La
meravigliosa manifestazione del 20 giugno in Piazza San Giovanni è stata solo la
prima di una lunga serie di mobilitazioni che, ci auguriamo, continueranno nei
prossimi mesi a difesa della famiglia e dei bambini. Il popolo radunatosi a
Roma all’inizio dell’estate non si ferma e continuerà a combattere.
Oltre
alla battaglia nei confronti dei disegni di legge che portano i nomi di
Scalfarotto, Fedeli e Cirinnà, però, ce n’è un’altra, più complessa e delicata,
da condurre all’interno del mondo cattolico. È sotto gli occhi di tutti la
spaccatura che c’è stata proprio in merito al Family Day del 20 giugno. E non è
un mistero che divisioni vi siano pure tra i vescovi che si confrontano sui
problemi della famiglia in vista del prossimo Sinodo di ottobre. Nonostante i giornali
diffondano falsità e manipolino le informazioni, creando ad arte rivoluzioni
mai pensate e comunque inattuabili, sta di fatto che qualche problema in seno
al corpo episcopale c’è. Bisogna però sempre tener presente che alla fine a
decidere sarà il Papa. E Papa Francesco, checché ne dicano i media, ha parlato
e parla chiaro su famiglia, gender, matrimonio e omosessualità, coniugando,
come tutti i Pontefici han sempre fatto, pur con lo stile proprio di ciascuno,
verità e carità, giustizia e misericordia. Il Papa, inoltre, non può cambiare
la dottrina, perché non brilla di luce propria, ma riflette quella di Cristo,
l’unica Via, l’unica Verità e l’unica Vita. La Chiesa, pertanto, non può mutare
l’insegnamento del suo Fondatore, ma soltanto custodirlo e trasmetterlo nel
corso della storia, con modalità e strategie differenti da epoca ad epoca,
senza intaccarne minimamente il contenuto.
A
volte capita però che alcuni pastori deraglino e creino confusione. La storia
della Chiesa ce lo insegna. Oggi - lo abbiamo già visto nel Sinodo dell’anno
scorso - in tema di matrimonio accade lo stesso e chi dovrebbe essere guida e
maestro non sempre assolve bene il suo compito e, anzi, talvolta travia i
semplici e i piccoli. In questi casi, lo stesso Diritto Canonico prevede che i
laici abbiano non solo il diritto ma anche il dovere di “correggere” i vescovi,
pur con rispetto.
Da
qui il senso di una “Supplica Filiale” a Papa Francesco (www.supplicafiliale.org)
lanciata qualche mese fa e che finora ha raccolto oltre 300mila firme, tra le
quali quelle di 4 cardinali, 22 arcivescovi e vescovi e di alcuni esponenti del
mondo pro-life italiano come Toni Brandi, presidente di ProVita onlus,
Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la Vita e Carlo Casini, presidente
onorario del Movimento per la Vita. Si tratta di un appello che figli devoti e
obbedienti rivolgono al loro Padre comune perché tenga presente che la maggior
parte del Popolo di Dio non è d’accordo con le tesi del cardinale Kasper e dei
suoi soci, ma sostiene invece la verità tutta intera della morale cattolica.
Nello spirito di parresìa e di franchezza tanto caro a Papa Francesco, numerosi
fedeli chiedono ai loro pastori di non confondere la gente e di confermare la
retta fede.
Oltre
alla Supplica, è stato stampato una sorta di vademecum che ribadisce la
dottrina cattolica in materia di matrimonio e famiglia: “Opzione preferenziale
per la famiglia. Cento domande e cento risposte intorno al Sinodo” (non essendo
commerciabile, si può richiedere scrivendo a supplicafiliale@gmail.com). Il
libretto, che attinge abbondantemente al Magistero recente della Chiesa, è
opera di mons. Aldo di Cillo Pagotto, arcivescovo di Paraiba (Brasile), mons.
Robert F. Vasa, vescovo di Santa Rosa (California) e mons. Athanasius
Schneider, vescovo ausiliare di Astana (Kazakhstan) e si apre con la prefazione
del cileno cardinal Jorge A. Medina Estévez (che tutti ricordiamo per aver dato
l’annuncio dell’elezione di Benedetto XVI), che ricorda come la soluzione ai
vari problemi sociali, tra i quali quelli familiari, va trovata nella
conversione del cuore, «senza la quale gli strumenti esterni avranno soltanto
una efficacia effimera e limitata».
Rimandando
alla lettura completa di questo piccolo catechismo, al momento ci si soffermerà
solo su alcuni punti trattati.
Di
particolare importanza e novità è l’introduzione e la spiegazione che il
vademecum fa del concetto di “parole-talismano”. Si tratta di termini elastici,
di forte contenuto sentimentale, molto usati e la cui manipolazione provoca nei
fedeli una sorta di trasbordo ideologico inavvertito (cf. n. 84). Ad esempio la
parola “approfondimento” viene usata dai media e da certi vescovi non per
indicare una maggior comprensione di qualcosa, ma per sottintendere un
cambiamento di giudizio su quel qualcosa, e sempre in senso permissivo (cf. n.
