«Diventare genitori e formare una famiglia che abbia dei figli» è «espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi». Il nucleo essenziale delle motivazioni con le quali la Corte Costituzionale, lo scorso 9 aprile,
ha dichiarato illegittimo il divieto di fecondazione eterologa in
Italia, previsto dall’articolo 4 comma 3 Legge 40/2004, è in queste
parole. Che però – al di là dell’entusiasmo con cui sono state accolte
da alcuni – sollevano un dubbio a dir poco inquietante, e cioè quello
per cui, da soggetto quale è, il figlio possa essere considerato oggetto. Il dubbio, insomma, che esista, sia pure limitato a talune coppie, una sorta di “diritto al figlio”.
Per la verità già l’ammissione, da parte del nostro ordinamento, al
ricorso della pratica della fecondazione extracorporea, purtroppo,
alimentava questo sospetto. Un sospetto che non solo la sentenza
162/2014 della Consulta conferma pienamente, ma persino aggrava
stabilendo come «la determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile» riguardi «la sfera più intima ed intangibile della persona umana».
Il che significa che da un lato il “diritto al figlio” – sia pure
contrabbandato come cura della sterilità – esiste, e, d’altro lato,
detto diritto prevale, oltre che sul diritto del figlio a non essere
considerato oggetto, anche su quello, sempre del figlio, alla
bigenitorialità biologica.
Va detto che le palesi contraddizioni della Legge 40 hanno certamente
favorito un verdetto del genere – basti dire che la norma, che pure
vietava la fecondazione eterologa, all’articolo 9 riconosceva il titolo
di figlio legittimo a quello concepito all’estero con questa stessa
tecnica -; rimane tuttavia il fatto che il ragionamento articolato dalla
Corte Costituzionale, a quanto pare, si basa sull’ipotesi che il
figlio, almeno prima della nascita, non sia persona. Perché se così non
fosse, se fosse considerato persona, evidentemente non potrebbe – al
pari di ogni altra persona – essere oggetto di alcun genere di
rivendicazione o richiesta altrui. Neppure di quelle dei propri
aspiranti genitori.
Invece ora “tutti hanno il diritto di avere figli”, come
titolavano ieri più portali web. Solo che il “diritto al figlio” –
confermato nei termini che abbiamo detto – è un assurdo logico prima che
giuridico. Stabilire infatti che le coppie sterili abbiano diritto di
vedere soddisfatte le proprie aspirazioni pena l’essere discriminate da
quelle con figli equivale ad affermare che il cittadino single abbia
“diritto al marito” o “diritto alla moglie”, altrimenti avrebbe titolo
per sentirsi discriminato rispetto al cittadino felicemente sposato:
un’evidente follia. Eppure non si capisce per quale ragione, seda un
lato non esistono il “diritto al marito” o “diritto alla moglie”,
dall’altro debba de facto esistere il “diritto al figlio”, dato che il potenziale figlio è persona tanto quanto il potenziale consorte.
C’è infine un ultimo profilo problematico, finora sfuggito ai media
e a coloro che hanno commentato le motivazioni della sentenza della
Corte Costituzionale. Ed è questo: se – sia pure col pretesto del
diritto alla salute e della conseguente cura della sterilità che però,
per la cronaca, con la fecondazione extracorporea (neppure eterologa)
non viene curata – riconosciamo alla coppia il “diritto al figlio”, per
quale ragione limitiamo la scelta dell’aborto alla sola
autodeterminazione della donna? La contraddizione – già notata da Marie
Fox (A Woman’s Right to Choose?, Oxford 2003) – è lampante: si
attribuisce alla coppia il diritto di concepire il figlio, ma si limita
alla donna la scelta di non accoglierlo prima della nascita. E se il
padre volesse ancora quel figlio, il suo “diritto al figlio” non vale
più?
In definitiva l’impressione è che, a seconda delle situazioni, si
privilegino i più vari interessi – quelli della coppia, quelli della
coppia sterile, quelli della donna che non se la sente di portare a
termine una gravidanza, ecc. – salvo quello di colui che rimane il
soggetto debole. Vale a dire, per l’appunto, il figlio. E questa,
comunque la si pensi sul divieto – ora abrogato – del ricorso alla
fecondazione eterologa e sulla fecondazione stessa, rappresenta una
bruciante sconfitta per una giustizia sempre più dissociata da un
diritto che, dispiace segnalarlo, pare ormai appiattito sulla realtà che
dovrebbe regolamentare. Come se non fossero le leggi, in una qualche
misura, a definire la giustizia che orienta la società ma fosse questa,
con le sue mutevoli istanze e i suoi capricci, ad orientare le leggi e
la giustizia.
http://giulianoguzzo.wordpress.com/2014/06/11/ma-il-figlio-non-e-un-diritto/ Pubblicato il 12 giugno 2014
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