02 settembre 2025

Quo Vadis? Il premio Nobel (multimediale) della Polonia





di Franco Ressa - Fumetto di Nives Manara

Si sa che Nerone incolpò i cristiani dell’incendio che nel 64 devastò parte di Roma. C’è il fondato sospetto che lo stesso imperatore volle farlo appiccare per eliminare i quartieri degradati nel centro dell’Urbe, dove voleva far costruire la sua splendida Domus Aurea, la Casa d’Oro.

Sono però scarse ed imprecise le notizie su coloro che vennero sacrificati dalla vanità e dalla follia di Nerone. Due di questi supposti martiri sarebbero Anastasia e Basilissa, probabilmente di nobile famiglia. Sembra che le donne abbiano provveduto alla sepoltura dei due apostoli Pietro e Paolo.

Anastasia e Basilissa avevano la loro ricorrenza il 15 aprile, ma per tutti i martiri del 64-68 è stata poi fissata la data del 30 giugno.

Nel fumetto di Nives Manara, Nerone fa uccidere le due donne legandole sulla groppa di un toro, che a sua volta verrà abbattuto nell’arena. L’immagine deriva da un quadro dipinto nel 1897 da Henrik Siemiradzki (1843-1902), artista polacco di nobile famiglia. Avrebbe dovuto laurearsi in fisica, ma diventò pittore frequentando l’accademia imperiale di arte a San Pietroburgo. I suoi soggetti preferiti erano l’antichità classica e le imprese di Cristo, degli apostoli e dei martiri. Dal 1872 si stabilisce a Roma, ritorna in Polonia solo per morirvi.

Il dipinto  di Siemiradzki fu esposto a Venezia, e nel 1898 a San Pietroburgo. Oggi si trova nel museo nazionale di Varsavia. Il titolo, Una Dirce cristiana, fa capire come Nerone martirizza una giovane donna con la pena che secondo la mitologia subirono Antiope e la regina di Tebe Dirce (il toro era una simbolica forza maschile che distrugge la femminilità). L’imperatore viene ritratto accompagnato dalla sua corte e dai suoi schiavi in un luogo che potrebbe essere il Circo Massimo, poiché ai tempi il Colosseo non era ancora stato costruito.

Vi fu un collegamento tra il pittore e lo scrittore Henrik Sienkiewicz (1846-1916) anche lui polacco. Giornalista e saggista, scrive i suoi primi romanzi di ambiente storico dell’antica Polonia. Viaggia per molti paesi esteri, europei ma anche in India, Egitto, Stati Uniti, tuttavia preferisce l’Italia e Roma, dove scrive il suo più famoso romanzo Quo Vadis, premiato nel 1905 con il Nobel per la letteratura. Nel periodo tra il 1893 ed il 1896, l’anno quest’ultimo della pubblicazione di Quo Vadis, lui e Siemiradzki si frequentarono a Roma e il pittore accompagnò il romanziere sui luoghi poi descritti dallo scrittore, come la chiesetta della via Appia dove avvenne la visione di san Pietro, con le sue parole “Domine quo vadis ?”: Signore dove vai ? Gesù Rimproverava l’apostolo di voler fuggire dalla città abbandonando i cristiani, e in sua assenza sarebbe ritornato per farsi crocifiggere una seconda volta. Questo diede a Pietro il coraggio per affrontare il suo martirio.

Il romanzo storico è ambientato ai tempi di Nerone, dell’incendio di Roma e della persecuzione contro i cristiani, così nella scena del martirio di questi nell’arena, la ragazza Ligia, vista dall’autore come antenata del popolo polacco, viene legata nuda sulla groppa di un bufalo selvaggio, che però viene preso per le corna ed abbattuto dal fortissimo Ursus, salvando così la cristiana. Anche Ursus è un barbaro cristianizzato proveniente dai territori polacchi.

La pittura dovette seguire parallelamente la scrittura del romanzo, un caso di  multimedialità  e sinergia tra diverse arti abbastanza raro per l’epoca. Vedi questo studio:

https://rzym.pan.pl/wp-content/uploads/sites/4/2023/05/Conferenze-137-Quo-Vadis-La-prima-opera-transmediale-M.-Wozniak.pdf

Le illustrazioni che seguirono la pubblicazione e il premio illustre, mostrano una vera moda del momento clou del romanzo Quo Vadis: Ursus afferra il toro che porta Ligia svenuta o illanguidita. Sul tema vi sono sculture e monumenti in marmo e in bronzo, e sulla medesima scena ho collezionato una trentina di illustrazioni e cartoline anche artisticamente pregevoli, come quelle di Domenico Mastroianni (1876-1962). Vincenzina Castelli (1902-1976), illustratrice di cartoline, disegna tutti i suoi personaggi come bambini, anche lo scrittore Sienkiewicz. Ursus allora è un bambino forzuto e Ligia una bambina bionda dai capelli lunghi, spaventata e quasi interamente spogliata. Queste ultime sono tre cose insolite nello stile della Castelli, ma si tratta di una interpretazione umoristica.

Nelle illustrazioni recenti di Quo Vadis in stile fumettistico, merita attenzione una copertina di Szimon Kobilinsky (1927-2002) dove Ligia malgrado la galoppata nel circo e le corde che la stringono al bovino, è imbarazzata in apparenza soltanto per essere senza vestiti, vista da vicino da quell’uomo forzuto mentre è nell’impossibilità di coprirsi.

Un altro disegno, opera di Marek Szyszko, è aderente al quadro di Semiradzki: nel momento successivo all’atterramento dell’animale Ligia ancora in deliquio inizia ad essere slegata dal corpo della bestia. Szyszko, è nato in Polonia nel 1951, insieme a Kobilinski ha lavorato  per la rivista di fumetti Relax, stampata in Polonia tra il 1976 e il 1981, poi ripresa dal 2020 con Gregorz Rosinski, l’autore di Thorgal, come caporedattore onorario. Negli anni ’70-80 Szyszko realizza serie di fumetti per le edizioni Kaw. Titoli tradotti: Viaggiatori polacchi, Club sportivo forestale, Storia leggendaria della Polonia, Pilota di elicottero. Ancora, fornirà le ambientazioni per i giochi da tavolo. Entrambe le illustrazioni sono edite da Elipsa-Varsavia nel 1993.

Non deve stupire la presenza di questi polacchi, perché Quo Vadis, benché ambientato a Roma, è considerato un classico fondamentale nella letteratura e nella cultura, specie cattolica, della Polonia.

Gli artisti polacchi della rivista  Relax vennero in Italia al salone dei comics di Lucca il primo novembre 1978, diciotto giorni dopo l’elezione del Papa loro connazionale. Ma non conoscendo l’italiano e poco altre lingue, non vi fu un grande scambio artistico e culturale. Ritornarono poco soddisfatti e non li si vide negli anni seguenti. Anche perché capitò che io stesso ed il fumettista italiano Bonvi, autore di Sturmtruppen, li sottoponemmo involontariamente ad un gavettone di cocktail Martini bianco. Con grande ilarità generale.

Se volete vedere molte belle illustrazioni e fumetti polacchi, guardate qui:

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19 agosto 2025

Polpetta avvelenata per Leone. Nessun incontro programmato con gli LGBT

 

La stampa di sinistra parla di svolta dottrinale, ma la realtà è diversa: l'organizzazione 'Noi Siamo Chiesa' si è registrata come singoli fedeli e l’autorizzazione è arrivata dal cardinale Grech, non dal Pontefice.

Di Francesco Maria Filipazzi su secolodialia.it

Al “Giubileo delle Équipe sinodali e degli organismi di partecipazione”, un evento che comprenderà decine di associazioni e che culminerà in un incontro con il Santo Padre, sarà infatti presente anche la controversa associazione Noi Siamo Chiesa, nota per le sue posizioni eterodosse su molti temi della vita ecclesiastica. Cavalli di battaglia sono il cambio dottrinale sull’omosessualità, su cui il gruppo chiede apertura totale, la comunione ai divorziati risposati, l’ordinazione sacerdotale delle donne e il superamento del celibato ecclesiastico.

