10 giugno 2025

Meglio un mese da Leone



di Paolo Maria Filipazzi

Abbiamo ormai superato il mese dall’elezione di Leone XIV ed è ora di raccogliere alcune idee suscitate da questo primissimo mese di pontificato.

Un aspetto è sicuramente eclatante ed è … la totale assenza di alcunché di eclatante. Dopo dodici anni di montagne russe emotive, il primo papa statunitense interpreta il proprio ruolo all’insegna di una forza tranquilla e rassicurante che fa sentire molti cattolici finalmente a casa.

Significativo appare, sotto questo punto di vista, il discorso alla Curia Romana del 25 maggio, in cui ha affermato: “I Papi passano, la Curia rimane. Questo vale in ogni Chiesa particolare, per le Curie vescovili. E vale anche per la Curia del Vescovo di Roma”. Un messaggio chiarissimo, che non è sfuggito al Fatto Quotidiano, che ha titolato Prevost si sgancia da Bergoglio per tenersi buona la Curia. Per dodici anni Il Fatto Quotidiano è stato il capofila di una narrazione che presentava la Curia Romana come una malvagia struttura di potere e corruzione che il supereroe buono Bergoglio era venuto a combattere, e va detto che le azioni di quest’ultimo erano state tali da fare apparire la versione di un Papa in lotta con la Curia come veritiere. Peccato che la Curia esista per dare supporto al Papa e che, del resto, un’ organizzazione radicata in tutto il pianeta come la Chiesa Cattolica non possa essere governata senza una simile struttura. E che lo smantellamento della Curia per cui tifava la stampa progressista in realtà nascondesse dietro di sé lo smantellamento della Chiesa. Insomma, papa Prevost ha lanciato un messaggio chiaro che in realtà possiamo tradurre così: “I papi passano, la Chiesa resta”. E c’è da credere che i progressisti si siano irritati.

Chiarissimi messaggi sono leggibili anche nella graduale ricomposizione della normale fisionomia papale: il ritorno della mozzetta e della stola è stato il primo, immediato chiarimento. Dopo la strana “intronizzazione senza trono”, quest’ultimo è ricomparso a partire dalla presa di possesso delle basiliche romane, così come, a partire dalla Messa di Pentecoste, il crocifisso sull’altare, anche se di lato, quasi a lasciare intendere un silenzioso braccio di ferro con i cerimonieri notoriamente modernisti. Lo stesso valga per l’uso liturgico della ferula: il nuovo papa ha, finora alternato il pastorale di Benedetto XVI, realizzato sulla falsariga dei tradizionali pastorali papali, a quello di Scorzelli, moderno e non amato dai puristi, ma ormai a sua volta simbolo, se non tradizionale, quantomeno storico del papato, ed è abbastanza chiaro che non vedremo più i bizzarri bastoni usati dal suo predecessore.

Fuori dai simboli, significativo è il fatto che il nuovo papa abbia liquidato tutte le messe in scena pauperiste e ostentanti umiltà fasulla, smettendola una buona volta di viaggiare in utilitaria, rimanendo nel proprio appartamento al Sant’Uffizio in attesa della ristrutturazione dell’appartamento papale apostolico, in cui andrà normalmente ad abitare, e abbia fatto visita a Castel Gandolfo, dove tutti sperano nel suo ritorno.

Tutto questo solo ad una visione superficiale potrebbe sembrare secondario. L’esistenza di simboli, cerimoniali, consuetudini, certo gradualmente consolidatisi nei secoli, ma a cui tutti i papi via via si attengono, ha il preciso significato di testimoniare che la Chiesa non è al servizio del Papa ma il Papa è al servizio della Chiesa, e compito del Papa non è affermare tramite la Chiesa la propria personalità, le proprie preferenze e le proprie opinioni, ma al contrario rinunciare alla propria individualità per farsi servo. Guarda caso, già nella sua prima messa in Cappella Sistina, il giorno dopo l’elezione, il nuovo Papa ha lanciato quello che sembra quasi uno slogan: “Sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo”, precisando che si tratta di “un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità”.

C’era un papa che pensava di rimanere in barba alla Chiesa. E’ morto.

La Chiesa invece rimane e ora c’è una papa che sa che rimarrà anche dopo di lui. Sia lodato Gesù Cristo!

 

 

 

03 giugno 2025

22 maggio 2025

Festing, il Gran Maestro tradito


di Franco Ressa

Dopo i Templari ed i Teutonici il maggiore ordine di frati cavalieri era ed è tuttora l’ordine Giovannita.

All’inizio era un insieme di nobili guerrieri che combatteva per la fede in Terrasanta, ma dal 1308 l’ordine si trasferisce sull’isola greca di Rodi, e qui si trasforma in una repubblica marinara come erano Genova e Venezia. Il compito dei frati-guerrieri è quello di polizia marittima specie contro la pirateria dei saraceni che causa incursioni sulle coste del Mediterraneo. I predatori rapiscono gli abitanti e li portano schiavi nel nord Africa, i cavalieri si impegnano a liberarli pagando dei riscatti o scambiando i prigionieri cristiani con  prigionieri musulmani.

I cavalieri potevano contare su 530 possedimenti terrieri in tutta Europa, che finanziavano le loro attività e sostenevano la flotta armata. Ad amministrare i vari possedimenti chiamati commende, venivano mandati i cavalieri non più abili alle armi, ed erano suddivisi per lingue: italiani, francesi, tedeschi spagnoli ecc. ognuno di questi con un proprio autogoverno.

Le navi di questo ordine danno molto fastidio alla potenza dell’impero Turco Ottomano e per tre volte (1480, 1522 e 1565) il sultano ne tenta la distruzione, ma i guerrieri cristiani vincono sempre, pur dovendo abbandonare l’isola di Rodi e trasferirsi in quella di Malta. Da qui il loro nome di cavalieri di Malta. In questa terra sono notevoli e ben conservate le fortificazioni, le chiese, i palazzi costruiti da essi nei secoli XVI, XVII, XVIII.

Nel 1607 pur non essendo nobile viene fatto cavaliere il pittore Caravaggio per la sua fama di artista, ma l’anno seguente verrà espulso dall’ordine perché rissoso ed indisciplinato. Nella cattedrale di La Valletta è esposto un suo famoso quadro, la decollazione di san Giovanni Battista, patrono dell’ordine.

L’ordine di Malta avrà il proprio stato in mezzo al mare fino al 1798. In quell’anno Napoleone invade l’isola e scaccia i cavalieri. Malta passerà sotto l’Inghilterra e non verrà più restituita. Da allora in poi l’ordine risiede a Roma. La sua direzione si trova in via dei Condotti 68. Questo palazzo è come un piccolo Vaticano, infatti il Sovrano Militare Ordine di Malta non ha perduto il proprio diritto ad essere una repubblica religiosa, soggetta soltanto al Papa, e come stato ha il potere di nominare ambasciatori (ne ha un centinaio in varie nazioni), di coniare monete e stampare francobolli.

Terminato il suo compito bellico marittimo, le risorse dell’ordine di Malta, pur ridotte con la perdita delle commende due secoli fa’, sono oggi impegnate nell’organizzazione di ospedali, ambulanze, aiuti alle popolazioni in caso di calamità o guerre. Il personale medico e paramedico dell’ordine ha assicurato l’assistenza ai pellegrini durante il giubileo.

In quella piccola ma efficiente repubblica marinara mediterranea il Doge era eletto a vita tra i nobili cavalieri, ma il suo titolo era Gran Maestro. Dopo il 1798 non ha più potuto comandare su un territorio, ma la sua dignità di capo di stato è rimasta come carica civile, e la carica religiosa corrisponde a quella di cardinale.

Chi era Matthew Festing

Franco Ressa e il gran maestro Festing a Rapallo nel 2008.

Il Gran Maestro in carica dal 2008 al 2017 era il 79esimo dal tempo delle crociate, si chiamava Matthew Festing, inglese, nato nel 1949, figlio del feldmaresciallo dell’armata britannica Francis Festing. La sua famiglia fu sempre cattolica e conta anche un martire, Adrian Fortescue, giustiziato dal re Enrico VIII nel 1539 perché rifiutò di diventare protestante.

Matthew nasce nel 1949, trascorre la propria giovinezza tra Malta e Singapore, studia in Inghilterra in una scuola benedettina dello Yorkshire e al St. John College di Cambridge. Laureato in storia presta il servizio militare nei granatieri e diventa colonnello. Entra nell’ordine di Malta nel 1977, fa carriera come Gran Priore direttore dei cavalieri inglesi, organizza missioni umanitarie durante le guerre in Bosnia, Serbia, Croazia, Kossovo.

L’11 marzo 2008 venne eletto Gran Maestro. Nell’agosto di quell’anno è a Rapallo in Liguria dove prende possesso della villa magistrale appartenente al suo ordine, che sorge sul promontorio di San Michele di Pagana. Lì ebbi occasione di incontrarlo e presentarmi come storico dei cavalieri di Malta, avendo discusso la mia prima tesi di laurea proprio su questo tema. Trovai una persona aperta, cordiale, colta ed esperta anche nel campo artistico, infatti il proprio fratello maggiore, Andrew Festing, è un famoso pittore ritrattista che ha eseguito quadri per la famiglia reale di Gran Bretagna. I fratelli Festing erano critici d’arte e consulenti per la famosa galleria e casa d’aste Sotheby’s di Londra. Matthew manifestò il suo interessamento ai miei studi sul suo ordine, con una lettera indirizzata a me.

La lettera di Festing a Franco Ressa

Cacciato ed esiliato

Nel dicembre del 2016, Festing destituì il cancelliere del suo ordine, il tedesco Von Boeslager, per aver distribuito nel terzo mondo quantità di preservativi, vietati dalla Chiesa Cattolica, ma Papa Francesco ribaltò la situazione, e come suo superiore chiese le dimissioni a Festing. Per ubbidienza al Pontefice vennero da lui date il 24 gennaio 2017.

