13 febbraio 2019

Fra pazzia e santità. La vera storia di Barbablu/1

di Stefano Bolzoni
Tutti noi conosciamo, almeno per sommi capi, la tetra favola di Barbablu, l’aristocratico uxoricida immortalato da Perrault nel suo celebre florilegio I racconti di mamma l’oca. Meno nota è l’ipotesi che il magniloquente e perverso Barbablu sia effettivamente esistito. Questi, però, non sarebbe stato un massacratore di mogli neglette, bensì di bambini, prima seviziati e poi messi brutalmente a morte per soddisfare i suoi più bassi istinti.

A suffragare una simile ipotesi fu, in un’opera tanto letterariamente raffinata quanto storiograficamente fondata, Ernesto Ferrero. Il suo Barbablu. Gilles de Rais e il tramonto del Medioevo (Mondadori, 1975; poi riedito da Einaudi nel 2004) costituisce innanzitutto il tentativo di comprendere – per quanto possa essere possibile farlo – la psiche di Gilles de Rais e di un’intera epoca, ossimoricamente segnata da slanci mistici e da una crudeltà che, definir belluina, è poco.

Ma chi era Gilles de Rais? Nato nel 1404 nel castello di Craon a Champtocé, in  Bretagna, l’infante si trovò ben presto a capo di una delle più doviziose fortune di Francia, capace di rivaleggiare in fasto con sovrani e imperatori. Le tre famiglie che concorsero a fare di Gilles uno degli uomini più ricchi e potenti del suo tempo furono i Laval-Montmorency, i Craon e i Rais.
Cresciuto negli agi e circonfuso dall’aura cavalleresca che promanava dai suoi castelli Gilles mostrò ben presto l’inclinazione a conformare le proprie azioni ai grandi modelli umani del passato. Tra essi spiccava l’imperatore romano Caligola, di cui Gilles lesse avidamente le imprese nell’opera Vita dei dodici Cesari. Consuetudine diffusa per le élite medievali rifarsi ai grand'uomini dell'età classica, assai meno quella di scegliere come proprio archetipo lo stravagante Caligola, il cui principato fu contrassegnato, nel bene e nel male, dai suoi eccessi. La gioventù dorata non gli portò solamente dissoluti esempi di eccentricità e ferocia. Di corporatura robusta Gilles mostrò una spiccata predilezione per le armi; qualità questa che lo avrebbe portato a distinguersi nelle fasi salienti della guerra dei cent’anni.

Fu proprio in questa drammatica congiuntura storica – l’ora più buia della Francia – che il nome di Gilles de Rais travalicò i confini della Bretagna per imporsi all’attenzione collettiva. Nel maggio 1429 Gilles cavalcava a fianco di Giovanna la Pulzella nell’assedio della Tourelles, la tetra fortezza costruita dagli inglesi sul lato meridionale di Orleans. La conquista della piazzaforte segnerà, di lì a poco, la definitiva liberazione della città nonché il primo, vero, scacco che i francesi riuscirono a infliggere ai temuti longbows britannici.
Al culmine della fama Gilles scelse però la via degli inferi. Ferrero riferisce che inclinazioni all'omosessualità e al sadismo erano già sorte durante la giovinezza in Bretagna. Il rango di Gilles gli permise di evitare che episodi simili superassero i limiti del mormorio e del chiacchiericcio tra i corridoi dei suoi castelli. A rafforzare i suoi istinti fu, inoltre, la guerra. Nulla più che la visione dei corpi tranciati, delle ossa spezzate e delle interiora sapeva compiacere il suo animo. Una sensazione estatica gli era data dalle torture inflitte ai collaborazionisti. Scrive Ferrero: "Con loro Gilles era implacabile: assisteva personalmente all'esecuzione, spiando spasimi, contrazioni e sussulti"(p.39). La guerra dei cent'anni - fatta innanzitutto di devastazioni ai territori controllati dal nemico - amplificò in Gilles il piacere del comando. A capo delle sue personali truppe Gilles esibiva sia il gusto quattrocentesco per lo sfarzo che una disciplina spartana. Ai suoi uomini era imposto un comportamento degno dell'incedere del loro signore. Queste circostanze dovettero concorrere a incrementare il suo ego, facendo sì che egli cominciasse a considerarsi secondo in terra solo a nostro Signore.

Gilles evoca il diavolo
L'inizio della macabra danza ha una data precisa. Nell'autunno 1432 morì il nonno materno di Gilles, Jean de Craon. La scomparsa dell'avo segnò un punto di non ritorno; "Craon costituiva per Gilles l'ultima barriera prima del viaggio nelle tenebre che si accingeva a compiere. Gilles ne subiva l'autorità patriarcale, i modi bruschi, la lucidità politica. Privato di lui dovette provare un senso di libertà, di esaltazione ma anche di un vuoto troppo grande" (p.86). Da quel momento Gilles poté liberamente disporre della sua vita e di tutto il suo immenso patrimonio.

