
Tra i toni allarmati dei TG e l'ansia delle cancellerie europee si avvicina il giorno del referendum che, in un modo o nell'altro, segnerà il destino del popolo greco. Sia nel caso di vittoria del sì che nel caso di affermazione del no, la crisi greca appare ormai giunta ad un punto di svolta decisivo. Il successo del sì equivarrebbe ad una sostanziale sconfessione del governo Tsipras, la cui tenuta verrebbe messa immediatamente in discussione. Con molta probabilità il sì spianerebbe la strada alla restaurazione dell'equilibrio politico precedente alla vittoria di Syriza, con una Grecia piegata nuovamente ai dettami della Troika, finora rivelatisi un completo fallimento. Viceversa, il successo del no, espressione al tempo stesso di disperazione ed impavido spirito patriottico, offrirebbe al governo la spinta propulsiva necessaria per non cedere ai ricatti della Troika e di una sempre meno dialogante signora Merkel. Nel primo caso si tratterebbe di una disfatta per tutto il fronte che in Europa avversa l'austerità (e in molti casi anche l'euro); nel secondo caso di un evento capace di innescare reazioni a catena dagli esiti imprevedibili. Molto è stato detto e scritto sull'aspetto finanziario della crisi greca, ma a fare da cornice alla questione del debito ci sono implicazioni di politica internazionale tutt'altro che irrilevanti. Sulla Grecia non si agitano solo i dubbi relativi all'austerità, al default ed all'euro, ma anche quelli connessi al posizionamento geopolitico del paese ellenico: la Grecia è infatti uno Stato membro della NATO che però ha iniziato a guardare ad est con insistenza crescente.
In politica estera il governo Tsipras ha manifestato subito
una certa tendenza sovranista, muovendosi con particolare audacia nei rapporti
con la Russia ed il blocco BRICS di cui essa fa parte. Artefice ed ispiratore
di questa politica è certamente il ministro degli esteri Nikos Kotzias,
studioso di relazioni internazionali e convinto assertore delle istanze
multipolari. A spingere sull'acceleratore dell'avvicinamento alla Russia è poi
Panos Kammenos, ministro della difesa e capo del partito di destra dei Greci
Indipendenti. Nel suo caso le accentuate tendenze filorusse trovano fondamento
nell'antico richiamo nazional-religioso alla fratellanza ortodossa: Russia e Grecia
sono infatti due dei principali poli della cristianità orientale. Nel paese
ellenico, in cui la fede ortodossa è ancora oggi religione di Stato, esiste una
diffusa simpatia popolare verso la Federazione Russa. Va inoltre ricordato il
grande afflato patriottico della Chiesa ortodossa greca, che in questi anni è
arrivata a definire la Troika «una forza d'invasione straniera». Anche verso il governo guidato dal non credente
Tsipras la Chiesa non si è tirata indietro, tanto che l'arcivescovo di Atene
Ieronymos II ha proposto di usare i fondi
ricavati dalle proprietà ecclesiastiche per contribuire al pagamento del
debito. In sostanza, l'avvicinamento della Grecia alla Russia, oltre ad essere
dovuto a chiare ragioni di ordine politico-economico, è facilitato dalla
speciale comunanza culturale e spirituale tra i due paesi.
In quest'ottica di avvicinamento alla Russia si comprende la
netta opposizione del governo greco alle sanzioni europee contro il Cremlino.
Sulla crisi ucraina la Grecia è - insieme all'Ungheria - tra i paesi dell'UE
maggiormente critici verso il sostegno assicurato a Kiev dall'Occidente. E se
la crisi ucraina ha provocato l'abbandono europeo del progetto South Stream, è proprio sulla questione
dei gasdotti che Tsipras ha concluso una prima importante intesa con Putin. È
infatti di pochi giorni fa la firma dell'intesa che allargherà il progetto del
cosiddetto Turkish Stream alla
Grecia, consentendo ad Atene di avvalersi di 5 miliardi di euro di anticipo. Si
stima che l'intesa potrebbe favorire la creazione di 20.000 posti di lavoro
nella sola Grecia, nonché aprire la strada ad ulteriori collaborazioni con il
colosso russo Gazprom, specie nello
sfruttamento degli idrocarburi nelle aree della Grecia occidentale e di Creta.
Oltre alla Russia un altro potenziale sbocco orientale di
Atene potrebbe essere la Cina. Pechino è da tempo in trattativa per
l'ottenimento della completa gestione del porto del Pireo. Qualora l'intesa fra
i due governi dovesse concretizzarsi, il porto greco potrebbe trasformarsi in
uno snodo commerciale di primaria importanza nel Mediterraneo, rendendo la
Grecia partecipe del progetto della “nuova
via della seta”. Russia e Cina inoltre hanno dichiarato di essere pronte ad
aiutare finanziariamente la Grecia attraverso la neonata Nuova Banca dello Sviluppo (NDB), un istituto che nei prossimi anni
potrebbe porre fine al predominio occidentale sui mercati finanziari. Il tema
della possibile adesione della Grecia alla NDB è stato fissato nell'agenda del
summit BRICS 2015 che si terrà ad Ufa, in Russia, il 9 e 10 luglio, anche se è
abbastanza evidente che la discussione dipenderà in gran parte dall'esito del
referendum. Quel che è certo è che la vittoria del no potrebbe dare al governo
la forza necessaria per proseguire lungo la via che conduce ai BRICS, aprendo
uno scenario interessante anche per gli altri paesi dell'Europa mediterranea
colpiti dalla crisi dell'euro, tra cui l'Italia.
In definitiva, la partita greca non investe solo i già
delicati equilibri finanziari dell'eurozona, ma si inserisce in una più
complessa trama geopolitica che vede Stati Uniti ed Unione Europea ancora una
volta andare a braccetto, con sullo sfondo la Russia e la Cina. La vittoria del
sì non rappresenterebbe un grosso sospiro di sollievo solo per la Troika e
Angela Merkel, ma anche per Obama e gli strateghi della Casa Bianca. In fin
troppe occasioni USA ed UE hanno dimostrato di non amare chi non si arrende
alla loro prepotenza. Questo è già di per sé un argomento sufficiente per
sperare nel no. Un no che vuol dire amor patrio e sovranità nazionale. Quindi
Forza Grecia, grida con voce ferma: OXI!
Totalmente, incondizionatamente d'accordo.
RispondiEliminaBeh, vedremo quanta liberta concedono la Rusia e la Cina.
RispondiEliminaBlas