Matthew Festing come Gran Maestro aveva fatto solo il suo dovere nell’etica cattolica. Perché allora questo? Secondo Wikileaks il Gran Maestro Festing sarebbe stato il capro espiatorio del contrasto tra il cardinale americano Burke, conservatore ed aspro critico delle novità bergogliane, e il Papa Francesco stesso. Quest’ultimo in effetti aveva sollevato Burke dal patronato sull’ordine di Malta, sostituendolo con il cardinale Becciu, prelato le cui azioni negative sono note, specialmente contro il suo avversario il cardinale australiano Pell. In un primo momento costui non voleva che Festing mettesse più piede a Roma nella sede di via dei Condotti, specie durante l’elezione di un suo successore, Ma Becciu ignorava che con l’assenza del capo dimissionario dell’ordine la votazione dei facenti parte del consiglio sarebbe stata nulla. Perciò Festing fu presente.

Nella storia c’è un solo precedente di intervento papale censorio verso un ordine religioso-cavalleresco. Nel 1308 Papa Clemente V, indotto dal re di Francia Filippo il Bello, destituì e poi fece bruciare sul rogo il Gran Maestro e i dignitari dei cavalieri Templari. Dante Alighieri giustamente biasimò la cosa nella Divina Commedia.

Dopo le dimissioni Festing si ritirò nelle sue case di campagna nel Northumberland in Inghilterra, ma l’umiliazione patita causò in lui la depressione ed il declino della propria salute. Sentendosi alla fine, ridotto a muoversi in carrozzina, l’ex gran maestro si recò nell’isola di Malta per morirvi. Così nel novembre 2021 la cattedrale di La Valletta capitale di Malta, dopo 224 anni ha visto i funerali di un gran maestro di san Giovanni, con grande partecipazione di cavalieri in divisa dell’ordine. Questo ha dato l’occasione che la sua sepoltura venisse situata nella cripta della cattedrale stessa, dove giacciono gli antichi gran maestri e dignitari vissuti tra il 1522 e la fine del secolo XVIII. I loro stemmi sono raffigurati sul pavimento del duomo, realizzati con artistiche tarsie marmoree.

Con la riforma degli statuti dell’ordine di Malta, voluta da Papa Francesco, il Gran Maestro non è più in carica a vita, ma per un periodo di dieci anni. Attualmente ricopre la carica John T. Dunlap, avvocato canadese nato nel 1957, entrato nell’ordine nel 1996, eletto al gran magistero il 3 maggio 2023.

 

10 maggio 2025

Ritorno a Roma. Ritorno a casa



di Francesco Maria Filipazzi 

Dobbiamo ammetterlo. Pur nella consapevolezza di dover rimanere strenuamente cattolici romani e di dovere fedeltà al Sommo Pontefice, negli ultimi anni ci siamo allontanati, qualcuno mentalmente altri addirittura spiritualmente, dalla tomba dell'Apostolo. 

Troppa rabbia sorgeva nel vedere il Papa sminuire la Chiesa e i suoi simboli, troppo disgusto per messaggi ondivaghi e contraddittori, puerili se non proprio volgari.

Il frutto marcio del pontificato bergogliano è stato questo. Cattolici distanti da Roma, in fuga. Qualcuno è caduto, ha esagerato, ha seguito falsi profeti.

Ora è il momento di tornare a casa. Leone XIV, riprendendo semplicemente alcuni simboli del papato, pronunciando i primi discorsi gravidi di messaggi cattolici, cristocentrici e mariani, sembra promettere un ritorno alla mitezza e alla normalità. 

Lo dico agli amici che in questi anni hanno resistito con noi: Leone si trova in una situazione pesante. La Chiesa è divisa, il popolo è allo sbando, disorientato. Il clero è in crisi di identità. I dossier sul tavolo sono tanti, enormi e spinosi, probabilmente non ci immaginiamo quanto. Sappiamo solo che il predecessore ha lasciato un disastro.

Mettersi quindi ad analizzare ogni gesto o a soppesare ogni parola, con l'obiettivo di denunciare l'errore sarebbe oggi controproducente e tossico

Dobbiamo al contrario essere cooperatori della giustizia e della verità, popolo di Dio che sostiene la propria guida terrena. L'esercizio della virtù della Prudenza ci impone questo modo di agire.

Teniamo conto che il Satana ha già predisposto il terreno per attaccare. Basti pensare alla diffusione preventiva e repentina (anche da parte di siti come la Bussola quotidiana) di notizie riguardo chissà quale copertura di abusi. Basterebbe ricordare la vicenda del cardinale Pell, per fare quadrato attorno a Prevost. Non cadiamo nel tranello del padre della menzogna e lasciamo certi argomenti ai nemici della Chiesa.

Predisponiamoci positivamente verso il pontificato che si sta aprendo e convertiamo il nostro cuore. Papa Leone XIV oggi è per noi fonte di speranza.

 

09 maggio 2025

Fra pro, contro e speranza di normalità. Viva Leone XIV?


di Enrico Roccagiachini

È molto difficile formulare un giudizio attendibile sul nuovo Papa. Nella sua elezione e nel modo in cui si è proposto al popolo possono ravvisarsi aspetti positivi ed altri, purtroppo, scoraggianti. Pro e contro.

Incominciamo da questi ultimi.

Era annoverato tra i progressisti, per di più spiccatamente bergogliani. Alcuni autorevoli commentatori tradì lo avevano inserito tra coloro la cui elezione andava evitata, addirittura sostenendo Parolin, se necessario.

In effetti, come Prefetto del Dicastero per i Vescovi (o come altrimenti si chiami adesso), ha concorso attivamente alle rimozioni di mons. Strickland e di mons. Rey: ciò che inserisce nel suo curriculum una macchia difficilmente emendabile. Si parla anche di qualche debolezza sul fronte degli abusi.

Quanto alle sue posizioni dottrinali, si sa che ha aderito sia alle ubbie ecologiste del suo predecessore, sia al mantra della sinodalità, peraltro evocato anche nel suo primo discorso. È vero, però, quanto a tutti gli altri temi sensibili che, stando almeno al sito The College of Cardinals Report, non si conoscono realmente le sue posizioni, se non (e questo andrebbe annoverato tra i pro) una dichiarata opposizione al diaconato femminile perché – se ho ben capito – estraneo alla tradizione della Chiesa.

I contro, dunque, sono pesanti; tuttavia, va detto, non sembrano dirimenti. È possibile chiedersi, in particolare, se le posizioni bergogliane – purtroppo richiamate anche nel discorso di ieri – siano state abbracciate per convinzione, per obbedienza o per opportunismo. E se coincidano totalmente, quanto ai contenuti, con quelli assunti dal predecessore. Lo scopriremo solo vivendo.

Indubbiamente, il curriculum missionario del nuovo Papa lo rende attento ai temi sociali e riconducibile alle posizioni politiche bergogliane: ma questo, per quanto discutibile, sarebbe un problema minore, se quelli basici (dottrina, diritto canonico, disciplina ecclesiastica, ecc.) fossero risolti o, almeno, circoscritti.

Veniamo, adesso, ai pro.

Il Card. Prevost farebbe parte dei porporati che si sarebbero incontrati con il Card. Burke qualche giorno fa. Il che farebbe suppore che la sua candidatura fosse in esame, come candidatura di compromesso, molto più concretamente di quanto non si pensasse: candidatura accettabile anche dai tradì, con i quali si cercava un accordo, e ai quali, dunque, il futuro Leone XIV dovrebbe aver dato garanzie credibili (o, quantomeno, credute…). Il che potrebbe trovare conferma in una dichiarazione del Card. Burke diffusa ieri stesso via X.

In ogni caso, mi pare che Prevost, quand’anche progressista, non sia riconducibile alla mafia di San Gallo – cioè all’eredità del Card. Silvestrini, che rappresentava il nemico da battere per i conservatori e i tradì. Se lo scopo era sconfiggere Parolin, questa caratteristica va annoverata tra i pro.

Si è presentato con vesti e nome sicuramente pontificali, nel senso tradizionale. Poiché i segni e i gesti sono importanti, e servono per lanciare messaggi (non necessariamente e non solo al popolo, ma anche ai cardinali elettori, magari per confermare che si rispetteranno gli impegni presi…), la cosa va debitamente sottolineata.

Nel suo discorso inziale, in dodici minuti ha citato nostro Signore come unico Salvatore più di quanto non abbia fatto il suo predecessore in dodici anni. Ha evocato e invocato la Madonna di Pompei. Ha pregato l’Ave Maria. Difficile non vederci un’eco delle questioni dottrinali e pastorali sollevate nelle Congregazioni Generali, certamente non da parte dei progressisti. È vero che il suo latino lascia alquanto a desiderare (ci ha regalato qualche errore di lettura e almeno un accento sbagliato) ma, al netto dell’emozione del momento, ha sicuramente ampi spazi di miglioramento in proposito. Peraltro, da qualche ora circolano voci che lo vorrebbero privato, privatissimo cultore della messa tradizionale: chissà…

Anche la scelta del nome è interessante, e suscita impressioni positive. Probabilmente dovuta al fatto che Leone XIII sostenne attivamente, anzi rilanciò, l’ordine degli agostiniani, di cui Prevost fa parte, non si può escludere che si tratti anche di un richiamo alla dottrina sociale della Chiesa, nel suo contenuto classico, tante volte disatteso e stravolto nel pontificato di Francesco. Certo, ci si potrebbe leggere anche un riferimento al ralliement (per la gioia di Macron e dei poteri globalisiti?), e, sempre sul piano storico, si potrebbe evocare anche Leone X, nel cui pontificato si consumò lo strappo luterano: in tempi di Synodale Weg non sarebbe un precedente incoraggiante… Tuttavia, è un nome sicuramente tradizionale, che potrebbe indicare anche la volontà di inserirsi nella storia bimillenaria della Chiesa e di valorizzarla tutta, non solo quella compiutasi a partire dall’11 ottobre 1962. Il primo papa Leone, S. Leone Magno, fu contemporaneo di S. Agostino e si segnalò per lo zelo per l’unità della Chiesa e l’ortodossia, l’affermazione del primato petrino e la restaurazione della disciplina ecclesiastica. Con il Card. Burke, ci auguriamo con tutto il cuore che il santo pontefice protegga, ispiri ed illumini il suo omonimo successore.

