27 gennaio 2019

Fede, politica e lo Stato-Moloch

di Riccardo Zenobi
Cosa c’entra la Fede con la politica? Eppure ogni schieramento e movimento politico comportano una fede in qualcosa: ideali, obiettivi da perseguire, sistemi di pensiero più o meno ideologici, un progetto che si vuole portare a termine in più tappe, anche solo la certezza che stiamo facendo la cosa giusta… sono tutte dinamiche che innegabilmente appartengono alla politica, ma potreste obiettare che si tratta pur sempre di fiducia in qualcosa di razionale o di umanamente controllabile e verificabile – in altri termini, che l’esperienza può con il tempo affinare la politica e sfrondarla degli atti di fede più grossolani, come certe ideologie o sistemi di governo che appartengono al passato. A questo punto potrei dire che anche le nostre forme di Stato e di governo possono fare la stessa fine ed un giorno diventare una nota a piè di pagina di un futuro manuale, ma vado ben oltre verso un giudizio molto più estremo, affermando che la Fede – maiuscola, la Fede teologale cattolica – è al fondo di ogni analisi politica.

È cosa sorprendente come alla base della nostra politica troviamo sempre la teologia, scriveva Pierre-Joseph Proudhon nelle sue Confessioni di un rivoluzionario nella prima metà dell’800, ed anche oggi solo alcuni si accorgono di queste correlazioni. Ogni azione politica di una certa rilevanza è infatti intimamente connessa ad un giudizio su cosa è un bene da perseguire e cosa invece è un male che si vuole evitare; non è per caso o per ignoranza che gli esseri umani dall’alba della civiltà fino a Machiavelli abbiano visto la politica come intimamente connessa all’etica e alla religione. Questo vale anche in epoca secolarista, perché un punto inconcusso della mentalità corrente è che lo Stato moderno deve essere laico e non confessionale. Il problema è che non ci riesce in nessun modo, né può riuscirci finché rimane vera la definizione di Weber che lo descrive come “ente che ha il monopolio del diritto e dell’uso legale della forza”. Ai fini del discorso tralascio il secondo aspetto e mi concentro sul diritto, che è la base per poter poi legiferare. Cos’è infatti una legge se non una linea di confine tra il lecito e l’illecito? I confini della legge sono anche i confini della moralità di fronte allo Stato, e il rischio molto concreto – in quanto avvenuto con frequenza – è che quest’ultimo diventi il solo padrone a decidere cosa è Bene e male, in modo da ridurre il codice morale al codice penale. Questa è una situazione che prima o poi si verifica logicamente, perché è inserita essa stessa nella definizione di Stato laico, il quale non potendo né riconoscere una verità superiore né potendo esso stesso costituirsi come istituzione morale, si limita a riconoscere la propria laicità come principio morale, in base al quale organizzare e fondare ogni rapporto tra persone, gruppi e istituzioni.

A livello storico è avvenuto più volte che lo Stato si autoproclamasse “ultimo depositario della Verità” ed abbia imposto (per il bene dei sudditi!) ciò che riteneva “evidentemente vero e buono” per poi arrivare a costruire un inferno esattamente opposto a tutto ciò che aveva predetto, pianificato e creduto, spesso con un costo enorme di vite umane. Ecco perché lo Stato moderno prima o poi fa i conti con Dio: o perché deve ammettere il fallimento della sua fede ideologica o perché – più spesso – deve mandare in galera/manicomio/centro di rieducazione chi non è d’accordo con i suoi “valori”. Certo, non si potrà mai avere unanimità di vedute tra il popolo, nemmeno nell’attuale epoca di sistematico lavaggio del cervello mediatico e giornalistico continuo e uniforme; ma perché allora lo Stato semplicemente non smette di legiferare sulla morale e non si limita a certe aree di sua pertinenza più specifica? Perché l’uomo non è a compartimenti stagni, né si riduce ad una sola dimensione (politica, economica, sociale, etc.) come invece dicevano i marxisti negli anni ’70. Ci fu un tempo in cui lo Stato liberale si limitava a voler essere nulla più di un poliziotto che fa rispettare alcune regole di base, ma inevitabilmente ha dovuto accettare il principio democratico anche in tali questioni, spostandosi sempre più verso il socialismo – del resto, se ogni singolo o gruppo può far valere la sua opinione/fede, perché lo Stato non può avere una propria?

In base a quanto esposto finora non posso che trarre delle conclusioni paradossali rispetto alle opinioni comuni. L’assoluta laicità nella politica dello Stato, monopolista del diritto e della forza, non è possibile, perché una volta ammessa la libertà d’opinione/coscienza si accetta il contrasto tra i vari gruppi, e occorre quindi che intervenga un’autorità che calmi le coscienze e reprima certe opinioni che “evidentemente” non possono trovare spazio nella sfera pubblica, imponendo così un limite alle coscienze e alla libertà, ed è inevitabile: una società civile è fondata su verità condivise, e francamente parlando la maggioranza della popolazione ha il diritto di vivere tranquilla, e perciò le varie minoranze devono correre il rischio di essere marginalizzate o censurate dalla scena pubblica. Ciò che in passato è toccato alle religioni, oggi tocca a certe ideologie politiche e ad alcuni aspetti della morale che oggi sono ritenuti “inaccettabili”; in futuro, Dio solo sa cosa sarà escluso di volta in volta dalla politica. C’è da rilevare che quanto nacque nel 1600 per garantire la pace religiosa e la civile convivenza è diventato alla fine del 1700 l’unica fonte della pace e l’arbitro delle opinioni pubbliche, e dall’inizio del 1900 si è costituito unico arbitro della verità – escludendo pace e religione, riducendo la convivenza civile alla vita privata e al “buon senso” cittadino debitamente formato dalle mode intellettuali. Per cui, o si accetta questo Moloch-Stato oppure si abbia il coraggio di ripensarlo alla radice, e fondare la vita umana e sociale non più sulla libertà sociale garantita dallo Stato ma, più radicalmente, sulla Verità che precede Stato, società e uomo, e di fronte alla quale anche Cesare e il Papa devono inchinarsi.


 

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