È ormai
invalsa l’abitudine di predicare al papa come fare il papa. La
visita di Francesco negli USA sta deludendo molti di quelli che,
peraltro legittimamente, confidavano in pronunciamenti più espliciti
a favore della libertà di culto e dei valori non negoziabili, in un
Paese che sta conoscendo un feroce attacco contro il cristianesimo.
Non è un mistero che Bergoglio non sia Ratzinger, uno capace di
scatenare guerriglie con una lectio magistralis. È anche
possibile che la diplomazia sia un pregio. Di sicuro, la condanna di
pena di morte e traffico d’armi è in linea con il Magistero
sociale della Chiesa; e tutto sommato, anche la premura ecologica per
la “cura della casa comune” non è una novità – risale almeno
a Paolo VI. Certo, anche qui Bergoglio ci mette del suo. Già nella
Laudato si’ indirizzava al capitalismo e ad una un po’
fantomatica alleanza tra finanza e tecnica, degli strali in fondo
preconcetti: è un fatto che a ridurre la povertà nel mondo abbia
contribuito più il vituperato capitale, con i suoi innumerevoli
difetti, che il consesso delle nazioni riunito per destinare milioni
ai governi corrotti del Terzo Mondo, o il fallimentare socialismo
pauperista dei vari Chavez, Maduro, Morales. D’altro canto, il
pontefice sembra aver in parte accolto i rilievi di chi evidenziava
l’eccessiva insistenza sui mali del fantasmagorico neoliberismo. A
proposito, è interessante paragonare il discorso tenuto al Congresso
con quello pronunciato alle Nazioni Unite. Francesco ha sì ribadito
come etica ambientale e giustizia sociale siano strettamente
connesse, ma ha poi aggiunto originalissime osservazioni su
«limitazione del potere» e ruolo dei corpi intermedi. Nel definire
la missione dell’ONU, il pontefice ha specificato che il ruolo di
un’istituzione sovranazionale deve essere alimentato dalla
preoccupazione di stabilire la supremazia del diritto, che è poi la
millenaria legge naturale della dottrina cattolica e coincide con il
classico principio di giustizia del suum cuique tribuere.
Dunque, proprio nel mezzo di un discorso che elencava le
responsabilità dei Paesi ricchi nei confronti dei poveri del mondo,
Francesco non invoca la redistribuzione cara ai teorici della
giustizia globale, bensì la giustizia commutativa, quella che
tradizionalmente prescrive le condizioni di rettitudine negli scambi
e le eventuali correzioni in caso di abusi.
Ma
c’è di più. Poco dopo aver manifestato il proprio apprezzamento
per l’impegno profuso dagli Stati nel tentativo di contrastare il
degrado ambientale, Francesco ha specificato: «Lo sviluppo umano
integrale e il pieno esercizio della dignità umana non possono
essere imposti. Devono essere costruiti e realizzati da ciascuno, da
ciascuna famiglia, in comunione con gli altri esseri umani e in una
giusta relazione con tutti gli ambienti nei quali si sviluppa la
socialità umana – amici, comunità, villaggi e comuni, scuole,
imprese e sindacati, province, nazioni». E ha collegato questi
requisiti alla funzione della Chiesa quale istituzione che sostiene e
collabora con le famiglie nell’educazione dei figli, ricollegandosi
alle stoccate sulle minacce a famiglia e matrimonio pronunciate al
Congresso. Insomma, non c’è trippa per le filosofe femministe alla
Michela Marzano, che sognano una scuola di Stato al servizio
dell’ideologia gender. Dall’altro lato, tali considerazioni
paiono avvicinare Francesco a quel “conservatorismo verde” difeso
da Roger Scruton nel saggio How to Think Seriously About the
Planet: The Case for An Environmental Conservatism (2012), in cui
l’intellettuale britannico fonda un’efficace difesa dell’ambiente
in chiave conservatrice sul sentimento dell’oikophilia,
ossia l’attaccamento alle proprie radici, alla propria terra, ai
propri affetti, da cui discende l’unico possibile coinvolgimento
delle persone nella battaglia per salvaguardare, pezzo per pezzo, il
pianeta. Minacciato tanto da inquinamento ed effetto serra che dalla
scellerata ideologia ecologista, la quale costituisce in fondo la
nuova frontiera della vecchia pianificazione economica, nemica
dell’uomo che essa concepisce solo in quanto strumento.
Non è
casuale se persino nel passaggio più “di sinistra”, dedicato
all’enunciazione di quella che per Francesco costituisce «la base
minima materiale e spirituale per rendere effettiva» la dignità
delle persone e l’opportunità di costruire una famiglia, Bergoglio
includa la libertà religiosa. Non ci si poteva aspettare che questo
papa sbarcasse sul suolo americano per bacchettare i liberal,
brandendo l’hashtag “defund Planned Parenthood” (la clinica
abortista denunciata dai pro-life statunitensi). Il grido degli
esclusi, che egli spesso invoca, comprende però anche l’ingiustizia
perpetrata sui bambini non nati.
Starà ai
conservatori americani decidere se consegnare a Obama un’improbabile
luna di miele col successore di Pietro, magari con l’aiuto della
patetica scenetta della bimba messicana figlia di immigrati, che
consegna la letterina al papa – siparietto chiaramente allestito a
tavolino contro Donald Trump. I repubblicani potrebbero ingoiare il
rospo sull’immigrazione e rimettere sotto i riflettori le tematiche
di cui sopra, che i media, di proposito o per superficialità,
tendono a ignorare. Se vogliono tornare a competere seriamente per la
presidenza, peraltro, costoro non possono pensare di rifugiarsi
nell’elogio incondizionato dell’alta finanza e nel negazionismo
anti-ecologista. Gli ambientalisti, come diceva Andreotti, saranno
pure come i cocomeri, verdi fuori e rossi dentro, ma regalare la
Chiesa Cattolica alla Clinton sarebbe un abominio. Già Russell Kirk,
che per la destra americana dovrebbe essere vero pane quotidiano,
biasimava negli anni Novanta il feticcio del “capitalismo
democratico”, la libertà economica trasformata in macchietta da
comizio. Se il Vangelo conta ancora qualcosa, la destra religiosa
ricordi che non si può servire Dio e mammona.
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