Ma ciò che maggiormente vorrei sottolineare è il reiterato riferimento alla pace: che non mi pare immediatamente e prevalentemente politico, pur potendosi e dovendosi leggere anche in tal senso, considerando gli scenari bellici che caratterizzano l’attualità. Si tratta in primis di un richiamo evangelico. Penso e spero che sia anche – anzi, soprattutto – un invito alla pacificazione interna di cui la Chiesa, dopo il devastante pontificato bergogliano, ha bisogno più dell’aria. Se le cose staranno davvero così, se Leone XIV si porrà l’obiettivo di riconciliare i cattolici tra loro, riconoscendo piena dignità e piena libertà di azione anche a quelli che non si riconoscono nella prevalente ondata modernista/modernizzante (abiurando fermamente, dunque, l’animus che ha ispirato operazioni come quelle, nefaste, compiute nei confronti di mons. Strickland e di mons. Rey), la sua elezione andrà salutata con soddisfazione, perlomeno nel senso di riconoscervi il massimo ottenibile nell’attuale situazione ecclesiale.

In conclusione: invocato l’ottimismo della volontà, entriamo senza pregiudizi nel nuovo pontificato, contando – come suggerisce santamente il Card. Burke – sulla protezione della Madonna di Guadalupe, nonché, come ha suggerito il nuovo Pontefice, della Madonna di Pompei. Seguendo l’esortazione di S. Giovanni Bosco, preferisco decisamente gridare “W il Papa”, piuttosto che “W Leone XIV”; ma in questi primi giorni di pontificato, penso di potermi concedere una piccola deroga, che vale soprattutto come auspicio che i segnali tradizionali offertici ieri siano veritieri, e che l’attesa, indispensabile pacificazione interna alla Chiesa sia davvero prossima. È in quest’ottica, dunque, che ben volentieri mi unisco a quanti acclamano “W Leone XIV!”.

 

 

08 maggio 2025

Un nuovo Papa per i cattolici: Leone XIV

 Di Paolo Maria Filipazzi 

La Chiesa ha il suo nuovo Papa. Sarà Robert Francis Prevost, che ha scelto per sé il nome di Leone XIV.

L’onestà impone di dire che il cardinal Prevost non era uno di quei prelati in cima alle nostre preferenze.

Tuttavia, esiste un linguaggio non verbale, fatto di simboli, e due sono saltati subito all’occhio: il ritorno della mozzetta e un nome in continuità con i predecessori.

Il futuro ci dirà se è un Termidoro dopo il Terrore di Robespierre o è davvero l’inizio di un riallacciamento della continuità.

Confessiamo, comunque che, pur sorpresi, siamo sereni.

A Sua Santità Leone XIV promettiamo la nostra fedeltà, pronti a difenderlo quando sarà attaccato per causa di Cristo e a criticarlo quando riterremo che sia necessario per obbedire a Dio anziché agli uomini.

Perché la vera fedeltà al Papato funziona così.




 

07 maggio 2025

Controrisposta ad Aldo Maria Valli



di Paolo Maria Filipazzi

Aldo Maria Valli pubblica sul suo sito Duc in altum una Precisazione a proposito di un articolo di “Campari & de Maistre”. L’articolo è il mio, di qualche giorno fa, dal titolo “Tradito Ratzinger, ci meritammo Bergoglio”. Valli ha interpretato come un attacco personale diretto a lui il riferimento a  “noti vaticanisti che, andati in pensione o prossimi ad essa, si sono buttati su questo mercato” (quello dell’antibergoglismo) e precisa di avere iniziato a criticare Bergoglio prima di andare in pensione e di avere scontato le sue posizioni con l’emarginazione.
Bene.
Precisiamo subito che quel passaggio si riferiva ad un fenomeno che coinvolge diversi nomi illustri del giornalismo cattolico e non intendeva polemizzare in particolare con lui.
Precisiamo, però, con ancora maggiore forza, che quello cui si riferisce Valli era un passaggio del tutto secondario di quell’articolo, il cui centro era tutt’altro e stava in questa affermazione:

“Bergoglio ha avuto un’ enorme responsabilità negativa, che si articola in due aspetti: avere esasperato la crisi dottrinale che Benedetto XVI aveva cercato, se non di risolvere, almeno di arginare, e di avere imposto alla Chiesa uno stile di governo dispotico, nepotistico e, al tempo stesso, bizzoso e sconclusionato.

Questo ha provocato un profondo malessere in numerosi fedeli, cui una piccola parte della gerarchia e della cultura cattolica hanno legittimamente e meritoriamente dato voce.

Tuttavia, a questo si è accompagnata la nascita di un “antibergoglismo” che si è presentato come un fenomeno folkloristico dai connotati fortemente macchiettistici e grotteschi, nutrendosi e al tempo stesso alimentando, in un circolo vizioso, complottismi, sensazionalismi scandalistici, sedevacantismi e perfino pseudo millenarismi e, ovviamente, continuando a bombardare, oltre al solito Benedetto XVI, presentato come il precursore di Bergoglio, anche quei cardinali o vescovi che cercavano di tenere la barra dritta, accusati di essere a loro volta troppo blandi se non di essere uno specchietto per le allodole della “falsa chiesa bergogliana”, come costoro hanno ribattezzato unilateralmente la Chiesa cattolica.”.

Gli effetti di questo problema sono prossimi a manifestarsi. Lo stesso Valli ha di recente dichiarato di sperare in un papa che non segua le orme di Francesco. E su questo siamo tutti d’accordo. Peccato che esistano ormai numerosi fedeli convinti che l’imminente conclave sarà del tutto invalido e che, quindi, l’eletto non sarà davvero il papa. E anche qualora alcuni di essi non arrivassero a tanto, riserverebbero all’eletto lo stesso trattamento sprezzante toccato a Benedetto XVI. E qualora venisse eletto un papa sulla linea del predecessore, la loro reazione sarebbe di esultanza maligna per lo smacco che ai loro occhi avrebbero subito quelli che loro chiamano “gli una cum” e che poi sono, in realtà, nient’altro che i cattolici in piena comunione con la Chiesa…

Qualche tempo fa una persona a me vicina mi riferì dell’alterco avuto con un signore che cercava di convincerlo di non so quale bizzarra tesi sul papato e, non riuscendoci, aveva esclamato: “E allora continua pure ad andare dietro a Bergoglio!”. La persona a me vicina aveva replicato che non “andava dietro a Bergoglio”, ma si manteneva, come sempre era stata, nella Chiesa cattolica, che esisteva prima di Bergoglio e sarebbe esistita dopo di lui.

Ora siamo proprio a quel punto. Bergoglio è morto. La Chiesa esiste ed esisterà ancora. Purtroppo, però, esistono ancora idee dannose che, messe in circolo per contrastare Bergoglio, hanno solo allontanato persone dalla piena comunione con il Papato (che non è riducibile alla persona che, sempre e comunque temporaneamente, ricopre l’ufficio) e con i vescovi.

E, purtroppo, queste idee hanno avuto una diffusione non indifferente grazie anche a prestigiose firme che hanno concesso ai portatori delle medesime il proprio pubblico.

Si tratta di un fatto oggettivo, che resta tale a prescindere dalla buona fede con cui si è adottata una certa linea editoriale e dal fatto che tale linea abbia comportato degli svantaggi.

Concludiamo con una poesia di Gianni Rodari, Il dittatore:

Un punto piccoletto,

superbo e iracondo,
“Dopo di me” gridava
“verrà la fine del mondo!”.

Le parole protestarono:
“Ma che grilli ha pel capo?
Si crede un Punto-e-basta,
e non è che un Punto-e-a-capo”

Tutto solo a mezza pagina
lo piantarono in asso
e il mondo continuò
una riga più in basso.

Bergoglio si credeva un punto e basta ma, come chiunque, era solo un punto e a capo. Peccato che molti dei suoi critici lo abbiano scambiato a loro volta per un punto e basta ed ora siano in un vicolo cieco. Per loro Bergoglio, alla fine, un punto e basta lo è stato davvero.

Noi, per quanto ci riguarda, con questo articolo chiudiamo definitivamente la querelle: siamo già anche noi una riga più in basso, dove il mondo felicemente continua ed anche la Chiesa. Grazie a Dio.

 

 

 

06 maggio 2025

"Fino alla fine del mondo", linee per una Chiesa in missione

Dopo 12 anni in cui ci siamo sentiti dire che la Chiesa dovrebbe essere "in uscita", ma "senza proselitismo", torna utile leggere una bella raccolta di saggi, attualissimi e ben strutturati, da noi pubblicata proprio per creare una contronarrazione in grado di tenere viva la verità del magistero perenne. La Chiesa nasce perché Gesù Cristo le ha dato un compito: andare a portare la sua parola in ogni angolo del mondo e far conoscere a tutti gli uomini che lui è l'unica Verità.

Dunque beccatevi "Fino alla fine del mondo - Vangelo, proselitismo, missione". Acquistabile nuovo (non usato, sottolineiamo) su ebay a questo link:

https://www.ebay.it/itm/388076845883



 

05 maggio 2025

Il nuovo Papa governi la Chiesa senza stramberie


Il prossimo Papa dovrà mettere ordine in una Chiesa in preda al caos. Chi ha governato con Bergoglio senza fiatare faccia il piacere di astenersi dalla candidatura!

di Francesco Maria Filipazzi

Mancano poche ora all'inizio del Conclave e anche io dico la mia, non tanto su "chi" dovrebbe essere eletto, ma su "cosa" dovrebbe fare. 

Mi pare di capire che durante le congregazioni, al di là di richiami dottrinari per lo più generici e di accordi sottobanco per accaparrarsi voti di questa o quella cordata (si segnala che la Messa in Latino è una merce di scambio, e su ciò eventualmente torneremo), uno dei temi in discussione sia la gestione del Vaticano e della Chiesa universale. 

