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18 giugno 2018

Se farà il bene del popolo, sarà benedetto da Dio

di Antonio Fiori
tratto da lalucedimaria.it
Da alcuni giorni, in modo del tutto comprensibile, e non solo in Italia, non si fa che parlare del nuovo governo guidato dall’avvocato Giuseppe Conte e dai ministri Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Il nostro sito, cattolico e mariano, di formazione spirituale, di cultura religiosa e di approfondimento dottrinale, non dà grande spazio alle questioni politiche, siano esse italiane e internazionali.
Ma bisogna capirsi bene però! Immaginare che la religione e la politica siano nello stesso rapporto che il Bene e il Male è assolutamente incongruo e fuorviante.
Spesso si crede addirittura che tra religione e politica non ci debba essere nessuna correlazione, semmai distacco ed opposizione. E’ una teoria questa che risente del cosiddetto separatismo liberale del XIX secolo, ma che viene ciclicamente riproposta, nel senso della assoluta estraneità tra le cose di Dio e quelle degli uomini. Fra Trono e Altare – come si usava simboleggiare un tempo il potere regale o di governo, e quello ecclesiastico – ci sarebbe in mezzo l’abisso, o almeno una distanza incolmabile.

Evidentemente, a pensarci bene, non può essere così.
E questo ce lo dice la ragione prima ancora che la fede. Lo ha dichiarato ripetutamente anche il sommo Magistero della Chiesa, valido per noi credenti, ma significativo per tutti i cittadini di qualunque Stato (laico) del pianeta, soprattutto se, come il nostro, di profonde radici cristiane.
L’uomo è un essere sociale e come tale ha bisogno di leggi (Ubi homo, ibi societas. Ubi societas, ibi ius). Ma le leggi non possono essere del tutto neutre sul piano dei valori. Esse rispondono per forza di cosa a una prima Legge e ad un primo Legislatore che ne è, almeno implicitamente, il fondamento ultimo (si veda in tal senso Robert Spaemann, Tre lezioni sulla dignità della vita umana, Lindau, 2018). Anche una legge civile del tutto contraria a ciò che il Magistero della Chiesa chiama la lex naturalis ossia la legge naturale, ha per il fatto stesso un rapporto necessario con la morale: benché nel caso specifico sia un rapporto di opposizione e di contrasto. L’uomo è un essere morale, anche quando è immorale, e la società non è mai totalmente a-morale.

Quando la Chiesa, da Tertulliano, la Didaché e Agostino sino ad oggi, ha condannato l’aborto o l’eutanasia, non ha fatto nessuna illegittima intrusione nel campo della politica. Ma ha difeso, coerentemente con il suo mandato divino di evangelizzazione, un precetto fondamentale del Decalogo di Mosè (il quinto comandamento: Non uccidere). Né più né meno.
Si può tentare di fare una società completamente retta da una Costituzione atea e da una legislazione anti-cristiana e anti-evangelica. Ed è stato questo, in fondo, il tremendo tentativo che sta al cuore delle ideologie della modernità: apertis verbis nel marxismo e nell’anarchismo, ma sottovoce anche nel democratismo liberale ottocentesco, che ha prevalso nell’intero Occidente, dopo la seconda guerra mondiale.

In ogni caso non si può uscire dall’ambito dell’etica, neppure violandola o non riconoscendone validità obiettiva. Credo che il ragionamento sia sufficientemente chiaro per non dover insistere.
La Chiesa dimostra quanto appena svolto con la sua prassi secolare e con il suo insegnamento che analizza e giudica le realtà terrene – come le leggi, i costumi e le tendenze – alla luce, non dei propri interessi di bottega, ma dell’eternità. Alla luce di Dio…
Essa non approva né il furto, né l’usura, né la schiavitù, né l’idolatria, né il matrimonio poligamico o la convivenza more uxorio. Più in generale, la sua dottrina sociale, disapprova la totale separazione tra Stato e Chiesa, tra politica e morale, tra diritto naturale e diritto civile. In fondo, sostenendo la giusta correlazione tra fede e ragione (cf. Fides et ratio, 1998), è del tutto coerente con sé stessa. Distinzione degli ambiti (sacro e profano), non equivale a separazione o ad opposizione sistematica e di principio.

