Nelle note da lui scritte per l’assemblea dei presidenti delle conferenze episcopali, ora rese pubbliche, Benedetto XVI richiama per cominciare il clima culturale in cui è maturata la crisi degli abusi sessuali di cui l’assemblea si doveva occupare. L’invito del Vaticano II ad assumere un atteggiamento più positivo nei confronti del mondo veniva in un momento in cui stava per esplodere nel mondo la così detta rivoluzione sessuale, che sottraeva la sessualità da qualunque disciplina e valutazione morale, proclamando ogni desiderio fisico cosa del tutto naturale, ed in quanto tale ammissibile. Veniva abbandonato in teologia morale, nota Ratzinger, a favore di una maggiore aderenza all’insegnamento biblico, il giusnaturalismo da cui essa era precedentemente pervasa. Questo vuol dire che in effetti l’idea stessa di natura è in discussione, e con essa ogni altra cosa.
Dall’Europa agli USA, ed agli altri paesi di matrice culturale europea, viviamo ormai una situazione diciamo pure di guerra civile, anche se non si combatte (ancora) con armi da guerra classiche, ma con quelle accademiche e mediatiche della persuasione, nonché con quelle del controllo finanziario. La chiamo guerra civile, perché, sotto le forme elettorali della democrazia si combattono due visioni diametralmente opposte delle cose, in obbedienza a due principi irreconciliabili: principio di società e principio di signoria, come osservava Antonio Rosmini nella sua filosofia politica e giuridica, con una decisa preferenza politica per il primo, ma non senza riconoscere al secondo il suo giusto posto. L’unica signoria ammessa dal cristiano, infatti, è quella di Dio, fine ultimo di tutte le cose il cui bene però ridonda a favore dei suoi soggetti, gli uomini, così liberi di fare tra loro società, nella quale il fine non è il bene di un signore, ma quello comune, di cui tutti i soci partecipano.
Ma la parte opposta prende posizione proprio contro tradizione europea improntata al Cristianesimo, per aver mantenuto gli uomini in uno stato di perenne minorità in nome della soggezione a un inesistente padre divino promossa da padri umani troppo umani; e proclama di volerli liberare da una simile tirannia, riconoscendo loro i diritti che il padre padrone aveva negato. Ma il principio di signoria è recidivo, e si estende in questo modo democraticamente a tutti gli esseri umani, per cui ognuno vede gli altri in funzione della propria felicità, così che la tendenza a tiranneggiare che ne segue può solo essere tenuta in controllo da una superiore tirannia: quella di uno stato che imponga, magari tramite leggi votate a maggioranza, delle norme che tutti sono tenuti a rispettare, siano esse giuste o no
Tra le due parti in guerra, quindi, ci si scambiano reciprocamente accuse di promuovere l’oppressione, per presentarsi ognuna come campione di libertà e di giustizia. Assistiamo allora a una politica dell’insulto e della intimidazione, primariamente da una parte però, quella che, dopo aver preso posizione contro il Cristianesimo in nome della ragione, ha finito per ritrovarsi senza più ragioni da dare in alcun campo.
I due fronti dovrebbero essere chiari. Purtroppo non è così. Il fronte cristiano è diviso, tra chi come Rosmini riconosce nella tradizione cristiana l’implicazione del principio di società tra gli uomini, e chi invece ritiene che solo l’avvento della democrazia liberale ha permesso di districare l’individuo da relazioni sociali ispirate al principio di signoria, e così, pur professandosi cristiano, si schiera dalla parte dei critici di quella tradizione. La divisione si presenta non soltanto tra le diverse denominazioni protestanti, ma nella stessa Chiesa cattolica. Per cui negli Stati Uniti ad esempio, dove le posizioni politiche si sono polarizzate se possibile ancor più che da noi, il voto cattolico si schiera da una parte con quello degli evangelici, e dall’altra con le denominazioni protestanti più liberali. Da parte della gerarchia non c’è un orientamento univoco, con tanta parte dei vescovi che guardano con più favore ai partiti globalisti, che appaiono loro fautori di una benevolenza universale, che non a quelli che si fanno difensori delle tradizioni europee, nel loro essere cristiane. Il principio di signoria, nascosto nella conclamata benevolenza, non sembra essere percepito.
