di Giuliano Guzzo
Per onestà dobbiamo riconoscere che buona parte del Natale, così come
lo conosciamo oggi è in effetti “invenzione“. E’ così per il Babbo
Natale di rosso vestito, trovata pubblicitaria della più globale delle bevande, la Coca-Cola;
il presepe pare risalga al 1223 quando San Francesco – ottenuto il
placet di papa Onofrio III – ne costruì il primo “ufficiale” a Greccio,
piccolo paese laziale, anche se esistono testimonianze ancora precedenti
che raccontano del grande interesse per il presepe da parte dei monaci
cistercensi, persuasi più di tutti dell’importanza di far conoscere alla
gente ogni fase della vita di Gesù. E’ “invenzione“, infine, pure
l’albero, tradizione inaugurata, pare, nel 1521 a Sélestat, località
dell’Alsazia nella cui Bibliothéque Humaniste sono conservati documenti
che – per la prima volta – attestano l’esistenza di un albero
devozionale abbellito e decorato.
Anche se non si direbbe, risulta tradizione tardiva pure l’idea dei
doni, degli auguri e del pranzo natalizio: trattasi, in questo caso, di
un’eredità culturale che celebriamo a partire dall’epoca vittoriana.
Più precisamente, il merito è tutto di A Christmas Carol di
Charles Dickens, racconto che vide le stampe il 18 dicembre 1843
riscuotendo subito successo e vendendo ben 6.000 copie in appena una
settimana. George Orwell, non a caso, dirà che a Natale è «automatico»
pensare a Dickens. Accanto a questi dati di fatto, che ci ricordano
come il Natale contemporaneo sia in effetti una riuscita stratificazione
di tradizioni e usanze differenti per origine storica e geografica, da
tempo si sta facendo largo, negli scaffali delle librerie e negli
interventi degli intellettuali, un’idea di per sé non nuova ma che non
smette di affascinare, vale a dire la convinzione che, dopotutto, la
stessa ragion d’essere del Natale, ossia la nascita di Gesù tramandataci
dai Vangeli, non sia che un’invenzione.
Pensiamo ad una delle ultime fatiche di Corrado Augias, Inchiesta sul Cristianesimo come si costruisce una religione,
testo che sin dal titolo mira ad equiparare il Cristianesimo ad un
artificio politico, ad un abuso di credulità popolare. Oppure pensiamo a
Michel Onfray, che nel suo Traité d’athéologie (2005) scrive:«Con ogni evidenza Gesù è esistito come Ulisse e Zarathustra». Gli fa eco Piergiorgio Odifreddi, che in una delle sue fatiche sostiene che «il Gesù dei Vangeli non è altro che una costruzione letteraria» (Perché non possiamo essere cristiani, Longanesi
2007, p.104). Vi sono poi tentativi più tiepidi e leggeri, quasi comici
a dir il vero, di criticare la storia di Gesù e della sua nascita, come
quello proposto – non si è capito se volontariamente o meno – da
Eugenio Scalfari, il fondatore di Repubblica, secondo cui vicino al
Bambino, accanto all’asino, anziché il canonico bue, vi sarebbe stata «una mucca» (L’Espresso, 10/1/2008, p.154).
Decisamente meno morbidi sono stati invece i toni usati da Marcello Craveri e della sua Vita di Gesù (Feltrinelli,
1966), opera fortemente critica sulla vita di Gesù così come siamo
abituati a immaginarla. A seguire ed estremizzare queste tesi ci ha
pensato, in tempi recenti, Luigi Cascioli, ex prete nonché autodidatta
di storia del cristianesimo arciconvinto che Gesù sia una creazione
truffaldina della Chiesa delle origini, che avrebbe stravolto la storia
di un personaggio del II secolo – a dire di Cascioli – realmente
esistito, Giovanni di Gamala. Per meglio rendere l’idea della
stravaganza delle tesi di Cascioli è sufficiente ricordare il titolo
dell’opera che egli ha scritto e pubblicato a sue spese, La Favola di Gesù Cristo.
Chissà se Bruno Bauer, il teologo berlinese che nella prima metà
dell’Ottocento dubitava dell’esistenza storica di Gesù, si sarebbe
immaginato – dopo quasi due secoli – di avere ancora così tanti
discepoli pronti a riproporre le sue tesi. Il punto è che oggi, lo
scetticismo nei confronti della nascita e dell’esistenza di Gesù, non è
più un fenomeno ascrivibile solo ad atei praticanti quali Augias ed
Onfray. Basti ricordare quanto riferito ai microfoni della Bbc da Rowan
Williams, arcivescovo di Canterbury nonché massima carica della Chiesa
anglicana, a detta del quale «il mito della natività non è altro che una leggenda» (Avvenire, 21/12/07, p.27).