Il Magistero recente ha ribadito infinite volte questo fondamentale punto di dottrina (per esempio nelle encicliche sociali di Papa Woytjla, nel Catechismo della Chiesa cattolica, nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa, etc. etc.). Il Pontefice polacco usò ripetutamente una formula che oggi sarebbe facilmente tacciata di ‘integralismo’ ma che in realtà esprime solo la radicalità e l’integralità delle conseguenze pubbliche e politiche del messaggio di Cristo. E cioè: “Non c’è vera soluzione della questione sociale fuori del Vangelo” (Centesimus annus, pubblicata nel 1991, a 100 anni esatti dalla Rerum novarum di Leone XIII, n. 5).

Il governo Conte-Salvini-Di Maio nella misura in cui identificherà la propria azione politica, sociale ed economica, con le reali esigenze del paese sarà un governo benedetto dall’alto. Nessun uomo del resto è totalmente negativo, e nessun uomo è privo di limiti. Lo stesso dicasi di un governo e di una società. D’altra parte è meglio un governo più o meno imperfetto, piuttosto che l’assenza di ogni governo (anarchia, ovvero trionfo del più forte e del più violento).

Il fatto che questo governo sembri dispiacere molto ai poteri forti internazionali, alle lobby che contano, e a tutti quei giornali e tv che formano la mass-medio-crazia di oggi, è un ottimo anzi un eccellente segno. Si direbbe quasi un pegno se non di successo facile e assicurato, almeno di reale provvidenzialità. Confermata dalla rottura con i potentati (relativisti e cosmopoliti) del pianeta, i quali hanno interessi diversi rispetto a quelli della pace sociale, della sicurezza della povera gente e del vero bene comune.

Ai cattolici manca spesso, troppo spesso, il giusto discernimento in materia sia morale, che conseguentemente sociale e politica. Ma se almeno da due secoli, i Pontefici ci dicono cosa è bene socialmente e cosa è male, è segno che ascoltando le loro ispirate parole, più facilmente potremo creare uno Stato secondo giustizia.
Il governo ha promesso un cambiamento nella gestione della scuola, del lavoro, della famiglia e dell’immigrazione. Se l’immigrazione sarà meglio controllata e filtrata; se la scuola tornerà formativa, qualitativa e meritocratica; se la famiglia sarà tutelata, protetta, incoraggiata e sostenuta anche materialmente; se il lavoro sarà veramente un diritto del cittadino (italiano), a fronte di diritti inventati e assurdi; allora vi sarà un recupero storico notevole in termini di socialità, solidarietà tra le generazioni, moralizzazione della vita pubblica e innalzamento della demografia (si veda a tal proposito l’ottimo libretto scritto a 4 mani dal ministro Lorenzo Fontana con il banchiere Ettore Gotti Tedeschi, La culla vuota della civiltà, edizioni Gondolin, 2018. Il libro ha una prefazione di Matteo Salvini ed è reperibile qui).
La speranza è che la politica avanzi su questa strada, tutta in salita, della difesa del popolo, dei suoi veri interessi e delle sue migliori aspirazioni. La misericordia divina non mancherà di fare il resto.



