di Mario Padovano
E
nell’ottica di un immanentismo teologico di fondo -notare l’irriducibile
ossimoro- va vista anche l’affermazione dello stesso Rahner per cui «non si dà
nessuna teologia, speculativa o pratica, che non sia antropologia»[1].
Questa deriva, del resto, la si può cogliere da parte sua ancor più chiaramente
soprattutto nell’opera di Hans Küng che segna, potremmo dire, il punto d’arrivo
di tutto quel processo (culturale) -da Teilhard de Chardin e Rahner a Hulsbosch
a Schooneberg a Schillebeeckx, ecc.- di “sdivinizzazione”, per quanto illusorio,
di Cristo e per conseguenza di “desacralizzazione” della sua Chiesa.
D’ispirazione
hegeliana, Kung è convinto, secondo le norme del più assurdo storicismo
idealistico, che i dogmi del Magistero infallibile della Chiesa sono una
interpretazione ellenistica dei dati biblici e che vanno reinterpretati via via
secondo le esigenze della evoluzione culturale. Conseguentemente, non solo va
negato il dogma dell’Infallibilità petrina, ma per Kung va assolutamente
oltrepassata la stessa formola trinitaria di Nicea e quella cristologica dell’unione
ipostatica del Concilio di Calcedonia. Per lui, come sottolinea Parente, Gesù deve essere considerato soltanto «un uomo, un
ebreo che nell’ambiente giudaico ha maturato una forte esperienza di Dio come
salvezza degli uomini…»[2]:
un semplice Rappresentante di Dio e quasi
avvocato della sua causa. La
conclusione ereticale di questa dottrina, va detto, poggia tutta su quel
principio d’immanenza che giunge all’esplicitazione di un conseguente relativismo
protagoreo, che come ogni altro tipo di relativismo si distrugge da sé una
volta posto, che nega se stesso una volta affermato, risultando pertanto addirittura
non-proponibile nella sua riduzione ad una affermazione auto-referenziale e perciò
auto-contraddittoria: una affermazione non-affermabile, un pronunciamento
impronunciabile, perché se lo fosse, sarebbe affermabile e pronunciabile all’infinito,
cioè mai.
E infatti, se tutto è relativo alla sua particolare epoca storica perché
dovremmo prendere per metastorica e cioè valida anche per le culture non
presenti questa stessa opinione? Perché quello che Kung dice, e cioè che l’affermazione
per cui «ogni affermazione dipende intrinsecamente dal contesto storico in cui
viene formulata», dovrebbe valere indipendentemente dallo scorrere del tempo
mentre sostiene che tutto invece ne dipende? E se pretende di dire che appunto «tutto
tranne questa affermazione è relativo», questa stessa affermazione che si fa
soggetto di se stessa è proprio per questo ancora più assurda, ad un medesimo
istante è infatti «ciò su cui si predica» e «predicazione stessa».[3]
A partire dalla “confutazione sofistica” del presupposto teoretico (infondato)
da cui parte Kung, non possono, pertanto, non interessare gli stessi esiti
catastrofici che ha prodotto l’accettazione indiscriminata proprio di questo
umanesimo ateo e protagoreo da parte di alcuni ambienti sedicenti cattolici che
alla fine si sono talmente concentrati sul problema dell’evangelizzazione da
dimenticare l’Evangelo stesso, si sono talmente applicati a dover portare gli
uomini a Cristo che hanno dimenticato di portare Cristo- quello vero, della
storia, della fede, del Magistero petrino, della teologia- agli uomini, cadendo
così, volenti o nolenti, in quel medesimo «progetto di una religione universale
a carattere etico (la Weltethik )»[4].
E ancora, paradossalmente «mettendo tra parentesi» l’autentico dato rivelato
che ci presenta ad un tempo l’umanità e la divinità della medesima Persona di
Cristo Signore nella irripetibile e imprescindibile unità del suo essere, e non
rivolgendosi più alla metafisica dell’essere
per averne una corretta sia pur limitata chiave di lettura, sembrano di volta
in volta dimenticarsi che di «Gesù Cristo, Uomo-Dio,… una Persona, un Io, che
vive due vite, perché sussiste e opera in due nature, con due volontà e si
sente attraverso due coscienze, umanamente e divinamente»[5]
vive non solo la teologia, ma la stessa pietà e arte cristiana, vive la stessa fede
cattolica e che «…sotto il cielo mai risuonò un Io più tremendo e più dolce di
questo, che freme dell’onnipotenza divina e vibra di tutto l’umano dolore».[6]
[1] K. Rahner, «Antropozentrik», in Lexikon für Theologie und Kierche, I, col. 633
[2]
P. Parente, Postilla di aggiornamento,
in L’Io di Cristo, Istituto Padano di
Arti Grafiche, Rovigo 1981, p.429
[3]
La regola è evidente: ogni affermazione non può mai predicare qualcosa di se
stessa, in quanto, essendo per sua natura appunto predicazione di qualcosa
inerente a qualcos’altro, dovrebbe in tal modo essere predicata già prima di
esserlo; e sembra per giunta assomigliare alla «regola dei gradi semantici» per la quale: «Se
in un’espressione un predicato determina un argomento nel quale si trovano
espressioni del medesimo grado, al quale questo predicato appartiene, o d’un
grado superiore, essa è priva di senso»
( J. Bochenski, Nove lezioni di logica
simbolica, trad. it., ESD, Bologna 1995, lezione VII,p.114)
[4]In A. Livi, Lettera
aperta a Marco Tarquinio, direttore di “Avvenire”, pubblicata in SEFT www.formazioneteologica.it,
Articoli
[5]
P. Parente, op.cit., p 408

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