Effettivamente, più che una crisi dottrinale che va avanti da decenni e a cui ci siamo ormai assuefatti entrando in uno stato mentale di completa distanza, sembra che il problema impellente oggi sia il gran caos che regna nelle gerarchie, popolate da personaggi inadeguati ai ruoli che rivestono. 

Il prossimo Papa dovrà mettere fine agli sprechi economici (che con Bergoglio sono aumentati) e alla promozione sistematica degli idioti, tornando a fare dei seminari e degli istituti di formazione ecclesiastici dei veri luoghi di formazione della classe dirigente. 

Ovviamente la formazione deve essere irrorata dall'adesione ad una vita di preghiera (ricordiamo tutti le storie su vescovi e cardinali che non pregano il breviario?) e dall'insegnamento di una dottrina sana, difesa da persone in grado di farlo. 

La Chiesa inoltre andrà governata, mentre ora sembra allo sbando. Il governo Bergogliano in cosa si è tradotto? Decine di motu proprio che hanno riformato la qualunque, ordini commissariati se non soppressi, diocesi allo sbando con vescovi locali alle prese con problemi ordinari e straordinari. 

Dunque serve un Papa che, al posto di cercare di riformare la dottrina in modo bislacco, non faccia altro che confermare la dottrina eterna e poi si dedichi alla ricostruzione di una cattolicità sfibrata dalla modernità, che negli ultimi 12 anni non ha avuto gli strumenti per reagire, in quanto il primo sabotatore della causa si trovava proprio al vertice.

Un Papa che governi insomma, non un sovrano assoluto in preda a manie di onnipotenza e stramberie, destinate a finire inesorabilmente nella tomba.

Per quanto riguarda i nomi, non mi arrischio. Vorrei però invitare chi è stato coinvolto fino all'ultimo nel governo bergogliano, senza mai manifestare un minimo di dissenso, a farsi da parte. Essere complici con quanto accaduto negli ultimi 12 anni non sarebbe un buon viatico.



 

03 maggio 2025

Tradito Ratzinger ci meritammo Bergoglio



di Paolo Maria Filipazzi 

Sono passati ormai giorni dalla morte di papa Francesco, e più si avvicina il conclave che dovrà eleggerne il successore, più percepiamo come lontani gli anni appena trascorsi, anche se, nel momento in cui scriviamo, sono trascorsi da appena 11 giorni.

E’ finita.

Comunque vada il prossimo conclave, che elegga un papa di continuità o rottura, conservatore o progressista, santo o farabutto, sarà un’altra storia. La vicenda che abbiamo attraversato fino allo scorso 21 aprile è finita.

Prima di voltare pagina, è necessario, però, guardarsi indietro un’ultima volta, e di dire finalmente alcune cose che fino adesso avevamo valutato che non fosse il caso di dire, almeno non per intero. Non sappiamo se ora servirà a qualcosa dirle, probabilmente a nulla se non a liberare noi da un peso.

Partiamo da quel 11 febbraio 2013 che oggi, pure, ci sembra lontano.

Benedetto XVI era stato una figura tragica e, fino a quel momento, apparentemente eroica, con il suo tentativo di testimoniare la Verità cattolica ad un mondo che la rifiutava e di ristabilire la retta dottrina all’interno di una Chiesa da decenni in confusione.

A stenderlo, però, non furono né i laicisti che dall’esterno lo bombardavano né i modernisti che lo stesso facevano dall’interno. Furono coloro da cui ci sarebbe aspettato che facessero quadrato attorno a lui. Invece, in quel mondo noto come “tradizionalista” si diffuse ampiamente un atteggiamento schizzinoso e benaltrista: Benedetto XVI, si diceva, non stava facendo abbastanza, era troppo timido, anzi, per alcuni, era un impostore che voleva brasare la Tradizione fingendo di volerla restaurare.

Morale: per citare una frase del film Il Cavaliere Oscuro, di Christopher Nolan, Benedetto XVI era il papa di cui avevamo bisogno, ma non quello che ci meritavamo.

Ciò che ci meritammo ampiamente furono le sue dimissioni.

Dopo di lui venne Francesco, il papa di cui non avevamo bisogno, ma che ci meritavamo..

Ebbene si, ce la siamo meritata questa tortura, e ce la siamo meritata per tutto il corso dei lunghissimi dodici anni per cui è durata.

Bergoglio ha avuto un’ enorme responsabilità negativa, che si articola in due aspetti: avere esasperato la crisi dottrinale che Benedetto XVI aveva cercato, se non di risolvere, almeno di arginare, e di avere imposto alla Chiesa uno stile di governo dispotico, nepotistico e, al tempo stesso, bizzoso e sconclusionato.

Questo ha provocato un profondo malessere in numerosi fedeli, cui una piccola parte della gerarchia e della cultura cattolica hanno legittimamente e meritoriamente dato voce.

Tuttavia, a questo si è accompagnata la nascita di un “antibergoglismo” che si è presentato come un fenomeno folkloristico dai connotati fortemente macchiettistici e grotteschi, nutrendosi e al tempo stesso alimentando, in un circolo vizioso, complottismi, sensazionalismi scandalistici, sedevacantismi e perfino pseudo millenarismi e, ovviamente, continuando a bombardare, oltre al solito Benedetto XVI, presentato come il precursore di Bergoglio, anche quei cardinali o vescovi che cercavano di tenere la barra dritta, accusati di essere a loro volta troppo blandi se non di essere uno specchietto per le allodole della “falsa chiesa bergogliana”, come costoro hanno ribattezzato unilateralmente la Chiesa cattolica.

Questa nicchia delirante ha, di fatto, sabotato tutto ciò che sosteneva di voler difendere, screditando l’intero mondo dei cattolici tradizionali agli occhi di molti fedeli perbene, generando un irrigidimento di buona parte del clero e dando testo a chi, dal papa in giù, ne avrebbe voluto la cancellazione.

Diciamoci la verità: chiunque sia stato vicino alla messa tradizionale sa bene che, ogniqualvolta, in una diocesi, si trattava di rapportarsi con la Curia per ottenere la celebrazione del rito antico o per scongiurarne la soppressione, uno dei problemi più gravi si rivelavano essere i comportamenti gratuitamente provocatori di qualche deficiente che, presentandosi come l’oltranzista della causa, rischiava di provocarne l’affossamento, quando proprio non ci riusciva.

Per anni abbiamo sofferto e ci siamo offesi per i veri e propri insulti che Bergoglio ha indirizzato a quelli che chiamava “rigidi”, “indietristi” e quant’altro. Siamo, però, onesti: non tutti noi corrispondiamo a quelle descrizioni, il che giustifica che ci offendessimo, ma quanti ne conosciamo che sono esattamente così? Si dirà che Bergoglio & co, scorrettamente, generalizzassero per faziosità. Può darsi. Ma se quelli non ci fossero stati, questi avrebbero avuto un’arma polemica in meno.

E poi, per essere onesti fino in fondo: coloro di cui ci stiamo occupando, sono solo degli imbecilli o, a loro volta, sono dei disonesti? Basterebbe vedere le paradossali reazioni di esultanza di fronte a fatti negativi, una su tutte l’emanazione del motu proprio Traditiones Custodes: non interessava loro il danno fatto, ma il poter dire che l’evento dimostrava che loro avevano ragione. Non interessava loro che si risolvesse la crisi della Chiesa ma, al contrario, nella crisi della Chiesa ci stavano benissimo, essendo lo scenario necessario a ciascuno di loro per continuare a recitare il proprio personaggio e affermare la propria superiorità morale, intellettuale e dottrinaria.

E andiamo fino in fondo: ricordiamoci che il primo a mettere in dubbio che Bergoglio fosse il legittimo papa non è stato il povero Andrea Cionci, ma un celeberrimo giornalista cattolico senese che, dopo avere incassato un bel po’ di quattrini con tre libri che sono stati all’origine della mitologia dell’ antibergoglismo folkloristico, se ne è tornato placidamente a scrivere articoli sulla Madonna e Padre Pio mentre il mostro imperversava. Per non parlare di noti vaticanisti che, andati in pensione o prossimi ad essa, si sono buttati su questo mercato…

Insomma, non solo ci siamo meritati la punizione, ma non ci siamo nemmeno emendati e ce la meriteremmo ancora e ancora e ancora… Ci meriteremmo un Francesco secondo elevato al quadrato.

Tuttavia, non ci saremmo meritati nemmeno che Cristo patisse sulla Croce per i nostri peccati, eppure Lui lo ha fatto, perché era ciò di cui avevamo bisogno.

Forti di questa Speranza, che è quella che non tramonta, voltando le spalle al passato, possiamo guardare al futuro fiduciosi che non sia quello che ci meriteremmo…


 

29 aprile 2025

Ricordare Sergio Ramelli nella festività di Santa Caterina da Siena


di Paolo Maria Filipazzi

“Siamo reduci da giorni intensi nei quali la scomparsa del Santo Padre ci ha portato a riflettere su temi profondi: misericordia, perdono, pietas, Provvidenza. Ed è terribilmente difficile accostare questi valori alla vicenda di Sergio Ramelli.”. Così il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha aperto il suo messaggio per i cinquant’ anni della morte di Sergio Ramelli. E questo richiamo ai valori evangelici non appare per nulla retorico, ma quanto mai pertinente.

Un aspetto della personalità di Sergio Ramelli, infatti, mai veramente sottolineato e sempre lasciato un po’ in disparte, come un elemento di contorno, è questo: Sergio Ramelli era cattolico, un ragazzo dell’oratorio, come si diceva una volta. La sua famiglia, come la madre ricordò nel 1997, non gli aveva dato un’ideologia, ma dei valori. Ed è guidato da quei valori che fece le sue scelte.

Purtroppo il trattamento che subì dagli uomini di Chiesa non fu propriamente evangelico: al momento della morte, vi fu il rischio che non ricevesse nemmeno le esequie, perché nessun prete in tutta Milano gliele avrebbe volute celebrare, molti sicuramente per viltà, qualcuno forse per – ahimè – condivisione del terribile clima di odio di quegli anni. Fu necessario l’intervento di Servello presso il cardinal Colombo perché potesse avere un funerale nella chiesa dei Santi Nereo e Achilleo, quella della parrocchia che frequentava.

