di
Fabio Petrucci
Una
notte parigina come tante. Tra partite di calcio, concerti e i locali
pieni del tipico e ordinario venerdì che volge al termine. E poi
all'improvviso la grande capitale piomba nell'orrore e nel caos. Un
attentato dopo l'altro: esplosioni e sparatorie a colpi di
kalashnikov. Gli innocenti cadono per strada, in ristorante, nei
pressi del grande Stade
de France e
dell'antica sala da concerto del Bataclan.
Cadono a decine: il numero delle vittime si aggiorna costantemente e
- ormai è certo - supera la cifra dei 150. È la più grande strage
compiuta in Francia dai tempi della seconda guerra mondiale. Neanche
all'epoca della crisi algerina e degli attentati al generale de
Gaulle il terrore si era spinto a simili livelli di bassezza e
aberrazione. Mai era stato così sofisticato e mai così distruttivo.
Mai, nemmeno a gennaio, quando ad essere colpiti furono la sede della
discutibile rivista satirica “Charlie
Hebdo” ed
un comune negozio ebraico. La Francia si scopre vulnerabile e si
risveglia in guerra. In guerra contro un nemico che alberga in casa
propria, cresciuto e rafforzato dagli errori – interni ed
internazionali – delle classi dirigenti francesi. In guerra contro
un nemico che impone di mettere al bando la retorica e gli slogan,
che già tanti danni hanno fatto sottovalutando, per esempio, il
rischio di infiltrazioni terroristiche nella fiumana di profughi
giunti in questi anni in Europa.
Gli
attentatori – molti dei quali ormai morti – gridavano “Allahu
akbar!”
(“Dio è grande!”). Erano jihadisti, come i tanti che abbiamo
imparato a conoscere in questi anni di guerre in Medio Oriente e di
orrendi attentati giunti a macchiare di sangue tutte le principali
potenze del mondo, dagli Stati Uniti ai paesi europei, dalla Russia
alla Cina. Dicono di uccidere in nome di Dio, il “Clemente e
Misericordioso”, ma facendo ciò bestemmiano e maledicono sé
stessi. Perché in realtà uccidono in nome di un'ideologia malata –
quella del jihadismo politico – nata in seno alla corrente
wahhabita e salafita dell'islam, soggetta più di altre a quella
tentazione alla violenza religiosa citata da papa Benedetto XVI a
Ratisbona nel 2006. In quell'occasione il pontefice si limitò a
riportare uno scritto dell'imperatore bizantino Manuele II Paleologo,
criticandone peraltro il tono brusco. Nell'intento del papa teologo
non era presente alcun carattere offensivo, ma solo la volontà di
lanciare un monito contro l'assurdità della violenza religiosa. Un
monito che fu giudicato da più parti inopportuno, ma che alla luce
di quanto accaduto in questi anni si rivela profetico e lungimirante.
E del resto l'esistenza di una satanica tentazione violenta
all'interno dell'islam è cosa nota ai musulmani stessi: il termine
“fitna”,
indicante “discordia” o addirittura “guerra civile”,
accompagna la storia islamica sin dai primordi, così come sono
antiche le radici di movimenti teologici divenuti fautori della
violenza religiosa come quello salafita. E oggi più che in passato
la “fitna”
interna al mondo islamico si riscopre in tutta la sua drammatica
attualità, intrecciandosi con il “Grande Gioco” che vede
contrapposte le tendenze unipolari degli Stati Uniti alle istanze
multipolari della Russia.
Riferirsi
alla “fitna”
che
agita il frastagliato mondo musulmano è l'unica possibilità per
comprendere quanto sta accadendo in Medio Oriente, cos'è
l'autoproclamato “califfato” dell'ISIS e quali sono gli errori
addebitabili al governo francese ed al complesso delle potenze
occidentali. Ed è anche l'unico modo possibile per evitare
semplificazioni che tirano in ballo Oriana Fallaci e la sua generale
avversione per l'islam. Se c'è “fitna”,
ossia guerra civile, inevitabilmente vi sono musulmani che combattono
altri musulmani. E più nello specifico assistiamo ad uno scontro che
va assumendo sempre più caratteri confessionali, contrapponendo
paesi sciiti e filo-sciiti (Iran, Siria, Iraq e Libano) a paesi
sunniti (Arabia Saudita, Qatar e Turchia). Come è noto, il
terrorismo jihadista ha potuto svilupparsi principalmente attraverso
finanziamenti provenienti dall'Arabia Saudita e dal Qatar. Questi due
paesi, insieme alla Turchia, sono stati tra i principali protagonisti
dell'opera di destabilizzazione del Medio Oriente che va sotto il
nome di “primavera araba”. Dall'altro lato, a fronteggiare il
terrorismo jihadista, vi sono l'Iran sciita, la Siria dell'alawita
Assad, le milizie libanesi di Hezbollah e l'Iraq: musulmani non
estremisti a cui l'Occidente (e quindi la stessa Francia) preferisce
i propri peggiori nemici. Ecco il paradosso di un'alleanza che tiene
insieme il laicismo nichilista dei paesi occidentali ed il
fondamentalismo islamico delle petromonarchie del golfo.
A
tal proposito non si può tacere sulla circostanza che ha visto la
Francia come uno dei governi europei maggiormente impegnati nel
fiancheggiamento di quest'opera di destabilizzazione, la quale in
Libia e Siria sarebbe stata impensabile senza l'ausilio di terroristi
della stessa matrice di quelli che hanno colpito Parigi. Sotto la
presidenza Sarkozy la Francia è stata attivissima nella campagna
militare occidentale contro Gheddafi, così come sotto la presidenza
Hollande ha continuato a fornire sostegno politico e finanziario alle
milizie in guerra contro il governo laico di Bashar al-Assad. E fu
proprio quest'ultimo, in tempi non sospetti, ad avvertire che
«l'Occidente e i paesi che sostengono l'estremismo e il terrorismo
in Siria e nella regione devono rendersi conto che questa minaccia
crescente sta per colpire tutti, in particolare coloro che hanno
sostenuto il terrorismo e gli hanno permesso di svilupparsi». Mentre
da un lato la Francia piange le proprie vittime del terrorismo,
dall'altro si trova ad essere ancora oggi alleata dei principali
sponsor internazionali del terrorismo.
Solo
l'intervento russo iniziato ad ottobre è riuscito ad imporre alla
coalizione occidentale un impegno più serio contro l'ISIS, più per
ragioni di credibilità e di competizione che per volontà di
sradicare quel cancro dal cuore della Mezzaluna fertile. Eppure
adesso, nell'ora del dolore e della rabbia, sarebbe auspicabile una
comune battaglia che unisca davvero coloro i quali sono stati colpiti
dalla mostruosità del terrorismo. È l'ora della verità. Non solo
per la Francia, ma per l'Europa intera.
E
possa il vero Dio, veramente Clemente e Misericordioso, fare
giustizia di ogni vittima innocente, strappata alla vita a Parigi,
così come ad Aleppo, Beirut o nel Sinai.