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11 novembre 2015

Russia e doping, qualcosa non torna


di Giuliano Guzzo

«La parte non russa e federale dell’inchiesta è stata secretata all’ultimo momento», precisa ai propri lettori Corriere della Sera a proposito delle 323 fitte e dettagliatissime pagine del report dell’Agenzia mondiale Antidoping Wada che inchioderebbe la Russia come responsabile del più esteso fenomeno di doping e corruzione della storia dello sport moderno. Capito? «La parte non russa» dell’inchiesta è blindata: non sia mai che qualcuno, in queste ore, si faccia l’idea che il problema del doping non riguardi solo il Paese governato dal malefico Putin. E siamo alla prima stranezza.
La seconda, però, è ancora più spassosa: nel dossier Wada si parla di “sabotaggio” dei Giochi Olimpici di Londra 2012 da parte della Russia dato che, a quanto pare, la quasi totalità di atleti saliti sul podio o entrati in finale sarebbero stati dopati. Curioso, molto curioso. Sì, perché ai Giochi Olimpici di Londra 2012, dopando come cavalli i propri Atleti, la Russia ha conquistato 24 ori. Peccato che ad Atlanta 1996 i russi abbiano agguantato 26 ori, ad Atene 2004 ben 27 (totalizzando, fra l’altro,10 medaglie in più che a Londra), a Sidney 2000 addirittura 32. Saremmo cioè di fronte al primo caso nella storia di doping che, anziché migliorarli, peggiora i risultati.
Sempre che, ovviamente, la Russia non fosse solita – discostandosi dalle pratiche invece onestissime di altri Paesi – dopare da decenni i propri atleti: ma di questo, nello scandalo pure gigantesco di queste ore, nessuno pare parlare. Non resta così che la sospetta impressione che quella di queste ore – per dirla col Marcello Foa, giornalista nonché esperto di questi stregoni dell’informazione che sono gli spin doctor – altro non sia che «una tempesta perfetta per incrinare il morale dei russi e spostare il focus: dai successi della lotta all’Isis ai dubbi su un governo corrotto e immorale. Basta poco per cambiare l’immagine e la reputazione di un Paese…».
Già, basta davvero «poco per cambiare l’immagine e la reputazione di un Paese…». Soprattutto alla luce di un quadro – quale è quello delineato in queste ore con straordinario coordinamento da tutti i mezzi di informazione – che vedrebbe, (pure) a livello sportivo, un Paese eccezionalmente disonesto in mezzo ad altri che invece impongono ai loro atleti una scrupolosa osservanza di tutte le regole. Compresi, si capisce, i Paesi i cui atleti stracciano quelli russi. E se qualcuno avesse per caso la curiosità di quale sia «la parte non russa» può accomodarsi e aspettare. Anche se, più che curiosità, per vedere «la parte non russa» di questa inchiesta, occorre fede.


 

08 agosto 2012

Schwazer, da eroe a criminale


di Isacco Tacconi
Stiamo assistendo a una vera e propria esecuzione pubblica vecchio stile. Il patibolo è stato approntato, i boia, i media e i giornali hanno già inferto il primo colpo di scure. “Fango sull’Italia; disonore e vergogna; capitolo buio dello sport”, così le televisioni hanno apostrofato questo deplorevole evento, che io definirei nient’altro che un classico esempio di “debolezza umana”, dalla quale non sono esenti nemmeno i campioni olimpici né le stelle dello sport. Stiamo parlando di Alex Schwazer, il giovane altoatesino di 27 anni campione olimpico nei giochi di Pechino nella 50 km di marcia, diventato in poche ora l’emblema della disonestà sportiva a livello internazionale per aver fatto uso di Epo.