di Andrea Virga e Lorenzo Roselli
Il
23 novembre scorso è venuto a mancare Costanzo Preve, uno dei più
eminenti e brillanti filosofi politici che il nostro paese (ma non
solo) abbia conosciuto negli ultimi cinquant’anni. Sentiamo il
bisogno di ricordare che uomo e pensatore egli fu, non soltanto per
la scarsissima risonanza mediatica che la sua morte sembra aver
riscontrato, ma anche e soprattutto perché debitori della sua
ridefinizione del concetto di comunitarismo – e, per estensione, di
socialismo – che affronteremo più avanti. Per tracciare un
riassunto della sua opera, risultano imprescindibili alcuni cenni
biografici che, oltre a contestualizzare maggiormente il suo pensiero
nel quadro politico italiano ed europeo, mettono ancor più in luce
le doti e l'incredibile valore dello studioso piemontese.
Nato
il 14 aprile 1943 a Valenza (AL) da madre di origine armena e padre
italiano, Preve trascorre larga parte della sua vita a Torino, dove
frequenterà anche il liceo classico diplomandosi nel 1962. Forzato
dal padre ad iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza
all'Università di Torino benché poco interessato agli studi
giuridici, decide di abbandonarla nel 1963 per Scienze Politiche. In
quello stesso anno, vince un concorso per una borsa di studio
all'Università di Parigi dove inizia frequentare filosofia, seguendo
le lezioni di Hyppolite, Althusser, Sartre e Garaudy. Sempre grazie a
una borsa di studio studia germanistica alla Freie
Universität di Berlino, per poi recarsi all’Università di Atene.
Qui discute la tesi di laurea in neogreco titolata: L'illuminismo
greco e le sue tendenze radicali e rivoluzionarie. Etnogenesi della
nazione greca moderna fra Settecento e Ottocento. Il problema della
discontinuità con la grecità classica e con la grecità bizantina.
L’anno
dopo la laurea, ottenuta nel 1967 con Galante Garrone, senza
frequentare i corsi, si sposa e mette su famiglia a Torino. Qui
diviene professore di storia e filosofia presso l’attuale Liceo
Scientifico “Alessandro Volta”, dove insegna per 35 anni.
Contemporaneamente, inizia la sua attività politica e culturale, che
lo porta a collaborare con intellettuali quali Gianfranco La Grassa,
Franco Volpi, Maria Turchetto, Augusto Illuminati. Tra il 1973 e il
1975 aderisce al PCI, che abbandona per vari gruppi
extraparlamentari, tra cui Lotta Continua, per poi approdare a
Democrazia Proletaria (1988), dopo aver contribuito per anni alla
rivista teorica che a DP faceva riferimento. Si pone a capo della
fazione vetero-comunista ed anti-migliorista del partito, opponendosi
agli eco-socialisti guidati da Mario Capanna. Al prevalere dei
secondi, e la conseguente confluenza in Rifondazione Comunista, nel
1991 Preve lascia il partito, ritirandosi per sempre dalla militanza
politica diretta.
Questo
non gli impedisce di continuare ad occuparsi di filosofia e teoria
politica negli anni a venire, elaborando una riflessione critica sul
fallimento storico del marxismo e delle sinistre, senza disdegnare il
confronto con pensatori provenienti da destra come Giano Accame,
Alain de Benoist, Claudio Mutti e Marco Tarchi, né di aprirsi a
realtà come la geopolitica. Diviene così uno dei più fervidi
sostenitori del superamento della dicotomia “Destra-Sinistra”,
affermando che esse debbano essere lette sotto «nuove categorie
interpretative» e dell’abbandono delle successive superfetazioni
marxiste, per ritornare al pensiero marxiano come fondamento per
un’emancipazione dell’uomo dal capitalismo su base comunitaria e
non classista.
Questo
valido lavoro di revisione critica e la sua grande onestà
intellettuale e apertura al dialogo gli hanno procurato
l’apprezzamento e il sostegno di una cerchia di amici e
collaboratori, ma anche un vero e proprio ostracismo da parte
dell’intelligencija di sinistra, da lui paragonata a
una casta sacerdotale, dedita a perpetuare e giustificare il
capitalismo sul piano culturale. Addolorato da questo isolamento e
afflitto da una serie di gravi patologie, al punto da non poter
allontanarsi da casa, è venuto a mancare ad appena settant’anni.
Spiace ora constatare come quegli stessi che l’avevano calunniato
coll’epiteto di “fascista” ed escluso da ogni iniziativa
politica e pubblicistica – dal Manifesto a Repubblica, da Micromega
a Rifondazione – ostentino di piangerne la morte.
Questo
nostro contributo, da sinceri ammiratori, uno dei quali ha anche
avuto il piacere e l’onore di conoscerlo di persona e dialogare con
lui, vuole però approfondire un aspetto meno politico e più
filosofico della sua figura di Maestro. Costanzo Preve non aveva il
dono della Fede in Dio, purtroppo, ma ha sempre avuto un grande
rispetto per la religione, riconoscendole una dignità non solo sul
piano culturale, ma anche come ricerca filosofica. Per questi motivi,
aveva chiesto di ricevere esequie religiose (preferibilmente greco
ortodosse, ma poi per motivi pratici cattoliche), che sono state
celebrate giovedì 28 novembre nella Parrocchiale della Crocetta a
Torino.
Tuttavia,
la sua importanza, che lo impone anche all’attenzione dei
cattolici, sta nel fatto di aver sempre insistito su una concezione
razionale e sociale dell’uomo (sulla scia dello Stagirita), e sulla
natura oggettiva della Verità, raggiungibile attraverso il dialogo
filosofico tra gli uomini. Questa concezione filosofica, risalendo
attraverso Marx e Hegel, arriva fino ad Aristotele, che a sua volta è
alla radice del pensiero di S. Tommaso e Benedetto XVI. Quest’ultimo,
non a caso, è stato spesso elogiato da Preve e difeso dagli attacchi
degli intellettuali laicisti. Il pensiero previano costituisce perciò
un vero e proprio esempio di filosofia laica e naturale che, se pure
è priva della luce della Fede, costituisce però una difesa della
Ragione data da Dio all’uomo, e del ruolo di quest’ultimo al
centro della Creazione, in contrasto con il fideismo, con il
relativismo, il soggettivismo, il consumismo, lo scientismo e le
altre patologie della ragione che affliggono l’età contemporanea.
Riservandoci
di approfondirne ulteriormente il pensiero, concludiamo con questa
citazione «Il monoteismo religioso non è pertanto un “nemico”
della Verità, ma un alleato possibile. È bene notare che questa
possibile alleanza non può essere fondata (come molti sostengono) su
ragioni di tipo populistico, pauperistico e miserabilistico. La
cosiddetta “scelta preferenziale per i poveri”, che alcuni
considerano il terreno di incontro fra rivoluzionari atei e
religiosi, non è che una conseguenza secondaria di qualcosa che le
sta alle spalle e che è primario, cioè l'ammissione dell'esistenza
della Verità.»
Pubblicato il 30 novembre 2013
davvero?
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