Un’associazione molto problematica, insomma, la cui presenza in elenco ha dato adito a titoli entusiastici da parte della stampa progressista, che ha avuto gioco facile nel titolare che “Leone incontrerà un gruppo Lgbt”, lasciando intendere aperture dottrinali. Eppure, questa narrazione è molto parziale e assume sempre di più i contorni di una “fake news”.
In primo luogo, non si tratterà di un incontro fra il Papa e l’associazione, ma di un incontro con una serie di gruppi, a cui otto rappresentanti di Noi Siamo Chiesa parteciperanno come singoli. Nessun faccia a faccia, nessun incontro dedicato.

Inoltre, il lasciapassare non è stato dato da Leone XIV, ma dal cardinale Grech, a seguito di una richiesta del responsabile di We Are Church International, Colm Holmes. Gli otto componenti infatti si erano registrati come singoli fedeli, senza ricevere risposta. Grech avrebbe quindi confermato la possibilità di partecipazione, estendendola a tutti i momenti del Giubileo, oltre a quelli del 24 ottobre. Opportunità, peraltro, già prevista per i singoli fedeli.

Un annuncio sul sito del Giubileo recitava infatti già in tempi non sospetti: “Visto il crescente interesse anche da parte di singoli fedeli non membri di équipe sinodali/organismi di partecipazione, la Segreteria Generale del Sinodo ha deciso di aprire loro la partecipazione ai lavori di venerdì 24 ottobre pomeriggio, fino a esaurimento posti, che si concluderanno con l’incontro con Papa Leone XIV”.

A puntualizzare la dinamica a Fanpage è la stessa rappresentante del movimento italiano, Elza Ferrario, che non manca di ammettere i rapporti problematici fra la sua associazione e la Santa Sede.

I titoli roboanti appaiono dunque, ancora una volta, una forzatura: un tentativo di tirare per la giacchetta il Papa, come accaduto tante volte nel precedente pontificato, per costruire una notizia inesistente.

Leone XIV però non sembra tipo da farsi “tirare in mezzo” e non concederà facili aperture dottrinali.

 

27 luglio 2025

Eutanasia. Senza una legge è già anarchia



di Francesco Filipazzi

Leggo, in questi giorni una serie di interventi, dai toni apocalittici, secondo cui l’Italia starebbe andando incontro ad una deriva senza precedenti perché in Parlamento si discute della legge sul “fine vita”, definizione ingentilita dell’eutanasia. Questa pratica è inaccettabile sotto ogni punto di vista, ma mi tocca dissentire nei confronti di una narrazione, proposta da alcuni ambienti pro life, per cui non servirebbe nessuna legge per regolamentarla, anzi sarebbe moralmente illecita, in quanto lo Stato non dovrebbe legittimare l’uccisione degli infermi. Automaticamente i parlamentari e i partiti che parteciperanno alla stesura di questa legge vengono anatemizzati, con i soliti toni da tregenda tipici del mondo polarizzato in cui viviamo.

Eppure questa posizione appena esposta non tiene conto della realtà dei fatti. Oggi la pratica dell’eutanasia in Italia c’è già, è già permessa e praticata. Accanto ad alcuni casi, pompati ad arte dai buoni uffici della Fondazione Luca Coscioni, come quello di Laura Santi, ne esistono molti altri. Siamo infatti in presenza di un vuoto normativo per cui ciò che non è esplicitamente vietato diviene automaticamente implicitamente permesso, per via delle sentenze della Corte Costituzionale che negli ultimi anni hanno stabilito un diritto costituzionale alla morte. Interpretazioni forzate, ma legalmente valide. Un discorso completamente diverso, ad esempio, rispetto alla 194, che legalizzava una pratica, l’aborto, all’epoca vietata.

Dunque se le associazioni provita, che oggi accusano i partiti del centrodestra di essersi illusi di poter arginare un fenomeno, a loro volta si illudono che la deriva non sia già pienamente in atto e che “l’attivismo politico di giudici e magistrati” non sia oggi pienamente in atto. Leggo anche una tesi abbastanza strampalata per cui il Parlamento non dovrebbe legiferare, perché ogni caso deve essere lasciato nella responsabilità del singolo giudice. Eppure questa responsabilità i giudici se la stanno già prendendo, insieme ad intere fette del Servizio Sanitario Nazionale.

Se si vuole fermare la deriva, qualcosa va fatto da un punto di vista legislativo, altrimenti sì che il Parlamento avrà una responsabilità morale nell’essersi girato dall’altra parte e permettendo quella che al momento si prefigura come una vera e propria anarchia.

D’altro canto, la legge attualmente in discussione risulta estremamente restrittiva, distinguendo semplicemente i casi in cui c’è accanimento terapeutico e quelli in cui non c’è, stabilendo quindi di poter agire solo nei primi. Non è un caso che la Fondazione Luca Coscioni stia lanciando strali proprio contro questo disegno di legge, che andrebbe a far fallire i loro piani.

 

22 luglio 2025

11 luglio 2025

Google ha chiuso d'imperio Messainlatino.it

Google ha chiuso d'imperio Messainlatino.it. La notizia è disturbante e fa nascere una serie di domande sulle garanzie costituzionali che evidentemente per i blogger cattolici non valgono, ne parleremo.

Il dato di fatto è però che oggi, dopo un'attività incessante iniziata nel 2007, 22 mila post, citazioni innumerevoli sulla stampa nazionale e internazionale, l'inserimento nella rassegna stampa interna del Papa e una serie di attività informative inestimabili, Messainlatino.it oggi è stato eliminato dal web.

Google ha inviato uno stringato comunicato all'account di amminsitrazione, nel quale ha scritto che il blog avrebbe "incitato all'odio". 

Caro Google, vergognati!

Massima solidarietà alla redazione, alla quale offriremo tutto il supporto possibile per tornare online. 

Nell'immagine vedete  "l'editto" di Google con il blog è stato oscurato e di seguito il comunicato della redazione di MIL

Come da scarna email ricevuta stamattina, che allego, la Redazione di Messainlatino, blog esistente fin dall'anno 2007, con oltre 1.020.000 visite solo nel mese scorso ed oltre 22.000 post editi, è stato rimosso dalla piattaforma Blogger (di proprietà di Google) per asserita violazione della loro politica contro lo 'hate speech', qualunque cosa ciò possa voler dire. Nessun'altra motivazione è stata fornita. Solo in via di indizio, possiamo supporre ciò abbia a che fare con la circostanza che, nelle settimane scorse, erano già stati rimossi (ma poi dallo stesso Blogger.com riammessi, su nostra sollecitazione) singoli articoli, il cui tenore era: l’intervista a mons. Strickland contro l’ammissione delle donne al diaconato; uno studio del Prof. Corrado Gnerre sulla storia della Massoneria e la sua condanna da parte della Chiesa; il richiamo alla dottrina ufficiale della Chiesa in riferimento al gay pride; infine un post di oltre dieci anni fa col video del fondatore del movimento neocatecumenale.

Abbiamo reagito con l'intimazione giuridica che allego, richiamando anche la palese violazione del diritto costituzionale alla libertà di parola. E' chiaro che se si comincia così, nessuno può più sentirsi al sicuro nell'espressione del proprio pensiero, perfino se questo combacia con la dottrina ufficiale della religione più diffusa al mondo. 

Lunedì, se non succede niente, deposito un ricorso cautelare d'urgenza.

VI CHIEDO DI AIUTARCI A RENDERE DI PUBBLICO DOMINIO IL FATTO GRAVISSIMO. 

Luigi 


 

08 luglio 2025

Traditionis Custodes era una truffa

La Messa in Latino non creava alcun problema alla maggior parte dei vescovi nel mondo e, anzi, il motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI, volto a “liberalizzare” la celebrazione tridentina era apprezzato fra molti prelati.

Questo il vero risultato del sondaggio che Papa Francesco aveva proposto all’episcopato globale per supportare le sue decisioni riguardo la limitazione delle celebrazioni preconciliari. Eppure i risultati andavano in senso nettamente opposto, come spiegato da Diane Montagne,  offrendo uno scenario ben diverso da quello che evidentemente il passato pontefice si aspettava. E dunque, rispettando il principio in voga nella Chiesa dal 1962 in poi, se la realtà non dà ragione alle elucubrazioni del momento, tanto peggio per la realtà.