85). Altro esempio: si ricorre al termine “persone ferite” relativamente a
divorziati risposati, omosessuali, conviventi, etc. In tal modo si vuol
suscitare compassione, omettendo del tutto il giudizio morale sugli atti. In
pratica, si punta ad avallare ogni genere
di condotta (cf. n. 87). Infine, la tanto abusata e manipolata “misericordia”. Questa
parola serve per dire che Dio perdona sempre tutti, a prescindere dal
pentimento personale. Sappiamo però che non è così. «La Chiesa non può
comportarsi come un imbonitore che illude i sofferenti offrendo pozioni che non
fanno sentire il dolore ma aggravano la malattia. Anzi, […] deve agire come un
saggio medico che mira a risanare i
malati e feriti spirituali usando le medicine più efficaci, anche se dolorose,
per liberarli dal male e risparmiarli dalle pericolose ricadute. Ciò presuppone
che la Chiesa non nasconda ai malati la gravità della loro situazione né
sminuisca la loro responsabilità, ma anzi apra loro gli occhi e il cuore prima
ancora di chiudere le ferite. Certamente la cura dev’essere misericordiosa,
ossia deve tener conto della vulnerabilità delle persone. Ma questa precauzione
deve favorire la cura, non impedirla illudendosi che i palliativi possano
guarire un malato grave che rifiuta la medicina risolutiva. Inoltre, non si
confonda la vulnerabilità del malato che soffre per una terapia dolorosa con la
suscettibilità di chi rifiuta di curarsi» (n. 90). Insomma, il male va chiamato
male e la vera misericordia consiste nel correggere e aiutare il peccatore a
lasciare la cattiva condotta di vita. Il resto sono chiacchiere ideologiche e
vuote.
Tenuti
presenti questi punti, si comprende la necessità di ribadire la verità. La
rivoluzione sessuale del ‘68 ha generato una profonda sovversione morale e
culturale, in cui ancora siamo totalmente immersi. Di fronte a tale sconquasso,
la Chiesa ha il dovere di salvare le anime, con comprensione e accoglienza
verso chi sbaglia, ma anche con franchezza e senza sconti, perché misericordia
e giustizia sono due facce della stessa medaglia. Innanzi tutto, poiché la
legislazione cambia la mentalità, «per evitare che il matrimonio naturale o
sacramentale scompaia è necessario che i cattolici contrastino la mentalità
divorzista diffusa dalle leggi civili» (n. 16). E su questo fronte, spiace
constatarlo, non c’è più molto impegno. Eppure è in tale mentalità che stanno
le radici dei mali odierni.
Poi
bisogna tornare a dire pane al pane e vino al vino. L’adulterio, ad esempio, «è
oggettivamente un peccato grave e, come tale, può essere perdonato solo se il
peccatore manifesta non soltanto pentimento sincero, ma anche il proposito di
emendarsi, cioè di rompere il comportamento adulterino» (n. 57). Il matrimonio,
infatti, è per diritto naturale indissolubile. Pertanto, la Chiesa cattolica si
oppone al divorzio: «la dignità della persona implica anche il prendere e
mantenere impegni indissolubili, come quello matrimoniale. Inoltre il divorzio
è contrario alla dignità dei coniugi, specie di quelli più deboli, perché toglie
loro le certezze dell’unione e li pone nella possibilità di essere abbandonati
e caricati di pesanti conseguenze delle quali non sono responsabili; senza
contare le ripercussioni che colpiscono i figli e danneggiano la loro
formazione psicologica e morale» (n. 59). Gli insegnanti conoscono bene questa
realtà: in genere, infatti, i figli di divorziati incontrano più difficoltà nel
campo dello studio e delle relazioni sociali.
Tuttavia,
se al divorzio bisogna dire un secco no, «la separazione è un male tollerato
dalla Chiesa con dolore e per gravi motivi di prudenza, ossia solo quando tutte
le alternative risultano impraticabili e per evitare mali maggiori; infatti, a
volte può essere preferibile permettere la separazione per evitare i danni
causati dalla convivenza» (n. 60). Ad ogni modo, separati e divorziati sono
tenuti a non contrarre un altro matrimonio. Solo così possono accedere alla
Comunione sacramentale. In caso di nuove nozze, invece, ci si trova in
oggettivo stato di peccato mortale, addirittura pubblico. Condizioni per
ricevere la Comunione, allora, saranno il pentimento e il cambiamento di vita (cf.
n. 63).
La
Chiesa comunque non abbandona i divorziati risposati, ma sempre li incoraggia e
li aiuta a tornare all’amicizia con Dio. Ciò che chiede è la castità, anche nei
casi in cui per ragioni pratiche importanti, tipo l’educazione dei figli, non è
possibile abbandonare la convivenza (cf. n. 74).
La
castità del resto, ciascuno nel proprio stato, è un impegno per tutti. Anche
per le persone con tendenze omosessuali. Il vademecum precisa ciò che non viene
mai specificato: il desiderio omosessuale, pur cattivo (come mille altri
desideri che tutti hanno) non è un peccato. Gli atti omosessuali invece sì,
perché contro natura, di mera lussuria e non finalizzati alla procreazione. Il
bene, per le persone che soffrono di queste inclinazioni, è proprio vivere la
castità (cf. nn. 78-82).
Vivere
casti non è mai stato facile ed oggi è particolarmente difficile. Tuttavia, con
la grazia di Dio, i sacramenti e la preghiera, è possibile e anzi doveroso:
così si raggiunge la santità. Molti in casa cattolica sembrano dimenticarlo,
forse perché non ci credono più. Eppure, se c’è fede, l’aiuto divino mai
mancherà a chi si sforza di mettere in pratica i Comandamenti.
Insomma,
non servono rivoluzioni dottrinali nella Chiesa per risolvere questioni
difficili. Le soluzioni ce le offre da duemila anni Gesù, con la mediazione di
sua madre Maria. L’unica rivoluzione da auspicare è la conversione del cuore.
(La
Croce quotidiano, 8 luglio 2015)
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