 

10 settembre 2017

Papa Francesco e la secolarizzazione


di Lorenzo Zuppini

Ebbene, è indubbio il fatto che la secolarizzazione, intesa come affrancamento delle istituzioni politiche dalle ingerenze della Chiesa, possa essere inserita in quell’emisfero di fede-ragione tanto voluto dall’emerito Ratzinger. Si trattava, e si tratta tutt’oggi, di un punto focale anche e soprattutto a causa dello storico confronto che la civiltà cristiana europea sta avendo con quella islamica.
Possiamo, senza grandi timori, affermare che perseguire una sempre più marcata secolarizzazione significhi anche abbracciare il messaggio evangelico fattoci arrivare da Gesù Cristo, per cui dobbiamo dare a Dio ciò che è di Dio, e a Cesare ciò che è di Cesare. La dimensione trascendente di ogni religione, sebbene quella cristiana poggi eccezionalmente le proprie fondamenta sul binomio fede-ragione, rende ingovernabile una qualsiasi comunità se si vuol per forza fare riferimento ai suddetti dettami religiosi nella loro integralità. Questo non esclude  ̶  e non potrebbe farlo comunque  ̶  che ogni ordinamento giuridico sia stato coltivato e poi sia nato su un terreno reso fertile dalla religione che lì governa la vita spirituale dei fedeli; evidentemente stiamo parlando della religione maggioritaria, esattamente come è il cristianesimo in Italia. Sarebbe dunque falso, e persino increscioso, negare il nesso tra le leggi dello Stato e i dettami religiosi derivanti dalle scritture sacre e dalla vita del relativo profeta.

Detto ciò, è innegabile che questa peculiarità tutta nostra e consistente nella sopracitata secolarizzazione, abbia reso il nostro territorio (chiamiamolo Occidente) il più civile. Una Repubblica Islamica dell’Iran, dove gli ayatollah ricoprono un ruolo fondamentale nella guida del Paese, addirittura anche scrivendo interi libri contenenti regole vincolanti (come fece Khomeini), tende alla continua regressione perché imprigionata tra le mura di regole rigide per loro stessa natura. La presenza della ragione nella fede cristiana non deve trarci in inganno: ciò non significa che le regole religiose possono essere trasportate su un qualsiasi codice del diritto, bensì che ciò è ragionevolmente giusto evitarlo. Il Dio che si fa uomo permette la coesistenza di fede e ragione, essendo due facce della stessa medaglia la trascendenza divina e la ragione umana che si incarna in Gesù Cristo.
Non è il caso di gridare “al lupo-al lupo!”, ma è un pessimo segnale quello rappresentato dall’incontro di Papa Francesco con Paolo Gentiloni, entrambi al vertice dei loro apparati, avvenuto nell’appartamento del monsignor Angelo Becciu, sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato vaticana, così da potersi scambiare pareri in assoluta tranquillità e privacy, sebbene sia stato lo stesso monsignore a rivelare il tutto.

A detta di quest’ultimo, il Pontefice e il Presidente del Consiglio si sono scambiati le proprie opinioni per il bene comune, ed è facile immaginare quale sia stato il nocciolo della questione: immigrazione e ius soli. Il Vescovo di Roma ha una particolare predilezione per certi temi, sbandierando la carità cristiana come vessillo inattaccabile: una sorta di salvagente che nessuna onda realista, o razionalista, può far affondare. Il problema si duplica allorché lo stesso Pontefice, già dopo essersi spinto oltre, vada ancora più in là commentando sguaiatamente la scelta dell’allora candidato Trump di erigere un muro con il confinante Messico per diminuire drasticamente l’immigrazione clandestina, affermando che chi costruisce muri, anziché ponti umanitari, non è cristiano. Oltre ad essere una frase priva di contenuto, essendone ricolma la scelta di Trump, è un’ingerenza che, al pari di quella avvenuta in presenza del Presidente Gentiloni, qualunque persona di buon senso dovrebbe ripudiare. A maggior ragione se, come i fatti dimostrano, il governo italiano si sta muovendo proprio sul solco tracciato da Jorge Mario Bergoglio, e con esso anche molti parroci che evidentemente ritengono meritevole di maggior considerazione il terzomondismo di Papa Francesco del razionalismo e dell’antirelativismo di Joseph Ratzinger.
O, più semplicemente, per i pigri, Francesco attrae applausi mentre Benedetto XVI spronava alla riflessione. Questione di priorità. 


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