di Fabio Petrucci
Martedì
14 luglio a Vienna è stato siglato l'accordo tra l'Iran ed il 5+1
sulla tanto discussa questione nucleare. Giunta dopo trattative
estenuanti e durevoli contrasti, la firma dell'accordo è stata
accolta dai media occidentali come un evento di portata storica,
nonché come un successo personale del presidente statunitense Barack
Obama. In realtà, avendo presente l'estrema fluidità della
situazione, risulta prematuro emettere giudizi definitivi
sull'accordo raggiunto: il rischio è quello di trovarsi ad essere
smentiti dal corso degli eventi. L'accordo dovrà essere ratificato
dai rispettivi parlamenti, e nulla è ancora certo né sulla sua
effettiva implementazione né sul suo carattere definitivo. Potrebbe
certamente rappresentare un elemento di grande novità nello
scacchiere mediorientale, così come rivelarsi scarsamente efficace.
In
sintesi, a partire da gennaio 2016, l'accordo dovrebbe condurre alla
completa abolizione delle sanzioni economiche e finanziarie imposte
dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, nonché di quelle multilaterali
(USA+UE) e nazionali, legate al programma nucleare iraniano. Questo
in cambio di una limitazione del piano di proliferazione nucleare di
Teheran e di controlli più stringenti da parte dell'AIEA, al fine di
rendere materialmente impossibile la costruzione di armi atomiche
(intento sempre smentito dalle autorità iraniane). In caso di
violazione dell'accordo da parte di Teheran è previsto il ripristino
per almeno 10 anni delle sanzioni ONU, con la possibilità di
estendere la loro efficacia per altri 5 anni. Anche Stati Uniti ed
Unione Europa godrebbero della facoltà di reintrodurre le loro
sanzioni a tempo indeterminato. La ratifica parlamentare da parte del
Congresso statunitense e del Majles iraniano rappresenterà un
passaggio fondamentale per gli esiti dell'accordo. Anche se è
probabile un'approvazione del testo da parte delle due assemblee
legislative, non si può non notare la presenza di cospicue
componenti ostili all'accordo in seno al Congresso statunitense (non
solo tra la maggioranza repubblicana, ma anche tra i democratici),
così come non si può ignorare il parere che la Guida Suprema Ali
Khamenei potrebbe esprimere in merito ai contenuti dell'accordo o
tacere delle reazioni critiche dei settori conservatori legati all'ex
presidente Ahmadinejad.
Sul
piano mediatico l'accordo è stato presentato come un grande successo
diplomatico degli Stati Uniti e di Barack Obama. Per il presidente
statunitense l'accordo con l'Iran ha rappresentato un banco di prova
molto importante poiché, insieme al disgelo con Cuba, consente
all'inquilino della Casa Bianca di vantare un bilancio meno
fallimentare del previsto nell'ambito della politica estera. Per un
presidente che rischia di essere ricordato come l'iniziatore di una
nuova guerra fredda con il risorto orso russo, l'accordo con l'Iran
si configura come una grande boccata d'ossigeno. Tuttavia il successo
personale di Obama non rappresenta una vittoria per l'amministrazione
statunitense, ma semmai una sconfessione della strategia adottata in
Medio Oriente in questi anni, o meglio l'implicita ammissione del suo
fallimento. L'accordo con l'Iran poteva essere concluso già diversi
anni fa, ma Washington per lungo tempo ha rimandato la ricerca di una
soluzione alla questione, nascondendosi dietro le paure di Israele.
Ora alla Casa Bianca sembrano aver compreso che, a maggior ragione
dopo il fallimento delle “primavere arabe”, il progetto del
“Grande Medio Oriente” a guida USA è un’insostenibile chimera
politica. Inoltre, l'amministrazione statunitense pare essere giunta
alla conclusione che appoggiare sempre e comunque Israele e
petromonarchie come quella saudita e quella qatarina non coincide con
i propri interessi strategici. Non stupisce quindi il disappunto
espresso da Tel Aviv e Riyad in seguito all'accordo di Vienna.
Decenni
di ostilità occidentale nei confronti dell'Iran, passati anche
attraverso la guerra tra l'Iraq di Saddam a quel tempo sostenuto
dagli USA e la Repubblica Islamica, non hanno condotto al tracollo
politico ed economico dello Stato sorto dalla rivoluzione del 1979.
