di Giuliano Guzzo
Tutta antipolitica? Non proprio. Se si vuole
capire quello che sta succedendo in queste settimane nel nostro Paese occorre
diffidare delle semplificazioni e iniziare, prima di tutto, con un po’ di
pulizia terminologica. Partiamo quindi con delle distinzioni: un conto è l’antipolitica,
un conto è la politica che potremmo chiamare “antisistema” e un altro ancora è
la crisi della politica. Quest’ultima, per essere chiari, non ha nulla a che
vedere col caso italiano, dal momento che riguarda primariamente la sudditanza –
Europea? Occidentale? – delle istituzioni rispetto all’andamento dei mercati
finanziari. Non è esclusiva italiana, a ben vedere, nemmeno la ciclica
emersione di movimenti di protesta; basti pensare al fenomeno internazionale
degli “indignados”, per molti versi una riedizione, per così dire, di quello
dei “No global”.Del tutto italiano, invece, è il caso del cosiddetto “grillismo”. Ed è qui che brevemente intendiamo soffermarci. Riprendendo anzitutto quanto si affermava poc’anzi, e cioè che antipolitica e politica “antisistema” sono sì fenomeni contemporanei, ma distinti; entrambi attuali, ma tutt’altro che identici. In particolare l’antipolitica coincide con l’accresciuta distanza pre-politica [1] tra cittadini e istituzioni. In tal senso, l’antipolitica per antonomasia si concreta nell’astensionismo, realtà che – è stato giustamente osservato – «l’attuale sistema dei partiti (opposizioni protestatarie include) non è stato in grado di stemperare», con il conseguente imporsi d’una «gigantesca bolla della disillusione e della disaffezione impolitica della gente» [2]. Non è dunque antipolitico chi esprime un voto di protesta, bensì chi si priva volontariamente del diritto di recarsi alle urne, intravedendo nei meccanismi stessi della gestione del potere disfunzioni ritenute insanabili.
Un discorso a parte merita la politica
antisistema, nella quale possiamo inscrivere il fenomeno del “grillismo”, che
dopo il successo alle ultime elezioni amministrative, culminato nella conquista
di alcuni Comuni, non appare più liquidabile come la «tendenza a “ridere” dei
problemi, anziché tentare di risolverli» [3], anche se c’è chi osserva come
esso non sia tutt’ora in grado di «costruire una piattaforma progettuale, di
costruire un percorso di controcomunicazione capace di creare conoscenza,
cultura e dunque di generare un cambiamento sociale» [4]. Sia come sia,
possiamo qui rilevare come il “grillismo”, di fatto, non solo non esprima
volontà antipolitiche, ma ne sia addirittura agli antipodi, dal momento che
incarna - sia pure con modalità irrituali – un desiderio di partecipazione e
attira simpatie insospettabili e - secondo recenti stime - addirittura di un
italiano su tre spera che il movimento di Grillo possa ottenere «molti seggi
alle prossime elezioni politiche» [5].
Un secondo aspetto curioso legato al MoVimento 5
Stelle concerne la sua collocazione ideologica: destra o sinistra? Si tratta di
un dubbio impegnativo, che nel recente passato era affrontato ricorrendo alla
categoria del giustizialismo. In realtà la questione è assai più complessa, al
punto che non manca chi, come Camillo Langone, da un lato vede nei “grillini”
degli attivisti di sinistra, mentre d’altro lato riconosce in Grillo un leader
di destra sulla base di diversi argomenti impiegati dal comico genovese: «Il
primo è senza dubbio la nazione: Grillo non fa che scagliarsi contro le
istituzioni sovranazionali, propugna la fuoriuscita dell’euro […] grosso modo
il programma della cara Marine Le Pen e di tutta la destra sovranista. Il
secondo è l’immigrazione […] si è messo a parlare degli operai cinesi che
tolgono il lavoro agli operai italiani […] il terzo argomento […] è la libertà
personale […] Grillo si è scaldato davvero quando ha cominciato a tuonare
contro le tasse» [6].
Verosimilmente anche questa lettura, per quanto
suggestiva, presenta dei limiti. E’ innegabile, tuttavia, la difficoltà di
collocare politicamente il MoVimento 5 Stelle. Tanto è vero che il solo
parallelo che sembra storicamente accettabile è quello con il movimento del
qualunquismo fondato nel Dopoguerra da Gugliemo Giannini; anche in quel caso si
trattava di un realtà priva di solide basi ideologiche ma molto determinata
nella denuncia verso tutti i partiti, ritenuti come «usurpatori della sovranità
popolare», e al «professionismo politico» [7]; anche in quel caso si trattava
di un movimento che arrivò in poco tempo ad imporsi su scala nazionale
divenendo, con l’elezione di 30 deputati, il quinto partito nazionale e
toccando il proprio apice nelle elezioni amministrative nelle quali, a Roma
ottenne 6.000 voti più della Democrazia Cristiana.
