevolenza e pose il seggio di lui al di sopra dei seggi dei re che si trovavano con lui a Babilonia. Gli cambiò le vesti da prigioniero e Ioiachìn mangiò sempre il cibo alla presenza di lui per tutti i giorni della sua vita. Il suo sostentamento, come sostentamento abituale, gli era fornito dal re di Babilonia ogni giorno, fino al giorno della sua morte, per tutto il tempo della sua vita. (Ger 52,31-34)

Ieconia fu un re che salì diciottenne al trono, ma che ebbe la sfortuna di regnare solo tre mesi, prima di subire una prigionia in esilio durata trentasette anni. Il re babilonese Evil-Merodàch fece cessare la prigionia del re di Giuda quando quest’ultimo aveva ormai 55 anni. Probabilmente anche tutta la sua famiglia subì la stessa lunghissima prigionia e dobbiamo anche ritenere probabile che questa sia stata molto dura. Se Ieconia aveva avuto figli prima dell’esilio (anche se in 2Re 24,15 vengono nominate le mogli, ma non dei figli), è probabile che possano essere morti a causa delle dure condizioni di vita cui erano sottoposti.

La genealogia proposta dal Cronista ci fa supporre che Pedaìa sia l’unico figlio di Ieconia rimasto in vita e che per dare discendenza al primogenito Sealtièl ne sposò la vedova. A supporto di ciò vediamo che nella Scrittura del Vecchio Testamento, e quindi non solo nei Vangeli, Zorobabele viene quasi sempre indicato come figlio di Sealtièl (Ne 12,1).

Ma la genealogia di Luca ci dice che Salatiel è figlio di Neri, della stirpe di Natan, ramo cadetto della stirpe dei re. Chi ha dunque ragione? Secondo la mia riflessione, in fatto di accuratezza storica ha ragione San Luca. La mia ipotesi è che da Babilonia sia ritornata in Israele solo la discendenza di Natan, mentre sia del tutto scomparsa la discendenza di Salomone. A questo punto, come accade in tutte le dinastie regali, esauritosi il ramo principale dinastia, l’eredità sarebbe passata al ramo cadetto. Se ciò fosse vero, Sealtièl potrebbe essere davvero figlio di Neri, della stirpe di Natan, divenuto l’unico erede della casata reale di Giuda alla morte di Ieconia e successivamente morto anch’egli prima di poter avere una discendenza: in questo caso anche il Pedaìa delle Cronache potrebbe essere un secondo figlio di Neri. Oppure Sealtìel potrebbe davvero essere il primogenito di Ieconia, ma essendo probabilmente morto prima di dare discendenza, la legge del levirato sarebbe stata applicata per Pedaìa, probabile figlio naturale di Neri, discendente di Natan. In quest’ultimo caso Zorobabele discenderebbe carnalmente dalla stirpe di Natan, mentre legalmente sarebbe comunque figlio di Sealtièl, della stirpe di Salomone.

È difficile propendere per l’una o l’altra ipotesi, senza altri indizi a conferma. La parola “figlio” potrebbe non sempre avere un significato preciso di figliolanza diretta. Il Cronista al versetto 16 del terzo capitolo ci dice: “ Figli di Ioakìm: Ieconia, di cui fu figlio Sedecìa”. Sembra quindi che Ieconia abbia avuto un figlio di nome Sedecìa, ma Sedecìa è l’ultimo re di Giuda, figlio di Giosia, quindi zio di Ieconia: se desistiamo dalla tentazione di gridare all’errore, potremmo forse interpretare quel “figlio” come “successore”. Ma questa duttilità del termine “figlio” l’abbiamo già notata con la genealogia di Luca, quando viene detto che Giuseppe è figlio di Eli/Gioacchino. Potrebbe essere quindi che la figliolanza di Salatiel rispetto a Neri corrisponda a quando ho scritto nella seconda delle mie ipotesi. Ma la stessa cosa potrebbe valere con quella di Matteo, il quale anzi precisa che Ieconia generò Salatiel “dopo la deportazione”: immaginando ciò impossibile nei trentasette anni di prigionia, dobbiamo credere che Ieconia abbia avuto discendenza dopo i 55 anni d’età. Ciò confermerebbe anche quanto leggiamo in 2Re 24,15 dove non si nominano figli. Ma potrebbe a questo punto essere anche vero che Ieconia non abbia avuto proprio figli o che ne abbia avuti, ma che siano tutti morti senza discendenza carnale.