Oggi, grazie al cielo, l’anniversario della sua morte è celebrato in varie città d’Italia, fra cui Lodi, nel cui cimitero riposa, con messe in suffragio, ma purtroppo quell’atteggiamento non è del tutto scomparso, basti vedere la recente, sconcertante, presa di posizione del parroco di Brugherio rispetto all’intitolazione di una via a Ramelli nel proprio paese.

Pochi anni prima della morte di Sergio Ramelli, fra il 1970 e il 1972, un grande filosofo, Augusto del Noce, con una serie di articoli sul periodico L’ Europeo, aveva messo in guardia dai pericoli che comportava l’ “unità antifascista” sbandierata dal Partito comunista in quegli anni con l’accordo dei cattolici. Essendo il movimento nato nel 1919 e morto nel 1945 non più esistente, il termine “fascismo” passava ormai a designare chiunque difendesse la tradizione e i suoi principi, l’affermazione dell’ esistenza di verità morali assolute. Insomma, l’antifascismo era, per Del Noce, un escamotage per portare alla secolarizzazione, alla dissoluzione dei principi morali, con la complicità dei cattolici resi culturalmente subalterni a quelli che avrebbero dovuto essere i propri avversari.

Nella assoluta mancanza di misericordia e pietà che emerge dalla terribile vicenda di Sergio Ramelli, si vede questa dissoluzione dei principi morali che porta allo scatenarsi del male, e nella condotta degli uomini di Chiesa e degli ambienti cattolici si legge il dramma nel dramma della complicità di questi ultimi nel distruggere quei principi per cui avrebbero dovuto battersi.

Vi è, però, anche in questa oscurità, un raggio di luce: è rappresentato da quel sacerdote, ex partigiano che, presentatosi all’obitorio per benedire la salma prima della chiusura del feretro, portando al collo il fazzoletto dei Volontari della Libertà, fu allontanato dalle forze dell’ordine. Indignato, si tolse il fazzoletto, in un gesto di rabbia, non per rinnegare gli ideali per cui aveva combattuto, ma per significare che ciò in cui aveva creduto nulla aveva a che fare con quanto gli si trovava ora davanti.

Questo, forse, sarebbe il punto di partenza per una seria riflessione su tutta la storia del cattolicesimo italiano nel dopoguerra.

Ed è forse un segno che la memoria di Sergio Ramelli, cada nel giorno della festa di Santa Caterina da Siena, patrona d’Italia, la quale intrattenne fitte corrispondenze con i potenti del suo tempo, ricordando che non esiste un vero vivere civile senza la giustizia che viene da Cristo e, in nome di questa, invitata alla riconciliazione i potentati italiani in lotta tra loro.

La pacificazione nazionale, che la Destra da anni meritoriamente persegue, cercando non la rivincita o la vendetta ma la riconciliazione tra le fazioni, sarà davvero possibile quando, finalmente, i valori del Vangelo torneranno ad essere proclamati nella vita pubblica: misericordia, perdono, pietà e la Provvidenza da cui essi promanano.


 

27 aprile 2025

IL CARD. BURKE SCRIVE UNA PREGHIERA PER AVERE UN VICARIO DI CRISTO SULLA TERRA "DEGNO"

Il cardinale Raymond Leo Burke ha composto una preghiera da recitare dopo la sepoltura di Papa Francesco e per i nove giorni che precedono il Conclave Papale.


La novena inizia il 26 aprile e termina il 5 maggio 2025


Novena per il Sacro Collegio dei Cardinali riunito per il Conclave per eleggere il Romano Pontefice


Mi inginocchio davanti a te, o Vergine Madre di Dio, Nostra Signora di Guadalupe, madre compassionevole di tutti coloro che ti amano, gridano a te, ti cercano e confidano in te. Prego per la Chiesa in un momento di grande prova e pericolo per lei. Come sei venuta in soccorso della Chiesa a Tepeyac nel 1531, ti preghiamo di intercedere per il Sacro Collegio dei Cardinali riunito a Roma per eleggere il Successore di San Pietro, Vicario di Cristo, Pastore della Chiesa Universale.

In questo momento tumultuoso per la Chiesa e per il mondo, intercedi presso il tuo Divin Figlio affinché i Cardinali di Santa Romana Chiesa, Suo Corpo Mistico, obbediscano umilmente ai suggerimenti dello Spirito Santo. Per tua intercessione, possano scegliere l'uomo più degno per essere Vicario di Cristo sulla terra. Con te, ripongo tutta la mia fiducia in Colui che solo è il nostro aiuto e la nostra salvezza. Amen.

Cuore di Gesù, salvezza di coloro che confidano in Te, abbi pietà di noi!

Nostra Signora di Guadalupe, Vergine Madre di Dio e Madre della Divina Grazia, prega per noi!

 

21 aprile 2025

PAPA FRANCESCO È MORTO

 



++ Papa Francesco è morto ++ L'annuncio del card. Farrell (ANSA) - CITTÀ DEL VATICANO, 21 APR - Poco fa il card. Kevin Farrell ha annunciato con dolore la morte di Papa Francesco, con queste parole: "Carissimi fratelli e sorelle, con profondo dolore devo annunciare la morte di nostro Santo Padre Francesco. Alle ore 7:35 di questa mattina il Vescovo di Roma, Francesco, è tornato alla casa del Padre. La sua vita tutta intera è stata dedicata al servizio del Signore e della Sua chiesa. Ci ha insegnato a vivere i valori del Vangelo con fedeltà, coraggio ed amore universale, in modo particolare a favore dei più poveri e emarginati. Con immensa gratitudine per il suo esempio di vero discepolo del Signore Gesù, raccomandiamo l'anima di Papa Francesco all'infinito amore misericordioso di Dio Uno e Trino". (ANSA).

 

20 marzo 2025

Più Giovanni Paolo II, meno Ventotene


Giorgia Meloni, alla fine del discorso alla Camera sulle future politiche europee riguardanti crescita e difesa, ha letto alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene, documento più citato che letto dalla sinistra italiana. La premier ha quindi ricordato la natura socialista massimalista di quel documento, che propone un’idea di stato comune europeo più simile ad un regime, un moloch insindacabile, come in effetti l’attuale Unione sembra essere a tratti.

Inutile dire che l’idea di Europa che dobbiamo proporre e che la stessa Meloni vuole portare avanti, non può essere un’imposizione, ma deve essere piuttosto quella proposta da grandi figure come Giovanni Paolo II, a partire dalle Radici Cristiane, ad oggi negate ma necessarie per costruire un’istituzione sana che non schiacci il cittadino per raggiungere astrusi obiettivi di bilancio.

Un plauso dunque a Giorgia che ha contestato quello che sembrava un dogma.

Riguardo Ventotene e Giovanni Paolo II riproponiamo uno scritto pubblicato nel 2016 in un volume da noi pubblicato, “Pensieri Controrivoluzionari”.

Il titolo del contributo è “Onora il Padre e la Madre”. Da Ventotene alla Brexit di Paolo Filipazzi


Scaricabile qui

 

09 marzo 2025

Eutanasia e tranello radicale



Di Francesco Filipazzi 

Passato qualche tempo dalle polemiche suscitate nelle regioni italiane dalla proposta di legge della Fondazione Luca Coscioni riguardo il suicidio assistito, è ora necessario analizzare la situazione sia da un punto di vista morale che da un punto di vista politico, analizzando presupposti e conseguenze dell’introduzione dell’eutanasia in Italia. Discorso necessario affinchè anche nel centrodestra non si cada nei soliti tranelli cui i Radicali ci hanno abituati.

Premessa inutile ma doverosa sulla questione morale

Il discorso morale sulla liceità o meno di un’azione oggi risulta debolissimo, vivendo noi in una società relativista e priva di capisaldi, ma ci proviamo ugualmente sapendo che non convinceremo della nostra opinione nessuno che non ne sia già convinto.

É giusto però ribadire che, da un punto di vista strettamente morale, possiamo indorare la pillola quanto vogliamo, ma non potremo trovare una valida motivazione per dichiarare lecito la pratica eugenetica nota come “suicidio assistito”, la quale non ha nulla a che vedere con la conclusione di accanimenti terapeutici, già esclusi negli ospedali italiani (e anche, en passant, dalla Chiesa Cattolica, unico ente che oggi si pone ancora contro l’eutanasia).

Ponendo però il fatto che sia lecito “suicidare” il malato, qual è il criterio per valutare che la sua vita non valga più la pena di essere vissuta? Pongo alcune questioni:

– la decisione può essere in capo al malato, che in quanto malato ha una visione della propria condizione non oggettiva?

– la decisione si può prendere in base a un testamento biologico redatto quando il malato era sano? abbiamo una statistica di quanti hanno cambiato idea fra la redazione del testamento e la malattia?

– la decisione la può prendere una commissione di medici? scelta audace,dato che i medici hanno tutti una propria inclinazione (basti vedere che anche sull’aborto ci sono obiettori e non obiettori… tema su cui in futuro torneremo).

Ad oggi non mi sembra che ci sia una valida risposta alle domande di cui sopra. Come già detto però, quanto esposto fin qui, nel dibattito in corso non vale nulla e dunque passo al discorso successivo, ricordando solo che il giuramento di Ippocrate prescrive di curare il paziente e di non togliergli la vita per nessuna ragione.

Come si arriva al caso odierno. Il tranello radicale

La strategia dei Radicali e delle loro filiazioni come la Luca Coscioni, funziona così. Prendono dei casi limite, li pompano mediaticamente, arrivano al punto di rottura e cercano di mettere il legislatore sotto pressione. Si tratta di un utilizzo profondamente scorretto della sofferenza dei malati. Spesso il tutto è condito da diffusione di statistiche e dati falsi.

