È vero, a Xi Jinping presidente a vita dell’”impero” cinese non è interessato nulla a Roma di fare un semplice saluto a Papa Francesco. Non fu così nel passato, gli antichi imperatori avevano rispetto e stima per gli esponenti del cattolicesimo in Cina.
Torniamo nel XVI secolo, Ignazio di Loyola ha fondato un ordine di studiosi, maestri, predicatori e missionari che si sono sparsi in tutto il mondo. Uno dei fondatori, Francesco Saverio, ha raggiunto il Giappone ma ambisce a visitare anche la Cina.
Non ha potuto, ma lascia questa missione ai suoi successori.
Uno di questi è Matteo Ricci, nato a Macerata nel 1552, gesuita a 25 anni, parte subito per l’oriente, rimane in India per quattro anni, dal 1582 è a Macao, e da qui con lentezza ma continuità inizia la sua penetrazione nel celeste impero. Impara la lingua, le usanze, fa sua la mentalità cinese, e si veste come un bonzo o un sapiente locale.
Alla fine, nel 1595, Ricci arriva a Pechino e vi si insedia stabilmente nel 1600. Ha la fama di un grande sapiente e l’imperatore inizia ad interessarsi di lui, che sta portando in Cina novità tecniche e scientifiche mai viste.
Il gesuita ha un mappamondo, l’ha fatto tradurre in cinese, e può così illustrare l’esistenza di paesi come l’Europa, l’Africa, l’America del tutto ignoti alle conoscenze geografiche cinesi, che considerano la Cina il centro del mondo, e poco o nulla i paesi “barbari”al di fuori di essa. Fa tradurre i libri della Geometria di Euclide e i trattati aritmetici di Clavius, matematico tedesco che fu suo insegnante. Tra queste nozioni è notevole l’uso del Pi greco, infatti i sapienti cinesi non avevano mai scoperto la proporzione tra il diametro e la circonferenza di un cerchio (3,14), e non sapevano calcolare le aree ed i volumi delle figure rotonde e sferiche.
L’imperatore Wan Li è molto ammirato dai marchingegni meccanici come l’orologio a pendolo che permette di segnare le ore anche di notte o in giorni senza sole, e l’organo che può suonare facilmente le note anche per chi non è un musico. Ricci diventa così il saggio di corte più apprezzato.
Ci sono dei mandarini che lo avversano per gelosia, ma altri invece gli sono molto amici e si convertono alla religione cattolica. Come missionario Ricci si rivolge alle persone colte, scrive libri dove il Cristianesimo trova le sue similitudini con la filosofia di Confucio e quella del Tao, confutando invece il Buddismo. Arriva persino a tradurre ed integrare la filosofia stoica di Epitteto, ad uso della società cinese stretta nella morsa della corruzione dei funzionari ed i complotti della corte imperiale.
Quando Ricci muore nel 1610, quattromila cinesi, per lo più di alto rango, sono diventati cristiani, ed è già stata fondata la cattedrale di Pechino.
Purtroppo il fine e costante suo lavoro non verrà ampliato come dovuto, anche a causa della curia romana, che interpreta male il tentativo di integrazione tra Cristo e Confucio, e ne sconfessa i risultati. Ancor oggi non c’è accordo nel cristianesimo cinese, e una causa di beatificazione per il solerte gesuita marchigiano si è conclusa solo nel 2014.
Oggi quindi, la potentissima Cina che domina per ogni dove con i suoi prodotti tecnologici, dovrebbe ricordarsi di chi queste scienze e tecniche ha cominciato a portarle in quel paese, facendole conoscere gratuitamente, con la sola speranza di un miglioramento dell’anima. E dovrebbe rispettarne almeno il capo attuale.
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