Tuttavia, se la riflessione principale fosse vera, cioè che da Babilonia sia tornata solo la discendenza di Natan, verrebbero confermate sia la profezia di Geremia riguardo a Ieconia e allo stesso tempo la profezia di Zaccaria potrebbe avere un nuovo e più preciso significato, anche in ragione del fatto che subito dopo Levi si nomina Simeì, cioè la stirpe dei ghersoniti, primogeniti della tribù di Levi.
A questo punto, anche San Giuseppe, padre putativo del Signore, sarebbe discendente della stirpe di Natan come San Giacchino. A conferma di ciò, possiamo notare come nella genealogia fornitaci da San Luca il nome “Giuseppe” appare altre due volte. Si tratta sicuramente di un nome molto comune nell’onomastica ebraica, ma bisogna anche considerare che come abbiamo visto per Giacchino/Eliachim/Ioachin/Ioiakim, un certo nome potrebbe essere più volte presente in una stessa parentela. A questo proposito, notiamo anche che nella genealogia di Luca è presente anche il nome di un altro Gesù, padre di Er e figlio di Elièzer. Quando l’Angelo comandò a Giuseppe di chiamare il figlio di Maria col nome di Gesù (Mt 1,21), potrebbe darsi che accanto al significato teologico, confermato dall’Angelo stesso ( “egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”), potrebbe esserci una giustificazione storico-genealogica, con un nome già presente nella parentela regale di David. Si noti anche in Lc 1,61 l’obiezione rivolta ad Elisabetta e Zaccaria, quando il giorno della sua circoncisione venne imposto il nome “Giovanni” al Precursore del Messia: “Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome” . Insomma, il fatto che uno stesso nome si ripetesse nella genealogia era cosa comune e probabilmente aveva anche una certa importanza.
Ripeto comunque che queste sono tutte ipotesi, di cui non ho alcuna conferma. Il problema maggiore infatti è che, seppur le due genealogie presenti in Matteo e Luca si ricongiungono nei nomi di Salatiel e Zorobabele, poi pare che si dividano completamente. La genealogia del Cronista, poi, appare completamente diversa da le due evangeliche, già a partire dai figli di Zorobabele: “ Mesullàm e Anania e Selomìt, loro sorella”. Strano è anche il fatto che si nomini una donna, cosa inusuale nei censimenti, in cui si nominano solo gli uomini. Matteo invece come figlio di Zorobabele nomina Abìud, mentre Luca nomina Resa.

È quindi complicatissimo comprendere il rapporto tra questi nomi, se ad esempio il Cronista non elenca tutti i figli di Zorobabele ma solo alcuni, o se Matteo salta alcune generazioni e il suo Abiùd possa essere compatibile con l’Abdia citato dalle Cronache. Stessa cosa vale se tentiamo di trovare corrispondenze tra i nomi citati da Matteo con quelli citati da Luca: notiamo ad esempio che certe tipologie di nomi sono comuni ma non si riesce comunque a trovare una corrispondenza certa.
L’unica fonte alternativa a quella della Sacra Scrittura è quella che mi viene dalle rivelazioni della Beata Anna Katherina Emmerick. Nelle rivelazioni sulla vita della Vergine Maria, la veggente parla degli antenati di Sant’Anna (la cui sorella, Sobe, fu madre di Maria Salome, a sua volta madre di Giacomo il Maggiore) e ci dice qualcosa riguardo San Gioacchino: “il padre di Gioacchino, che pure si era stabilito da tempo in quella valle (NdA: la valle di Zabulon), si chiamava Matthat ed era il fratello minore di Giacomo, il padre di San Giuseppe” . Questo “Giacomo” è sicuramente il “Giacobbe” di Matteo, perché in altre visioni è scritto con quel nome. Pertanto, se Giacobbe e Mattat erano fratelli, allora San Giacchino e San Giuseppe erano cugini di primo grado. Tuttavia, ritornando alle nostre genealogie, Matteo ci dice che padre di Giacobbe era Mattan, mentre Luca chiama Levi il padre di Mattat. Restando nel campo delle ipotesi, la correlazione del nome “Mattan” con quello di “Levi”, potrebbe sussistere come sussiste quella tra l’evangelico pubblicano Levi e l’Apostolo Matteo. Che il nome Matteo/Mattia possa derivare da Mattan/Matthat/Mattat/Mattatia è altamente probabile.