Anche tra i giovani iscritti a percorsi di studio universitari, la
conoscenza di Gesù risulta contrassegnata da una confusione che sconfina
talvolta nel ridicolo. A questo proposito, è significativo riprendere
quanto ricordato dal filosofo Giovanni Reale: «Un collega mi ha
detto che nel corso di un esame, alla domanda che il candidato dicesse
chi era Cristo, quel candidato rispose che si trattava di un autore che
pubblicava le sue opere per l’editore Mondadori. E la risposta veniva
data da uno studente universitario, con alle spalle tutte le scuole
elementari, medie e superiori. Si tratta di un monstrum dal punto di
vista culturale, di cui non avevo mai sentito l’uguale» (Il Giornale, 14/8/2009, p.10).
Dinnanzi ad affermazioni ed episodi così gravi e sconcertanti, è bene
interrogarsi e chiedersi se quella del Natale non sia davvero tutta una
fiaba di successo, una sorta di best-seller ante litteram.
Allarmato da questa tendenza a screditare la storicità della figura di
Gesù, lo stesso Papa emerito – autore, fra l’altro, di una trilogia sull’argomento – già nel corso dell’udienza tenuta il 3 gennaio
2007 denunciava con forza il «dramma del rifiuto di Cristo, che, come in passato, si manifesta e si esprime, purtroppo, anche oggi in tanti modi diversi […] dal netto rigetto all’indifferenza, dall’ateismo scientista alla presentazione di un Gesù modernizzato o postmodernizzato […] oppure un Gesù talmente idealizzato da sembrare talora il personaggio di una fiaba».
Ora, per tentare di replicare a questa diffusa tendenza culturale,
potremmo partire chiedendoci quali indizi possano in effetti suffragare
la dimostrazione dell’esistenza storica di Gesù. Ebbene, gli indizi in
tal senso abbondano: di Gesù troviamo ampia traccia, oltre che nei
Vangeli canonici, anche in quelli apocrifi e pure nelle testimonianze di
diversi autori non cristiani, tra i quali ricordiamo: Giuseppe Flavio,
Plinio il Giovane, Mara Ben Serapion, Luciano di Samosata, Celso e, dulcis in fundo,
Tacito, il più grande storico romano. A farci accantonare in modo
definitivo l’idea di Gesù quale personaggio leggendario è poi, a ben
vedere, il Cristianesimo stesso, a partire da quello degli apostoli, dei
quali si conservano ancora oggi le reliquie: possibile che costoro si
siano dati alla predicazione, incuranti persino del martirio, per
annunciare il verbo di un personaggio mai esistito?
Perfino Rudolf Karl Bultmann, il teologo luterano pioniere di un
metodo – quello storico critico – volto a ridimensionare fortemente,
quando non del tutto, la divinità di Gesù, se la rideva di quanti
negavano l’esistenza storica di Gesù asserendo che «il dubbio che
Gesù sia realmente esistito è infondato e non degno di essere confutato.
Nessuna persona sana di mente può dubitare che Gesù stia dietro come
fondatore al movimento storico, il cui primo livello distinto è
rappresentato dalla comunità in Palestina». Assodata quindi – sia
pure in estrema sintesi – la storicità di Gesù, possiamo approfondire
un’analisi del Natale vagliando i punti nodali della questione.
Iniziamo con l’attesa messianica. L’Antico Testamento risulta
letteralmente costellato di profezie concernenti l’avvento di un
dominatore del mondo: nella sua Indagine su Gesù (Rizzoli, 2008) Antonio Socci ne ha conteggiate quasi trecento. Come ci ricorda il vaticanista Andrea Tornielli nel suo Inchiesta su Gesù Bambino (Gribaudi, 2005) già nella IV Egloga di Virgilio si annuncia la venuta di un puer, un fanciullo che «riceverà la vita dagli dei […] reggerà il mondo pacificato per le virtù paterne», e grazie al quale l’«età del ferrò cesserà e (quella) dell’oro sorgerà in tutto il mondo».
Un’attesa, quella del Messia, decisamente fondata e diffusa dunque,
tanto è vero che spaventò, e molto, Erode. A questo proposito, J.
Schniewind annota: «La paura per la venuta del Messia (cioè del
Figlio di Davide definitivo, del figlio di Dio aspettato dalla fine dei
tempi dai re di Israele) ha veramente caratterizzato gli ultimi anni
della vita di Erode […] la tradizione di quel tempo narra anche
di consultazioni di Erode con gli scribi a riguardo delle affermazioni
regali dell’Antico Testamento: il punto critico di Erode, come sovrano,
consisteva nel fatto che, edomita qual era, stava al di fuori
dell’attesa regale dell’Antico Testamento, della speranza messianica».