In questi anni l'influenza di Teheran nella regione non è stata
arrestata, così come non è stato bloccato lo sviluppo militare e
tecnologico iraniano. Ragion per cui una parte dell'establishment
statunitense è giunta a considerare inutile e controproducente
l'ostilità verso l'Iran, che peraltro ha condotto ad una crescente
sinergia politica ed economica di quest'ultimo con Russia e Cina. Nel
recente summit dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai è
stato annunciato il prossimo allargamento della stessa all'India ed
al Pakistan. La SCO va così assumendo un carattere sempre più
“pan-asiatico”, tanto che non è da escludere che nei prossimi
anni anche l'Iran, attualmente membro osservatore, possa aderire
pienamente all'organizzazione. La costituzione di un solido blocco
asiatico composto dalle maggiori potenze regionali del continente
indebolirebbe in maniera sostanziale la presenza statunitense in
Asia. E forse la nuova strategia della Casa Bianca verso l'Iran va
letta anche alla luce di preoccupazioni di questo tipo.
Nell’atmosfera
di entusiasmo seguita all'accordo di Vienna Obama ha anche elogiato
il lavoro di mediazione svolto dalla Russia nel corso delle
trattative. Nel clima di guerra fredda fra Casa Bianca e Cremlino le
parole di Obama hanno rappresentato una sorpresa inaspettata, anche
se è probabile che si tratti di una mera frase di circostanza che
non condurrà a reali cambi di strategia degli USA verso la Russia.
Appena un mese fa Vladimir Putin aveva detto di non aspettarsi alcun
mutamento nell'atteggiamento ostile degli USA e le sue parole
sembrano essere state confermate dal rapporto
statunitense
“National Military Strategy” 2015,
in cui si fa riferimento a «basse, ma crescenti» probabilità di
conflitto con grandi potenze (Russia e Cina). Peraltro la firma
dell'accordo di Vienna toglie agli USA qualsiasi alibi circa il
progetto di scudo antimissile da impiantare in Europa: per molto
tempo esso è stato presentato come una difesa da possibili minacce
atomiche iraniane, ma adesso che con l'Iran è stata raggiunta
un'intesa gli Stati Uniti dovrebbero abbandonare il progetto oppure
ammettere ciò che tutti già sanno, ossia che il vero obiettivo
dello scudo è la Russia. Non a caso dopo l'accordo di Vienna il
ministro degli esteri russo Lavrov, con l'astuzia che lo
caratterizza, ha ricordato quanto affermato da Barack Obama a Praga
nel 2009, ossia che in caso di intesa con Teheran non ci sarebbe più
stata la necessità di costruire uno “scudo antimissile europeo”.
Eppure
a fare da contorno all'accordo di Vienna non c'è soltanto il clima
di guerra fredda che si respira in Europa, ma anche il pantano che
coinvolge il Medio Oriente dalla Libia all'Iraq. Nel contesto di
ridefinizione degli equilibri regionali seguito alle “primavere
arabe” l'Iran sta giocando un ruolo molto importante, essendo in
prima linea nella lotta all'ISIS in Iraq, nonché impegnato a
sostenere la Siria di Assad e le milizie libanesi di Hezbollah nella
lotta contro il fondamentalismo sunnita foraggiato da Arabia Saudita,
Qatar e Turchia. In questo senso il tanto vituperato Iran sciita sta
rappresentando un attore di fondamentale importanza nella difesa
della civiltà minacciata dai tagliagole salafiti, takfiri e
kharigiti. Del resto l'Iran degli ayatollah sciiti - a fronte di
forti limitazioni imposte al proselitismo – ha sempre garantito la
sicurezza e la libertà di culto delle antiche comunità cristiane
(soprattutto armene) presenti sul suo territorio, ha rappresentato un
rifugio per molti cristiani assiri fuggiti dall'Iraq e ha più volte
dimostrato un'apertura al dialogo con la Chiesa cattolica inesistente
in molti paesi sunniti: ne sono prova la traduzione del Catechismo
della Chiesa cattolica in farsi e persino l'atteggiamento di
moderazione espresso dall'ex presidente Ahmadinejad all'epoca del
discorso pronunciato da Benedetto XVI a Ratisbona. Per tutte queste
ragioni, a dispetto delle ansie di Israele, la fine della
demonizzazione della Repubblica Islamica dell'Iran non può che
essere accolta come una buona notizia.
0 commenti :
Posta un commento