Sul suicidio assistito è andata esattamente così. Dopo anni di casi limite (Englaro, Welby…) il radicale Cappato pensa bene di portare Dj Fabo, un ragazzo paralizzato dal collo in giù dopo un incidente, a morire in Svizzera, secondo le leggi di quello stato. Cappato poi si autodenuncia in modo da alimentare il can can mediatico con un processo spettacolo. Giunti in Corte Costituzionale, nel 2019, guardacaso arriva una depenalizzazione de facto del suicidio assistito, che potrà essere quindi praticato senza paura di denunce, negli ospedali italiani.

La sentenza ovviamente lascia buchi enormi, non essendo una legge e dunque inizia la mobilitazione, a sinistra, al grido del “ci vuole una legge”.

Nel 2024 con un’altra sentenza, la Corte Costituzionale ha poi rincarato la dose, stabilendo quattro opinabilissimi criteri in base ai quali si può praticare il suicidio assistito:

-Essere affetto da una patologia irreversibile.

-Sperimentare sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili.

-Essere dipendente da trattamenti di sostegno vitale.

-Essere capace di prendere decisioni consapevoli.

Criteri che vogliono dire tutto e niente (es: una persona in dialisi potrebbe incontrare tutti i quattro requisiti), che aprono alla deriva di cui parlerò nell’ultimo paragrafo.

Il problema delle regioni

Poiché in Italia le regioni hanno competenza sulla sanità, ma non sulle leggi riguardanti la bioetica, la Luca Coscioni passa allo step successivo. La Consulta ha di fatto detto che si può operare il suicidio assistito e le regioni secondo i militanti radicali devono prevedere un protocollo sanitario.

La legislazione statale viene quindi scavalcata, non conta più nulla. Non serve più neanche una legge.

Al momento in cui si scrive, l’unica che ha portato avanti questa tesi è la Toscana, ma il tema è stato presentato e discusso in tutte le assemblee regionali. Oltre a rimanere aperta la possibilità che si legiferi a livello nazionale (e qui finalmente tutti dovranno schierarsi).

Tocca però registrare pericolosi cedimenti nelle regioni amministrate dal centrodestra. È evidente che manchino cultura e preparazione, in alcune sotto-aree delle formazioni di governo, sempre pronte a ossequiare il verbo radicale, probabilmente inconsapevoli che la posta in gioco vale molto più di quattro preferenze alle elezioni.

L’unico partito che tiene la barra dritta è Fratelli d’Italia.

Conseguenze note e già sperimentate

Eppure basterebbe dare un’occhiata a quanto accade nei famosi paesi avanzati del nord Europa, dove le legislazioni in materia sono codificate da decenni.

Si avvalgono del suicidio assistito persone in “sofferenze psicologiche insopportabili”, citando la Consulta, ovvero persone di ogni età (anche ventenni) con profonde depressioni, anziani soli, individui che si sino genericamente stufati di vivere. Se ne avvalgono anche persone con “malattie incurabili”, con aspettative di vita comunque lunghe ma terrorizzate dall’idea di una cronicità. E i casi sono ormai migliaia ogni anno. Tutte persone che andrebbero semplicemente seguite con umanità.

Insomma le conseguenze sono state nefaste e saranno nefaste anche in Italia. E accettare che uno Stato (o una Regione) rinunci a offrire alternative ai suoi cittadini, magari per ridurre i costi, non è degno della civiltà di cui siamo figli.

 

27 febbraio 2025

Accorgersi del nulla



di Paolo Maria Filipazzi

Da diversi giorni papa Francesco si trova ricoverato al policlinico Gemelli di Roma. Non avremmo voluto commentare la situazione in quanto, in un simile momento, riteniamo che l’unica cosa coerente con la fede cristiana sia unirsi alla preghiera per il malato.

Tuttavia, un curioso articolo apparso il 25 febbraio sul sito de Il Fatto Quotidiano, a firma di Marco Politi, ci induce ad una riflessione. Politi, in questo articolo, si chiede come mai non ci sia poi così tanta gente che partecipa alle preghiere pubbliche per papa Francesco, e giunge alla conclusione che il motivo è che i credenti non vogliano accettare il fatto che il papa sia “entrato in un tunnel” (la parola “morte” ormai è tabù…).

Il passaggio che più attira la nostra attenzione è il seguente: “Dove sono gli omosessuali ce da lui sono stati accolti per la prima volta nella Chiesa come cittadini a pieno titolo? Dove sono le donne che (…) hanno ottenuto per la prima volta in 1700 anni il diritto di voto ad un sinodo di vescovi sono state nominate dal papa argentino in posti apicali della Curia? Dove sono i poveri, i migranti, gli emarginati a cui ha dedicato il pontificato? Dove le coppie di uomini e donne credenti, divorziati e risposati, che hanno potuto finalmente accostarsi all’altare per prendere la comunione loro negata da Wojtyla e Ratzinger?”.

Partiamo dal fondo. Innanzitutto, la “comunione ai divorziati e risposati” non è stata crudelmente “negata” dai cattivi Wojtyla e Ratzinger, ma non è mai stata considerata lecita dalla Chiesa nemmeno prima. E nemmeno lo è diventata oggi. Papa Francesco, nel primo periodo del suo pontificato, ha celebrato sinodi in cui si è parlato del tema a favor di telecamere, le quali hanno rilanciato all’opinione pubblica la narrazione di chissà quale rivoluzione in corso. Il tutto è finito con un’esortazione apostolica in cui non veniva esplicitamente detto nulla, ma veniva furbescamente inserita una sibillina nota a piè di pagina che ha dato testo a quei preti che già se ne infischiavano di giustificare le proprie condotte interpretando tale nota a modo loro. Né papa Francesco avrebbe potuto uscirne diversamente, in quanto nessuno, nemmeno il papa, ha il potere di “cambiare la dottrina”. 

Il vero punto, però, non è questo: è che al 99% dei divorziati risposati, così come al 99% degli omosessuali, di avere il permesso di fare la comunione non è mai interessato niente in quanto, come del resto al 99% delle persone, non mettono piede in una chiesa da decenni, e non certo perché la cattivissima Chiesa li escluderebbe, ma proprio perché della Chiesa se ne infischiano.

Che dire delle fumose categorie elencate dei poveri, degli immigrati e degli emarginati. Intanto, “poveri” ed “emarginati” sono termini assai generici, per cui per capire dove sono coloro che esse designano bisognerebbe capire prima cosa sono. Quanto agli immigrati, in buon parte non sono cristiani, e buona parte di quelli che lo sono non sono cattolici. Perché dovrebbero pregare un Dio in cui non credono per il capo di una religione che non è la loro? Per insistenti prese di posizione politiche da parte di quest’ultimo, di cui non sappiamo nemmeno se sono al corrente?

Per non parlare delle donne, che adesso godono della fondamentale conquista di votare al Sinodo…

Insomma, da queste poche righe emerge il nulla in cui da quasi dodici anni la Chiesa cattolica fluttua. E quando ti occupi del nulla, non puoi lamentarti se quando ti guardi attorno ti accorgi che non c’è nessuno…

 

18 febbraio 2025

E Vance disse: "Abbattete questo muro"



di Paolo Maria Filipazzi

Il secondo mandato di Donald Trump è iniziato da meno di un mese e già si sta rivelando più dirompente di tutte le previsioni, sia nella politica interna che in quella estera.

Un paio di giorni fa, a prendersi la scena è stato il suo vice, quel J.D.Vance che potrebbe essere il vero uomo del futuro per l’America, il quale, parlando alla conferenza per la pace di Monaco, ha gelato gli ascoltatori europei con un discorso che, un giorno, potrebbe essere ricordato fra quelli che hanno fatto svoltare la storia.

Dopo le prime battute, Vance ha sferrato la prima martellata: “la minaccia che più mi preoccupa nei confronti dell’Europa non è la Russia, non è la Cina, non è nessun altro attore esterno. Ciò che mi preoccupa è la minaccia dall’interno. La ritirata dell’Europa da alcuni dei suoi valori più fondamentali, valori condivisi con gli Stati Uniti d’America.”.

Il passaggio centrale del discorso è stato quello in cui il vicepresidente statunitense ha richiamato la Guerra Fredda: “Ora, come molti di voi in questa sala sapranno, la Guerra Fredda ha schierato i difensori della democrazia contro forze molto più tiranniche in questo continente. E considerate la parte in quella lotta che censurava i dissidenti, che chiudeva le chiese, che annullava le elezioni. Erano i buoni? Certamente no. E grazie a Dio hanno perso la Guerra Fredda. Hanno perso perché non hanno valorizzato né rispettato tutte le straordinarie benedizioni della libertà. La libertà di sorprendere, di sbagliare, di inventare, di costruire, poiché a quanto pare non si può imporre l’innovazione o la creatività, così come non si può costringere le persone a pensare, a sentire o a credere a qualcosa, e noi crediamo che queste cose siano certamente collegate. E purtroppo, quando guardo all’Europa di oggi, a volte non è così chiaro cosa sia successo ad alcuni dei vincitori della Guerra Fredda.”.

Ecco quindi la questione chiave della nostra epoca: coloro che hanno vinto la Guerra Fredda in nome della libertà,  sembrano diventati ciò che hanno combattuto in passato. E ad esserne minacciata è, innanzitutto, la libertà religiosa: “E forse la cosa più preoccupante è che mi rivolgo ai nostri cari amici, il Regno Unito, dove il regresso dei diritti di coscienza ha messo nel mirino le libertà fondamentali dei britannici religiosi in particolare. Poco più di due anni fa, il governo britannico ha accusato Adam Smith Connor, un fisioterapista di 51 anni e veterano dell’esercito, dell’atroce crimine di essersi fermato a 50 metri da una clinica per aborti e di aver pregato in silenzio per tre minuti. Senza ostacolare nessuno, senza interagire con nessuno, semplicemente pregando in silenzio da solo. Dopo che le forze dell’ordine britanniche lo hanno identificato e gli hanno chiesto per cosa stesse pregando, Adam ha risposto semplicemente che stava pregando per il figlio non ancora nato, che lui e la sua ex ragazza avevano abortito anni prima. Ma gli agenti non si sono commossi. Adam è stato dichiarato colpevole di aver infranto la nuova legge sulle zone cuscinetto del governo, che criminalizza la preghiera silenziosa e altre azioni che potrebbero influenzare la decisione di una persona entro 200 metri da una struttura per aborti. È stato condannato a pagare migliaia di sterline di spese legali alla pubblica accusa. Ora, vorrei poter dire che si è trattato di un caso fortuito, un esempio folle e isolato di una legge scritta male che viene applicata contro una sola persona, ma no, lo scorso ottobre, solo pochi mesi fa, il governo scozzese ha iniziato a distribuire lettere ai cittadini le cui case si trovano all’interno delle cosiddette zone di accesso sicuro. Avvertendoli che anche la preghiera privata all’interno delle proprie case può costituire una violazione della legge. Naturalmente, il governo invita segnalare qualsiasi concittadino sospettato di reato di pensiero. In Gran Bretagna e in tutta Europa, la libertà di parola, temo, è in ritirata.”.