Compresa, sia pure per sommi capi, la fondatezza storica della figura
di Gesù Cristo – fondatezza, giova ricordarlo, per nulla inferiore, sul
piano documentale, a quella di altri grandi personaggi storici quali
Alessandro Magno – e ricordato il clima di attesa che permeava il mondo
ebraico dell’epoca, passiamo ora a ricostruire più da vicino
l’avvenimento del Natale. Dove e quando nacque Gesù? Precisiamo subito
che ignoriamo se effettivamente il Bambino nacque, come siamo soliti
immaginare, di notte; i Vangeli canonici non dicono nulla in proposito e
ci sono ottime ragioni per ascrivere la paternità di questo particolare
al Sant’Ambrogio che, nei suoi Inni, scrive: «Risplende già il tuo presepe/ la notte effonde la tua luce,/ che nessuna tenebra offuschi,/ ma splenda d’inesauribile fede».
Quanto al dove Gesù sia nato, mentre Marco e Giovanni iniziano la
loro narrazione dalla sua predicazione, com’è noto sia Matteo che Luca
riferiscono, nominandola sette volte, di Betlemme. E poiché vi sono
prove attestanti come Betlemme, già a partire dai primi secoli dopo la
nascita Gesù, fosse meta di molteplici pellegrinaggi, non si vede
ragione – con buona pace di Ernest Renan, secondo cui il
Bambino nacque a Nazaret (Cfr. Vie de Jésus, 1863, p. 19) –
per dubitare dell’indicazione dei due evangelisti. Tanto più che
l’imperatore Adriano – dopo averla rasa al suolo con l’intento di
trasformarla da luogo di culto cristiano (quale già era) a sito di culto
pagano – nell’anno 135 consacrò Betlemme al dio Adon, ed è sempre,
guarda caso, sull’area della grotta della natività che i romani piantano
un bosco sacro. Tra l’altro va ricordato che esiste, nell’Antico
Testamento, una esplicita profezia che riconosce quella città come luogo
speciale, dove sarebbe nato un Messia.
E’ il libro del profeta Michea (5, 1-3), dove possiamo leggere: «E
tu Betlemme di Efrata / così piccola per essere fra i capoluoghi di
Giuda / da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele». A
quanti sostengono che l’evangelista Matteo, soprattuttto per quanto
riguarda i 48 versetti “natalizi” della sua narrazione, abbia
“inventato” tutto di sana pianta proprio a partire dalle profezie
dell’Antico Testamento (il che spiegherebbe, a detta di costoro,
l’impressionante convergenza fra queste ed il contenuto evangelico),
facciamo rispondere da un cattolico autorevole ma certo non tacciabile
di chiusure pregiudiziali, mons. Gianfranco Ravasi: «L’ipotesi è piuttosto stravagante. Come, infatti, si può “creare” tutto il racconto dei Magi dalla profezia di Michea che […]
parla solo di Betlemme? Come “inventare” a partire dall’oracolo di
Isaia sulla “vergine” che genere l’Emmanuele tutto il racconto che in
realtà è un’annunciazione a Giuseppe?» (I Vangeli di Natale, San Paolo, 1992, p. 31).
Se, nonostante le inevitabili divergenze, si può dunque
ritenere assai fondata l’idea che Gesù – conformemente a quanto insegna
la tradizione – sia nato a Betlemme, più dibattuto, fra gli storici, è
l’anno della sua nascita. Qui non ci sono certezze e l’ipotesi più
condivisa è che Gesù possa essere nato fra il 6 e 7 a.C. Il punto di
partenza per comprendere questa ipotesi è Luca, che scrive: «In quel
tempo fu emanato un editto da Cesare Augusto per il censimento di tutta
la terra. Questo primo censimento ebbe luogo quando Quirinio era
governatore della Siria. Tutti andavano a farsi iscrivere, ciascuno
nella propria città. E anche Giuseppe salì dalla Galilea, nella città di
David, chiamata Betlemme, perché egli era della casa e della famiglia
di David, per farsi iscrivere insieme a Maria, sua sposa, che era
incinta» (Lc. 2, 1 -2). Ora, è provato che Publio Sulpicio
Quirinio, nativo di Lanuvium, condusse un censimento in Siria e in
Giudea nell’anno 6 d.C. Ma poiché Luca (1,5) e Matteo (2,1) asseriscono
concordi che Gesù nacque prima della morte di Erode, avvenuta, secondo
Giuseppe Flavio, nel 4 d.C., molti usano questa apparente contraddizione
per accusare Luca di essere contraddittorio.