Effettivamente che ci fosse qualcosa di strano lo avevamo capito sin da subito, perché viviamo quotidianamente la realtà dei gruppi stabili e dei rapporti con le curie, con le quali da anni, a parte qualche caso, ogni belligeranza era sopita. L’episcopato italiano seppur progressista e votato al cupio dissolvi liturgico, sa perfettamente che da queste celebrazioni non deriva alcuna problematica reale. 

Bergoglio dunque ha agito di imperio, manipolando i dati, evidentemente in concerto con i mondi ostili al rito antico, in quanto ostili al messaggio cattolico. Ai tempi di Traditionis Custodes fu abbastanza chiaro che l’input del provvedimento arrivava dal Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, l’ateneo che recentemente ha scaricato Andrea Grillo dopo il suo ultimo delirio contro Carlo Acutis. 

Andrea Grillo è uno degli pseudo liturgisti più attivi nella teorizzazione della repressione del Rito Tridentino, in quanto egli propugna una dottrina eucaristica profondamente rivisitata e pericolosamente distante da quella cattolica. La Messa in Latino chiaramente non si presta alla diffusione di queste teorie, purtroppo molto in voga tra i liturgisti moderni (alcuni sono arrivati ad accostare la consacrazione ad un rapporto sessuale, vedete voi…) a loro volta molto in voga durante il descamisado pontificato argentino.

Ora la palla è in mano a Leone XIV, apparentemente non ostile. Preghiamo affinché non solo la Messa di sempre (si la chiamiamo così), ma in generale la liturgia cattolica-romana trovi una nuova primavera. 


 

26 giugno 2025

L'Anselmiano scavalla Andrea Grillo


La tirata di Andrea Grillo sulla santificazione di Carlo Acutis, ha destato molto clamore. Oltre ad essere vagamente offensivo verso il futuro patrono di Internet, l'articolo del teologo in forza al Pontificio Ateneo Santanselmo presentava una teoria sulla concezione dell'eucarestia fortemente in contrasto con la dottrina cattolica. 

Questa volta dunque l'aedo di Amoris Laetitia l'ha fatta grossa, tanto che lo stesso ateneo, generalmente muto riguardo le gesta del proprio professore, ha emesso un comunicato in cui prende le distanze dal deragliamento senza fine di un personaggio che ha dovuto le sue fortune al pontificato Bergogliano.

E' un segnale importante, che indica come nella Chiesa sia tornata una parvenza di normalità. 

Di seguito il comunicato:

23 giugno 2025. Il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo prende con decisione le distanze da quanto singolarmente espresso da docenti che, a titolo personale e sotto la loro unica e piena responsabilità, pubblicano sui propri siti o blog, tesi, opinioni o posizioni personali.

Esse, infatti, non rappresentano quanto insegnato nelle varie Facoltà del nostro Ateneo che accoglie totalmente e trasmette, in piena fiducia e obbedienza di fede - nell’ottica di una sana dialettica su cui si basa una vera ricerca teologica - l’insegnamento della Chiesa e del Romano Pontefice.

Pro-Rettore, Prof. P. Laurentius Eschlböck, O.S.B.

 

10 giugno 2025

Meglio un mese da Leone



di Paolo Maria Filipazzi

Abbiamo ormai superato il mese dall’elezione di Leone XIV ed è ora di raccogliere alcune idee suscitate da questo primissimo mese di pontificato.

Un aspetto è sicuramente eclatante ed è … la totale assenza di alcunché di eclatante. Dopo dodici anni di montagne russe emotive, il primo papa statunitense interpreta il proprio ruolo all’insegna di una forza tranquilla e rassicurante che fa sentire molti cattolici finalmente a casa.

Significativo appare, sotto questo punto di vista, il discorso alla Curia Romana del 25 maggio, in cui ha affermato: “I Papi passano, la Curia rimane. Questo vale in ogni Chiesa particolare, per le Curie vescovili. E vale anche per la Curia del Vescovo di Roma”. Un messaggio chiarissimo, che non è sfuggito al Fatto Quotidiano, che ha titolato Prevost si sgancia da Bergoglio per tenersi buona la Curia. Per dodici anni Il Fatto Quotidiano è stato il capofila di una narrazione che presentava la Curia Romana come una malvagia struttura di potere e corruzione che il supereroe buono Bergoglio era venuto a combattere, e va detto che le azioni di quest’ultimo erano state tali da fare apparire la versione di un Papa in lotta con la Curia come veritiere. Peccato che la Curia esista per dare supporto al Papa e che, del resto, un’ organizzazione radicata in tutto il pianeta come la Chiesa Cattolica non possa essere governata senza una simile struttura. E che lo smantellamento della Curia per cui tifava la stampa progressista in realtà nascondesse dietro di sé lo smantellamento della Chiesa. Insomma, papa Prevost ha lanciato un messaggio chiaro che in realtà possiamo tradurre così: “I papi passano, la Chiesa resta”. E c’è da credere che i progressisti si siano irritati.

Chiarissimi messaggi sono leggibili anche nella graduale ricomposizione della normale fisionomia papale: il ritorno della mozzetta e della stola è stato il primo, immediato chiarimento. Dopo la strana “intronizzazione senza trono”, quest’ultimo è ricomparso a partire dalla presa di possesso delle basiliche romane, così come, a partire dalla Messa di Pentecoste, il crocifisso sull’altare, anche se di lato, quasi a lasciare intendere un silenzioso braccio di ferro con i cerimonieri notoriamente modernisti. Lo stesso valga per l’uso liturgico della ferula: il nuovo papa ha, finora alternato il pastorale di Benedetto XVI, realizzato sulla falsariga dei tradizionali pastorali papali, a quello di Scorzelli, moderno e non amato dai puristi, ma ormai a sua volta simbolo, se non tradizionale, quantomeno storico del papato, ed è abbastanza chiaro che non vedremo più i bizzarri bastoni usati dal suo predecessore.

Fuori dai simboli, significativo è il fatto che il nuovo papa abbia liquidato tutte le messe in scena pauperiste e ostentanti umiltà fasulla, smettendola una buona volta di viaggiare in utilitaria, rimanendo nel proprio appartamento al Sant’Uffizio in attesa della ristrutturazione dell’appartamento papale apostolico, in cui andrà normalmente ad abitare, e abbia fatto visita a Castel Gandolfo, dove tutti sperano nel suo ritorno.

Tutto questo solo ad una visione superficiale potrebbe sembrare secondario. L’esistenza di simboli, cerimoniali, consuetudini, certo gradualmente consolidatisi nei secoli, ma a cui tutti i papi via via si attengono, ha il preciso significato di testimoniare che la Chiesa non è al servizio del Papa ma il Papa è al servizio della Chiesa, e compito del Papa non è affermare tramite la Chiesa la propria personalità, le proprie preferenze e le proprie opinioni, ma al contrario rinunciare alla propria individualità per farsi servo. Guarda caso, già nella sua prima messa in Cappella Sistina, il giorno dopo l’elezione, il nuovo Papa ha lanciato quello che sembra quasi uno slogan: “Sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo”, precisando che si tratta di “un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità”.

C’era un papa che pensava di rimanere in barba alla Chiesa. E’ morto.

La Chiesa invece rimane e ora c’è una papa che sa che rimarrà anche dopo di lui. Sia lodato Gesù Cristo!

 

 

 

03 giugno 2025

22 maggio 2025

Festing, il Gran Maestro tradito


di Franco Ressa

Dopo i Templari ed i Teutonici il maggiore ordine di frati cavalieri era ed è tuttora l’ordine Giovannita.

All’inizio era un insieme di nobili guerrieri che combatteva per la fede in Terrasanta, ma dal 1308 l’ordine si trasferisce sull’isola greca di Rodi, e qui si trasforma in una repubblica marinara come erano Genova e Venezia. Il compito dei frati-guerrieri è quello di polizia marittima specie contro la pirateria dei saraceni che causa incursioni sulle coste del Mediterraneo. I predatori rapiscono gli abitanti e li portano schiavi nel nord Africa, i cavalieri si impegnano a liberarli pagando dei riscatti o scambiando i prigionieri cristiani con  prigionieri musulmani.

