In copertina: In copertina il quadro di Milo I suoi pensieri raffigurante Charles Journet
La Chiesa non è priva di peccatori, ma è santa : questo è il leit motiv del teologo svizzero Charles Journet (1891-1975) e – come ha scritto il cardinal Georges Cottier nell’Introduzione al mio libro di prossima uscita ( Charles Journet: il Mistero della Chiesa, Cantagalli) – «intuizione ispiratrice» della sua ricerca. Contro chi, invece, come Rahner (e i suoi epigoni) non si preoccupa di definire peccatrice la Sposa del Verbo, il Cardinale elvetico ha mostrato tutta l’infondatezza di tale tesi. In questo periodo di gravi riflessioni, riscoprire la bellezza della Chiesa non è operazione da poco.
Ci sono, infatti, almeno tre modi per guardare alla realtà ecclesiale:
1. mediante uno sguardo sociale e fenomenologico, che considera la Chiesa un’istituzione tra le tante;
2. un apprezzamento cordiale per quanto svolge in campo umanitario e valoriale, alla stregua di un’organizzazione umanitaria;
3. concependo la Chiesa mediante la fede, attraverso cioè uno sguardo soprannaturale.
È evidente che la modalità più vera per comprendere cosa sia la Chiesa è dato dall’ultimo punto.
Per valutare la realtà ecclesiale si devono, però, eliminare tutte le riduzioni indebite. Innanzi tutto, la Chiesa non può essere considerata solo un’istituzione umana, perché a questo bisogna subito aggiungere che è anche “divina”: la Chiesa permette – con i Sacramenti e l’interpretazione corretta della parola di Dio – il contatto sensibile nel tempo con il Cristo. È, sì, un’istituzione composta da uomini, con a capo degli uomini, ma che hanno il compito di essere docili allo Spirito (tenendo conto che partecipano della Chiesa non solo gli uomini sulla terra ma anche quelli già approdati nel Regno dei Cieli). C’è, dunque, una non piccola differenza – spiega il filosofo Jacques Maritain – tra la persona della Chiesa e il suo personale.
Appartengono all’istituzione, inoltre, non solo i preti, i vescovi e il papa, ma ogni singolo battezzato, che va a formare il Corpo di Cristo, dove ognuno ha il suo compito: grave problema di oggi è la laicizzazione del clero e il clericalismo dei laici.
Paolo VI, in un vibrante discorso, ha affermato che il cristianesimo è semplice da praticare, ma solo se si vivono due precise caratteristiche: l’umiltà e il coraggio. Essere pastori o far parte del gregge significa aver determinato la propria vocazione, che diviene servizio alla Chiesa quale mediazione del servizio di lode da offrire al Signore. I compiti sono distinti, ma il fine comune: la salvezza delle anime. Ma come può un insieme di uomini peccatori – perché tutti, eccetto il Figlio di Dio e la Sua Vergine Madre, sono tali – formare un organismo santo? Semplificando argomentazioni assai complesse e ben più dettagliate, bisogna rispondere che quando un battezzato commette un peccato tradisce la Chiesa: l’essere annoverato tra i suoi figli non viene meno, ma questo si realizza solo in un modo esteriore e sociale (a meno che sia afflitta una pena di scomunica) e non salvifico. Il peccato, pertanto, ci fa perdere lo stato di grazia e, quindi, l’appartenenza alla Chiesa diventa “improprio”: reale, perché si possiedono ancora i doni dello Spirito, le virtù derivanti dalla fede, ma non si è più in piena comunione (per cui è necessaria la Riconciliazione sacramentale). La partecipazione visibile è ciò che permette alla carità dei giusti di influire su quella – ormai spenta o morta (come si esprimevano i teologi medievali) – dei peccatori: come un ramo rinsecchito a cui viene iniettata nuova linfa. Ecco perché si prega per gli altri.
In sintesi: quando uno pecca crea una disarmonia con se stesso e gli altri e distrugge l’amicizia con Dio e pur continuando ad appartenere socialmente alla Chiesa con il suo peccato la tradisce. Da qui, il motivo per cui la Chiesa fa penitenza, ossia per riportare i suoi figli alla piena comunione divina, di cui Lei (e solo Lei) è mediatrice. Sicché, pur essendo santa, la Chiesa è sempre in atto di purificarsi, come «di una donna – scrive Giacomo Biffi –, anche se bellissima, si dice che “si fa bella” ogni giorno». Il pensiero di Journet è sintetizzato proprio dal Cardinale quando scrive che la Chiesa «è un’assemblea santa di uomini peccatori, ma il peccato non fa presa su di lei. Nella misura in cui l’egoismo o l’orgoglio o l’avarizia ci deturpano, noi agiamo al di fuori della Chiesa e in senso contrario alle sue ispirazioni, tanto che le nostre azioni malvagie non le appartengono. E mentre essa continuamente ci santifica, noi non arriviamo mai a contaminarla. Proprio perché è santa, essa è ansiosa di informare della sua santità gli atti e i sentimenti di tutti i suoi figli. Cerca cioè di far sua in modo totale la realtà umana di coloro che già le appartengono per la grazia santificante che c’è nei loro cuori o almeno per la fede o per il segno incancellabile del Battesimo».
Se questo è quanto avviene nel singolo battezzato, cosa bisogna dire invece delle gerarchie, che hanno il compito di guidare la Chiesa mediante l’aiuto dello Spirito Santo? Se, infatti, l’azione divina santificante agisce in un modo infallibile, indipendentemente dalle disposizioni morali di santità o di indegnità del singolo, il peso di tale privilegio graverà nella misura stessa in cui si accresce l’importanza del compito ecclesiale e, di conseguenza, la fallibilità minaccerà di entrare nel governo della Chiesa. Quindi – dichiara Journet –, «perché la Chiesa sia diretta e non fuorviata dai suoi capi, perché resti il sale della terra, occorrerà l’aiuto di una provvidenza particolare, di un dono profetico, di un’assistenza di Cristo e del suo Spirito».
Tale assistenza non dispenserà dallo sforzo, dalla riflessione, dai tentennamenti di coloro che hanno il compito di guidare la Chiesa. Tuttavia, «le indecisioni umane, le meschinità o anche le imprudenze – è ancora Journet a parlare –, non faranno mai fallire la Chiesa nella missione affidatale da Cristo. La grazia dell’assistenza divina, senza distruggere la libertà del potere pastorale e senza esimerla dall’obbligo di cercare, di consultare, di riflettere, di pregare, dirige i suoi passi e le fa raggiungere infallibilmente gli importanti fini che le sono assegnati».
La Chiesa, dunque, anche nei suoi poteri gerarchici, è senza macchia né ruga. I poteri giurisdizionali che guidano la cosiddetta “pastorale” sono lo strumento, non il soggetto della santità della Chiesa. Questa santità ministeriale è pura sul piano delle verità definite e delle leggi universali. Sul piano delle direttive particolari, invece, l’errore e l’ingiustizia, che sono possibili, sono rinnegati in anticipo dal momento che appariranno come tali; per cui non giungono ad alterare la santità della Chiesa. «Non sarà possibile – conclude così Journet – riscontrare né macchia, né sozzura, né peccato nella Chiesa considerata come soggetto di santità, cioè nella Chiesa credente e amante, composta di chierici e laici, di giusti e di peccatori, e che è la comunità umana scaturita dai poteri giurisdizionali, unificata dalla carità cultuale, sacramentale, orientata, e in cui lo Spirito Santo abita in pienezza».
Pubblicato il 08 settembre 2018

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