In realtà, come ricorda la storica Marta Sordi (1925-2009), Luca non
era affatto sprovveduto ed era, anzi, perfettamente al
corrente dell’esistenza del censimento del 6 d.C, al quale peraltro
allude con chiarezza (At 5,37). Infatti costui, a scanso d’equivoci,
parla esplicitamente di un «primo censimento» (2,2 «apographé prote»)
nell’epoca in cui Quirinio era legato della Siria. Il punto è che
esiste, oltre a questo, un censimento fatto in Giudea da Senzio
Saturnino, governatore di Siria fino al 7 a.C. e poi impegnato,
probabilmente per la successione del trono di Armenia. L’ipotesi più
verosimile appare allora la seguente: che il primo censimento, quello
iniziato da Senzio Saturnino, sia stato poi continuato da Quirinio
quando questo, prima del 6 a.C., aveva finito la guerra contro gli
Omonadensi, e reggeva temporaneamente la legazione di Siria. Anche lo
storico Giulio Firpo concorda e aggiunge: «Un altro indizio può
suffragare questa ricostruzione: nel 7 a.C., ai sudditi di Erode fu
chiesto di giurare fedeltà ad Augusto. Era una richiesta frequente nei
censimenti provinciali e secondo molti può essere collegata al
censimento ricordato da Luca» (Storia e Dossier, anno VI, n.56, 1991, p. 39).
Non manca neppure chi sostiene, forte di argomenti interessanti, un’altra datazione (Cfr. Loconsole M. Quando è nato Gesù?,
San Paolo 2011). Anche perché, guardando ai fenomeni astrali, dopo il 6
e 7 a.C., si sono verificarono altri eventi interessanti e che
potrebbero essere ricondotti al fenomeno definito da Matteo come stella.
Per esempio le numerose e significative congiunzioni planetarie che si
verificarono tra il 3 ed il 2 a.C.: 12 agosto del 3 a.C. la congiunzione
di Giove e Venere; il 14 settembre Giove si congiunse con Regolo (con
replica, l’anno dopo, il 17 febbraio); il 17 giugno 2 a.C. si registrò
una spettacolare congiunzione tra Giove e Venere nella costellazione del
Leone, il 27 agosto di quell’anno, poi, nella costellazione del Leone
si congiunsero addirittura quattro pianeti (Giove, Venere, Marte e
Mercurio) e, dulcis in fundo, dal 12 agosto del 3 a.C. Giove, ritenuto
il pianeta dei re, è sempre presente e dal 2 a.C. – combinazione proprio
attorno al 25 dicembre di quell’anno! – inverte il proprio moto rispetto
alle stelle fisse più vicine, in pratica – ha osservato Ruggero
Sangalli (Cfr. Giove, la stella dei magi, La Bussola Quotidiana, 17/12/2011) – “fermandosi” in cielo.
«Evitiamo – mi ha scritto sempre Sangalli, a commento di un mio articolo sul tema -
per quanto ci è possibile, di continuare a screditare la storicità dei
fatti, mettendo in dubbio l’attendibilità dei vangeli senza nemmeno
mettere in dubbio che a essere fuori strada siano quelli che lo fanno.
Luca si accredita come uno storico preciso e infatti lo è. Gesù nacque
sul finire del 2 a.C., trent’anni prima del XV anno di Tiberio.
L’astronomia conferma: c’erano in atto singolarissime ed eccezionali
congiunzioni planetarie. La storia ribadisce: Giuseppe Flavio pone la
morte di Erode quasi quattro anni dopo quello che le pessime esegesi gli
fanno dire. L’archeologia attesta che il censimento voluto da Augusto
era in atto. La biologia aiuta: le pecore danno alla luce gli agnellini a
fine autunno (fotoperiodo degli ovini). La tradizione ebraica e la
Sacra Scrittura consolidano tutti gli indizi.»
Ciò nonostante – lo dicevamo poc’anzi – per molti studiosi Gesù
sarebbe nato tra il 6/7 a.C., ipotesi a cui ci conduce anche la citata e
triplice congiunzione tra Saturno e Giove, evento previsto dagli
astrologi orientali e che spiegherebbe la venuta dei Magi. Magi che,
vale la pena sottolinearlo, non sono nemmeno loro frutto di fantasia.