Detto questo, appare importante una annotazione
sul successo del “grillismo”, che – provvisto o meno che sia, come spesso viene
detto, di capacità propositive e risolutive dei problemi che in parte denuncia
- di fatto rappresenta non la causa, bensì una conseguenza di quella che
Giovanni Sartori, rifacendosi a Bauman, ha chiamato la «liquidazione» della
politica [8]. E in tal senso non è da escludersi che, una volta affermatosi su
scala nazionale e parlamentare, il MoVimento 5 Stelle – come prevede il
sociologo Carlo Carboni - «verrà istituzionalizzato» smarrendo, sotto il
profilo mediatico, il fascino attuale, così anticonformista ed esplosivo[9].
Prima che ciò accada o per favorire questa
integrazione istituzionale del MoVimento 5 Stelle è fondamentale che i partiti
prendano coscienza che se, da un lato, accusano il “grillismo” di essere
demagogico e, d’altro lato, omettono ogni misura di concreta corrispondenza
alle richieste di un elettorato che esige trasparenza e contenimento dei
cosiddetti “costi della politica”, di fatto finiscono per divenire i primi
sponsor dei seguaci di Beppe Grillo. Soprattutto è importante comprendere che “grillismo”
e dintorni tutto sono – come abbiamo già detto - meno che espressione di
antipolitica. Paiono decisamente condivisibili, a questo riguardo, le parole di
Giuliano Zincone: «Altro che antipolitica. Queste iniziative possono piacere o
dispiacere, possiamo chiamare difensive, o velleitarie, effimere, egoistiche,
reazionarie, riciclate […] ma il loro avversario non è la Politica: è, al
contrario, il vuoto di politica nella cultura e nell’azione dei partiti» [10].
Conclusivamente, il suggerimento è quello di
evitare, dinnanzi alle uscite spesso provocatorie di Beppe Grillo, una reazione
di disgusto che impedisca di cogliere le dinamiche, non di rado interessanti,
che soggiacciono al successo che il “grillismo” oggi riscuote. Del resto, una
insistita sottovalutazione elettorale del MoVimento 5 Stelle, lo ribadiamo, ne
rappresenta la più solida garanzia di longevità politica; un po’ come è
avvenuto alla Lega Nord, partito oggi in crisi ma dalle origini movimentiste, a
lungo sottovalutato e caratterizzato da una storia singolare, se si pensa che,
ad oggi, rappresenta l’ultimo partito della Prima Repubblica ancora presente
sulla scena.
Appare pertanto auspicabile che le istituzioni
possano cogliere al più presto, integrandoli, gli aspetti positivi del “grillismo”
– soprattutto in termini di rinnovamento della classe politica e di richiesta
di democrazia – così da avviare, almeno in parte, quel cambiamento di cui in
Italia, per ora, si è sempre e solo parlato, senza apprezzabili conseguenze.
Anche se a considerare la granitica staticità dell’attuale classe politica, è
da escludere che ciò possa avvenire, se non in un raggio di tempo non breve.
Staremo a vedere.
Note: [1] Gualdo R. – Dell’Anna M.V., La faconda Repubblica, Manni 2004, p. 18; [2] Carboni C., Il primo partito? Gli indifferenti. “Il Sole 24 Ore”, 28/5/2012, p. 18;] [3] Caprarica A., Gli italiani la sanno lunga..o no?, Sperling & Kufler, 2010; [4] Pira F., La net comunicazione politica, FrancoAngeli 2012, p. 75; [5] Mannheimer R., Un italiano su tre simpatizza per i grillini. “Corriere della Sera”, 27/5/2012, p. 15 [6] Langone C., Beppe è di destra, i suoi non lo sanno. “Libero”, 27/4/2012, pp. 1-13; [7] Capozzi E., Partitocrazia, il “regime” italiano e i suoi critici. Alfredo Guida Editore 2009, p. 66; [8] Sartori G., Com’è liquido il grillismo. “Corriere della Sera”, 25/4/2012, p. 1; [9] Carboni C.,«Non chiamatela antipolitica. Il vero problema è chi non vota più». “Corriere della Sera”, 8/5/2012, pp. 10-11; [10] Zincone G., Altro che antipolitica, sono i partiti a non distribuire più speranza. “Il Foglio”, 27/4/2012, p. 2.
davvero interessante
RispondiElimina