
Abbiamo
incontrato Paola Belletti a Trento,
dopo la prima presentazione ufficiale del suo libro d'esordio, “Osservazioni di
una mamma qualunque”, primo volume della nuova collana UOMOVIVO, disponibile in
formato cartaceo e digitale presso la libreria online di Berica
editrice.
Paola,
di formazione filosofa, si occupa di risorse umane (termine che vorrebbe
abolire) e – soprattutto – è mamma di 4 figli, 3 femmine e un maschio
(Ludovico, l'ultimogenito, gravemente malato). Più due non nati.
Nella
prefazione
al libro Costanza Miriano scrive che “questo è uno dei libri che ridi e piangi
leggendoli, i miei preferiti”. Ti ci ritrovi?
Sono
molto grata a Costanza. Si è spesa moltissimo per me. Siamo amiche. E quello
che dice di me, della mia scrittura e del libro, se non sconfiniamo nel
patologico, direi che è un bellissimo complimento.
Perché
la vita è gioia e dolore. Fatica, leggerezza, dramma. Tutto insomma. Ed essendo
per ora almeno la mia scrittura al servizio della mia personale esperienza di
moglie, mamma, figlia (di Dio) c’è dentro un po’ tutto.
Leggendo
Costanza ho riso e pensato moltissimo... e allora mi è venuto il sospetto che
dietro questa grande leggerezza e autoironia, insieme alla profondità e alla
ricchezza di pensiero, ci fosse anche la sofferenza. Forse perché proietto. Ho
imparato a ridere, a ironizzare, a cercare il lato comico anche nella
situazione impegnativa che viviamo in famiglia. Mi aiuta, credo.
Avevi
già avuto qualche precedente esperienza come scrittrice (a parte La Croce,
nostro quotidiano di riferimento)?
Prima
del libro e de La Croce c’era già il blog: “vivo, penso, scrivo, posto” è il
motto. Anche se ultimamente vorrei cambiarlo con: “mi affanno, corro, inciampo
e cado”.
È
nato a metà tra il personale e il professionale. Sono libero professionista, mi
occupavo soprattutto di formazione e in parte di consulenza. Allora ragionando
su tematiche che mi appassionano molto ho pensato di farlo per iscritto. Cos’è
comunicare. Il linguaggio. Il mito un po’ opprimente di Steve Jobs; la
soggettività e l’oggettività; cosa ci attira quando andiamo a fare shopping. E
qui più che un blog si potrebbero aprire forum, portali verticali, eventi,
wikipedie monotematiche e infinite gallery di immagini.
Comunque
per un po’ i termini più ricercati su google che portavano le persone su questa
zattera digitale vagante per il gran mare del web erano cose tipo “il
fondotinta sul sedile della macchina”; “truccarsi in auto” o “il cliente ha
sempre ragione”.
Ora
spero che mi cerchino soprattutto con i tag della collana UOMOVIVO della
Berica editrice: Vita (di coppia), umorismo, Dio.
Perché
scrivi? Sfogo, impegno sociale, training autogeno?
Dunque
vediamo. Scrivo un po’ per rileggermi… perché scrivere costringe a mettere
ordine tra le forze che si agitano dentro. Costringe a dire con le parole, fino
dove è dicibile, i gemiti interiori. Per dare loro ordine, per dire cosa viene
prima e cosa dopo. Cosa è più degno o meno degno di essere scritto. Questo soprattutto
di fronte alla domanda lacerante del dolore, nella malattia di un figlio.
E
per rivolgermi a Dio. Per essere ascoltata e compresa, da Dio e dagli altri.
Non tutti, ma qualcuno almeno!
Poi
ho imparato che può anche essere un servizio. Mario (Adinolfi, direttore de La
Croce che mi ha chiesto di scrivere per la pagina 4 dopo aver letto alcuni miei
post) mi ha detto, di fronte alle mie titubanze per il timore di
strumentalizzare o esporre troppo e senza difese la vita non solo mia ma dei
miei figli piccoli: “scrivi, ti farà e farai molto bene”.
Ci
sono stati anche molti momenti in cui avrei chiesto a chiunque, anche al
lavavetri al semaforo, anche alla cassiera, a chiunque! se potesse ascoltarmi e
capirmi e anche dirmi cosa dovevo fare. Scrivevo un po’ a tutti. Quando
qualcuno non mi rispondeva o smetteva di rispondermi mi rendevo conto che stavo
rischiando di sembrare una stalker.