Se anche altri nomi delle genealogie fossero così ambivalenti, o se magari fossero abituali doppi nomi (come fa Gesù con Pietro), allora si spiegherebbero molte delle incongruenze.
Dobbiamo anche considerare il fatto che i nomi ebraici hanno un loro significato proprio. A proposito di questo, possiamo ricordare che l’Arcangelo Raffaele si presenta a Tobi, padre di Tobia, sotto l’identità di “Azaria, figlio di Anania” (Tb 5,13) che significa“aiuto del Signore” figlio di/della “misericordia del Signore”. Specialmente la genealogia di Matteo, che ha uno stile sacerdotale, potrebbe ricercare questo tipo di impostazione nella sequenza dei nomi.
Inoltre, se prendiamo per vero quanto ci dice la veggente, e cioè che Giacchino e Giuseppe erano cugini primi (come i “fratelli di Gesù” dei Vangeli), allora si rafforza anche la “figliolanza” di Giuseppe verso Gioacchino, padre della sua sposa, citata nella genealogia di San Luca e si nota anche come Luca non abbia commesso un errore nel posizionare Giuseppe in quella genealogia, perché quelli enunciati (a parte Gioacchino) sono anche gli antenati diretti di San Giuseppe.
Senza contare che il tutto confermerebbe la mia prima ipotesi, quella cioè che la dinastia dei re di Giuda si era estinta e che l’eredità regale passò a quella di Natan dopo l’esilio. Oltretutto, nemmeno la genealogia di Matteo ne inficerebbe di significato, perché Natan è anch’egli figlio di “ quella che era stata la moglie di Urìa”, come lo è Salomone. Anche la sua genealogia femminile rimane dunque piena di validità.

A questo punto la genealogia di Matteo sarebbe una genealogia regale e messianica: la discendenza da Salomone e dagli altri re avrebbe una valenza regale e religiosa, più che storica. La discendenza da Natan presentata da Luca invece sarebbe quella naturale e storica.
(continua)



 

02 gennaio 2019

Ipotesi sulla genealogia di Gesù/2

di Marco Muscillo
>Puntata precedente

La genealogia umana di Gesù ci viene presentata soltanto a conclusione del terzo capitolo [di Luca] e anch’essa ha un’impostazione diversa rispetto a quella di Matteo. Intanto vediamo che essa torna indietro nelle generazioni, cioè inizia con Gesù, che “come si credeva” era figlio di Giuseppe, per poi tornare a Davide e da Davide ad Abramo. Inoltre Luca aggiunge le generazioni da Abramo ad Adamo, il primo uomo, presentato come “figlio di Dio”. Comprendiamo subito che l’Evangelista ci dice che questa genealogia parte da Dio (Gesù, il Messia, riconosciuto da Dio Padre come Figlio) a Dio, il Padre Celeste che creò l’uomo, Adamo, “a Sua immagine e somiglianza” e per questo Suo figlio. È il compimento della Promessa.

Mentre San Matteo precisa che l’umanità di Gesù è data dalla figliolanza in Maria e Giuseppe ha il compito di dare legittimità legale, San Luca apparentemente scrive che Gesù è figlio di Giuseppe. Dico apparentemente perché sarebbe così soltanto se non dessimo valore all’espressione “come si credeva”. Infatti, a mio parere con questa espressione l’Evangelista vuole dirci che era il popolo a credere che Gesù fosse figlio di Giuseppe il falegname, ma in realtà Egli è figlio di Dio. Questa dualità paterna Luca ce la presenta già al capitolo 2, quando al versetto 49 Egli risponde alla madre: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. E al capitolo 4, al versetto 22, dopo che Gesù si è riconosciuto Messia interpretando su di sé la profezia di Isaia (Is 61), è scritto: “Non è il figlio di Giuseppe?”.

