Credevamo di esserci lasciati
alle spalle l’arroganza dei tecnici, le paternali sui “bamboccioni” e sui
giovani troppo “choosy”, i predicozzi sugli italiani “da riformare”, insomma
gli insulti dei governanti nei confronti del Paese che, in teoria, avrebbero
dovuto servire. Credevamo che con l'esecutivo Letta sarebbe finalmente tornata
la politica, intesa in primo luogo come cinghia di trasmissione tra governo e
società.
Evidentemente ci eravamo
sbagliati, se è vero che l'altroieri, durante la conferenza stampa tenuta a margine
del Consiglio Europeo, il presidente del Consiglio non si è limitato a menar
vanto per il miliardo e mezzo di fondi racimolati al fine di sostenere
l’occupazione italiana, ma si è anche permesso di aggiungere un polemico – e
patetico – “Ora le imprese non hanno più alibi”.
Riepiloghiamo. Le nostre aziende fronteggiano
quotidianamente una pressione fiscale tra le più alte del mondo occidentale. Si
trovano a dover operare in un contesto caratterizzato da una burocrazia
inefficiente, da una giustizia (soprattutto civile) lenta e inadeguata, da una
corruzione endemica.
Fanno i conti con il dumping
delle imprese asiatiche e con un’unione monetaria che sta determinando sempre
di più la deindustrializzazione e l’impoverimento del nostro Paese e che
impedisce loro di concorrere ad armi pari con le imprese dell’Europa del Nord.
Si trovano al sesto anno di una crisi durissima, di cui l’Italia ha fatto le
spese, in termini di caduta di prodotto interno lordo, più di altri.
Intendiamoci: le responsabilità
del declino italiano sono comuni all’intera classe dirigente e nessuno,
compresi gli imprenditori (soprattutto il gotha confindustriale), può chiamarsi
fuori. Ma insomma, tanti di quelli che il Berlusconi che fu chiamava “capitani
coraggiosi” continuano a tenere alto il nome dell’Italia nel mondo, attraverso
un export che a livello europeo è secondo soltanto a quello tedesco. Si
ingegnano di sopravvivere, nonostante il crollo della domanda interna. Rischiano,
al contrario di Letta, che non subisce affatto i rigori della competizione
globale.
A queste imprese il presidente
del Consiglio ha l’impudenza di dire che “non hanno più alibi”. Queste sono le
imprese che dovrebbero di punto in bianco prosperare grazie al “miliardo e
mezzo” generosamente offerto dal Consiglio Europeo, le cui concrete forme di
impiego – peraltro – sono ancora ignote. Affermazioni quantomeno ardite, da
parte di Letta. In questo caso, però, nessuna reazione. Gli italiani sono
oramai assuefatti a subire, oltre al danno, anche la beffa. A essere vilipesi e
insolentiti da un ceto dirigente che dovrebbe tutelarne gli interessi e che si
comporta invece come un sovrano assoluto nei confronti dei propri sudditi. “Non
hanno pane? Che mangino le brioches!”. La frase, (falsamente) attribuita alla
regina Maria Antonietta, torna oggi sotto altra forma nelle parole del premier.
Urgerebbe una rivoluzione, ma all’orizzonte non se ne vede traccia.
http://www.barbadillo.it/il-caso-quel-non-hanno-piu-alibi-di-letta-alle-imprese-il-solito-predicozzo-delle-elite/
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