Mentre
in Italia ci preoccupiamo degli amori di Nicole Minetti, gli Stati Uniti fanno
i conti con uno dei più grandi scandali degli ultimi decenni, la gravità del
quale è attenuata solo dalla circostanza che tutti, democratici e repubblicani,
sono ugualmente coinvolti. Il Guardian e il Washington Post hanno svelato che la National Security Agency, sulla falsariga di un
progetto partorito nel 2007 da Bush e confermato dall’amministrazione Obama, ha
allungato l’orecchio sulle conversazioni private di migliaia di cittadini, ha
controllato i movimenti delle loro carte di credito e addirittura si è
introdotta nei server dei colossi informatici per spiare chat, e-mail, profili
dei social network.
Il Presidente ha inizialmente glissato, ma di fronte
all’emergere di sempre nuovi e agghiaccianti particolari si è trovato costretto
ad ammettere le responsabilità del suo gabinetto; colpe condivise, comunque, da
tutto il Congresso, che aveva riconfermato all’unanimità il progetto. La scusa
è la solita: prevenire il terrorismo. Sono gli strascichi del Patriot Act, il pacchetto speciale che
dopo l’11 settembre ha imposto inaudite limitazioni alle libertà individuali,
seguendo il mantra della sicurezza nazionale. Non ci stupisce che anche Obama,
quello che doveva chiudere il carcere di Guantanamo – tuttora funzionante – sia
coinvolto in questo USAgate. Non ci
stupirà se lo scandalo non assumesse le proporzioni che merita, visto che
l’intero «arco costituzionale» si è compattato per resistere alle accuse – il New York Times, che non è certo un giornale
conservatore, ha deplorato la «perdita di ogni credibilità» da parte del
governo.
Non
dovrebbe stupirci, a rigore, nemmeno la vicenda in sé, dietro la quale non c’è
nessuna razionalità, nessuna motivazione cogente, nessun preciso calcolo
costi-benefici (libertà contro sicurezza). La lotta al terrorismo è solo
l’ennesima prevedibile giustificazione di un fenomeno del tutto fisiologico: lo
Stato realizza la propria natura assolutistica, soddisfa il suo desiderio di
controllo, allarga sempre più il suo perimetro a scapito del sacrosanto spazio
di «non interferenza», di cui dovrebbe godere ogni individuo. E non è un caso
se l’unico gruppo politico che condanna questa scelleratezza siano i Tea Party,
quelli che il Corsera definisce «estremisti apertamente contrari ad ogni intervento del governo nella vita dei
cittadini» (stolti, come osano dubitare della benevolenza del Leviatano?), gli
acerrimi nemici della politica economica di
Obama, quelli che subito dopo gli attacchi di Boston erano stati additati senza
motivo come colpevoli – a proposito: perché a Boston c’è stato un attentato,
nonostante le origliate della NSA?
Non
ci resta che constare che persino nella patria per antonomasia della libertà,
lo Stato ha ormai ampiamente valicato i confini entro cui dovrebbe essere
ricacciato, se si hanno a cuore i diritti individuali. Neppure la Costituzione
per eccellenza, quella dal celeberrimo attacco a caratteri cubitali: «We, the
people», è riuscita a preservare gli Stati Uniti dalla deriva statalista. I
funesti scenari orwelliani, che avevamo relegato nel fantascientifico, ci si
mostrano possibili, se non già reali.
Forse
salterà qualche testa. Qualche capro espiatorio pagherà le colpe di tutti. Poi
il gioco riprenderà identico, oggi per motivi di sicurezza e domani con altre
giustificazioni. Suona tremendamente attuale il monito di Hayek, in Law, legislation and liberty:
un’efficace difesa della libertà deve essere dogmatica. Alla libertà non si può
anteporre altro scopo, a meno di finire col perderla definitivamente. Anche
quando non c’è un signore in veste militare che sbraita da un balcone, è sempre
larga la via della schiavitù.
Pubblicato il 08 giugno 2013

Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza
RispondiEliminaDefinire gli USA "patria per antonomasia della libertà" è quantomeno discutibile. Gli Usa nascono per un atto massonico-protestante di ribellione contro lo "jus publicum europaeum" e contro la sua civiltà sedimentata nei secoli. Crescono con il massacro dei nativi. Con Lincoln, che violò decine di volte la Costituzione, distrussero la civiltà del Sud, pur pallida vestigia della cultura e del savoir vivre europeo, in nome delle nascenti lobby industriali e bancarie. Nel Novecento, Dresda, Hiroshima, Nakasaki sono tragici monumenti della sua feroce crudeltà. Il processo di Norimberga è un mostruoso esempio della sua inciviltà giuridica. Dal dopoguerra, sono decine gli interventi aggressivi USA contro l'indipendenza e la libertà dei popoli. Ricordiamo gli ultimi: Serbia, Iraq, Afghanistan, Libia. Domani Siria e Iran, in difesa di quel servo-padrone che è l'entità sionista. E qualcuno, compresi i patetici Tea Party, osa sorprendersi dell'inverarsi della profezia del "Grande Fratello" e pensare che le lobby che dominano Washington possano spaventarsi per lo scoop del Guardian?
RispondiEliminaMi sembra, però, interessante l'articolo di Giacalone: http://www.davidegiacalone.it/politica/sto-con-obama/
RispondiEliminaEdo