La genealogia di Luca è più ampia rispetto a quella di Matteo: egli ci presenta da Adamo a Gesù 77 generazioni. È ancora la gematria protagonista, segno della santità di tale genealogia, santità data anche dal centralismo del numero 7, il qual è sinonimo di pienezza, quindi del compimento della Promessa messianica. Ma sette sono anche i bracci della menorah, come sette sono i giorni della settimana, come sette sono gli Arcangeli, come sette sono i doni dello Spirito Santo, come sette sono le fiaccole che ardono davanti al trono di Dio (Ap 4,5). Il 7 quindi è un numero che indica la santità e che fa riferimento a Dio e rimanda alle profezie messianiche, prima fra tutte quella delle “Settanta Settimane” del profeta Daniele.
Detto ciò, possiamo pure ritenere che la genealogia scritta da Luca sia molto più precisa e completa rispetto a quella di Matteo, data la consueta precisione che l’Evangelista usa in tutto il suo Vangelo.

Nel primo capitolo, San Luca indica la classe sacerdotale di appartenenza di Zaccaria e ci dice che questi ebbe la visione dell’Angelo quando “secondo l'usanza del servizio sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l'offerta dell'incenso” (Lc 1,9), come a volerci indirettamente indicare il mese e il giorno di tale avvenimento. Nel secondo capitolo, nel raccontare della nascita di Gesù, egli inizia indicando la situazione politica: si è al tempo di Cesare Augusto, quando l’Imperatore indisse il censimento degli abitanti dell’Impero e quando Quirinio era governatore della Siria. Al terzo capitolo, L’Evangelista ci dice che la predicazione di Giovanni iniziò “nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa” (Lc 3,1-2).

A differenza di Matteo, Luca non nomina i re di Giuda. Infatti, come figlio di Davide egli indica Natàn e non Salomone. È la stirpe di Natan, fratello di Salomone, che interessa all’Evangelista Luca.
Prima di Davide le due genealogie sono pressoché identiche, al netto di alcuni nomi scritti in maniera probabilmente diversa (Salmòn e Sala sono la stessa persona?) e alcuni nomi mancanti in Matteo (come figlio di Esrom, Matteo indica Aram, mentre Luca indica Arni e aggiunge un altro nome, Admin, prima della generazione di Aminadàb). Dopo Davide, come abbiamo detto, le genealogie si dividono: San Matteo continua con la stirpe di Salomone e dei Re di Giuda, mentre San Luca prosegue con la stirpe di Natan, fino a Salatiel e Zorobabele, dopo l’esilio babilonese, che sono citati da entrambi gli Evangelisti. Ma anche qui c’è una differenza sostanziale: Matteo indica Salatiel come figlio di Ieconia, il re destituito ed esiliato, mentre Luca dice che è figlio di Neri, quindi della stirpe di Natan. Dopo Zorobabele, però, le due genealogie tornano a divergere nei nomi fino a Giuseppe.
Proprio in San Giuseppe si rileva un’altra divergenza: Matteo lo indica come figlio di Giacobbe, mentre Luca come figlio di Eli. La Tradizione cristiana ormai ritiene che la genealogia di Matteo indichi gli antenati di San Giuseppe, mentre quella di Luca indichi invece quella di Maria Vergine, Gloria della stirpe di Davide, quindi anch’Ella discendente del re Davide. Secondo la Tradizione, se Giuseppe legittima l’ascendenza regale di Gesù, Maria la legittima secondo la carne, passando dal ramo cadetto di Natan.

Ma perché in Luca Giuseppe viene indicato come figlio di Eli e non di Giacobbe? Se quella di Luca è la genealogia di Maria, Eli non dovrebbe essere il padre di Maria? Chi è allora questo Eli?
Eli è semplicemente San Giacchino. Eli infatti è il diminutivo del nome Eliachim, o Eliachin, un nome molto comune nell’onomastica ebraica, oltre che nella stessa genealogia scritta da Luca: troviamo infatti un Eliacim come padre di Ionam e figlio di Meléa, tra i discendenti di Natan. Un altro Elìacim è indicato invece da Matteo come figlio di Abiùd, a sua volta figlio di Zorobabele. Ma Ioiachin è anche il nome ebraico di Ieconia, re di Giuda, che Matteo indica come figlio di Giosia, ma che in realtà è figlio di Ioiakim, diciannovesimo re, che per volontà del faraone Necao cambiò nome dopo essere salito al trono. Prima il suo nome era Eliakim (2Re 23,34). Il nome di Gioacchino ha una sua tradizione e diffusione quindi anche tra i discendenti di Davide e tra la stirpe reale.
Un’ulteriore conferma del fatto che l’Eli nominato da Luca sia in realtà San Giacchino, ci viene da quanto ci dice la mistica Beata Anna Katherina Emmerick. Nelle sue visioni, la monaca di Dulmen cita una donna chiamata Maria Heli, o Maria di Heli. Secondo Anna Katherina, questa donna sarebbe la sorella maggiore della Vergine Maria. Maria di Heli era la moglie di Cleofa, e loro figlia era Maria di Cleofa. Quest’ultima fu sposata in prime nozze con Alfeo, da cui nacquero gli Apostoli Simone detto Zelota, Giacomo il Minore e Giuda Taddeo. Da un secondo matrimonio con Saba, nacque Giuseppe Barsaba, che è citato negli Atti degli Apostoli. Da un terzo matrimonio con un certo Giona, nacque Simeone, che fu poi il secondo vescovo di Gerusalemme (Vincenzo Noja, Visioni e Profezie di Caterina Emmerick, Ed. Segno, pp.84-85).