Una potentissima denuncia della guerra alla fede cristiana in corso nel continente che ne è stato la culla e il centro di irradiazione.

La critica del cattolico e conservatore Vance non si è fermata e ha colpito le alterazioni del sistema democratico messe in atto nei paesi europei: “mi ha colpito che un ex commissario europeo sia andato in televisione di recente e si sia mostrato compiaciuto del fatto che il governo rumeno avesse appena annullato un’intera elezione. Ha avvertito che se le cose non andranno secondo i piani, la stessa cosa potrebbe accadere anche in Germania. Queste dichiarazioni sprezzanti sono scioccanti per le orecchie americane. Per anni ci è stato detto che tutto ciò che finanziamo e sosteniamo è in nome dei nostri valori democratici condivisi. Tutto, dalla nostra politica sull’Ucraina alla censura digitale, è presentato come una difesa della democrazia. Ma quando vediamo i tribunali europei annullare le elezioni e alti funzionari minacciare di annullarne altre, dovremmo chiederci se ci stiamo attenendo a uno standard adeguatamente elevato, e dico noi stessi perché credo fermamente che siamo nella stessa squadra. Dobbiamo fare di più che parlare di valori democratici, dobbiamo viverli.”. Il riferimento è agli eventi clamorosi avvenuti in Romania lo scorso dicembre, quando, avendo prevalso al primo turno delle elezioni presidenziali il candidato Calin Georgescu, considerato “sovranista”, la Corte Costituzionale ha annullato il voto.

E più oltre:  siamo al punto in cui la situazione è diventata così grave che lo scorso dicembre la Romania ha annullato i risultati delle elezioni presidenziali sulla base dei fragili sospetti di un’agenzia di intelligence e delle enormi pressioni dei suoi vicini continentali. Per quanto ne so, la tesi era che la disinformazione russa aveva infettato le elezioni rumene, ma vorrei chiedere ai miei amici europei di avere un po’ di prospettiva. Potete credere che sia sbagliato che la Russia acquisti pubblicità sui social media per influenzare le vostre elezioni. Noi certamente lo pensiamo. Si può anche condannare sulla scena mondiale. Ma se la vostra democrazia può essere distrutta con poche centinaia di migliaia di dollari di pubblicità digitale da un paese straniero, allora non era molto forte fin dall’inizio. La buona notizia è che mi capita di pensare che le vostre democrazie siano sostanzialmente meno fragili di quanto molti temano apparentemente, e credo davvero che permettere ai nostri cittadini di dire ciò che pensano li renderà ancora più forti”.

E qui Vance ha picconato con decisione la politica dei “muri di fuoco”, dei “cordoni sanitari” e degli “archi costituzionali”:gli organizzatori di questa stessa conferenza hanno vietato ai legislatori che rappresentano i partiti populisti sia di sinistra che di destra di partecipare a queste conversazioni. Ora, ancora una volta, non dobbiamo essere d’accordo con tutto o con qualsiasi cosa la gente dica, ma quando le persone rappresentano, quando i leader politici rappresentano un’importante comunità, è nostro dovere almeno partecipare al dialogo con loro. Per molti di noi dall’altra parte dell’Atlantico, sembra sempre più che si tratti di vecchi interessi radicati che si nascondono dietro brutte parole dell’era sovietica come disinformazione e misinformazione, a cui semplicemente non piace l’idea che qualcuno con un punto di vista alternativo possa esprimere un’opinione diversa o, Dio non voglia, votare in modo diverso o, peggio ancora, vincere un’elezione..

Ha poi proseguito sul tema dell’immigrazione: “Oggi, quasi una persona su cinque che vive in questo paese si è trasferita qui dall’estero. Questo è, ovviamente, un record assoluto. È un numero simile, tra l’altro, negli Stati Uniti, anche questo un record assoluto. Il numero di immigrati che sono entrati nell’UE da paesi extra UE è raddoppiato solo tra il 2021 e il 2022, e ovviamente è aumentato molto da allora, e sappiamo che la situazione non si è creata dal nulla. È il risultato di una serie di decisioni consapevoli prese dai politici di tutto il continente e di altri in tutto il mondo nell’arco di un decennio. Abbiamo visto gli orrori causati da queste decisioni ieri in questa stessa città. E ovviamente non posso parlarne senza pensare alle terribili vittime che hanno visto rovinata una bellissima giornata invernale a Monaco. I nostri pensieri e le nostre preghiere sono con loro e lo saranno sempre. Ma perché è successo tutto questo? È una storia terribile, ma ne abbiamo sentite fin troppe in Europa e purtroppo anche negli Stati Uniti. Un richiedente asilo, spesso un giovane sulla ventina già noto alla polizia, sperona un’auto contro una folla e distrugge una comunità.

Quante volte dobbiamo subire questi terribili eventi prima di cambiare rotta e portare la nostra civiltà condivisa in una nuova direzione? Nessun elettore di questo continente è andato alle urne per aprire le porte a milioni di immigrati non controllati, ma sapete per cosa hanno votato. In Inghilterra hanno votato per la Brexit e, che siate d’accordo o meno, l’hanno votata. E sempre più in tutta Europa stanno votando per leader politici che hanno promesso di porre fine alla migrazione fuori controllo. Ora, mi capita di essere d’accordo con molte di queste preoccupazioni, ma non è necessario che voi siate d’accordo con me. Penso solo che le persone abbiano a cuore le loro case. Hanno a cuore i loro sogni, hanno a cuore la loro sicurezza e la loro capacità di provvedere a se stessi e ai loro figli. E sono intelligenti. Penso che questa sia una delle cose più importanti che ho imparato nel mio breve periodo in politica. Contrariamente a quanto si potrebbe sentire un paio di montagne più in là, a Davos, i cittadini di tutte le nostre nazioni non si considerano generalmente come animali istruiti o come ingranaggi intercambiabili di un’economia globale, e non sorprende che non vogliano essere trascinati qua e là o ignorati senza sosta dai loro leader..

Ecco, a quel punto, il passaggio che ha scatenato le ire del cancelliere tedesco Scholz: ciò a cui non sopravvivrà la democrazia tedesca, o meglio nessuna democrazia, americana, tedesca o europea, è dire a milioni di elettori che i loro pensieri e le loro preoccupazioni, le loro aspirazioni, le loro richieste di aiuto non sono legittime o non meritano nemmeno di essere prese in considerazione.  La democrazia si basa sul sacro principio che la voce del popolo conta. Non c’è spazio per i muri di fuoco. O si sostiene il principio o non lo si fa.

Europei, il popolo ha voce in capitolo. I leader europei hanno una scelta. E sono fermamente convinto che non dobbiamo avere paura del futuro. Abbracciate ciò che il vostro popolo vi dice, anche quando è sorprendente, anche quando non siete d’accordo. E se lo fate, potete affrontare il futuro con certezza e fiducia, sapendo che la nazione è al fianco di ognuno di voi, e questa per me è la grande magia della democrazia. Non è in questi edifici di pietra o in bellissimi hotel. Non è nemmeno nelle grandi istituzioni che abbiamo costruito insieme come società condivisa.

Credere nella democrazia significa capire che ogni cittadino ha la propria saggezza e la propria voce, e se ci rifiutiamo di ascoltare quella voce, anche le nostre battaglie più riuscite otterranno ben poco..

E chiosando, il cattolico Vance non poteva non citare un grande papa: Come disse una volta Papa Giovanni Paolo II, a mio avviso uno dei più straordinari difensori della democrazia in questo continente e in qualsiasi altro, “non abbiate paura!”. Non dovremmo avere paura del nostro popolo, anche quando esprime opinioni in disaccordo con la propria leadership.”

38 anni fa, davanti al Muro di Berlino, Reagan gridò, rivolto a Gorbaciov: “Abbatta questo Muro!”. Due anni dopo il muro crollava. Ora Vance ha gridato il suo “Abbattete questo Muro!” alle èlites europee e il muro che le divideva dai popoli ha iniziato a crollare. Dobbiamo solo rendercene conto.

 

 

 

 

12 dicembre 2024

Niente di nuovo sotto il sole (o quasi). Il nuovo Messale Ambrosiano



di Samuele Pinna

Mi è stato chiesto di dire qualcosa sull’uscita del nuovo Messale Ambrosiano ma, essendo io un teologo di seconda mano e uno scrittore di quart’ordine, mi limiterò a delle banali e frivolissime riflessioni. E devo partire dai segni dei tempi: sì, perché fino a qualche anno fa quanto da poco pubblicato dall’Arcidiocesi di sant’Ambrogio avrebbe creato un subbuglio generale con correnti di pensiero diametralmente opposte che per spuntarla se le sarebbero suonate di santa ragione, anche se poi – come in questo caso – era destinato ad avere la meglio chi tiene il coltello dalla parte del manico. Oggi viviamo in un mondo più veloce – si dice –, più fluido, più virtuale e, quindi, i profondi dibattiti sono stati sostituiti da brevi slogan urlati come fossimo in un perenne talk show. Nel nostro tempo a vincere è la lamentela, ma non quella retorica sostenuta da ragioni, bensì quella istantanea, rapida, a effetto, che domani può aver già mutato di segno. Si rifugge da dispute sui contenuti, perché ciò che conta è lo stato emotivo del momento che fa uscire dal ventre giudizi senza controllo o diabolicamente mirati. Tale modo di comportarsi non è per nulla cristiano, ma anche dentro casa cattolica le divisioni non mancano e sembra assente molto spesso l’annuncio schietto e rispettoso della verità, così come tramandata dalla Chiesa. I più maligni sono persuasi che la probabile causa sia dovuta all’aria sinodale che si respira e che rassomiglia molto – sono sempre i più maligni a sostenerlo – a quanto il genio di Guareschi attribuiva alla democrazia (basta cambiare la parola “democrazia” con “sinodalità” e il gioco è fatto): «La democrazia – ha lasciato detto Giovannino – è quella cosa dove tutti discutono alla pari e poi uno dispari decide». Ergo, mi appaiono tramontati i tempi dei grandi dibattiti, forse perché in una società sempre più scristianizzata ognuno tenta di campare come meglio può, anche per evitare attenzioni indesiderate, così da non prendere posizioni controcorrente.