Com'è
nato il libro?
Perché
Giuseppe (Signorin) me lo ha chiesto.
Per
la verità prima mi ha chiesto, ed era serio, se avessi già un editore. Wow!
Considerava la mia scrittura possibile oggetto di interesse di qualche editore!
Sempre grazie a Costanza in effetti c’era già un potenziale editore ma con
tutti gli impegni legati alla cura della famiglia mi era impossibile mettere mano
ad un progetto nuovo e così impegnativo, almeno a me pareva così.
La
proposta di Giuseppe invece era una cosa fattibile a partire dalla mie
condizioni: pochissimo tempo a disposizione e quindi per ora la quasi
impossibilità di concepire e scrivere un libro nuovo da capo. A lui interessava
raccogliere brani scelti che avevo già scritto! Fantastico. Proviamo allora…
Il
libro è composto da brani autobiografici, molto differenti sia perché alcuni
sono stati scritti quando ancora non erano successe molte cose sia perché la
persona, io come voi, è una ma complessa e la vita ha tante manifestazioni.
Perché nella vita ci sono tutti i colori, tutte le tinte. Non so se questo è un
modo carino per dire che sono un gran guazzabuglio… Perché attraversare una
grande prova non significa essere sempre costantemente presi da stati d’animo
tristi, in balia dell’angoscia. Ci sono momenti diversi e diverse forze che
agiscono.
Penso
anche a Sabrina Pietrangeli Paluzzi che ho intervistato
per La Croce. Ha una storia forte, con una grande prova che lei ha permesso la
cambiasse; con una grande e vivida fede. Con una associazione fatta per aiutare
mamme in gravi sofferenze, ecco lei è anche una youtuber e consulente di
bellezza. Essere cristiani è bello. È tutto. Tiene dentro tutto.
E
poi c’è il tempo che passa.
La
reazione alla prima notizia della gravità della situazione di Ludovico era di
un tipo, anche psicologicamente qualificabile. Shock. Trauma. Quindi per molti
aspetti abbiamo vissuto uno stress post traumatico, normale, naturale.
E
ad aggravare la durezza della situazione si aggiunga il fatto che anche tutti
quelli che sono intorno e sono legati a noi subiscono uno shock e spesso,
esattamente come te che ne sei colpito più direttamente, hanno bisogno di
tempo, di capire, di accettare, di farsi e fare domande. E a chi le fanno,
spesso, se non proprio a chi ne è più direttamente colpito?
Ma
quindi Ludo che malattia ha? Quando vi dicono come starà? Camminerà? Ci vedrà?
Perché non sapete niente di preciso? Che cure bisogna fare? Se fossi in voi io
farei, direi, non esiste proprio, non è possibile ecc..
E
a seguire, senza soluzione di continuità, catene non interrotte di consigli.
Senti la dottoressa Tizia. Chiama il nostro amico Caio. Un mio cugino aveva un
figlio con una cosa simile (come fosse possibile stabilirlo non è dato sapere),
ti lascio il numero. Anche nel parcheggio della scuola mi è capitato: senta
signora, perché non chiama il dottor Scapaccioni? I fiori di Bach? Agopuntura?
Dieta pinco pallino? Tante cose, non tutte, erano ragionevoli. Alcune utili.
Altre, per me, staffilate al cuore.
Ma
più di tutto mi colpisce una cosa: di fronte al dolore, alla malattia grave
soprattutto di un innocente nessuno-salvo poche eccezioni- riesce a gestire
l’ansia. Devo fare qualcosa perché la mamma faccia qualcosa e lui stia meglio.
Devo, ora. Oppure la fuga.
Un
altro aspetto che ho riscontrato e riscontro ancora è direttamente legato ad un
costume delle nostre società libertarie, dei diritti individuali (di alcuni
individui!). Al diritto di aborto. Che è un'assurdità non solo morale ma anche
logica. Diritto di tutti ad abortire. Esclusi i nascituri. Per forza allora è
necessario che i nascituri non siano qualificati come individui. E per forza
allora serve una casta di “esperti” che sola possa pronunciarsi su cosa, non
chi, ma cosa possa dirsi persona e cosa no. E in tanti abbiamo accettato questo
furto. “Io non sono esperto, non posso sapere per bene quando inizia la vita.