Heli o Eli era quindi il nome con cui era conosciuto San Gioacchino e ciò ci fa affermare con una buona certezza che Gioacchino e Eli per L’Evangelista Luca siano la stessa persona. A questo punto, Giuseppe viene indicato come figlio di Eli usando una prassi comune anche da noi, secondo cui il suocero adotta come proprio figlio il marito della figlia naturale.

Se nel Vangelo di Matteo, Giuseppe “adotta” Gesù per porlo legittimamente nella discendenza regale di Davide e Salomone, nel caso di Luca è Gioacchino che “adotta” Giuseppe per porlo nella genealogia, chiamiamola “principesca” o “cadetta”, di Natan.

Le Scritture ci indicano già all’Antico Testamento che la casa di Natan è seconda a quella di Davide. Il profeta Zaccaria la nomina in un suo oracolo messianico:

Farà il lutto il paese, famiglia per famiglia:
la famiglia della casa di Davide a parte
e le loro donne a parte;
la famiglia della casa di Natàn a parte
e le loro donne a parte;
13 la famiglia della casa di Levi a parte
e le loro donne a parte;
la famiglia della casa di Simeì a parte
e le loro donne a parte;
14 così tutte le altre famiglie a parte
e le loro donne a parte». (Zc 12,12-14)


Zaccaria è un profeta di stirpe sacerdotale che vive negli anni del ritorno dei giudei nella Terra Promessa dopo i settant’anni dell’esilio babilonese. In questo periodo le profezie messianiche sono molto sentite. La venuta del Messia è considerata come conseguenza successiva della ricostruzione di Gerusalemme e quella del Tempio (un po’ come ai nostri tempi, alcuni premono per vedere Gerusalemme capitale di Israele e per costruire il Terzo Tempio, perché propedeutici all’avvento del Messia).
Da questo passo del profeta Zaccaria notiamo che da Babilonia è tornato un resto d’Israele, il quale ha mantenuto la propria coscienza storica e sociale. Si nominano alcuni casati, tra i quali il primo è quello di “Davide”, la casa reale. Subito dopo si nomina la “casa di Natan”, e ancora dopo la “casa di Levi”, seguita da quella di “Simeì”. Probabilmente si tratta di una delle case dei discendenti di Levi di cui leggiamo al capitolo 6 del primo libro delle Cronache : “Figli di Levi: Gherson, Keat e Merari. Questi sono i nomi dei figli di Gherson: Libni e Simei” (1Cr 6,1-2); “Suo collega era Asaf, che stava alla sua destra: Asaf, figlio di Berechia, figlio di Simeà, figlio di Michele, figlio di Baasea, figlio di Malchia, figlio di Etni, figlio di Zerach, figlio di Adaià, figlio di Etan, figlio di Zimma, figlio di Simei, 28 figlio di Iacat, figlio di Gherson, figlio di Levi.” (1Cr 6, 24-27). Ma la sua famiglia è meglio specificata nel libro dei Numeri: “Da Gherson discendono la famiglia dei Libniti e la famiglia dei Simeiti, che formano le famiglie dei Ghersoniti.” (Nm 3,21).

Nel passo della profezia leggiamo che Zaccaria pronuncia prima il nome di Davide e poi quello del figlio Natan, seguito dal nome di Levi seguito da un suo discendente, Simeì. È dunque specifico in questo caso, mentre in seguito parla più in generale, ritenendo forse che non sia necessario specificare le altre famiglie: “così tutte le altre famiglie a parte e le loro donne a parte” (Zc 12,14).
Se diamo un giusto valore alle parole del profeta Zaccaria, dobbiamo desumere che al ritorno da Babilonia la famiglia di Natan è presente ed è seconda solo alla famiglia di Davide, cioè alla casa reale. Essa avrà avuto quindi una certa importanza nella tribù di Giuda, che insieme a quelle di Levi e Beniamino fa parte del “Resto d’Israele”.