I cavalieri potevano contare su 530 possedimenti terrieri in tutta Europa, che finanziavano le loro attività e sostenevano la flotta armata. Ad amministrare i vari possedimenti chiamati commende, venivano mandati i cavalieri non più abili alle armi, ed erano suddivisi per lingue: italiani, francesi, tedeschi spagnoli ecc. ognuno di questi con un proprio autogoverno.

Le navi di questo ordine danno molto fastidio alla potenza dell’impero Turco Ottomano e per tre volte (1480, 1522 e 1565) il sultano ne tenta la distruzione, ma i guerrieri cristiani vincono sempre, pur dovendo abbandonare l’isola di Rodi e trasferirsi in quella di Malta. Da qui il loro nome di cavalieri di Malta. In questa terra sono notevoli e ben conservate le fortificazioni, le chiese, i palazzi costruiti da essi nei secoli XVI, XVII, XVIII.

Nel 1607 pur non essendo nobile viene fatto cavaliere il pittore Caravaggio per la sua fama di artista, ma l’anno seguente verrà espulso dall’ordine perché rissoso ed indisciplinato. Nella cattedrale di La Valletta è esposto un suo famoso quadro, la decollazione di san Giovanni Battista, patrono dell’ordine.

L’ordine di Malta avrà il proprio stato in mezzo al mare fino al 1798. In quell’anno Napoleone invade l’isola e scaccia i cavalieri. Malta passerà sotto l’Inghilterra e non verrà più restituita. Da allora in poi l’ordine risiede a Roma. La sua direzione si trova in via dei Condotti 68. Questo palazzo è come un piccolo Vaticano, infatti il Sovrano Militare Ordine di Malta non ha perduto il proprio diritto ad essere una repubblica religiosa, soggetta soltanto al Papa, e come stato ha il potere di nominare ambasciatori (ne ha un centinaio in varie nazioni), di coniare monete e stampare francobolli.

Terminato il suo compito bellico marittimo, le risorse dell’ordine di Malta, pur ridotte con la perdita delle commende due secoli fa’, sono oggi impegnate nell’organizzazione di ospedali, ambulanze, aiuti alle popolazioni in caso di calamità o guerre. Il personale medico e paramedico dell’ordine ha assicurato l’assistenza ai pellegrini durante il giubileo.

In quella piccola ma efficiente repubblica marinara mediterranea il Doge era eletto a vita tra i nobili cavalieri, ma il suo titolo era Gran Maestro. Dopo il 1798 non ha più potuto comandare su un territorio, ma la sua dignità di capo di stato è rimasta come carica civile, e la carica religiosa corrisponde a quella di cardinale.

Chi era Matthew Festing

Franco Ressa e il gran maestro Festing a Rapallo nel 2008.

Il Gran Maestro in carica dal 2008 al 2017 era il 79esimo dal tempo delle crociate, si chiamava Matthew Festing, inglese, nato nel 1949, figlio del feldmaresciallo dell’armata britannica Francis Festing. La sua famiglia fu sempre cattolica e conta anche un martire, Adrian Fortescue, giustiziato dal re Enrico VIII nel 1539 perché rifiutò di diventare protestante.

Matthew nasce nel 1949, trascorre la propria giovinezza tra Malta e Singapore, studia in Inghilterra in una scuola benedettina dello Yorkshire e al St. John College di Cambridge. Laureato in storia presta il servizio militare nei granatieri e diventa colonnello. Entra nell’ordine di Malta nel 1977, fa carriera come Gran Priore direttore dei cavalieri inglesi, organizza missioni umanitarie durante le guerre in Bosnia, Serbia, Croazia, Kossovo.

L’11 marzo 2008 venne eletto Gran Maestro. Nell’agosto di quell’anno è a Rapallo in Liguria dove prende possesso della villa magistrale appartenente al suo ordine, che sorge sul promontorio di San Michele di Pagana. Lì ebbi occasione di incontrarlo e presentarmi come storico dei cavalieri di Malta, avendo discusso la mia prima tesi di laurea proprio su questo tema. Trovai una persona aperta, cordiale, colta ed esperta anche nel campo artistico, infatti il proprio fratello maggiore, Andrew Festing, è un famoso pittore ritrattista che ha eseguito quadri per la famiglia reale di Gran Bretagna. I fratelli Festing erano critici d’arte e consulenti per la famosa galleria e casa d’aste Sotheby’s di Londra. Matthew manifestò il suo interessamento ai miei studi sul suo ordine, con una lettera indirizzata a me.

La lettera di Festing a Franco Ressa

Cacciato ed esiliato

Nel dicembre del 2016, Festing destituì il cancelliere del suo ordine, il tedesco Von Boeslager, per aver distribuito nel terzo mondo quantità di preservativi, vietati dalla Chiesa Cattolica, ma Papa Francesco ribaltò la situazione, e come suo superiore chiese le dimissioni a Festing. Per ubbidienza al Pontefice vennero da lui date il 24 gennaio 2017.

Matthew Festing come Gran Maestro aveva fatto solo il suo dovere nell’etica cattolica. Perché allora questo? Secondo Wikileaks il Gran Maestro Festing sarebbe stato il capro espiatorio del contrasto tra il cardinale americano Burke, conservatore ed aspro critico delle novità bergogliane, e il Papa Francesco stesso. Quest’ultimo in effetti aveva sollevato Burke dal patronato sull’ordine di Malta, sostituendolo con il cardinale Becciu, prelato le cui azioni negative sono note, specialmente contro il suo avversario il cardinale australiano Pell. In un primo momento costui non voleva che Festing mettesse più piede a Roma nella sede di via dei Condotti, specie durante l’elezione di un suo successore, Ma Becciu ignorava che con l’assenza del capo dimissionario dell’ordine la votazione dei facenti parte del consiglio sarebbe stata nulla. Perciò Festing fu presente.

Nella storia c’è un solo precedente di intervento papale censorio verso un ordine religioso-cavalleresco. Nel 1308 Papa Clemente V, indotto dal re di Francia Filippo il Bello, destituì e poi fece bruciare sul rogo il Gran Maestro e i dignitari dei cavalieri Templari. Dante Alighieri giustamente biasimò la cosa nella Divina Commedia.

Dopo le dimissioni Festing si ritirò nelle sue case di campagna nel Northumberland in Inghilterra, ma l’umiliazione patita causò in lui la depressione ed il declino della propria salute. Sentendosi alla fine, ridotto a muoversi in carrozzina, l’ex gran maestro si recò nell’isola di Malta per morirvi. Così nel novembre 2021 la cattedrale di La Valletta capitale di Malta, dopo 224 anni ha visto i funerali di un gran maestro di san Giovanni, con grande partecipazione di cavalieri in divisa dell’ordine. Questo ha dato l’occasione che la sua sepoltura venisse situata nella cripta della cattedrale stessa, dove giacciono gli antichi gran maestri e dignitari vissuti tra il 1522 e la fine del secolo XVIII. I loro stemmi sono raffigurati sul pavimento del duomo, realizzati con artistiche tarsie marmoree.

Con la riforma degli statuti dell’ordine di Malta, voluta da Papa Francesco, il Gran Maestro non è più in carica a vita, ma per un periodo di dieci anni. Attualmente ricopre la carica John T. Dunlap, avvocato canadese nato nel 1957, entrato nell’ordine nel 1996, eletto al gran magistero il 3 maggio 2023.

 

10 maggio 2025

Ritorno a Roma. Ritorno a casa



di Francesco Maria Filipazzi 

Dobbiamo ammetterlo. Pur nella consapevolezza di dover rimanere strenuamente cattolici romani e di dovere fedeltà al Sommo Pontefice, negli ultimi anni ci siamo allontanati, qualcuno mentalmente altri addirittura spiritualmente, dalla tomba dell'Apostolo. 

Troppa rabbia sorgeva nel vedere il Papa sminuire la Chiesa e i suoi simboli, troppo disgusto per messaggi ondivaghi e contraddittori, puerili se non proprio volgari.

Il frutto marcio del pontificato bergogliano è stato questo. Cattolici distanti da Roma, in fuga. Qualcuno è caduto, ha esagerato, ha seguito falsi profeti.

Ora è il momento di tornare a casa. Leone XIV, riprendendo semplicemente alcuni simboli del papato, pronunciando i primi discorsi gravidi di messaggi cattolici, cristocentrici e mariani, sembra promettere un ritorno alla mitezza e alla normalità. 