Mi attengo a quanto dicono gli esperti”. A partire da questa menzogna nascono
diverse altre esperienze stranianti. L’ecografia morfologica servirebbe a
“prevenire malformazioni”, mentre invece previene solo la nascita di persone
forse affette dalla patologia x o y.
Comunque
proprio per questo costume derivato da una legge voluta da minoranze aggressive
che hanno influenzato tutta la società, per questo la domanda esplicita e
aperta o fatta per allusioni che non mancava mai e ancora sento anche ora che
Ludo ha due anni e mezzo è: lo avete scoperto dopo, vero? Ma questo lo dico in
qualche brano.
Sono
33 in tutto. Li ha scelti Giuseppe. Io volevo inserirne anche altri. Invece ha
fatto bene. Nei nostri scambi epistolari chiudeva sempre le email o le chat con
“Viva el Senor!”
E
il titolo (in particolar modo la qualunquità della mamma qualunque)?
È
un compromesso tra me e lui. Io che gestavo da anni l’idea di mettere insieme i
vari brani scritti qua e là, sulle note dell’ipad e poi sul pc e poi a volte
salvati come memo audio se l’idea mi pareva azzeccata o scritti sul dorso della
mano, volevo trovare un titolo che potesse contenerli e giustificarne la
disomogeneità. Allora avevo pensato a “Diario di una cattolica qualunque”. Poi
sono successe tante cose: ho aperto il blog, poi sono diventata amica di
Costanza. Ho perso due bimbi prima che nascessero; poi è arrivato Ludo; e dopo
un po’ di tempo ho sentito Mario Adinolfi raccontarci cosa ci stava succedendo
sotto il naso con l’ideologia gender (Sua Eminenza il Cardinale Carlo Caffarra
dice che è importantissimo chiamarla ideologia e non teoria perché la teoria
cerca lo scontro con la realtà e ne accetta la verifica e la ratifica fino alla
sua totale smentita, l’ ideologia invece vuole imporsi sulla realtà e non
appoggiandosi sulla verità ha a disposizione solo l’irrisione e la violenza);
ho mandato un commento ad un suo post dove si diceva scoraggiato (cosa
rarissima!); gli ho detto che lo ringraziavo perché lottava anche per il nostro
bambino. Si è commosso. In quel grande circo che è Facebook e in particolare la
pagina di Mario che subisce di continuo attacchi, insulti e ingiurie, ho dovuto
sentirmi anche dire che sì dai ero abbastanza rispettabile per aver deciso di
far nascere questo figliolo ma poi avrei dovuto rispondere del mio egoismo.
Farei una pausa di silenzio. Egoismo! Capite? Che ribaltamento della realtà.
Quando
mio marito ha saputo che stava per nascere un nuovo quotidiano che sarebbe
stato il braccio stampato di questa battaglia incruenta (quasi) mi ha detto che
secondo lui avrei dovuto scrivere anch’io. Mario ha letto qualche mio post e mi
ha intimato di scrivere tutti i giorni; il più possibile. “Va bene scrivi tutte
le volte che puoi!” Quando a gennaio 2015 è partita la pazzia della Croce è
stato bello partecipare ed essere parte di un’avventura coraggiosa e in parte
dilettantistica (per alcuni redattori intendo non per il redattore capo né il
direttore). Quando era cartacea era di una bellezza notevole! Ora resiste
digitale. Ed è cresciuta anche come contributi. Sosteniamola!
Comunque
tornando alla domanda: Giuseppe mi propone una rivisitazione di un titolo di
Guareschi (troppo onore!) che era “Osservazioni di uno qualunque”, che non ho
ancora letto. Chiedo venia.
E
niente... ora siamo qua!
A
chi consigli di leggere questo libro?
A
chiunque. A patto che poi me lo racconti.
Credo
possa piacere anche agli uomini. È un libro per la parità di genere. Scherzo.
È
una cosa piccina ma sono ben contenta che qualcuno mi dica che ha trovato
sollievo nel leggere il mio modo di leggere la nostra vita. Che mi ringrazi per
avere riso, pianto magari riflettuto in modo nuovo sulla vita. Su un pezzo di
esperienza sottovalutato o rimasto senza ipotesi di senso.
