Angela Merkel ha vinto le
elezioni tedesche. L’esito del voto è innanzitutto un successo personale della
cancelliera uscente, del rigore con cui ha gestito in questi anni la crisi
europea difendendo l’interesse nazionale del suo Paese, della fermezza con cui
ha tenuto la barra diritta, navigando tra le pressioni della sinistra per un
maggiore impegno della Germania a favore degli Stati più deboli e
l’insofferenza degli ambienti conservatori più riottosi nei confronti della
moneta unica.
La Merkel ha vinto trainando la
CDU-CSU fino al 42% dei voti, una percentuale di otto punti superiore a quella
della tornata precedente, e sfiorando la maggioranza assoluta dei seggi: numeri
che in Germania non si davano dai tempi d’oro di Helmuth Kohl (e che in Italia
evocano i fasti della Balena Bianca).
La performance cristiano-democratica
ha finito per fagocitare i conservatori euroscettici riuniti nella neonata
sigla AFD (Alternative für Deutschland,
Alternativa per la Germania), che hanno raccolto il 4,8% e mancato di pochissimo
l’ingresso al Bundestag, ma soprattutto gli alleati liberali, che con un crollo
di circa dieci punti rispetto al 2009 (il peggior risultato di sempre) rimarranno
fuori dalla Camera bassa e non potranno così offrire alla cancelliera il loro
sostegno parlamentare per un nuovo esecutivo di centro-destra.
Sarà dunque, con tutta
probabilità, Grosse Koalition, ma con
un formato molto diverso da quello del 2005, quando la straordinaria rimonta di
Gerard Schröder, un po’ come nelle ultime elezioni italiane, aveva costretto
Angela a condividere il potere con gli avversari di sempre. Questa volta tra i cristiano-democratici
e i socialdemocratici, guidati da uno Steinbrück che non è apparso mai veramente in grado
di impensierire la cancelliera durante tutta la campagna elettorale, passano
sedici punti di differenza: uno scarto che non potrà non riflettersi sulla
composizione del Governo e sul peso che vi eserciteranno i due partiti, così
come – di conseguenza – sulle politiche che l’esecutivo adotterà.
Il messaggio del voto sembra
chiaro: gli elettori tedeschi intendono continuare a trarre beneficio dalla
moneta unica senza per questo sostenere i costi di una vera integrazione
fiscale, almeno finché sarà possibile. Forse le voci che prima delle elezioni
avevano previsto un rapido allentamento della linea dura dovranno, almeno
parzialmente, ricredersi.
In Italia il buon vassallo Letta si congratula con la cancelliera per la sua netta affermazione. I giornaloni tirano un sospiro di sollievo per il mancato successo degli euroscettici (grazie, la Germania con l'euro ci guadagna...) e ci invitano a imitare il "modello tedesco", dimenticando che presupposto fondamentale dell'avanzata teutonica è proprio il nostro continuo arretramento. Occorrerebbe anche da noi qualcuno che, come la Merkel in Germania, avesse una qualche idea del nostro interesse nazionale e il coraggio sufficiente per farlo valere: ma forse è chiedere veramente troppo.
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