Lo dico agli amici che in questi anni hanno resistito con noi: Leone si trova in una situazione pesante. La Chiesa è divisa, il popolo è allo sbando, disorientato. Il clero è in crisi di identità. I dossier sul tavolo sono tanti, enormi e spinosi, probabilmente non ci immaginiamo quanto. Sappiamo solo che il predecessore ha lasciato un disastro.

Mettersi quindi ad analizzare ogni gesto o a soppesare ogni parola, con l'obiettivo di denunciare l'errore sarebbe oggi controproducente e tossico

Dobbiamo al contrario essere cooperatori della giustizia e della verità, popolo di Dio che sostiene la propria guida terrena. L'esercizio della virtù della Prudenza ci impone questo modo di agire.

Teniamo conto che il Satana ha già predisposto il terreno per attaccare. Basti pensare alla diffusione preventiva e repentina (anche da parte di siti come la Bussola quotidiana) di notizie riguardo chissà quale copertura di abusi. Basterebbe ricordare la vicenda del cardinale Pell, per fare quadrato attorno a Prevost. Non cadiamo nel tranello del padre della menzogna e lasciamo certi argomenti ai nemici della Chiesa.

Predisponiamoci positivamente verso il pontificato che si sta aprendo e convertiamo il nostro cuore. Papa Leone XIV oggi è per noi fonte di speranza.

 

09 maggio 2025

Fra pro, contro e speranza di normalità. Viva Leone XIV?


di Enrico Roccagiachini

È molto difficile formulare un giudizio attendibile sul nuovo Papa. Nella sua elezione e nel modo in cui si è proposto al popolo possono ravvisarsi aspetti positivi ed altri, purtroppo, scoraggianti. Pro e contro.

Incominciamo da questi ultimi.

Era annoverato tra i progressisti, per di più spiccatamente bergogliani. Alcuni autorevoli commentatori tradì lo avevano inserito tra coloro la cui elezione andava evitata, addirittura sostenendo Parolin, se necessario.

In effetti, come Prefetto del Dicastero per i Vescovi (o come altrimenti si chiami adesso), ha concorso attivamente alle rimozioni di mons. Strickland e di mons. Rey: ciò che inserisce nel suo curriculum una macchia difficilmente emendabile. Si parla anche di qualche debolezza sul fronte degli abusi.

Quanto alle sue posizioni dottrinali, si sa che ha aderito sia alle ubbie ecologiste del suo predecessore, sia al mantra della sinodalità, peraltro evocato anche nel suo primo discorso. È vero, però, quanto a tutti gli altri temi sensibili che, stando almeno al sito The College of Cardinals Report, non si conoscono realmente le sue posizioni, se non (e questo andrebbe annoverato tra i pro) una dichiarata opposizione al diaconato femminile perché – se ho ben capito – estraneo alla tradizione della Chiesa.

I contro, dunque, sono pesanti; tuttavia, va detto, non sembrano dirimenti. È possibile chiedersi, in particolare, se le posizioni bergogliane – purtroppo richiamate anche nel discorso di ieri – siano state abbracciate per convinzione, per obbedienza o per opportunismo. E se coincidano totalmente, quanto ai contenuti, con quelli assunti dal predecessore. Lo scopriremo solo vivendo.

Indubbiamente, il curriculum missionario del nuovo Papa lo rende attento ai temi sociali e riconducibile alle posizioni politiche bergogliane: ma questo, per quanto discutibile, sarebbe un problema minore, se quelli basici (dottrina, diritto canonico, disciplina ecclesiastica, ecc.) fossero risolti o, almeno, circoscritti.

Veniamo, adesso, ai pro.

Il Card. Prevost farebbe parte dei porporati che si sarebbero incontrati con il Card. Burke qualche giorno fa. Il che farebbe suppore che la sua candidatura fosse in esame, come candidatura di compromesso, molto più concretamente di quanto non si pensasse: candidatura accettabile anche dai tradì, con i quali si cercava un accordo, e ai quali, dunque, il futuro Leone XIV dovrebbe aver dato garanzie credibili (o, quantomeno, credute…). Il che potrebbe trovare conferma in una dichiarazione del Card. Burke diffusa ieri stesso via X.

In ogni caso, mi pare che Prevost, quand’anche progressista, non sia riconducibile alla mafia di San Gallo – cioè all’eredità del Card. Silvestrini, che rappresentava il nemico da battere per i conservatori e i tradì. Se lo scopo era sconfiggere Parolin, questa caratteristica va annoverata tra i pro.

Si è presentato con vesti e nome sicuramente pontificali, nel senso tradizionale. Poiché i segni e i gesti sono importanti, e servono per lanciare messaggi (non necessariamente e non solo al popolo, ma anche ai cardinali elettori, magari per confermare che si rispetteranno gli impegni presi…), la cosa va debitamente sottolineata.

Nel suo discorso inziale, in dodici minuti ha citato nostro Signore come unico Salvatore più di quanto non abbia fatto il suo predecessore in dodici anni. Ha evocato e invocato la Madonna di Pompei. Ha pregato l’Ave Maria. Difficile non vederci un’eco delle questioni dottrinali e pastorali sollevate nelle Congregazioni Generali, certamente non da parte dei progressisti. È vero che il suo latino lascia alquanto a desiderare (ci ha regalato qualche errore di lettura e almeno un accento sbagliato) ma, al netto dell’emozione del momento, ha sicuramente ampi spazi di miglioramento in proposito. Peraltro, da qualche ora circolano voci che lo vorrebbero privato, privatissimo cultore della messa tradizionale: chissà…

Anche la scelta del nome è interessante, e suscita impressioni positive. Probabilmente dovuta al fatto che Leone XIII sostenne attivamente, anzi rilanciò, l’ordine degli agostiniani, di cui Prevost fa parte, non si può escludere che si tratti anche di un richiamo alla dottrina sociale della Chiesa, nel suo contenuto classico, tante volte disatteso e stravolto nel pontificato di Francesco. Certo, ci si potrebbe leggere anche un riferimento al ralliement (per la gioia di Macron e dei poteri globalisiti?), e, sempre sul piano storico, si potrebbe evocare anche Leone X, nel cui pontificato si consumò lo strappo luterano: in tempi di Synodale Weg non sarebbe un precedente incoraggiante… Tuttavia, è un nome sicuramente tradizionale, che potrebbe indicare anche la volontà di inserirsi nella storia bimillenaria della Chiesa e di valorizzarla tutta, non solo quella compiutasi a partire dall’11 ottobre 1962. Il primo papa Leone, S. Leone Magno, fu contemporaneo di S. Agostino e si segnalò per lo zelo per l’unità della Chiesa e l’ortodossia, l’affermazione del primato petrino e la restaurazione della disciplina ecclesiastica. Con il Card. Burke, ci auguriamo con tutto il cuore che il santo pontefice protegga, ispiri ed illumini il suo omonimo successore.

Ma ciò che maggiormente vorrei sottolineare è il reiterato riferimento alla pace: che non mi pare immediatamente e prevalentemente politico, pur potendosi e dovendosi leggere anche in tal senso, considerando gli scenari bellici che caratterizzano l’attualità. Si tratta in primis di un richiamo evangelico. Penso e spero che sia anche – anzi, soprattutto – un invito alla pacificazione interna di cui la Chiesa, dopo il devastante pontificato bergogliano, ha bisogno più dell’aria. Se le cose staranno davvero così, se Leone XIV si porrà l’obiettivo di riconciliare i cattolici tra loro, riconoscendo piena dignità e piena libertà di azione anche a quelli che non si riconoscono nella prevalente ondata modernista/modernizzante (abiurando fermamente, dunque, l’animus che ha ispirato operazioni come quelle, nefaste, compiute nei confronti di mons. Strickland e di mons. Rey), la sua elezione andrà salutata con soddisfazione, perlomeno nel senso di riconoscervi il massimo ottenibile nell’attuale situazione ecclesiale.