Matteo li racconta come nobili pellegrini e sapienti astronomi, anche se
– è vero – i nomi Baldassarre, Gaspare e Melchiorre sono figli della
tradizione medievale. Da parte loro, alcuni storici sostengono come le
loro spoglie di questi Magi, da Costantinopoli, sarebbero state portate a
Milano dal vescovo Eustorgio, mentre altri studiosi affermano che le
loro reliquie siano giunte in Italia in seguito alle Crociate. Una cosa
risulta certa: le spoglie dei Magi, nel 1162, si trovavano in Lombardia,
e da qui, due anni dopo, sarebbero state portate a Colonia da Federico
Barbarossa fino a quando, nel 1903, alcune di queste reliquie furono
restituite simbolicamente da Colonia a Milano, precisamente a Brugherio,
unica località italiana poter vantare la custodia di qualche resto dei
nobili e colti adoratori di Gesù.
Tornando alla datazione del Natale, se c’è dibattito sulla questione
dell’anno, su quella del giorno si consuma una vera e propria diatriba.
E’ difatti diffusa, specie fra persone con una certa istruzione, l’idea
che il 25 dicembre come data natalizia fu una scelta convenzionale della
Chiesa, promossa per soppiantare il culto pagano del Sol Invictus.
Orbene, su quest’idea andrebbe fatta chiarezza. Anzitutto specificando
che questa ipotesi – avanzata verso la fine del XII secolo dal vescovo
siriano Jacob Bar-Salibi (Cfr. Christianity and Paganism in the Fourth to Eighth Centuries,
Ramsay MacMullen, Yale, 1997, p. 155) – viene spesso venduta come una
certezza mentre invece è, per l’appunto, solo una ipotesi; peraltro
discutibile. Infatti, se la prima citazione della celebrazione del
Natale cristiano al 25 dicembre proviene da Ippolito di Roma,
martirizzato nel 235 d.C., pare non si abbiano fonti storiche
antecedenti, ma solo successive, che alludono al culto Sol Invictus. Ad ogni modo, il 25 dicembre non è comunque una data inventata o frutto di una scelta “politica”.
Vediamo perché considerando – ancora una volta – quanto riferisce il
vangelo di Luca dove si spiega che l’Angelo del Signore, Gabriele, sei
mesi prima dell’annunciazione a Maria (Lc 1, 26-38), alla conclusione
della solenne e quotidiana celebrazione sacrificale, annunciò
all’anziano sacerdote Zaccaria che avrebbe avuto un figlio dalla sua
sposa, l’anziana e sterile Elisabetta. Ora, noi sappiamo che nel
santuario di Gerusalemme David aveva disposto che i «figli di Aronne» fossero distinti in 24 taxis – sebaot in
ebraico – ossia i “turni”. Questo significa che, avvicendandosi in
ordine immutabile, tali “classi“, dovevano prestare servizio liturgico
per una settimana, da sabato a sabato, due volte l’anno.
Ebbene, grazie ad uno studioso israeliano, Shemarjahu Talmon, che ha esaminato, servendosi del Libro dei Giubilei, la successione dei sopraccitati 24 turni sacerdotali, sappiamo che «il turno di Abia»,
quello di Zaccaria, corrispondeva all’ultima settimana di settembre. Un
dato questo, che corrisponde al rito bizantino che, da secoli, celebra
l’annuncio a Zaccaria il 23 settembre. E quindi, se consideriamo che
l’Annunciazione a Maria è fissata quando Elisabetta era al sesto mese –
ed è infatti festeggiata dalla Chiesa il 25 Marzo -, capiamo come sia
tutto tranne che fantasioso credere che nella notte tra il 24 ed il 25
dicembre, in quel di Betlemme, sia effettivamente nato un Bambino di
nome Gesù, un puer destinato a cambiare la storia.
Ora, considerazioni come quelle sin qui svolte non hanno – nè
potrebbero avere, vista la loro brevità – la pretesa di esaurire il
dibattito e men che meno di archiviare questioni che, almeno fra gli
specialisti, sono tutt’ora motivo di discussione. Ciò che invece premeva
era mettere ciascuno di noi nella condizione di capire che il Natale
che festeggiamo tutto è fuorché la rievocazione di una leggenda. Certo –
lo abbiamo ammesso sin dall’inizio – vi sono molti elementi a noi
familiari, dall’albero all’idea del pranzo natalizio, che nulla hanno a
che vedere con l’autenticità storica del Natale. Vi sono tuttavia molte
ragioni per credere che venti secoli fa qualcosa di davvero
straordinario sia accaduto, e che quel qualcosa, ancora oggi, abbia
molto a vedere con l’autenticità della nostra vita.
http://giulianoguzzo.com/2014/12/15/indagine-sul-natale/
Pubblicato il 22 dicembre 2014
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