Un altro fatto concorse a determinare i drammatici eventi futuri. Nel giugno 1433 cadde politicamente Georges de La Trémoille, gran ciambellano e, fino a quel fatidico momento, vero deus ex machina  della politica dei Valois. La Trémoille era stato fondamentale per introdurre Gilles a corte, pressato sia da Jean de Craon che dalla necessità politica-militare di assicurare il sostegno dei Rais alla guerra contro gli inglesi. La fine del ciambellano privò Gilles di un saldo appoggio politico a corte. Senza il suo protettore anche l'era di Gilles combattente, sadico e indomito, finì.  Nuovi capitani, legati alla fazione angioina responsabile della fine di La Trémoille, presero a guidare le armate gigliate. Per Gilles non restò che la via dei suoi castelli ma questa volta da solo, senza altro compagno di viaggio che i suoi demoni. Essi non  avrebbero tardato a essere evocati.

Gli atti che composero il dramma granguignolesco si ripeterono, identici e spaventosi, dal 1432 al 1440. Nelle terre di Gilles solevano muoversi i suoi uomini, disposti a tutto pur di soddisfare gli appetiti carnali del loro signore. La mortale prassi seguiva uno schema collaudato. Gli scherani di Gilles si aggiravano per i villaggi della Bretagna, magnificamente vestiti e grondanti promesse di ogni sorta. Una volta individuata la preda mercanteggiavano il prezzo con i genitori salvo, in certe occasioni propizie, passare direttamente a irretire fanciulli e - ma ciò accadeva più di rado - fanciulle. La trattativa con i genitori si concludeva in poche battute. Spesso erano le semplici promesse di una vita migliore a smuovere i sentimenti; nel caso di resistenze si passava a blandizie monetarie, difficili da rifiutare per persone umili, perennemente in lotta per la sopravvivenza.

I giovanissimi oggetti di piacere del signore di Rais venivano condotti a palazzo. Qui li si colmava di attenzioni, patetiche manifestazioni di affetto prima dell'orgia di crudeltà che si sarebbe aperta di lì a poco. Gilles non mostrava fretta. In principio consumava una cena pantagruelica, degna rappresentazione archetipica dei banchetti neroniani. Ogni sorta di prelibatezza vi era servita, gradevolmente accompagnata da abbondanti libagioni di vino rosso. Proprio il loro elevato consumo doveva portare i commensali a godere degli effetti inebrianti dell'alcool.
Ormai predisposto alla voluttà Gilles, con cenno ieratico, dava il via al raccapricciante spettacolo. Condotti in stanze appartate i fanciulli venivano ripetutamente abusati, per poi essere torturati ed infine messi a morte. Ferrero osserva che il copione subì alcune variazioni nel corso degli anni. Se inizialmente Gilles mostrava verso i bambini una viva attrazione sessuale, negli ultimi anni perse questa deviata inclinazione. Si accontentava di godere delle loro sofferenze. In preda all'eccitazione li vedeva penzolare da una pertica manovrata dagli aguzzini suoi servitori, si avvicinava ai loro corpicini tremanti per poi finirli tagliandoli la gola. In certe occasioni ne apriva le interiora, raggiungendo vette indefinite di piacere. Appagati i suoi appetiti ordinava a complici fedeli di nascondere le prove. I corpi erano così bruciati oppure, a seconda del castello ove la mattanza si compiva, semplicemente gettati in luoghi isolati alle sue pendici.

I massacri proseguirono per otto lunghi anni. Nel corso di questo periodo parte della straordinaria fortuna di Gilles vene dissolutamente sperperata. Costretto a fare di necessità virtù Gilles si convinse a vendere alcune sue proprietà: fu proprio nel corso di un affare che il signore di Rais commise un errore fatale. Il 15 marzo 1440, festa di Pentecoste, fece irruzione alla testa di una schiera di armati nella chiesa di Saint-Etienne. Brandendo un'ascia bipenne coartò violentemente il prevosto Jean le Ferron, trascinandolo poi in catene nei suoi domini. L'atto efferato era stato commesso a causa della compravendita della castellania di Saint-Etienne-de- Mermorte. Questa era stata comprata a prezzo irrisorio dal fratello di Jean, Geoffroy, tesoriere di Bretagna. L’ufficiale aveva però versato solo un modesto acconto, probabilmente con l'intenzione di non saldare la somma rimanente. La rabbia di Gilles era resa più profonda anche da un altro accadimento.
Molti suoi ex sudditi si lamentarono per le pesanti vessazioni che subirono dai nuovi esattori fiscali. Sensibile a una questione che toccava nel profondo il suo ethos nobiliare Gilles agì d'impeto, senza cercare una mediazione o, forse, sperando che imprigionando il fratello avrebbe costretto Geoffroy a trattare. Nulla di ciò accadde. Si scatenò viceversa la reazione del potere civile - nella persona del Duca di Bretagna - e di quello religioso - incarnato da Malestroit, vescovo di Nantes -.
 

0 commenti :

Posta un commento