In conclusione: invocato l’ottimismo della volontà, entriamo senza pregiudizi nel nuovo pontificato, contando – come suggerisce santamente il Card. Burke – sulla protezione della Madonna di Guadalupe, nonché, come ha suggerito il nuovo Pontefice, della Madonna di Pompei. Seguendo l’esortazione di S. Giovanni Bosco, preferisco decisamente gridare “W il Papa”, piuttosto che “W Leone XIV”; ma in questi primi giorni di pontificato, penso di potermi concedere una piccola deroga, che vale soprattutto come auspicio che i segnali tradizionali offertici ieri siano veritieri, e che l’attesa, indispensabile pacificazione interna alla Chiesa sia davvero prossima. È in quest’ottica, dunque, che ben volentieri mi unisco a quanti acclamano “W Leone XIV!”.

 

 

08 maggio 2025

Un nuovo Papa per i cattolici: Leone XIV

 Di Paolo Maria Filipazzi 

La Chiesa ha il suo nuovo Papa. Sarà Robert Francis Prevost, che ha scelto per sé il nome di Leone XIV.

L’onestà impone di dire che il cardinal Prevost non era uno di quei prelati in cima alle nostre preferenze.

Tuttavia, esiste un linguaggio non verbale, fatto di simboli, e due sono saltati subito all’occhio: il ritorno della mozzetta e un nome in continuità con i predecessori.

Il futuro ci dirà se è un Termidoro dopo il Terrore di Robespierre o è davvero l’inizio di un riallacciamento della continuità.

Confessiamo, comunque che, pur sorpresi, siamo sereni.

A Sua Santità Leone XIV promettiamo la nostra fedeltà, pronti a difenderlo quando sarà attaccato per causa di Cristo e a criticarlo quando riterremo che sia necessario per obbedire a Dio anziché agli uomini.

Perché la vera fedeltà al Papato funziona così.




 

07 maggio 2025

Controrisposta ad Aldo Maria Valli



di Paolo Maria Filipazzi

Aldo Maria Valli pubblica sul suo sito Duc in altum una Precisazione a proposito di un articolo di “Campari & de Maistre”. L’articolo è il mio, di qualche giorno fa, dal titolo “Tradito Ratzinger, ci meritammo Bergoglio”. Valli ha interpretato come un attacco personale diretto a lui il riferimento a  “noti vaticanisti che, andati in pensione o prossimi ad essa, si sono buttati su questo mercato” (quello dell’antibergoglismo) e precisa di avere iniziato a criticare Bergoglio prima di andare in pensione e di avere scontato le sue posizioni con l’emarginazione.
Bene.
Precisiamo subito che quel passaggio si riferiva ad un fenomeno che coinvolge diversi nomi illustri del giornalismo cattolico e non intendeva polemizzare in particolare con lui.
Precisiamo, però, con ancora maggiore forza, che quello cui si riferisce Valli era un passaggio del tutto secondario di quell’articolo, il cui centro era tutt’altro e stava in questa affermazione:

“Bergoglio ha avuto un’ enorme responsabilità negativa, che si articola in due aspetti: avere esasperato la crisi dottrinale che Benedetto XVI aveva cercato, se non di risolvere, almeno di arginare, e di avere imposto alla Chiesa uno stile di governo dispotico, nepotistico e, al tempo stesso, bizzoso e sconclusionato.

Questo ha provocato un profondo malessere in numerosi fedeli, cui una piccola parte della gerarchia e della cultura cattolica hanno legittimamente e meritoriamente dato voce.

Tuttavia, a questo si è accompagnata la nascita di un “antibergoglismo” che si è presentato come un fenomeno folkloristico dai connotati fortemente macchiettistici e grotteschi, nutrendosi e al tempo stesso alimentando, in un circolo vizioso, complottismi, sensazionalismi scandalistici, sedevacantismi e perfino pseudo millenarismi e, ovviamente, continuando a bombardare, oltre al solito Benedetto XVI, presentato come il precursore di Bergoglio, anche quei cardinali o vescovi che cercavano di tenere la barra dritta, accusati di essere a loro volta troppo blandi se non di essere uno specchietto per le allodole della “falsa chiesa bergogliana”, come costoro hanno ribattezzato unilateralmente la Chiesa cattolica.”.

Gli effetti di questo problema sono prossimi a manifestarsi. Lo stesso Valli ha di recente dichiarato di sperare in un papa che non segua le orme di Francesco. E su questo siamo tutti d’accordo. Peccato che esistano ormai numerosi fedeli convinti che l’imminente conclave sarà del tutto invalido e che, quindi, l’eletto non sarà davvero il papa. E anche qualora alcuni di essi non arrivassero a tanto, riserverebbero all’eletto lo stesso trattamento sprezzante toccato a Benedetto XVI. E qualora venisse eletto un papa sulla linea del predecessore, la loro reazione sarebbe di esultanza maligna per lo smacco che ai loro occhi avrebbero subito quelli che loro chiamano “gli una cum” e che poi sono, in realtà, nient’altro che i cattolici in piena comunione con la Chiesa…

Qualche tempo fa una persona a me vicina mi riferì dell’alterco avuto con un signore che cercava di convincerlo di non so quale bizzarra tesi sul papato e, non riuscendoci, aveva esclamato: “E allora continua pure ad andare dietro a Bergoglio!”. La persona a me vicina aveva replicato che non “andava dietro a Bergoglio”, ma si manteneva, come sempre era stata, nella Chiesa cattolica, che esisteva prima di Bergoglio e sarebbe esistita dopo di lui.

Ora siamo proprio a quel punto. Bergoglio è morto. La Chiesa esiste ed esisterà ancora. Purtroppo, però, esistono ancora idee dannose che, messe in circolo per contrastare Bergoglio, hanno solo allontanato persone dalla piena comunione con il Papato (che non è riducibile alla persona che, sempre e comunque temporaneamente, ricopre l’ufficio) e con i vescovi.

E, purtroppo, queste idee hanno avuto una diffusione non indifferente grazie anche a prestigiose firme che hanno concesso ai portatori delle medesime il proprio pubblico.

Si tratta di un fatto oggettivo, che resta tale a prescindere dalla buona fede con cui si è adottata una certa linea editoriale e dal fatto che tale linea abbia comportato degli svantaggi.

Concludiamo con una poesia di Gianni Rodari, Il dittatore:

Un punto piccoletto,

superbo e iracondo,
“Dopo di me” gridava
“verrà la fine del mondo!”.

Le parole protestarono:
“Ma che grilli ha pel capo?
Si crede un Punto-e-basta,
e non è che un Punto-e-a-capo”

Tutto solo a mezza pagina
lo piantarono in asso
e il mondo continuò
una riga più in basso.

Bergoglio si credeva un punto e basta ma, come chiunque, era solo un punto e a capo. Peccato che molti dei suoi critici lo abbiano scambiato a loro volta per un punto e basta ed ora siano in un vicolo cieco. Per loro Bergoglio, alla fine, un punto e basta lo è stato davvero.

Noi, per quanto ci riguarda, con questo articolo chiudiamo definitivamente la querelle: siamo già anche noi una riga più in basso, dove il mondo felicemente continua ed anche la Chiesa. Grazie a Dio.

 

 

 

06 maggio 2025

"Fino alla fine del mondo", linee per una Chiesa in missione

Dopo 12 anni in cui ci siamo sentiti dire che la Chiesa dovrebbe essere "in uscita", ma "senza proselitismo", torna utile leggere una bella raccolta di saggi, attualissimi e ben strutturati, da noi pubblicata proprio per creare una contronarrazione in grado di tenere viva la verità del magistero perenne. La Chiesa nasce perché Gesù Cristo le ha dato un compito: andare a portare la sua parola in ogni angolo del mondo e far conoscere a tutti gli uomini che lui è l'unica Verità.

Dunque beccatevi "Fino alla fine del mondo - Vangelo, proselitismo, missione". Acquistabile nuovo (non usato, sottolineiamo) su ebay a questo link:

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05 maggio 2025

Il nuovo Papa governi la Chiesa senza stramberie


Il prossimo Papa dovrà mettere ordine in una Chiesa in preda al caos. Chi ha governato con Bergoglio senza fiatare faccia il piacere di astenersi dalla candidatura!

di Francesco Maria Filipazzi

Mancano poche ora all'inizio del Conclave e anche io dico la mia, non tanto su "chi" dovrebbe essere eletto, ma su "cosa" dovrebbe fare. 