(continua)
 

28 dicembre 2016

La Scrittura non mente, non si contraddice la Scrittura



(INTORNO ALLA PRESUNTA DISCORDANZA NEI VANGELI SULLA GENEALOGIA DI GESU’)


«Poiché molti pensano che gli evangelisti Matteo e Luca, per il fatto di averci tramandato la genealogia di Cristo in modo differente, cadano in reciproca contraddizione, e poiché ciascuno dei fedeli ama, ignorando la verità, trovare personali spiegazioni su quei passi, ho ritenuto opportuno riferire come stanno veramente le cose…»
(Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, I 7,1)

di Matteo Donadoni

Chiunque abbia letto i Vangeli dall’inizio si sarà ad un certo punto accorto che qualcosa non sembra quagliare nella genealogia del Salvatore. Certo, c’è anche chi considera di scarsa importanza alcuni passi della Parola di Dio, quelli che non è in grado di capire, che a lui sembrano noiosi o non abbastanza politicamente corretti o perfino sbagliati. Così li salta. Perciò l’esegeta, che chiameremo qui sportivamente “Saltapassi”, semplicemente toglie, salta o derubrica a poco più di un mito la Sacra Scrittura, un simbolo messo li in maniera comprensibile per quei pecorai degli Israeliti. Invece, noi colti moderni abbiamo il libero esame, e, scanzonati, interpretiamo.

Ma la Scrittura può contraddirsi? E contraddirsi non è forse mentire? La Scrittura non può mentire. Non si contraddice, la Scrittura. Allo stesso modo, dato che non dice il falso, ma il vero, dobbiamo anche ricordare che essa dice sempre il vero e che il primo significato (anche se va interpretato) è sempre quello letterale. Esempio: se c’è scritto che il velo del Tempio era porpora e azzurro, non si può interpretare che fosse giallo perché il sig. Saltapassi trova che il porpora sia di dubbio gusto. Se c’è scritto che Gesù scacciò i demoni dal corpo di un indemoniato, non è possibile interpretare che i demoni fossero semplicemente il simbolo del vizio e non veramente e primariamente diavoli dell’Inferno. Se c’è scritto che non entreranno i sodomiti nel regno di Dio, non è un esempio per i peccatori di un altro tempo e di un altro popolo, riguarda proprio l’omosessualità praticata ed ostentata come una cosa normale, un diritto.

Dunque, cos’è che fa problema nella fattispecie?

- Problema numero 1, genealogico:
Due Vangeli, Luca e Matteo, riportano la genealogia di Giuseppe, lo sposo di Maria, o se si vuole, di Gesù Cristo. Ora, le genealogie non combaciano. Apparentemente. Non stiamo qui a riportare la lunga processione dei padri e dei figli, si veda perciò Luca 3,23 e ss. e Matteo 1,1 e ss. Dato, però, che la Parola di Dio mai è mendace, occorre non banalizzarla, ma usare la testa (quando c’è) o/e le fonti (quelle che restano).
Nel nostro caso il problema fu risolto molti secoli fa e lo sapremmo bene se leggessimo ed ascoltassimo i padri della Chiesa, invece che finti preti come Enzo Bianchi.
La genealogia presentata da Matteo fa discendere Gesù dal santo Re Davide tramite la stirpe di  Salomone, mentre Luca tramite la stirpe di Natan, altro figlio di Davide e Betsabea (cfr I Cronache 3). Perché? C’è un errore? No. Il fatto riguarda la legge ebraica del levirato. Si veda Deuteronomio 25, 5-6: «Quando i fratelli abiteranno insieme e uno di loro morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si sposerà con uno di fuori, con un estraneo. Suo cognato si unirà a lei e se la prenderà in moglie, compiendo così verso di lei il dovere di cognato. Il primogenito che ella metterà al mondo, andrà sotto il nome del fratello morto, perché il nome di questi non si estingua in Israele».