La Liturgia pare non avere più un grande ascendente sulle persone, a meno di essere dei ferventi cristiani che cercano una comunione profonda col divino. Certo, ci sono pure – grazie al cielo – gli appassionati e, purtroppo – grazie al diavolo –, gli ossessionati (per i quali l’amore per la formalità del culto non è proporzionale all’amore verso il prossimo).

Il Messale Ambrosiano può suscitare qualche perplessità se lo si osserva dal punto di vista del principio lex orandi, lex credendi, perché in controluce s’intravvede qualche piccola ideologia, che – a essere onesti – alla fin fine ci fa sorridere. Non vorremmo essere irriverenti né buttare tutto in caciara, ma in effetti l’ironia pungente era presente anche cinquant’anni fa – nonostante la primavera ecclesiale appena partorita dall’ultimo Concilio ecumenico – e diverse erano le prese in giro rivolte al Messale Ambrosiano edito negli anni Settanta. Lo chiamavano “serbocroato”, perché la Congregazione del Rito Ambrosiano di allora – capitanata da Giacomo Biffi – aveva impiegato in modo massiccio il verbo serbare, preferendolo a conservare, perché richiamava le conserve, o al peggiore per allusione preservare. La critica più feroce che ha continuato a girare negli anni decretava la cattiva traduzione dell’eucologia, dimenticando un piccolo particolare: per vicende storiche (che non si ha il tempo di richiamare) il testo era stato composto prima in italiano e solo in un secondo momento in latino: dunque, semmai sarebbe stata la parte latina a essere stata tradotta male dall’italiano.

Il nuovo Messale Ambrosiano non propone grandi cambiamenti, se si eccettua l’accettazione – ovviamente in toto – della riforma del Lezionario avvenuta nel 2008, che invece ha portato a una sorta di piccola rivoluzione. Tra le altre cose, colpisce l’“invenzione” – assente precedentemente – di una settima domenica d’Avvento. Sì, perché ponendo molta enfasi su san Martino di Tours (tanto, se non erro, da elevarne la memoria a festa liturgica), è stato deciso d’iniziare l’Avvento con la prima domenica dopo l’11 di novembre, col risultato che ciclicamente capita di avere sette anziché sei domeniche prima del Natale. Se nella Congregazione non mancavano specialisti di tante discipline, probabilmente era assente un matematico: facendo, infatti, partire il conteggio dei giorni prendendo come riferimento il 12 novembre le settimane sarebbero state sempre e solo sei. Quando il cardinal Biffi mi spiegava questo piccolo ma non trascurabile particolare, ci teneva a dire che la sua scelta non era stata fatta per devozione sconsiderata a san Giosafat (che cade per l’appunto il 12 novembre), ma serviva soltanto a far quadrare i conti, perché – è il Presule ancora a puntualizzare – non ha senso «inventare una “domenica prenatalizia non di Avvento”, della quale nessuno aveva mai sentito parlare, anche perché sembra un concetto contraddittorio: “prenatalizia” non può che essere di “preparazione al Natale”, e una domenica di preparazione al Natale, nella sostanza, è una domenica di Avvento».

Ora non voglio offendere i liturgisti coinvolti, ma devo ammettere che della riforma del 2008 c’è un’altra cosa che non mi è andata mai a genio: il Vangelo della risurrezione. È assai curioso incontrare un brano evangelico all’inizio della celebrazione – a sostituzione tra l’altro dell’Atto penitenziale – quando la costruzione liturgica vuole che esso sia l’apice nell’esposizione della parola di Dio (Antico Testamento, Nuovo Testamento e – tratto dal Nuovo Testamento – il Vangelo). Biffi stesso la valutava come una non gran bella trovata, esteticamente e pedagogicamente. La risposta piccata di Cesare Alzati, deputato dalla Congregazione per difendere la scelta, mi era parsa all’epoca del dibattito fuori luogo, come quando si fa uno strappo più grande cercando di cucire la toppa: «Definire la lettura di un brano evangelico della Resurrezione – aveva scritto Alzati – nel contesto dell’officiatura domenicale una “trovata” significa volutamente ignorare l’uso costante dell’Oriente greco fin dalla testimonianza di Egeria, nonché – ai nostri giorni – gli usi della comunità latina gerosolimitana del Santo Sepolcro, dell’anglicana Community of the Resurrection, della Comunità di Taizé». Cosa c’entrino l’uso costante dell’Oriente greco e gli usi della comunità latina gerosolimitana del Santo Sepolcro, dell’anglicana Community of the Resurrection, della Comunità di Taizé con la liturgia ambrosiana non riesco ancora a comprenderlo.

Ora non voglio offendere neppure le femministe, ma trovo poco piacevole l’utilizzo codificato di “Fratelli e sorelle”, che può non stonare nelle parti mobili (cioè quelle dove il Presidente della celebrazione può parlare a braccio), ma che infastidisce non poco quando si è costretti a leggerlo. E questo per semplice amore dell’italiano, perché – come è stato spiegato dall’Accademia della Crusca – per il plurale in italiano si usa ancora il maschile “non marcato”. È vero che lingue cambiano, ma perché appoggiare noi cristiani ideologie avverse al cristianesimo?

Ora non voglio offendere neppure gli esegeti, ma una cosa che proprio non mi entra nella zucca è la modifica della traduzione del Gloria in excelsis Deo, dove “uomini di buona volontà” è diventato “amati dal Signore”. Non capisco questo cambio: il Gloria è una preghiera, un inno, non una traduzione o traslitterazione della Bibbia: il suo autore aveva quindi la possibilità di parafrasare o di restituire in modo diverso il senso di un passo scritturistico. Non fa così anche sant’Ambrogio nei suoi versi metrici? Per fortuna sono stato confortato dalla lettura dalla prof.ssa Federica Favero, la quale mi conferma: «Significativo è il caso del Gloria in excelsis Deo, dove l’espressione hominibus bonae voluntatis è stata modificata secondo la nuova traduzione della Bibbia CEI, operazione che non tiene conto del fatto che l’inno è una preghiera che certamente contiene un rimando biblico, ma che non ha senso modificare, proprio in quanto tale rimando è inserito in un contesto innodico e non vuole perciò essere una traduzione della Sacra Scrittura, bensì un recupero in funzione poetica di un passo biblico» (“Versato per molti”. Note a margine a una Lettera di Benedetto XVI, in Benedetto XVI. L’ultimo europeo, cur. Campari & de Maistre, Historica Giubilei Regnani, Roma 2023, p. 173).

Ora non voglio offendere nessuno, ma – mi si consenta un poco di umorismo – il Nuovo Messale Ambrosiano mi ha dato un grande dispiacere. Un’orazione che aspettavo tutto l’anno, è stata mutilata e non ho potuto che dolermene. La nuova riforma ambrosiana non manca di arcaismi (come, per esempio, sostituire il tempo ordinario riproponendo le vecchie diciture o riportare in auge la Quaresima di san Martino, vecchia di mille anni e abbandonata da secoli), ma non ha avuto il buon cuore di lasciare l’unico presente nell’edizione precedente. Il passo incriminato invocava Dio, il quale non vuole che i convitati alla Sua mensa indulgano alle orge sfrenate del demonio, per sostituirlo con un più blando: «che ai commensali del tuo Figlio comandi di non avere parte alcuna con il Maligno». Nulla da eccepire (per carità!) nella nuova formulazione, ma rammento bene quando il cardinal Biffi mi spiegò che si trattava di un riferimento al mondo pagano, quando in epoca antica si svolgevano feste orgiastiche in onore del dio Giano Bifronte. Mi disse, inoltre, tra il serio e il faceto, in sua difesa verso chi criticava quel testo: “Ma scusa, oggi non ci sono le orge? E se ci sono le orge queste non sono sfrenate? E se sono orge sfrenate non vengono dal demonio?”.

In soldoni, ciò che fa specie del nuovo Messale Ambrosiano sono le linee guida dichiarate, ma non seguite sino in fondo: è stato scelto il criterio di essere più fedeli possibile alla lettera, come nel caso della rugiada dello Spirito (nella versione precedente effusione), ma in altri contesti si è preferito il criterio cosiddetto “pastorale”, come nel caso del non abbandonarci alla tentazione del Padre nostro (che non è di certo la traduzione letterale).

Davanti a queste e altre anomalie – qui non riportate – che fare? Un tapino come me suggerisce – come insegnerebbe il mio don Augusto – di essere «liberi e fedeli»: liberi nel dissentire sul piano delle idee e fedeli nell’obbedire alle norme, mantenendo insieme verità e carità, legate tra loro dal personale sacrificio offerto per amore. Detto così può suonare retorico, allora preferisco rifarmi a un sant’uomo e illustre teologo come Charles Journet – lui, sì, di prim’ordine –, che scriveva in una lettera a una persona convertita: «Ben sapevo che questo entrare nella Chiesa le avrebbe portato una grande gioia profonda che sarà per lei tutta la sua vita. Ci saranno certamente molte sofferenze, molti screzi, ma sempre il senso delle prove le diventerà luminoso nella luce della croce. E più avrà da soffrire per la Chiesa, più essa le diventerà cara».