Mi pare di capire che durante le congregazioni, al di là di richiami dottrinari per lo più generici e di accordi sottobanco per accaparrarsi voti di questa o quella cordata (si segnala che la Messa in Latino è una merce di scambio, e su ciò eventualmente torneremo), uno dei temi in discussione sia la gestione del Vaticano e della Chiesa universale. 

Effettivamente, più che una crisi dottrinale che va avanti da decenni e a cui ci siamo ormai assuefatti entrando in uno stato mentale di completa distanza, sembra che il problema impellente oggi sia il gran caos che regna nelle gerarchie, popolate da personaggi inadeguati ai ruoli che rivestono. 

Il prossimo Papa dovrà mettere fine agli sprechi economici (che con Bergoglio sono aumentati) e alla promozione sistematica degli idioti, tornando a fare dei seminari e degli istituti di formazione ecclesiastici dei veri luoghi di formazione della classe dirigente. 

Ovviamente la formazione deve essere irrorata dall'adesione ad una vita di preghiera (ricordiamo tutti le storie su vescovi e cardinali che non pregano il breviario?) e dall'insegnamento di una dottrina sana, difesa da persone in grado di farlo. 

La Chiesa inoltre andrà governata, mentre ora sembra allo sbando. Il governo Bergogliano in cosa si è tradotto? Decine di motu proprio che hanno riformato la qualunque, ordini commissariati se non soppressi, diocesi allo sbando con vescovi locali alle prese con problemi ordinari e straordinari. 

Dunque serve un Papa che, al posto di cercare di riformare la dottrina in modo bislacco, non faccia altro che confermare la dottrina eterna e poi si dedichi alla ricostruzione di una cattolicità sfibrata dalla modernità, che negli ultimi 12 anni non ha avuto gli strumenti per reagire, in quanto il primo sabotatore della causa si trovava proprio al vertice.

Un Papa che governi insomma, non un sovrano assoluto in preda a manie di onnipotenza e stramberie, destinate a finire inesorabilmente nella tomba.

Per quanto riguarda i nomi, non mi arrischio. Vorrei però invitare chi è stato coinvolto fino all'ultimo nel governo bergogliano, senza mai manifestare un minimo di dissenso, a farsi da parte. Essere complici con quanto accaduto negli ultimi 12 anni non sarebbe un buon viatico.



 

03 maggio 2025

Tradito Ratzinger ci meritammo Bergoglio



di Paolo Maria Filipazzi 

Sono passati ormai giorni dalla morte di papa Francesco, e più si avvicina il conclave che dovrà eleggerne il successore, più percepiamo come lontani gli anni appena trascorsi, anche se, nel momento in cui scriviamo, sono trascorsi da appena 11 giorni.

E’ finita.

Comunque vada il prossimo conclave, che elegga un papa di continuità o rottura, conservatore o progressista, santo o farabutto, sarà un’altra storia. La vicenda che abbiamo attraversato fino allo scorso 21 aprile è finita.

Prima di voltare pagina, è necessario, però, guardarsi indietro un’ultima volta, e di dire finalmente alcune cose che fino adesso avevamo valutato che non fosse il caso di dire, almeno non per intero. Non sappiamo se ora servirà a qualcosa dirle, probabilmente a nulla se non a liberare noi da un peso.

Partiamo da quel 11 febbraio 2013 che oggi, pure, ci sembra lontano.

Benedetto XVI era stato una figura tragica e, fino a quel momento, apparentemente eroica, con il suo tentativo di testimoniare la Verità cattolica ad un mondo che la rifiutava e di ristabilire la retta dottrina all’interno di una Chiesa da decenni in confusione.

A stenderlo, però, non furono né i laicisti che dall’esterno lo bombardavano né i modernisti che lo stesso facevano dall’interno. Furono coloro da cui ci sarebbe aspettato che facessero quadrato attorno a lui. Invece, in quel mondo noto come “tradizionalista” si diffuse ampiamente un atteggiamento schizzinoso e benaltrista: Benedetto XVI, si diceva, non stava facendo abbastanza, era troppo timido, anzi, per alcuni, era un impostore che voleva brasare la Tradizione fingendo di volerla restaurare.

Morale: per citare una frase del film Il Cavaliere Oscuro, di Christopher Nolan, Benedetto XVI era il papa di cui avevamo bisogno, ma non quello che ci meritavamo.

Ciò che ci meritammo ampiamente furono le sue dimissioni.

Dopo di lui venne Francesco, il papa di cui non avevamo bisogno, ma che ci meritavamo..

Ebbene si, ce la siamo meritata questa tortura, e ce la siamo meritata per tutto il corso dei lunghissimi dodici anni per cui è durata.

Bergoglio ha avuto un’ enorme responsabilità negativa, che si articola in due aspetti: avere esasperato la crisi dottrinale che Benedetto XVI aveva cercato, se non di risolvere, almeno di arginare, e di avere imposto alla Chiesa uno stile di governo dispotico, nepotistico e, al tempo stesso, bizzoso e sconclusionato.

Questo ha provocato un profondo malessere in numerosi fedeli, cui una piccola parte della gerarchia e della cultura cattolica hanno legittimamente e meritoriamente dato voce.

Tuttavia, a questo si è accompagnata la nascita di un “antibergoglismo” che si è presentato come un fenomeno folkloristico dai connotati fortemente macchiettistici e grotteschi, nutrendosi e al tempo stesso alimentando, in un circolo vizioso, complottismi, sensazionalismi scandalistici, sedevacantismi e perfino pseudo millenarismi e, ovviamente, continuando a bombardare, oltre al solito Benedetto XVI, presentato come il precursore di Bergoglio, anche quei cardinali o vescovi che cercavano di tenere la barra dritta, accusati di essere a loro volta troppo blandi se non di essere uno specchietto per le allodole della “falsa chiesa bergogliana”, come costoro hanno ribattezzato unilateralmente la Chiesa cattolica.

Questa nicchia delirante ha, di fatto, sabotato tutto ciò che sosteneva di voler difendere, screditando l’intero mondo dei cattolici tradizionali agli occhi di molti fedeli perbene, generando un irrigidimento di buona parte del clero e dando testo a chi, dal papa in giù, ne avrebbe voluto la cancellazione.

Diciamoci la verità: chiunque sia stato vicino alla messa tradizionale sa bene che, ogniqualvolta, in una diocesi, si trattava di rapportarsi con la Curia per ottenere la celebrazione del rito antico o per scongiurarne la soppressione, uno dei problemi più gravi si rivelavano essere i comportamenti gratuitamente provocatori di qualche deficiente che, presentandosi come l’oltranzista della causa, rischiava di provocarne l’affossamento, quando proprio non ci riusciva.

Per anni abbiamo sofferto e ci siamo offesi per i veri e propri insulti che Bergoglio ha indirizzato a quelli che chiamava “rigidi”, “indietristi” e quant’altro. Siamo, però, onesti: non tutti noi corrispondiamo a quelle descrizioni, il che giustifica che ci offendessimo, ma quanti ne conosciamo che sono esattamente così? Si dirà che Bergoglio & co, scorrettamente, generalizzassero per faziosità. Può darsi. Ma se quelli non ci fossero stati, questi avrebbero avuto un’arma polemica in meno.

E poi, per essere onesti fino in fondo: coloro di cui ci stiamo occupando, sono solo degli imbecilli o, a loro volta, sono dei disonesti? Basterebbe vedere le paradossali reazioni di esultanza di fronte a fatti negativi, una su tutte l’emanazione del motu proprio Traditiones Custodes: non interessava loro il danno fatto, ma il poter dire che l’evento dimostrava che loro avevano ragione. Non interessava loro che si risolvesse la crisi della Chiesa ma, al contrario, nella crisi della Chiesa ci stavano benissimo, essendo lo scenario necessario a ciascuno di loro per continuare a recitare il proprio personaggio e affermare la propria superiorità morale, intellettuale e dottrinaria.