Qualcosa
da aggiungere? Nel senso, fatti una domanda e datti una risposta...
Vorrei
dire quello che il mio libro non è. Non è uno spot antiabortista. Non è una
testimonianza almeno non è stata preventivata. È vita, raccontata, giudicata,
esposta con tutti gli sforzi alla luce del sole, allo sguardo del Signore.
Senza Gesù Cristo, senza la Chiesa, senza la potenza dei sacramenti e quella
per me nuova della preghiera non potremmo vivere in pace, seppure con momenti
diversi, questa nostra prova. Io e mio marito stiamo verificando che si può”
tenere botta” anche di fronte a queste sberle. Non solo. Si vive, si vive! Non
si sopravvive. Certo i primi tempi l’ angoscia, il dolore, la paura sono così
forti che è già tanto resistere.
Si
vive tutto. Ridiamo, forse più di prima. Ci preoccupiamo. Io soprattutto. Mio
marito smista, filtra, butta! Se non avessi lui sarei del tutto in balia dei
miei mutevoli stati d’animo e del modo così viscerale di amare i figli. Mio
marito, altrimenti detto, il minimizzatore.
Sull’esperienza
più forte ma non esclusiva che caratterizza questo giro di anni della mia vita
e che è il dolore per il mio bambino direi questo: il dolore fa male. La prova,
prova! La menomazione, la malattia sono brutte e mortificanti. Restano brutte
anche dopo Gesù. Ma c’è Gesù. Ma c’è il Padre. Io so che a Ludo visto che Dio è
Dio nulla di essenziale è tolto. A lui non è impedita l’azione umana più
importante e vitale, il rapporto col Padre. “Smettila di pregare per tuo figlio
e prega per la tua conversione mi ha detto un amico. Che prega di continuo per
la sua guarigione. Cosa credi che Dio non si intrattenga con la sua anima? Cosa
credi che non sia un male per un bene più grande?”
Poi
ho capito questo. Dietro il dolore, sotto il cono d’ombra della croce; nella
feritoia che la spada del dolore tiene aperta nel cuore, si apre uno scenario
nuovo. Accessibile anche altrimenti credo ma la via della sofferenza è
privilegiata… lo voglio dire con le parole del Giobbe di Fabrice Hajadj:
Giobbe
infine, ormai solo, dichiara di attendere la Gioia:
«Io
non ti ho, ma tu mi circondi stringendomi.
Tu mi sfuggi, sei proprio tu che mi conduci verso l'altro,
Tu che mi ferisci, sei proprio tu la sola che potrebbe guarirmi,
E siccome sto in agguato, pronto ad accoglierti, attento al minimo refolo che annunci la tua venuta,
Tu m'impedisci di chiudermi nella mia corazza
E la mia testa è questa conchiglia fratturata
E la mia lingua è questa lumaca grottesca,
Che lascia con le sue parole più bava che sapere,
E tu non vieni a ridurre la frattura, no, tu l'ingrandisci, tu l'allarghi ancora perché vi entri il
mondo».
Tu mi sfuggi, sei proprio tu che mi conduci verso l'altro,
Tu che mi ferisci, sei proprio tu la sola che potrebbe guarirmi,
E siccome sto in agguato, pronto ad accoglierti, attento al minimo refolo che annunci la tua venuta,
Tu m'impedisci di chiudermi nella mia corazza
E la mia testa è questa conchiglia fratturata
E la mia lingua è questa lumaca grottesca,
Che lascia con le sue parole più bava che sapere,
E tu non vieni a ridurre la frattura, no, tu l'ingrandisci, tu l'allarghi ancora perché vi entri il
mondo».
Simone
Weil, altra filosofa francese del '900 dice che la gioia non è altro che il
sentimento della realtà. La realtà tutta. La realtà quando diventa più reale e
ti assedia dura e ossuta. Non lo so, direi che corro il rischio di sembrare
masochista o anche scontata ma quando il dolore ti colpisce davvero, e tanti ne
abbiamo esperienza, puoi, se vuoi, non sprecare l’occasione di approfondire il
tuo essere uomo cioè figlio cioè amato cioè atteso.
Dio
non ha ancora guarito mio figlio. Io chiedo e richiedo e insisto. Può essere
continui a rispondere “no, non ancora”. Non lo so. Dio è Dio.
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