C’è una dottrina sociale implicita in tutta la tradizione della Chiesa, ma a partire dalla Rerum novarum di Leone XIII essa a cominciato a essere particolarmente articolata, alla luce degli sviluppi economici e politici degli ultimi secoli. Un aspetto fondamentale di questa dottrina è il richiamo al diritto naturale, come ha ancora ribadito monsignor Crepaldi nella sua lezione introduttiva alla scuola di dottrina sociale della Chiesa. Ma è qua il problema. Quale diritto naturale, ce ne sono tanti quanti sono gli autori che lo propongono, come osservava ironicamente Hans Kelsen, forse il più influente teorico del diritto del secolo scorso, che non vedeva altro diritto che quello positivo, portato degli assetti sociali dei diversi stati. Ma una simile dottrina giuridica non sfugge alle conseguenze dell’osservazione da cui prendeva le mosse: alla fine sarà diritto quello che è naturale per i giudici che applicano le leggi, interpretandole. E siamo daccapo a dodici. Anche il diritto si dissolve nel conflitto delle interpretazioni avanzate dalle parti contrapposte. A meno di non poter dire che cosa è naturale per e tra gli uomini.
Non si sfugge alla guerra civile, ma si può se non altro cercare di fare chiarezza. E questa viene per i difensori della tradizione europea da una fonte insospettata: quell’antropologia socio-culturale che di solito viene reclamata dalla parte opposta, come dimostrazione di relativismi culturale, frutto di uno sguardo dall’esterno sulla vita altrui, che solo appare intelligibile alla luce di ciò che è naturale per chi guarda. Ma la prima cosa che dovremmo dire alla luce proprio di questa disciplina è che naturale per gli uomini è di essere “animali culturali”, che apprendono a conoscere se stessi e il proprio mondo attraverso un sapere trasmesso di generazione in generazione. La natura che rende intelligibili le altrui testimonianze non si trova dunque al di fuori della cultura, ma in essa, nei luoghi comuni o costanti da esse attestati e nei quali anche noi possiamo riconoscerci. E la cosa straordinaria è che il luogo comune universale, rilevato nelle testimonianze di ogni tempo e luogo da Claude Lévi-Strauss (il grande antropologo morto ultracentenario nel 2009) è il dono: quella che Aristotele chiamava giustizia distributiva, per la quale ci identifichiamo gli uni gli altri da ciò che diamo. Lungi quindi dal contrastare la dottrina del diritto naturale, l’antropologia socio-culturale rettamente intesa ne offre la chiave.
Possiamo riconoscere nel dono il possibile sviluppo dei due principi, di signoria e di società. Peculiare del dono è di obbligare chi lo riceve, per cui chi dà si ritrova rispetto a lui in posizione di superiorità, a meno che egli non sia capace di ricambiare. Il principio di signoria si afferma quando la superiorità è spinta al punto che tutto è dovuto al signore; oppure, viceversa, quando c’è il rifiuto di riconoscersi in alcun modo debitore verso altri. Vediamo affermarsi invece il principio di società nelle relazioni in vario grado amicali e amorose, in cui ognuno rende grazie per ciò che ha ricevuto, dando a sua volta. Il Cristianesimo abbraccia come ho detto i due principi – quello di signoria verso Dio, e quello di società tra gli uomini – avendo Cristo come mediatore. Se solo gli uomini di Chiesa avessero chiaro che questo è lo sfondo antropologico della predicazione cristiana, saprebbero meglio come schierarsi nell’odierna guerra civile e non si dividerebbero; e chissà, forse troverebbero anche argomenti per far breccia nella parte avversa.
Pubblicato il 16 aprile 2019
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