di Hieronymus
Dall’“audacia della speranza”
all’aridità dei numeri. Numeri che danno ragione, ancora una volta, a Barack Obama, rieletto Presidente degli
Stati Uniti d’America anche senza la “valanga blu” che aveva travolto nel 2008
il ticket repubblicano McCain-Palin. Ma, come si dice negli States, “a win is a win”.
E la vittoria di Obama,
seppur ridimensionata nel voto popolare rispetto a quella di quattro anni fa (i
Democratici si sono imposti con un margine di circa 2 punti percentuali), pone ai
conservatori americani un interrogativo ben più profondo e “sistemico”: che
fine ha fatto la Right Nation? È forse
venuta meno quella “maggioranza strutturale”, che nella Reagan coalition, perfetta sintesi delle diverse anime della destra
americana, combinazione di liberismo economico e conservatorismo sociale, aveva
garantito al GOP l’egemonia ideologica degli ultimi decenni?
Partiamo dai dati. Il quadro
politico che emerge dalla tornata elettorale del 6 novembre non appare poi così
catastrofico per i conservatori. Sebbene i Democratici, oltre alla Casa Bianca,
abbiano consolidato il controllo del Senato, alla Camera dei Rappresentanti i
Repubblicani confermano la maggioranza ottenuta alle elezioni mid-term del 2010, sotto la spinta del
movimento Tea Party. Il risultato è
un Congresso spaccato, con cui Obama dovrà scendere a compromessi, a cominciare
dalla prossima riforma fiscale. Ma c’è di più. Il dato complessivo sulla
composizione partitica dell’elettorato vede un significativo ridimensionamento
dell’affiliazione partitica democratica rispetto a quella repubblicana, più in
linea con la distribuzione del 2004.
In tal senso, è utile ricordare come Obama, caso più
unico che raro nella recente storia elettorale americana, rappresenti un
Presidente in carica riconfermato con un margine inferiore rispetto a quello
della sua prima elezione. Come si spiega allora la presunta
erosione della “maggioranza strutturale” conservatrice? Al di là dei fattori
contingenti (molti hanno insistito, non senza qualche fondamento, sull’effetto
dell’uragano Sandy), può essere utile concentrarsi su due chiavi di lettura.
In primo luogo, l’organizzazione
della macchina elettorale. Rispetto alle elezioni del 2004, i Democratici
sembrano aver acquisito un vantaggio competitivo sui Repubblicani in termini di
capacità di mobilitazione dell’elettorato attraverso un capillare radicamento
sul territorio. Si aggiunga a tale vantaggio la straordinaria capacità dello
staff elettorale di Obama, capeggiato da David Axelrod (il vero “architetto”
delle vittorie obamiane, come lo fu Karl Rove per le campagne di George W.
Bush) nell’attuare una strategica campagna di conquista, contea per contea,
degli swing states decisivi per
raggiungere la fatidica soglia dei 270 Grandi Elettori.
Secondo elemento, la composizione
etnica dell’elettorato. È quello che gli analisti chiamano demographic shift e che ha visto confermata la percentuale delle
minoranze etniche (circa il 25%, in particolare afro-americani ed ispanici) sul
totale dei votanti. È evidente che, se i Democratici mantenessero nei prossimi
decenni la soverchiante maggioranza del voto afro-americano (attualmente al 90%
democratico) ed ispanico (la percentuale si attesta al 70%), diverrebbe quanto
mai proibitiva per i Repubblicani la conquista di stati come la Florida, la Virginia, il New Mexico
ed il Colorado (tutti stati conquistati da Bush nel 2004).
Dobbiamo concludere che la Right Nation, dopo aver
dettato per decenni l’agenda politica americana, sia ormai divenuta una
“minoranza strutturale” negli Stati Uniti, lasciando il posto ad una Progressive Nation imperniata sulla Obama coalition? Non mi spingerei così
in avanti.

Volevo segnalare questa iniziativa per i cristiani i n Siria, non c'entra, ma neanche tento visto che Obama vuole dare i patriot alla Siria, ma forse con il mormone sarebbe andata peggio per i cristiani siriani.
RispondiEliminahttp://circolosanluigi.wordpress.com/2012/11/07/rosario-contro-le-persecuzioni-in-siria/