Eusebio di Cesarea (265 – 340) fornisce la spiegazione riprendendola da Sesto Giulio Africano (160/170 – 240), scrittore romano, considerato il fondatore della cronografia cristiana, il quale nell’Epistola ad Aristide scrive: «In Israele i nomi delle generazioni erano enumerati in base alla natura o in base alla Legge. La successione per natura era stabilita in base alla nascita; se invece un uomo fecondava la moglie del fratello morto senza figli, il nascituro veniva considerato figlio del fratello defunto (poiché infatti la speranza della resurrezione non era stata ancora annunciata con chiarezza, imitavano con una resurrezione mortale l’annuncio futuro, affinché il nome del defunto rimanesse nella memoria). E questo era essere generati secondo la Legge». Quindi dobbiamo porre attenzione ai nonni e ai bisnonni di Gesù, perché entrambe le genealogie sono assolutamente vere ed entrambe arrivano a Giuseppe, in modo complicato, ma esatto: la soluzione è l’intreccio delle stirpi al terz’ultimo discendente. Da parte di Salomone egli è Matthan, da parte di Natan Melchi: i bisnonni di Gesù. Ora, accadde che (dice Eusebio) «Matthan e Melchi sposarono la stessa donna, generando fratelli uterini: la Legge infatti non impediva ad una donna ripudiata o rimasta vedova di risposarsi con un altro uomo. Da Esta (questo è il nome della donna tramandatoci) per primo Matthan, discendente di Salomone, generò Giacobbe; dopo la morte di Matthan, Melchi, discendente di Nathan, e quindi della stessa tribù, ma di stirpe diversa […] generò Eli» (Storia ecclesiastica I, 7,7-8). Primo dato rilevante: qui si incrociano le due stirpi. Giacobbe ed Eli, dunque, sono fratelli, non germani, ma uterini.

Ma non è finita, perché poi: «Giacobbe sposò la moglie del fratello Eli, morto senza figli, e generò da lei, terzo, Giuseppe, suo figlio per natura (e secondo la Scrittura, in cui si dice: Giacobbe Generò Giuseppe), ma di Eli secondo la Legge; a quest’ultimo infatti Giacobbe, che era suo fratello, generò un discendente».
Quindi san Giuseppe ebbe due padri, Giacobbe secondo la carne ed Eli secondo la Legge di Mosè. Infatti nei Vangeli Matteo, che riporta la genealogia biologica di Gesù, insiste nel ripetere il verbo ἐγέννησεν (eghènnesen) “generò”; Luca, invece, guardandosi bene dall’usarlo, dice ὡς ἐνομίζετο (hòs enomìzeto) “come si credeva”, infatti la genealogia lucana segue la Legge del levirato. Da tutto ciò consegue che Giuseppe non apparteneva solo genericamente alla stirpe del Re Davide, ma ne era il legittimo erede al trono. Così Gesù.

- Problema numero 2, storiografico:
Tutto perfetto, se non fosse il fatto che si presenta un problema di carattere storiografico: Eusebio parla di un certo Melchi, mentre in Luca il terzo in successione non è Melchi (che è in effetti quinto) ma Matthat. Cos’è accaduto? Per quanto è in mia conoscenza, posso fornire due spiegazioni ragionevoli e non comprovate, e cioè: è possibile che sia avvenuta:
a- una svista di copiatura (accade spesso anche con i copisti medievali) da parte dell’Africano stesso, e che poi Eusebio non abbia ricontrollato. Ovvero è stato per errore copiato un nome dal rigo sotto in luogo dell’esatto. Infatti Eusebio alla fine dice espressamente «queste le parole dell’Africano» (I,7,18).
b- che L. Sesto Africano citasse a memoria, non avendo il Vangelo di Luca sotto mano, ed abbia commesso un errore nella sequenza dei nomi, dimenticandone o invertendone alcuni.

- Conclusione: Per tanto possiamo affermare che, per il fatto che alcuni fatti, avvenimenti o concetti siano complessi, poco chiari, o non di immediata comprensione a causa del retroterra culturale semitico dell’autore sacro, e soprattutto della nostra ignoranza e negligenza teologica, non ci autorizza a modificare o ritenere falsi, né esempi meramente simbolici, i contenuti conservati nella Parola di Dio, i quali sono, invece, Verità, simboli di Verità e soprattutto Verità di fede, caduta la certezza nelle quali, verrebbe a crollare tutta la teologia cattolica e l’esistenza stessa del Dio di Israele, Gesù Cristo.