di Marco Mancini
E’ di sabato sera la notizia
della presunta rottura tra Pietrangelo Buttafuoco e il settimanale berlusconiano
“Panorama”, dovuta a un articolo, pubblicato su “Repubblica”, in cui lo
scrittore e giornalista siciliano tracciava un bilancio ironico, ma
severissimo, dell’avventura politica del Cavaliere. Ne sono seguite aspre
polemiche, anche su Twitter, dove si è combattuto un vero e proprio duello rusticano tra Pierluigi Battista e il direttore del settimanale incriminato, Giorgio
Mulè, e dove l’hashtag #iostoconButtafuoco ha subito preso il largo. Ecco, il
punto è proprio questo: io non so se ho proprio voglia, almeno questa volta, di
stare con Buttafuoco e di indignarmi per un nuovo caso di libertà negata. Anche
perché io non m’indigno mai, semmai m’incazzo.
Non che non abbia considerazione
per Buttafuoco, ci mancherebbe. Confesso di non aver letto nessuno dei suoi
romanzi, ma sono un grande estimatore del geniale Riempitivo sul “Foglio” (anche questo, pare, oramai a rischio) e
apprezzo il suo anticonformismo politico e intellettuale. A essere onesti,
alcuni tratti del Buttafuoco-pensiero mi lasciano un po’ perplesso: in primis, il suo orientalismo
esasperato, perfettamente speculare all’occidentalismo farlocco che vorrebbe combattere. Il problema è che Buttafuoco appartiene alla corrente di quel tradizionalismo "sulfureo", che spesso e volentieri tracima nella gnosi e finisce talora per perdere la bussola. Ne è esempio un altro siciliano,
Franco Battiato, guénoniano passato armi e bagagli al servizio dei
post-comunisti e del radicalismo di massa.
Ma torniamo a bomba. E’ capitato che
Buttafuoco sia stato improvvisamente colto dal desiderio, legittimo ma
discutibile, di piacere alla “gente che piace”: ha accettato, così, una
collaborazione culturale con il quotidiano “La Repubblica”. Anche in questo
caso, leggendo la notizia, ero rimasto perplesso. Intendiamoci: chi mi conosce
sa che sono lontanissimo dalla becera logica delle appartenenze e disponibile al
confronto e alla contaminazione con le aree politico-culturali più disparate.
Tanto per inquietare il nostro boss Riccardo Facchini, torno a ripetere che
parteciperei con piacere a qualche attività della Sinistra Popolare di Rizzo,
se mi invitassero. Il punto è che esiste avversario e avversario: il gruppo
editoriale L’Espresso è il rappresentante di quella scellerata cultura
azionista che con il suo elitismo, il suo perbenismo moralista, il suo
laicismo, il suo “repubblicanesimo” ha in ogni tempo rappresentato
l’anti-Italia per antonomasia, in senso antropologico prima ancora che
politico-culturale. Sarebbe come se, mutatis
mutandis, il sottoscritto andasse a condurre un programma su Radio
Radicale.
Come se non bastasse, giorni fa è
capitato anche che Buttafuoco scrivesse, proprio su “Repubblica”, il pungente
articolo di cui sopra sul fallimento del berlusconismo. Un pezzo impietoso,
forse un po’ ingeneroso, in ogni caso un vero e proprio dito nella piaga. Ecco,
andare a mettere il dito nella piaga del Cavaliere direttamente dalle pagine
del quotidiano fondato da Barbapapà Scalfari, di proprietà dell'ingegner De Benedetti, non è stato proprio un gesto
elegante. Essere preso a pesci in faccia, sul giornale del tuo nemico politico
ed editoriale di sempre, da parte di un giornalista che paghi profumatamente è
forse troppo persino per un editore notoriamente “liberale” come Berlusconi. O
per un direttore tollerante come Mulè. Non stupisce, dunque, che sia avvenuto
il patatrac, del quale, tuttavia, non riusciamo ancora a cogliere i contorni.
Mulè insiste nel dire che
Buttafuoco si era impegnato a non scrivere di politica su “Repubblica” e che,
quindi, ha tradito la sua fiducia. Il giornalista risponde che un impegno del
genere non è mai esistito. Non è chiaro, peraltro, se la sanzione applicata dal
direttore consista nella revoca dell’autorizzazione a scrivere su fogli diversi
da “Panorama”, o nel siluramento del brillante giornalista dal settimanale. Nel
dubbio, i paladini della libertà di stampa si sono già scatenati, dopo aver
taciuto neanche un mese fa, quando proprio a Buttafuoco fu tolta la
trasmissione che conduceva su Rai5. Al coro dell’indignazione si è unita, una
volta tanto, anche una certa parte del popolo di destra, comprensibilmente
frustrata dal ritorno in campo del Cavaliere e tentata di abbracciare la comoda
via dell’antiberlusconismo.
Di fronte a tutto questo, intendo
svelare a queste anime belle un segreto sconvolgente: la libertà dei giornalisti
non esiste. Meglio, i giornalisti hanno la libertà di scrivere ciò che vogliono
nella misura in cui ciò che scrivono piace all’editore. Se ne è reso conto, di
recente, perfino il povero Odifreddi, che si è visto cancellare un articolo sul
suo blog, ospitato proprio da “Repubblica”, per aver espresso alcune opinioni
politicamente scorrettissime sul conflitto israelo-palestinese. Se ne
accorgerebbe pure il candido e ingenuo Pigi Battista, se solo sul suo
illuminato giornale si arrischiasse a scrivere qualcosa di diverso dalla
consueta minestra riscaldata, condita con tanta “moderazione”. Noi, che siamo
uomini di mondo, l’abbiamo capito da tempo. E devono averlo capito anche tutti
quelli che sono pronti a scandalizzarsi solo quando a fare la parte del cattivo
è il solito Caimano.
Se Pietrangelo vuole essere
pienamente libero di scrivere ciò che più gli aggrada, faccia il Telese “de
destra”. Si metta in proprio e si assuma il rischio di un’iniziativa editoriale
che raduni tutti gli eretici (absit
iniuria verbi) e i non conformisti dell’area alla quale appartiene. Cerchi
di far crescere una scuola di giovani capaci e volenterosi, perché lo storico
problema della cultura di destra è stato proprio questo: un certo
individualismo compiaciuto, l’incapacità di dare seguito al proprio successo
personale ponendo le basi per una vera egemonia e creando una
palestra per coloro che seguiranno. Se lo facesse, noi – che ci teniamo a
rimanere brutti, sporchi e soprattutto cattivi – saremmo tutti dalla sua parte.
Fino ad allora, però, il Nostro potrebbe anche evitare di trattare la sua gente
come una massa di ignoranti, come sembra fare nelle ultime righe
dell’intervista resa ieri al “Giornale”. E, sempre fino ad allora, noi eviteremo
senz’altro di stracciarci le vesti per lui.
Pubblicato il 10 dicembre 2012
Stracciarsi le vesti no,ma dopo questo ennesimo episodio ormai è manifesto che l'attendibilità di Panorama non è superiore a quella di Cronaca Vera.
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