E andiamo fino in fondo: ricordiamoci che il primo a mettere in dubbio che Bergoglio fosse il legittimo papa non è stato il povero Andrea Cionci, ma un celeberrimo giornalista cattolico senese che, dopo avere incassato un bel po’ di quattrini con tre libri che sono stati all’origine della mitologia dell’ antibergoglismo folkloristico, se ne è tornato placidamente a scrivere articoli sulla Madonna e Padre Pio mentre il mostro imperversava. Per non parlare di noti vaticanisti che, andati in pensione o prossimi ad essa, si sono buttati su questo mercato…

Insomma, non solo ci siamo meritati la punizione, ma non ci siamo nemmeno emendati e ce la meriteremmo ancora e ancora e ancora… Ci meriteremmo un Francesco secondo elevato al quadrato.

Tuttavia, non ci saremmo meritati nemmeno che Cristo patisse sulla Croce per i nostri peccati, eppure Lui lo ha fatto, perché era ciò di cui avevamo bisogno.

Forti di questa Speranza, che è quella che non tramonta, voltando le spalle al passato, possiamo guardare al futuro fiduciosi che non sia quello che ci meriteremmo…


 

29 aprile 2025

Ricordare Sergio Ramelli nella festività di Santa Caterina da Siena


di Paolo Maria Filipazzi

“Siamo reduci da giorni intensi nei quali la scomparsa del Santo Padre ci ha portato a riflettere su temi profondi: misericordia, perdono, pietas, Provvidenza. Ed è terribilmente difficile accostare questi valori alla vicenda di Sergio Ramelli.”. Così il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha aperto il suo messaggio per i cinquant’ anni della morte di Sergio Ramelli. E questo richiamo ai valori evangelici non appare per nulla retorico, ma quanto mai pertinente.

Un aspetto della personalità di Sergio Ramelli, infatti, mai veramente sottolineato e sempre lasciato un po’ in disparte, come un elemento di contorno, è questo: Sergio Ramelli era cattolico, un ragazzo dell’oratorio, come si diceva una volta. La sua famiglia, come la madre ricordò nel 1997, non gli aveva dato un’ideologia, ma dei valori. Ed è guidato da quei valori che fece le sue scelte.

Purtroppo il trattamento che subì dagli uomini di Chiesa non fu propriamente evangelico: al momento della morte, vi fu il rischio che non ricevesse nemmeno le esequie, perché nessun prete in tutta Milano gliele avrebbe volute celebrare, molti sicuramente per viltà, qualcuno forse per – ahimè – condivisione del terribile clima di odio di quegli anni. Fu necessario l’intervento di Servello presso il cardinal Colombo perché potesse avere un funerale nella chiesa dei Santi Nereo e Achilleo, quella della parrocchia che frequentava.

Oggi, grazie al cielo, l’anniversario della sua morte è celebrato in varie città d’Italia, fra cui Lodi, nel cui cimitero riposa, con messe in suffragio, ma purtroppo quell’atteggiamento non è del tutto scomparso, basti vedere la recente, sconcertante, presa di posizione del parroco di Brugherio rispetto all’intitolazione di una via a Ramelli nel proprio paese.

Pochi anni prima della morte di Sergio Ramelli, fra il 1970 e il 1972, un grande filosofo, Augusto del Noce, con una serie di articoli sul periodico L’ Europeo, aveva messo in guardia dai pericoli che comportava l’ “unità antifascista” sbandierata dal Partito comunista in quegli anni con l’accordo dei cattolici. Essendo il movimento nato nel 1919 e morto nel 1945 non più esistente, il termine “fascismo” passava ormai a designare chiunque difendesse la tradizione e i suoi principi, l’affermazione dell’ esistenza di verità morali assolute. Insomma, l’antifascismo era, per Del Noce, un escamotage per portare alla secolarizzazione, alla dissoluzione dei principi morali, con la complicità dei cattolici resi culturalmente subalterni a quelli che avrebbero dovuto essere i propri avversari.

Nella assoluta mancanza di misericordia e pietà che emerge dalla terribile vicenda di Sergio Ramelli, si vede questa dissoluzione dei principi morali che porta allo scatenarsi del male, e nella condotta degli uomini di Chiesa e degli ambienti cattolici si legge il dramma nel dramma della complicità di questi ultimi nel distruggere quei principi per cui avrebbero dovuto battersi.

Vi è, però, anche in questa oscurità, un raggio di luce: è rappresentato da quel sacerdote, ex partigiano che, presentatosi all’obitorio per benedire la salma prima della chiusura del feretro, portando al collo il fazzoletto dei Volontari della Libertà, fu allontanato dalle forze dell’ordine. Indignato, si tolse il fazzoletto, in un gesto di rabbia, non per rinnegare gli ideali per cui aveva combattuto, ma per significare che ciò in cui aveva creduto nulla aveva a che fare con quanto gli si trovava ora davanti.

Questo, forse, sarebbe il punto di partenza per una seria riflessione su tutta la storia del cattolicesimo italiano nel dopoguerra.

Ed è forse un segno che la memoria di Sergio Ramelli, cada nel giorno della festa di Santa Caterina da Siena, patrona d’Italia, la quale intrattenne fitte corrispondenze con i potenti del suo tempo, ricordando che non esiste un vero vivere civile senza la giustizia che viene da Cristo e, in nome di questa, invitata alla riconciliazione i potentati italiani in lotta tra loro.

La pacificazione nazionale, che la Destra da anni meritoriamente persegue, cercando non la rivincita o la vendetta ma la riconciliazione tra le fazioni, sarà davvero possibile quando, finalmente, i valori del Vangelo torneranno ad essere proclamati nella vita pubblica: misericordia, perdono, pietà e la Provvidenza da cui essi promanano.


 

27 aprile 2025

IL CARD. BURKE SCRIVE UNA PREGHIERA PER AVERE UN VICARIO DI CRISTO SULLA TERRA "DEGNO"

Il cardinale Raymond Leo Burke ha composto una preghiera da recitare dopo la sepoltura di Papa Francesco e per i nove giorni che precedono il Conclave Papale.


La novena inizia il 26 aprile e termina il 5 maggio 2025


Novena per il Sacro Collegio dei Cardinali riunito per il Conclave per eleggere il Romano Pontefice


Mi inginocchio davanti a te, o Vergine Madre di Dio, Nostra Signora di Guadalupe, madre compassionevole di tutti coloro che ti amano, gridano a te, ti cercano e confidano in te. Prego per la Chiesa in un momento di grande prova e pericolo per lei. Come sei venuta in soccorso della Chiesa a Tepeyac nel 1531, ti preghiamo di intercedere per il Sacro Collegio dei Cardinali riunito a Roma per eleggere il Successore di San Pietro, Vicario di Cristo, Pastore della Chiesa Universale.

In questo momento tumultuoso per la Chiesa e per il mondo, intercedi presso il tuo Divin Figlio affinché i Cardinali di Santa Romana Chiesa, Suo Corpo Mistico, obbediscano umilmente ai suggerimenti dello Spirito Santo. Per tua intercessione, possano scegliere l'uomo più degno per essere Vicario di Cristo sulla terra. Con te, ripongo tutta la mia fiducia in Colui che solo è il nostro aiuto e la nostra salvezza. Amen.

Cuore di Gesù, salvezza di coloro che confidano in Te, abbi pietà di noi!

Nostra Signora di Guadalupe, Vergine Madre di Dio e Madre della Divina Grazia, prega per noi!

 

21 aprile 2025

PAPA FRANCESCO È MORTO

 



++ Papa Francesco è morto ++ L'annuncio del card. Farrell (ANSA) - CITTÀ DEL VATICANO, 21 APR - Poco fa il card. Kevin Farrell ha annunciato con dolore la morte di Papa Francesco, con queste parole: "Carissimi fratelli e sorelle, con profondo dolore devo annunciare la morte di nostro Santo Padre Francesco. Alle ore 7:35 di questa mattina il Vescovo di Roma, Francesco, è tornato alla casa del Padre. La sua vita tutta intera è stata dedicata al servizio del Signore e della Sua chiesa. Ci ha insegnato a vivere i valori del Vangelo con fedeltà, coraggio ed amore universale, in modo particolare a favore dei più poveri e emarginati. Con immensa gratitudine per il suo esempio di vero discepolo del Signore Gesù, raccomandiamo l'anima di Papa Francesco all'infinito amore misericordioso di Dio Uno e Trino". (ANSA).