05 novembre 2018

Matrimonio nella grazia. Da una lettera di J.R.R. Tolkien

di Samuele Pinna
Il matrimonio per J.R.R. Tolkien può essere compreso, nel suo carattere misterico e unico, solo a un livello soprannaturale, perché reso intelligibile mediante l’intelligenza della fede (cattolica).

Il rapporto tra uomo e donna deve, pertanto, tener conto del peccato originale, che – scrive G.K. Chesterton – «è l’unico aspetto della teologia cristiana che può veramente essere dimostrato».

Secondo l’autore de Il Signore degli Anelli, il nostro mondo è “immorale” a motivo dello «spostamento dell’istinto sessuale», che è «uno dei sintomi principali della Caduta». Questa considerazione, permette allo scrittore inglese, in una lettera al figlio Michael del 1941, di proporre sottili distinzioni a riguardo del tema dell’amore. Se il nostro è un mondo corrotto in cui non c’è armonia tra i nostri corpi, la nostra mente e l’anima, «tuttavia, la caratteristica di un mondo corrotto è che il meglio non si può ottenere attraverso il puro godimento, o quella che è chiamata la realizzazione di sé (che di solito è un modo elegante per definire l’autoindulgenza, nemica della realizzazione degli altri); ma attraverso la rinuncia, la sofferenza».

Per Tolkien, «la fede nel matrimonio cristiano implica questo: grande mortificazione». E, per il credente, non c’è alternativa: «il matrimonio può aiutarlo a santificare e a dirigere verso un giusto obiettivo i suoi impulsi sessuali; la sua grazia può aiutarlo nella battaglia; ma la battaglia resta. Il matrimonio non lo potrà soddisfare – come un affamato può essere soddisfatto da pasti regolari».

Le persone, poi, «quando l’innamoramento è passato o quando si è un po’ spento, pensano di aver fatto un errore e di dover ancora trovare la vera anima gemella. Per vera anima gemella troppo spesso si scambia la prima persona sessualmente attraente che si incontra. Qualcuno che forse davvero avrebbero fatto meglio a sposare, se solo… Da qui il divorzio, per risolvere quel “se solo”».

Di solito, hanno ragione, avendo commesso un errore, perché «solo un uomo molto saggio, arrivato al termine della sua vita, potrebbe esprimere un equo giudizio su quale persona, fra tutte, avrebbe fatto meglio a sposare!». Sicché, «quasi tutti i matrimoni, anche quelli felici, sono errori: nel senso che quasi certamente (in un mondo migliore, o anche in questo, pur se imperfetto, ma con un po’ più di attenzione) entrambi i partner avrebbero potuto trovare compagni molto più adatti. Ma la vera anima gemella è quella che hai sposato. Di solito tu scegli ben poco: lo fanno la vita e le circostanze (benché, se c’è un Dio, queste non siano che i Suoi strumenti o la Sua manifestazione)».

“L’anima gemella è quella che hai sposato”: Tolkien, di là dalla sua particolare esperienza matrimoniale, propone «l’unica grande cosa da amare sulla terra: i Santi Sacramenti» in cui si trova «avventura, gloria, onore, fedeltà e la vera strada» per tutto l’amore su questa terra, «e più di questo: la morte». Il divino paradosso, dato con il presagio della morte «che fa terminare la vita e pretende da tutti la resa, può conservare e donare realtà ed eterna durata alle relazioni su questa terra» (amore, fedeltà, gioia), «che ogni uomo nel suo cuore desidera».

Il matrimonio così concepito richiama la dimensione ontologica della fede, che ne fa una questione relativa all’essere, quale suo fondamento. Se gli sposi non danno vita a una nuova realtà, sul piano dell’essere, il matrimonio può essere esistenzialmente ricontrattato (essendo solubile). Se, invece, è una realtà nuova e non la somma delle due libertà coinvolte (non uno più uno, ma “due in una sola carne”), questa è indissolubile. L’amore è limitato, perché creaturale, cioè destinato a finire; con Dio, come fondamento, l’Essere di cui partecipa il nostro essere, è invece destinato all’eterno. In una vita rivolta al “per sempre” divino si gioca, nella storia, sostenuti dalla grazia, una consacrazione di amore imperituro.

Per saperne di più:
J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere , a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien, Bompiani, Milano 2002, in particolare pp. 56-63 (Oppure "Lettere - 1914-1973 recentemente edito da Bompiani)

P. Gulisano, Tolkien: il mito e la grazia , Àncora, Milano 2001, in particolare pp. 180-183.

S. Fontana, La nuova Chiesa di Karl Rahner. Il teologo che ha insegnato ad arrendersi al mondo , Fede & Cultura, Verona 2017, in particolare pp. 89-96.

G.K. Chesterton, Ortodossia, Lindau, Torino 2010, in particolare pp. 18-19.


 

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