È diventato evidente negli ultimi decenni il paradosso della sinistra, che, mentre pretendeva di parlare per il popolo, faceva in effetti astrazione da ciò che costituisce un popolo. In Europa come in America.
«Una nazione con l’anima di una chiesa», così G.K. Chesterton descriveva gli USA dopo averli visitati. È passato un secolo da allora, e troviamo difficoltà a comprendere ciò che intendeva su entrambi i lati dell’Atlantico, su quello europeo ancor più che su quello americano. Sappiamo appena ormai che cosa sia una nazione, e ancor meno che cosa sia una chiesa.
«Io sono un nazionalista», ha proclamato Donald J. Trump a una recente adunata in Texas, sollevando le prevedibili reazioni isteriche da parte democratica: c’è chi ha detto che questo suonava hitleriano, e altri che era puro razzismo, implicando di per sé la “nazione bianca”. Niente di più insulso. Quei commentatori ignorano, non so se in buona o in cattiva fede (il secondo è più probabile), la differenza tra il parlare di nazione riguardo all’Europa e agli USA.
L’idea di nazione si è sviluppata in Europa nei tempi moderni, dopo che il senso della Cristianità, unitaria res publica Christiana, è andato definitivamente a pezzi a con la riforma protestante, mentre al contempo i monarchi locali, specialmente in Inghilterra Francia e Spagna, realizzavano l’unificazione burocratica dei loro regni, così creando quella peculiare forma politica alla quale diamo il nome di “stato”, e che oggi diamo per scontata quando ragioniamo di cose politiche.
Dopo le guerre religiose e dinastiche che travagliarono i secoli sedicesimo e diciassettesimo, venne in questione nel diciannovesimo secolo la coincidenza dello stato con la nazione: una entità sociale definita dall’identità etnica variamente combinata con una lingua comune, costumi e tradizione letteraria – tutte cose purtroppo di difficile definizione, e quindi dai confini vaghi. Conosciamo tutti che cosa successe in Europa in nome dello stato-nazione, conducendo al suo suicidio.
Con gli USA è tutta un’altra storia, di essere, come osservato da Chesterton, «l’unica nazione al mondo fondata su un credo»: nelle parole della Dichiarazione di Indipendenza, «che tutti gli uomini sono creati uguali, e sono dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili, tra i quali quello alla Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità». Il nazionalismo prende quindi qui un significato differente che in Europa. Questo significato dà all’America, pur con i limiti e le mancanze degli Stati Uniti, l’“anima di una chiesa”. Ma solo se si mantiene in quel credo il riferimento a un Creatore, che fece gli uomini uguali. Se lo cancelliamo, per lasciare solo l’uguaglianza, si presenta la tentazione totalitaria. L’America cessa di rappresentare un peculiare esperimento politico-religioso, e diventa come l’Europa. Condannata al suicidio.
Dopo le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale, la ricostruzione fu governata da leaders che facevano appello alle risorse spirituali dei popoli europei. E che concepirono l’idea di qualcosa come gli Stati Uniti d’Europa, basata sulla loro comune eredità culturale e religiosa: una possibile altra “nazione con l’anima di una chiesa”. Ma questa idea fallì miseramente, per ragioni che sarebbe troppo lungo enumerare. Il risultato fu il tentativo di superare le forze negative che avevano portato alla distruzione non attraverso il riconoscimento di una comune eredità, ma attraverso la negazione di ogni e qualunque eredità, nel nome di una nozione astrattamente filosofica di uomo – al punto che fu perfino presa in considerazione d’adesione della Turchia all’Unione Europea. Questa si è in conseguenza trasformata in poco più di un club di burocrati e finanzieri.
Abbiamo ancora elezioni in Europa, ma queste sono per lo più giocate all’interno di un consenso egemonico determinato dall’ideologia liberal, con poche variazioni tra il centro e la sinistra: partiti che trovano riscontro in America nei democratici e i repubblicani solo di nome (RINOs, come dicono là). Ogni qual volta emerge un partito che si richiama seriamente al popolo, con i suoi costumi e le sue tradizioni da difendere contro l’invasione di immigranti che non hanno alcuna intenzione di integrarsi, esso viene immediatamente bollato nei media egemoni – MSM, main stream media dicono in America – come di “estrema destra” e “populisti”.
La visione dell’America filtrata dai MSM europei è più o meno quella dei MSM americani. La quale non è di certo molto in sintonia con quella larga parte del popolo americano che determinò l’elezione del “nazionalista” Trump. Quella parte dell’America è perciò largamente sconosciuta in Europa, e ancor meno compresa nel suo sforzo di preservare alla nazione l’“anima di una chiesa”.
Togli via quest’anima, e resta un popolo di soggetti di diversa estrazione. E non è detto che senza di essa questi soggetti sappiano trovare perfino le risorse di carattere per essere buoni operatori economici, e assicurare il benessere necessario a godere di quei diritti dissolutori del senso di comunità del popolo che la sinistra profonde a piene mani. In America come in Europa.

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